30 agosto 2008

Le colpe di Washington nella questione georgiana



La vicenda Georgia - Ossezia del Sud - Russia porta al pettine se non tutti una buona parte dei nodi; delle contraddizioni, degli errori della politica estera americana di questi ultimi vent'anni seguita finora, o subita, quasi supinamente dall'Europa.

Bush ha minacciato la Russia di espulsione dal G8 e dal Wto (grottesco diktat poi sfumato in un più diplomatico rischio di compromettere "l'aspirazione di essere integrata nelle strutture diplomatiche, politiche ed economiche del Ventunesimo secolo") per essere intervenuta nell'Ossezia del Sud a sua volta aggredita dalla Georgia da cui formalmente dipende e dalla quale reclama, da vent'anni, l'indipendenza? Ma quale autorità ha Bush in materia dopo che gli Stati Uniti hanno voluto, e ottenuto con la violenza delle armi, l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia? Con differenze che rendono molto più giustificabile l'intervento russo in Ossezia di quanto non lo fosse l'aggressione americana alla Serbia. Il Kosovo infatti era da sempre territorio serbo (era anzi considerato "la culla della Nazione serba") e vi vivevano 380mila serbi (ora ridotti a 60mila nella più grande, e vera, pulizia etnica nei Balcani), l'Ossezia del Sud non è mai stata territorio georgiano e vi vivono solo osseti. Gli indipendentisti albanesi dell'Uck, foraggiati e armati dagli americani, facevano ampio uso del terrorismo, gli osseti no. Le truppe russe sono intervenute in Ossezia e hanno anche sconfinato in Georgia ma non ne hanno toccato la capitale, Tbilisi, gli americani bombardarono invece a tappeto, per 72 giorni, Belgrado. La Serbia di Milosevic non costituiva una minaccia per alcun Paese Nato (anzi non costituiva, ridotta ai minimi termini com'era dopo la guerra di Bosnia, una minaccia per nessun Paese). La Georgia in predicato per entrare nella Nato, e con una serie di "istruttori" americani sul suo territorio, sta ai confini della Russia. Ciò che ha fatto la Russia in Georgia e in Ossezia del Sud è quindi molto meno grave, e più giustificabile, di quanto hanno fatto gli Stati Uniti in Serbia e in Kossovo.

Nella vicenda kosovara l'Europa, compresa l'Italia di D'Alema, seguì supinamente e stupidamente gli Stati Uniti. Mentre infatti gli americani avevano almeno un loro piano, costituire un corridoio - Albania più Bosnia più Kosovo - di islamismo "moderato" nei Balcani a favore della Turchia, il loro grande alleato nella regione (calcolo poi rivelatosi sbagliato perché in quel corridoio si sono installate cellule di Al Quaeda che stanno contaminando proprio la Turchia), l'Europa non aveva alcun interesse a favorire la componente islamica dei Balcani a danno della Serbia ortodossa e da sempre parte integrante del Vecchio Continente (e infatti quando a Ballarò dissi a D'Alema che quella per il Kosovo era stata una guerra "cogliona", l'ex presidente del Consiglio non replicò).

Ma ora l'Europa sembra rialzare la testa. Sembra aver capito che non è suo interesse appiattirsi come una sogliola davanti all'aggressiva politica americana. La mediazione di Sarkozy va tutta in questo senso (e infatti un documento di Washington di condanna esplicita della Russia inviato ai membri del G7 non è passato). Sarkozy non ha ottenuto solo l'immediato "cessate il fuoco" ma anche la posizione giuridica dell'Ossezia del Sud e dell'Akbazia) sia discussa in una Conferenza internazionale da cui uscirà, con tutta probabilità, l'indipendenza dei due Paesi. Senza spargimenti di sangue. Che è la soluzione ottimale per i russi, ma anche per noi. L'Europa ha infatti molti motivi, di vicinanza ed economici, per tenersi buona la pur ambigua Russia di Putin. Così come ha molto motivi per avere buoni rapporti con i Paesi musulmani che circondano le sue coste (mentre l'America li ha a 10mila chilometri di distanza). Per questo sempre Sarkozy sta favorendo l'"Unione mediterranea", cioè di tutti i popoli del Mediterraneo.

E l'Italia in tutto questo cosa fa? Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, non ha nemmeno partecipato alla riunione che i suoi colleghi della Ue hanno tenuto a Bruxelles per discutere della crisi georgiana. Sta alle Maldive. Forse ci è restato apposta, per non compromettersi. Una dimostrazione ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, che con la politica delle pacche sulle spalle "all'amico Bush" e all'"amico Putin" non si combina nulla e si finisce per non contar nulla.


Massimo Fini

A che serve la Borsa?



La domanda non è banale. Ognuno con un eccesso di ego cerca di sfruttare le situazione che la borsa ciclicamente prospetta. Ma siamo sicuri che quella è la scelta giusta? In questa lucida opinione di M. Blondet le politiche globali e il globalismo escono fortemente indebolite. Era ora!

La Borsa risale, e tutti i media contenti: forse siamo fuori dalla crisi.

Citazione: «Al 12 ottobre, il Dow Jones Industrial Index, su cui si misurano i ritorni di molti investimenti, chiuse al livello nominale di 14.693. I media, ovviamente, lo salutarono come un buon auspicio. Il 23 maggio 2008, il Dow ha chiuso a 12.480, solo il 15% di ribasso sul suo record. Non tanto male dopo la crisi dei supbrime e lo scoppio della bolla, almeno a prima vista. Tuttavia, se messo in relazione all’indice ufficiale dei prezzi che dal gennaio 2000 dà un’inflazione del 4% (che è molto sotto la vera inflazione provata dai veri esseri umani), il Dow valeva, al maggio 2008, solo 9.856. E ciò prendendo per buone le cifre d’inflazione ufficiali, che sono ridicolmente ottimistiche».

Cosa significa nel mondo reale?

«Immaginate di aver investito 11.723 dollari il 14 gennaio 2000, quando il Dow era a 11.723. Lo stesso denaro, allora, poteva comprare circa 460 barili di greggio, 40 once d’oro, il 9% di una media casa familiare. Otto anni più tardi, i soldi che avreste messo nel Dow sarebbero cresciuti a 12.480 dollari, con un guadagno nominale di 757 dollari, il 6,4%. Ma con quel denaro accresciuto oggi comprate solo 105 barili di greggio, ossia 355 in meno (-77 %), 27 once d’oro in meno (-66%) e, nonostante in grande calo dei prezzi immobiliari del 15,8%, soltanto il 6% di una casa media familiare (-33 %). Insomma, l’investitore del 2000 ha diritto a dirsi derubato in termini reali, nonostante l’aumento nominale del Dow del 6,4%» (1).

Ma la Borsa serve a finanziare l’economia, dicono i media.

Altra citazione: «Nell’insieme dei mercati finanziari europei l’emissione netta di azioni, ossia il valore lordo di tutte le azioni emesse, al netto dei riscatti (riacquisti di azioni proprie da parte delle imprese) e dei dividendi versati agli azionisti, è negativa da parecchi anni. I dividendi raggiungono un valore vicino a quello delle emissioni di azioni, vale a dire che le società emettono azioni per renumerare i propri azionisti» (Dominque Plion su Le Monde Diplomatique, 9 febbraio 1999).

Ma ciò perché in Europa i «mercati» sono arretrati ed asfittici, dice 24 Ore: guardate invece in America, dove la Borsa è la più grande e libera del mondo.

Guardiamo: «A parte il breve periodo 1991-94, durante il quale l’emissione di azioni netta è stata di 50 miliardi di dollari l’anno, ossia poco o nulla, la Borsa ha distrutto capitale. Ne ritira più di quanto ne ha emesso. Nel 2001, ad esempio, il volume delle azioni emesse è stato più che compensato da quello delle azioni distrutte (con l’acquisto di azioni proprie), cosicchè il totale delle emissioni nette di capitale è risultato negativo per circa 330 miliardi di dollari» (2).

In Italia la schiacciante maggioranza delle imprese private, quelle che forniscono il 90% dei posti di lavoro, hanno meno di 100 dipendenti e non sono certo quotate in Borsa. Il capitale, lo raccolgono dall’indebitamento o dall’auto-finanziamento. Dovunque nel mondo, i «mercati» borsistici «pesano» per meno del 10% cento del capitale delle rispettive nazioni.

Conclusione provvisoria: smettiamo di preoccuparci della Borsa. Negli anni del boom italiano, la Borsa vivacchiava, e l’Italia reale cresceva.

Ma in Borsa c’è chi ha fatto guadagni favolosi, dicono i media. Questo è vero. Pochi hanno fatto soldi, essenzialmente, a spese dei milioni che nel 2000 hanno investito in Borsa 11.723 dei loro sudati dollari, anzichè comprarci 460 barili di greggio o 40 once d’oro.

Quelli cioè che hanno creduto che «i mercati» siano ciò che predicano Giavazzi e 24 Ore: che là vi sia «la concorrenza» perfetta, la «trasparenza» assoluta, e tutti gli altri miti del liberismo. Insomma, quelli che credono che il gioco sia leale. Quei pochi, in realtà, hanno guadagnato perchè avevano informazioni che a quei milioni (detti «parco buoi») sono state taciute: tanti saluti alla «trasparenza».

Quanto alla «concorrenza» e al gioco «leale», per confronto, andate nel vero mercato, quello della frutta e verdura che nelle grandi città si tiene un giorno alla settimana in ogni quartiere. Lì dove dozzine di bancarelle vendono «valori» fisici, di cui avete bisogno e di cui sapete valutare la bontà: pomodori e lattughe, mica derivati e obbligazioni thailandesi o argentine. Dove non avete bisogno che Standard & Poors vi dica quanto valgono le albicocche come vi dice quanto valgono le obbligazioni sub-prime, perchè il fruttivendolo è disposto a farvene assaggiare una e potete giudicare da soli.

Domandatevi: come mai tutte queste bancarelle si mettono lì l’una a fianco all’altra, ad offrirvi gli stessi pomodori, lattughe e albicocche, con variazioni di prezzo minime? Non hanno paura della «concorrenza»? Non temono che qualcuno di loro fallisca, incapace di reggere «la competizione»? Non sarebbe meglio, per i profitti, che ciascuno piazzasse la sua bancarella da sola, in quartieri diversi?

No. I bancarellari si ammassano tutti insieme perchè è la loro concentrazione ad attirare in folla le casalinghe clienti. Le bancarelle solitarie - a volte se ne vede qualcuna - sono malinconicamente disertate. Dunque, ad aumentare i fatturati delle bancarelle è il loro accordo più che la «competizione» intesa come lotta di tutti contro tutti, più l’armonia che la «concorrenza».

Ciò si chiama «capitale sociale», ed è qualcosa di impalpabile - di culturale - che il liberismo economico disprezza totalmente, perchè non è vendibile. O prova ad appropriarsene per renderlo vendibile, come la Monsanto quando brevetta una qualità di riso che gli indiani coltivano da secoli, e i colossi degli OGM brevettano pezzi di DNA di qualche essere umano.

Molto significativamente, appena gli economisti di Chicago hanno potuto far passare la Russia dal socialismo al «mercato», hanno cominciato col lasciar andare in rovina il grande capitale sociale ereditato dal collettivismo: dall’altissimo livello di istruzione, alla scienza, alla sanità pubblica.

Ho conosciuto personalmente una primaria di oncologia pediatrica (ero a Chernobyl) che guadagnava 300 euro al mese; molti suoi colleghi medici specialisti erano andati a fare i taxisti, prendevano sette volte di più.

Dissipazione di qualità umane e di relazioni sociali essenziali, ecco a cosa s’è ridotto il capitalismo di «Borsa».

Io stesso fui tentato di assumerla come badante per la vecchia mamma: 900 euro mensili, che ne dice? Ma l’avrei sottratta a quei bambini con la testa pelata e le occhiaie, le ossa piene di Stronzio 90. Che lei curava praticamente gratis, al massimo delle sue capacità scientifiche.

Ecco perchè in Borsa alcuni guadagnano: sono quelli che giocano per se stessi, nella sicurezza che gli altri, i più, giochino per la collettività: facciano degnamente il loro mestiere mentre vengono derubati di salario e risparmi, mantengano le relazioni sociali e i patrimoni comuni gratuiti, che fanno crescere la società intera. E’ lo stesso che gettare i rifiuti nei fiumi, perchè i fiumi sono collettivi, ossia di nessuno.

Il fatto è che ogggi siamo tutti «capitalisti», tutti abbiamo imparato la lezione del «mercato» terminale: tutti tendiamo a giocare per noi stessi, contro la società e il suo bene. Forse per questo i guadagni di Borsa non sono più quelli di un tempo. Ormai non ci sono più patrimoni sociali, cultura alta, onestà, civismo, orgoglio del lavoro ben fatto, patriottismo da consumare.

Ognuno da parte, con la sua bancarella, lontano dagli altri, sperando di vendere i pomodori un po’ marci. Il risultato è l’impoverimento generale. Meritatissimo.



1) John Browne, «Set to soar - or swoon», Asia Times, 15 agosto 2008.
2) Bernard Maris, «Antimanuale di economia», Tropea Edizioni, 2005.

Moneta comunale come denaro


Nel processo di avanzamento verso il socialismo, oltre agli
emendamenti richiesti sotto l'aspetto giuridico propriamente detto,
risalta la riforma che regola le attività economiche con la finalità
di creare e sostenere nuove forme di organizzazioni socio produttive
che sorgono nel seno delle comunità.

Nel segno della la Ley Habilitante, la Ley para el Fomento y
Desarrollo de la Economía Popular (LFDEP) pubblicata nella Gaceta
Oficial de la República Bolivariana de Venezuela 5.890 il 31 luglio
2008, ha per oggetto la instaurazione delle modalità e delle forme
associative che potenzieranno il controllo e lo svolgimento delle
attività della economia popolare e la instaurazione di un nuovo
sistema di produzione, trasformazione e distribuzione di saperi, beni
e servizi fra le comunità organizzate nella ricerca dello sviluppo
umano integrale e sostenibile. Tale modello socioproduttivo e le sue
forme di organizzazione popolare sono sostenute dalle relazioni di
produzione solidali della comunità come strumenti per dare impulso
allo sviluppo integrale del paese. Di conseguenza si stimolerà
l'economia popolare sulle basi di progetti sorti dalle comunità
organizzate e dell'interscambio dei saperi, beni e servizi per
l'investimento delle eccedenze nella soddisfazione delle necessità
sociali.

Uno degli strumenti basilari di questo modello socio produttivo è
costituito dalla Moneta Comunale (MC) la quale permetterà e faciliterà
l'interscambio di saperi, beni e servizi nello spazio del Sistema di
Interscambio Solidale (SIS).
Tale monetà sarà regolata dalle norme impartite dalla Banca Centrale
del Venezuela (BCV) ed il suo valore si determinerà dalla equivalenza
con la moneta di corso legale nel territorio nazionale. Questo
significa che in ogni ambito territoriale dove funziona un Gruppo di
Interscambio Solidale (GIS) girerà una moneta particolare, accettata
dai suoi membri come mezzo di interscambio tra loro.

La MC adempirà con le funzioni del denaro come strumento generale di
scambio per il quale si richiede solo l'accettazione dei partecipanti
nel GIS. I membri del GIS potranno interscambiare i propri prodotti
con la MC ed utilizzarli per gli interscambi futuri. La MC permette la
specializzazione di ogni produttore consumatore ed elimina l'uso della
moneta di circolazione legale; riducendo i costi associati ad ogni
transazione. Per tanto, la MC servirà come portatore di valore o
proprietà di denaro conservando il valore nel tempo e nello spazio,
basato sulla fiducia che manterrà lo stesso valore o potere d'acquisto
nel futuro. In questo modo la MC funzionerà come strumento di
pagamento differito, perché permetterà di posporre il pagamento di
debiti ed obbligazioni acquisite nel presente. Come unità di conto la
MC funzionerà come un comune denominatore che esprime il valore di
ogni sapere, bene o servizio, permettendo che questi si equiparino tra
loro, attraverso equivalenza dei prezzi in moneta di corso legale.

Ci si augura che con la incorporazione della comunità organizzata al
SIS l'economia popolare e nazionale si sviluppi in maniera integrale e
solidale. Fino ad una diverso approccio.


di Miguel Cortez

30 agosto 2008

Le colpe di Washington nella questione georgiana



La vicenda Georgia - Ossezia del Sud - Russia porta al pettine se non tutti una buona parte dei nodi; delle contraddizioni, degli errori della politica estera americana di questi ultimi vent'anni seguita finora, o subita, quasi supinamente dall'Europa.

Bush ha minacciato la Russia di espulsione dal G8 e dal Wto (grottesco diktat poi sfumato in un più diplomatico rischio di compromettere "l'aspirazione di essere integrata nelle strutture diplomatiche, politiche ed economiche del Ventunesimo secolo") per essere intervenuta nell'Ossezia del Sud a sua volta aggredita dalla Georgia da cui formalmente dipende e dalla quale reclama, da vent'anni, l'indipendenza? Ma quale autorità ha Bush in materia dopo che gli Stati Uniti hanno voluto, e ottenuto con la violenza delle armi, l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia? Con differenze che rendono molto più giustificabile l'intervento russo in Ossezia di quanto non lo fosse l'aggressione americana alla Serbia. Il Kosovo infatti era da sempre territorio serbo (era anzi considerato "la culla della Nazione serba") e vi vivevano 380mila serbi (ora ridotti a 60mila nella più grande, e vera, pulizia etnica nei Balcani), l'Ossezia del Sud non è mai stata territorio georgiano e vi vivono solo osseti. Gli indipendentisti albanesi dell'Uck, foraggiati e armati dagli americani, facevano ampio uso del terrorismo, gli osseti no. Le truppe russe sono intervenute in Ossezia e hanno anche sconfinato in Georgia ma non ne hanno toccato la capitale, Tbilisi, gli americani bombardarono invece a tappeto, per 72 giorni, Belgrado. La Serbia di Milosevic non costituiva una minaccia per alcun Paese Nato (anzi non costituiva, ridotta ai minimi termini com'era dopo la guerra di Bosnia, una minaccia per nessun Paese). La Georgia in predicato per entrare nella Nato, e con una serie di "istruttori" americani sul suo territorio, sta ai confini della Russia. Ciò che ha fatto la Russia in Georgia e in Ossezia del Sud è quindi molto meno grave, e più giustificabile, di quanto hanno fatto gli Stati Uniti in Serbia e in Kossovo.

Nella vicenda kosovara l'Europa, compresa l'Italia di D'Alema, seguì supinamente e stupidamente gli Stati Uniti. Mentre infatti gli americani avevano almeno un loro piano, costituire un corridoio - Albania più Bosnia più Kosovo - di islamismo "moderato" nei Balcani a favore della Turchia, il loro grande alleato nella regione (calcolo poi rivelatosi sbagliato perché in quel corridoio si sono installate cellule di Al Quaeda che stanno contaminando proprio la Turchia), l'Europa non aveva alcun interesse a favorire la componente islamica dei Balcani a danno della Serbia ortodossa e da sempre parte integrante del Vecchio Continente (e infatti quando a Ballarò dissi a D'Alema che quella per il Kosovo era stata una guerra "cogliona", l'ex presidente del Consiglio non replicò).

Ma ora l'Europa sembra rialzare la testa. Sembra aver capito che non è suo interesse appiattirsi come una sogliola davanti all'aggressiva politica americana. La mediazione di Sarkozy va tutta in questo senso (e infatti un documento di Washington di condanna esplicita della Russia inviato ai membri del G7 non è passato). Sarkozy non ha ottenuto solo l'immediato "cessate il fuoco" ma anche la posizione giuridica dell'Ossezia del Sud e dell'Akbazia) sia discussa in una Conferenza internazionale da cui uscirà, con tutta probabilità, l'indipendenza dei due Paesi. Senza spargimenti di sangue. Che è la soluzione ottimale per i russi, ma anche per noi. L'Europa ha infatti molti motivi, di vicinanza ed economici, per tenersi buona la pur ambigua Russia di Putin. Così come ha molto motivi per avere buoni rapporti con i Paesi musulmani che circondano le sue coste (mentre l'America li ha a 10mila chilometri di distanza). Per questo sempre Sarkozy sta favorendo l'"Unione mediterranea", cioè di tutti i popoli del Mediterraneo.

E l'Italia in tutto questo cosa fa? Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, non ha nemmeno partecipato alla riunione che i suoi colleghi della Ue hanno tenuto a Bruxelles per discutere della crisi georgiana. Sta alle Maldive. Forse ci è restato apposta, per non compromettersi. Una dimostrazione ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, che con la politica delle pacche sulle spalle "all'amico Bush" e all'"amico Putin" non si combina nulla e si finisce per non contar nulla.


Massimo Fini

A che serve la Borsa?



La domanda non è banale. Ognuno con un eccesso di ego cerca di sfruttare le situazione che la borsa ciclicamente prospetta. Ma siamo sicuri che quella è la scelta giusta? In questa lucida opinione di M. Blondet le politiche globali e il globalismo escono fortemente indebolite. Era ora!

La Borsa risale, e tutti i media contenti: forse siamo fuori dalla crisi.

Citazione: «Al 12 ottobre, il Dow Jones Industrial Index, su cui si misurano i ritorni di molti investimenti, chiuse al livello nominale di 14.693. I media, ovviamente, lo salutarono come un buon auspicio. Il 23 maggio 2008, il Dow ha chiuso a 12.480, solo il 15% di ribasso sul suo record. Non tanto male dopo la crisi dei supbrime e lo scoppio della bolla, almeno a prima vista. Tuttavia, se messo in relazione all’indice ufficiale dei prezzi che dal gennaio 2000 dà un’inflazione del 4% (che è molto sotto la vera inflazione provata dai veri esseri umani), il Dow valeva, al maggio 2008, solo 9.856. E ciò prendendo per buone le cifre d’inflazione ufficiali, che sono ridicolmente ottimistiche».

Cosa significa nel mondo reale?

«Immaginate di aver investito 11.723 dollari il 14 gennaio 2000, quando il Dow era a 11.723. Lo stesso denaro, allora, poteva comprare circa 460 barili di greggio, 40 once d’oro, il 9% di una media casa familiare. Otto anni più tardi, i soldi che avreste messo nel Dow sarebbero cresciuti a 12.480 dollari, con un guadagno nominale di 757 dollari, il 6,4%. Ma con quel denaro accresciuto oggi comprate solo 105 barili di greggio, ossia 355 in meno (-77 %), 27 once d’oro in meno (-66%) e, nonostante in grande calo dei prezzi immobiliari del 15,8%, soltanto il 6% di una casa media familiare (-33 %). Insomma, l’investitore del 2000 ha diritto a dirsi derubato in termini reali, nonostante l’aumento nominale del Dow del 6,4%» (1).

Ma la Borsa serve a finanziare l’economia, dicono i media.

Altra citazione: «Nell’insieme dei mercati finanziari europei l’emissione netta di azioni, ossia il valore lordo di tutte le azioni emesse, al netto dei riscatti (riacquisti di azioni proprie da parte delle imprese) e dei dividendi versati agli azionisti, è negativa da parecchi anni. I dividendi raggiungono un valore vicino a quello delle emissioni di azioni, vale a dire che le società emettono azioni per renumerare i propri azionisti» (Dominque Plion su Le Monde Diplomatique, 9 febbraio 1999).

Ma ciò perché in Europa i «mercati» sono arretrati ed asfittici, dice 24 Ore: guardate invece in America, dove la Borsa è la più grande e libera del mondo.

Guardiamo: «A parte il breve periodo 1991-94, durante il quale l’emissione di azioni netta è stata di 50 miliardi di dollari l’anno, ossia poco o nulla, la Borsa ha distrutto capitale. Ne ritira più di quanto ne ha emesso. Nel 2001, ad esempio, il volume delle azioni emesse è stato più che compensato da quello delle azioni distrutte (con l’acquisto di azioni proprie), cosicchè il totale delle emissioni nette di capitale è risultato negativo per circa 330 miliardi di dollari» (2).

In Italia la schiacciante maggioranza delle imprese private, quelle che forniscono il 90% dei posti di lavoro, hanno meno di 100 dipendenti e non sono certo quotate in Borsa. Il capitale, lo raccolgono dall’indebitamento o dall’auto-finanziamento. Dovunque nel mondo, i «mercati» borsistici «pesano» per meno del 10% cento del capitale delle rispettive nazioni.

Conclusione provvisoria: smettiamo di preoccuparci della Borsa. Negli anni del boom italiano, la Borsa vivacchiava, e l’Italia reale cresceva.

Ma in Borsa c’è chi ha fatto guadagni favolosi, dicono i media. Questo è vero. Pochi hanno fatto soldi, essenzialmente, a spese dei milioni che nel 2000 hanno investito in Borsa 11.723 dei loro sudati dollari, anzichè comprarci 460 barili di greggio o 40 once d’oro.

Quelli cioè che hanno creduto che «i mercati» siano ciò che predicano Giavazzi e 24 Ore: che là vi sia «la concorrenza» perfetta, la «trasparenza» assoluta, e tutti gli altri miti del liberismo. Insomma, quelli che credono che il gioco sia leale. Quei pochi, in realtà, hanno guadagnato perchè avevano informazioni che a quei milioni (detti «parco buoi») sono state taciute: tanti saluti alla «trasparenza».

Quanto alla «concorrenza» e al gioco «leale», per confronto, andate nel vero mercato, quello della frutta e verdura che nelle grandi città si tiene un giorno alla settimana in ogni quartiere. Lì dove dozzine di bancarelle vendono «valori» fisici, di cui avete bisogno e di cui sapete valutare la bontà: pomodori e lattughe, mica derivati e obbligazioni thailandesi o argentine. Dove non avete bisogno che Standard & Poors vi dica quanto valgono le albicocche come vi dice quanto valgono le obbligazioni sub-prime, perchè il fruttivendolo è disposto a farvene assaggiare una e potete giudicare da soli.

Domandatevi: come mai tutte queste bancarelle si mettono lì l’una a fianco all’altra, ad offrirvi gli stessi pomodori, lattughe e albicocche, con variazioni di prezzo minime? Non hanno paura della «concorrenza»? Non temono che qualcuno di loro fallisca, incapace di reggere «la competizione»? Non sarebbe meglio, per i profitti, che ciascuno piazzasse la sua bancarella da sola, in quartieri diversi?

No. I bancarellari si ammassano tutti insieme perchè è la loro concentrazione ad attirare in folla le casalinghe clienti. Le bancarelle solitarie - a volte se ne vede qualcuna - sono malinconicamente disertate. Dunque, ad aumentare i fatturati delle bancarelle è il loro accordo più che la «competizione» intesa come lotta di tutti contro tutti, più l’armonia che la «concorrenza».

Ciò si chiama «capitale sociale», ed è qualcosa di impalpabile - di culturale - che il liberismo economico disprezza totalmente, perchè non è vendibile. O prova ad appropriarsene per renderlo vendibile, come la Monsanto quando brevetta una qualità di riso che gli indiani coltivano da secoli, e i colossi degli OGM brevettano pezzi di DNA di qualche essere umano.

Molto significativamente, appena gli economisti di Chicago hanno potuto far passare la Russia dal socialismo al «mercato», hanno cominciato col lasciar andare in rovina il grande capitale sociale ereditato dal collettivismo: dall’altissimo livello di istruzione, alla scienza, alla sanità pubblica.

Ho conosciuto personalmente una primaria di oncologia pediatrica (ero a Chernobyl) che guadagnava 300 euro al mese; molti suoi colleghi medici specialisti erano andati a fare i taxisti, prendevano sette volte di più.

Dissipazione di qualità umane e di relazioni sociali essenziali, ecco a cosa s’è ridotto il capitalismo di «Borsa».

Io stesso fui tentato di assumerla come badante per la vecchia mamma: 900 euro mensili, che ne dice? Ma l’avrei sottratta a quei bambini con la testa pelata e le occhiaie, le ossa piene di Stronzio 90. Che lei curava praticamente gratis, al massimo delle sue capacità scientifiche.

Ecco perchè in Borsa alcuni guadagnano: sono quelli che giocano per se stessi, nella sicurezza che gli altri, i più, giochino per la collettività: facciano degnamente il loro mestiere mentre vengono derubati di salario e risparmi, mantengano le relazioni sociali e i patrimoni comuni gratuiti, che fanno crescere la società intera. E’ lo stesso che gettare i rifiuti nei fiumi, perchè i fiumi sono collettivi, ossia di nessuno.

Il fatto è che ogggi siamo tutti «capitalisti», tutti abbiamo imparato la lezione del «mercato» terminale: tutti tendiamo a giocare per noi stessi, contro la società e il suo bene. Forse per questo i guadagni di Borsa non sono più quelli di un tempo. Ormai non ci sono più patrimoni sociali, cultura alta, onestà, civismo, orgoglio del lavoro ben fatto, patriottismo da consumare.

Ognuno da parte, con la sua bancarella, lontano dagli altri, sperando di vendere i pomodori un po’ marci. Il risultato è l’impoverimento generale. Meritatissimo.



1) John Browne, «Set to soar - or swoon», Asia Times, 15 agosto 2008.
2) Bernard Maris, «Antimanuale di economia», Tropea Edizioni, 2005.

Moneta comunale come denaro


Nel processo di avanzamento verso il socialismo, oltre agli
emendamenti richiesti sotto l'aspetto giuridico propriamente detto,
risalta la riforma che regola le attività economiche con la finalità
di creare e sostenere nuove forme di organizzazioni socio produttive
che sorgono nel seno delle comunità.

Nel segno della la Ley Habilitante, la Ley para el Fomento y
Desarrollo de la Economía Popular (LFDEP) pubblicata nella Gaceta
Oficial de la República Bolivariana de Venezuela 5.890 il 31 luglio
2008, ha per oggetto la instaurazione delle modalità e delle forme
associative che potenzieranno il controllo e lo svolgimento delle
attività della economia popolare e la instaurazione di un nuovo
sistema di produzione, trasformazione e distribuzione di saperi, beni
e servizi fra le comunità organizzate nella ricerca dello sviluppo
umano integrale e sostenibile. Tale modello socioproduttivo e le sue
forme di organizzazione popolare sono sostenute dalle relazioni di
produzione solidali della comunità come strumenti per dare impulso
allo sviluppo integrale del paese. Di conseguenza si stimolerà
l'economia popolare sulle basi di progetti sorti dalle comunità
organizzate e dell'interscambio dei saperi, beni e servizi per
l'investimento delle eccedenze nella soddisfazione delle necessità
sociali.

Uno degli strumenti basilari di questo modello socio produttivo è
costituito dalla Moneta Comunale (MC) la quale permetterà e faciliterà
l'interscambio di saperi, beni e servizi nello spazio del Sistema di
Interscambio Solidale (SIS).
Tale monetà sarà regolata dalle norme impartite dalla Banca Centrale
del Venezuela (BCV) ed il suo valore si determinerà dalla equivalenza
con la moneta di corso legale nel territorio nazionale. Questo
significa che in ogni ambito territoriale dove funziona un Gruppo di
Interscambio Solidale (GIS) girerà una moneta particolare, accettata
dai suoi membri come mezzo di interscambio tra loro.

La MC adempirà con le funzioni del denaro come strumento generale di
scambio per il quale si richiede solo l'accettazione dei partecipanti
nel GIS. I membri del GIS potranno interscambiare i propri prodotti
con la MC ed utilizzarli per gli interscambi futuri. La MC permette la
specializzazione di ogni produttore consumatore ed elimina l'uso della
moneta di circolazione legale; riducendo i costi associati ad ogni
transazione. Per tanto, la MC servirà come portatore di valore o
proprietà di denaro conservando il valore nel tempo e nello spazio,
basato sulla fiducia che manterrà lo stesso valore o potere d'acquisto
nel futuro. In questo modo la MC funzionerà come strumento di
pagamento differito, perché permetterà di posporre il pagamento di
debiti ed obbligazioni acquisite nel presente. Come unità di conto la
MC funzionerà come un comune denominatore che esprime il valore di
ogni sapere, bene o servizio, permettendo che questi si equiparino tra
loro, attraverso equivalenza dei prezzi in moneta di corso legale.

Ci si augura che con la incorporazione della comunità organizzata al
SIS l'economia popolare e nazionale si sviluppi in maniera integrale e
solidale. Fino ad una diverso approccio.


di Miguel Cortez