22 gennaio 2009

Menti consumati dall’odio

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L’organizzazione ebraica «Breaking the silence» (Rompere il silenzio) ha diffuso un opuscolo di cento pagine che contiene interviste a decine di soldati di Tsahal impiegati ad Hebron, la città palestinese di Gaza dove però fra 80 mila palestinesi pretendono di abitare 700 coloni ebraici, che i soldati difendono.

L’agenzia ebraica Ynet.news ha ripreso quattro di queste interviste (1).

Le mani tagliate col filo di ferro

Soldato: «C’era uno matto davvero nella mia unità, gli piaceva torturare. Una volta ha provocato l’amputazione delle mani di un uomo».

Intervistatore: «Cosa è successo?».

Soldato: «Insomma, c’era quell’arabo... il soldato gli ruba una scatola di tabacco. L’arabo si mette a gridare: ‘Ladri, ladri, vi ho visto’. Si avvicina al soldato, e noi lo spingiamo per allontanarlo. Non sapevamo del furto. ‘Il soldato comincia a pestarlo, e tutti noi anche... finisce che l’arabo è stato pestato parecchio. ‘Poi il soldato ha preso un filo di ferro - era molto incazzato - ha afferrato l’arabo e ha cominciato a stringerlielo attorno...».

Intervistatore: «alle mani?».

Soldato: «Già.... gliel’ha stretto molto forte. Te lo giuro, abbiamo cercato di fermarlo. ‘No, non lo lascio andare. Ha alzato le mani contro di me, lo punisco’. E dài a girare, dài a stringere… dopo, quando abbiamo cercato di liberarlo, non ci siamo riusciti, gli aveva fatto proprio un canale nella mano. Era blu. E il tipo gridava: ‘Non sento più la mano’. Abbiamo anche tentato di scavare (tra la carne e il filo metallico) con un coltello, ma non siamo riusciti… Gli abbiamo detto di andare all’ospedale. Niente da fare, non riuscivamo a tagliare il filo. Gli hanno amputato la mano».

Ladri

Soldato: «Abbiamo fatto un bel po’ di ruberie….Una volta siamo entrati in una casa di Hebron, gente ricca. Abbiamo trovato in una scrivania una quantità di dollari. Pazzesco. Il capitano dice ai due secondi in grado dell’unità: bene, ci dividiamo questi soldi. Se li sono spartiti. Ne hanno lasciato un po’, e a me hanno detto: «Se parli, torniamo e ti sgozziamo».

Intervistatore: «Era consueto, il furto?».

Soldato: «Un po’ di saccheggio era normale... Backgammon (sic), sigarette, tutto... Quello che ci piaceva lo prendevamo. Altri ragazzi prendevano regali per le loro ragazze dalle botteghe».

Pestaggi

Soldato: «Eravamo di pattuglia, e vediamo un tipo in un taxi che sembrava nascondere qualcosa. Fermiamo la macchina... C’era appena stato un incidente, un soldato accoltellato o qualcosa del genere».
«Troviamo un coltello... Chiediamo al tizio: «Perchè il coltello?», e lui dice: «E’ per mia madre, per tagliare la verdura». Noi diciamo: «Cosa sei, un idiota? Scherzi? Stai mentendo?». Ci ha fatto proprio incazzare. Lo abbiamo afferrato e l’abbiamo colpito, non in faccia, nelle costole».

«Il resto della pattuglia vede il pestaggio, e ci salta dentro... Tutti a picchiarlo, a picchiarlo di brutto, sul serio. Con bastoni sulla testa. E uno poi comincia a strangolarlo, con le due mani. Aveva 17 o 18 anni e comincia a gridare “Mama, Baba”. Quello continua a strangolarlo, stava diventando blu e perdeva coscienza. Di colpo gli altri ragazzi si rendono conto di quel che succede e cominciano a tirare indietro il soldato. Ma lui non voleva lasciare la presa. Non lasciava, e urlava: «Ci volevi ammazzare, vuoi ammazzarci, volevi pugnalarmi eh? Figlio di puttana, pugnalarmi volevi».
«Era come matto, lo abbiamo tirato indietro per le gambe e la vita. Tutto il suo corpo era sollevato, e noi tiravamo... ma
(il soldato) s’era attaccato all’uomo come un pitbull. Finalmente l’abbiamo staccato».

Soffocamenti

Soldato: «Facevamo ogni genere di esperimento per vedere chi faceva la più bella spaccata a Abu Sneina. Li mettevamo faccia al muro, come per perquisirli, e ordinavamo loro di allargare le gambe. Allarga! Allarga! Allarga! Era la gara per vedere chi allargava di più. Oppure controllavamo chi tratteneva il respiro più a lungo».

Intervistatore: «Come lo controllavate?».

Soldato: «Soffocandoli. Uno di noi faceva finta di perquisirli, ma di colpo urlava qualcosa come se quelli avessero parlato e cominciava a soffocarli... a bloccargli le vie aeree, bisogna premere il pomo d’Adamo. Non è piacevole. Guardi l’orologio mentre lo fai, finoa che quello sviene. Chi ci mette più tempo a svenire, vince».

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L’organizzazione Breaking the Silence dice di aver pubblicato queste interviste per «suscitare un pubblico dibattito sul prezzo morale pagato dalla società israeliana nel suo complesso», per far vedere cosa diventano «giovani soldati obbligati a prendere il controllo di una popolazione civile». Ed è un continuo «degrado morale», e «la società israeliana ha il dovere di ascoltare i soldati e assumersi la responsabilità di ciò che viene fatto in suo nome».

Il testo integrale delle testimonianze può essere letto nel sito dell’organizzazione, www.shovrimshtika.org

Uno dei soldati dice: «Tutti noi sentivamo di fare qualcosa di sbagliato. Almeno, i miei amici sentivano di fare una cosa sbagliata». Ma nessuna resipiscenza tardiva minaccia i «coloni» giudaici di Hebron, che si sono messi lì a Gaza per rivendicare ad Israele le tombe dei Patriarchi, che sorgono lì e sono un luogo di preghiera anche per i musulmani.

Da questo insediamento veniva Baruch Goldstein, che nel ’94 irruppe nella Tombe ammazzando col suo mitragliatore 29 palestinesi e ferendone 150. Goldstein era americano e armato, come tutti i «coloni» di questo avamposto sacro, che è abitato da estremisti seguaci del rabbino Kahane e del partito razzista-religioso Kach. Infatti i coloni hanno sepolto Goldstein (che fu ucciso mentre compiva il massacro) nel loro cimitero che chiamano Kahane Memorial Park.

La lapide sulla tomba dice: «A san Baruch Goldstein, che ha dato la sua vita per il popolo ebraico, la Torà e la nazione di Israele». Parecchi rabbini confermarono che la strage compiuta da Goldsetin era una «mitzvah», un’opera meritevole di fronte a Dio.

Mantenuti dalla diaspora, questi coloni non hanno bisogno di lavorare. Passano il tempo ad angariare i palestinesi a cui hanno rubato i campi, a tirare pietre e ad aggredire gli scolari palestinesi che passano nelle vicinanze per andare a scuola, a sparare sui passanti e ad ubriacarsi. Ebrei ma americani, si sentono come coloni del Far West in territorio Sioux, ma con l’aggiunta «religiosa».

Sono costantemente armati di mitra e pistole, portano con orgoglio la kippà e lunghe barbe da «profeti». Caratteristici gli sguardi carichi d’odio con cui ti squadrano, se non sei ebreo, e gli insulti di cui ti coprono se sei giornalista o fotoreporter.
Le loro donne, in parrucca o foulard ebraico, insultano le donne palestinesi, e quando possono le picchiano. Sotto la protezione costante del glorioso Tsahal.

L’ultima impresa di questi pii ebrei riguarda Hammad Nidar Khadatbh, un ragazzo palestinese di 15 anni, che il 15 aprile era uscito di casa per raccogliere cetrioli, purtroppo nelle vicinanze dell’insediamento illegale (ma protetto) di Al-Hamra. La sera non era tornato, e la famiglia è uscita a cercarlo per ogni dove. Nulla. Il mattino dopo, il padre e i fratelli di Hammad ripartono alla sua ricerca, e lo trovano in una zona dove l’avevano già cercato la sera prima. Evidentemente era stato buttato lì nella notte.

Il corpo del ragazzo era nudo, gonfio, e torturato. La faccia gli era stata spaccata con pietre, il collo rotto, un dito gli era stato troncato. Sul torso aveva numerosi buchi, apparentemente praticati con un oggetto aguzzo e tondo, come una penna. Il corpo è stato portato ad un perito, per l'autopsia, nel settore israeliano di Gerusalemme. I parenti sono convinti che anche quello scempio sul loro figlio sia una delle opere sante dei coloni religiosi.

«Dio della pace,
Volgi verso il Tuo cammino di amore
coloro che hanno il cuore e la mente
consumati dall’odio».
Dalla preghiera del Santo Padre a Ground Zero.

Maurizio Blondet

I carnefici di regimi spiegano...



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Angelo Panebianco sul Corriere di domenica: «Fra le molte asimmetrie del conflitto c’è anche quella rappresentata dal diverso valore attribuito dai contendenti alla vita umana. Per gli uomini di Hamas, come per Hezbollah in Libano, la vita (anche quella degli appartenenti al proprio popolo) vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i civili, compresi i bambini e le donne, come scudi umani. Per gli israeliani, le cose stanno differentemente. Cercano di limitare il più possibile le ingiurie alla popolazione civile...».

Quando menzogne così disonorevoli, sputi sulle vittime, vengono scritte sui giornali autorevoli da autorevoli commentatori, chi ha un po’ di esperienza storica sa che qualcosa è successo.

Gli vengono a mente i precedenti: per mezzo secolo, finchè il comunismo sovietico ebbe il favore della intellettualità ebraica, questo tipo di menzogne di sapore inequivocabile – aperte violazioni della verità evidente – erano pane quotidiano sui giornali non solo comunisti, ma progressisti e delle borghesie illuminate d’Europa.

Nel 1932-33, mentre Lazar Moiseyevich Kaganovich, numero 2 del Partito, procedeva alla requisione forzata dei grani in Ucraina, con fucilazioni dei contadini e provocando la morte per fame di 7 milioni di esseri umani, non era raro trovare articoli dove si gettava la colpa sui «kulaki», come «sabotatori» che «sottraevano il grano all’ammasso». Fior di scrittori tornavano dall’URSS magnificando, in articoli estasiati, la felicità e l’abbondanza che il sistema sovietico aveva regalato ai russi.

L’assoluta maggioranza degli intellettuali, non solo comunisti, insorgeva se qualche (rara) voce si alzava a rivelare che in URSS vigeva il Terrore poliziesco e milioni di esseri umani innocenti stavano scomparendo nel vasto arcipelago Gulag, gestito dal capo supremo della repressione, Genrich Yagoda, e da 500 mila ebrei comunisti che avevano trovato un ben pagato lavoro nella Ghepeù, poi NKVD, poi KGB: erano tutte «calunnie» contro lo «Stato dei lavoratori» che aveva «liberato il proletariato»; per adesso in un solo Paese, ma gli intellettuali aperti e progressisti auspicavano che il paradiso sovietico arrivasse al più presto a liberare anche noi.

Solo dopo la denuncia ufficiale di Kruscev lo stesso Corriere osò ammettere i «crimini di Stalin». I crimini di Lazar Moiseyevich Kaganovich non sono mai stati evocati, anche se è stato pari grado di Stalin, l’autore non solo dell’holodmor, del genocidio ucraino, ma della eradicazione del cristianesimo in Russia.

Solo il 26 settembre 1995 il New York Times ha rievocato il commissario Kaganovich mentre, in piedi fra le macerie della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, la principale delle chiese che fece distruggere, esclamava ebbro di stupro: «Abbiamo umiliato la Madre Russia; le abbiamo strappato la gonna».

Kaganovich, figlio di ciabattino ebreo, è morto nel 1991 nel suo letto, mai molestato, con la ricca pensione dell’alto funzionario sovietico.

Solo nel 2003 Simon Sebag Montefiore ha rievocato il sadidsmo massacratore di Yagoda, il capo supremo dei Gulag; e di come, dopo aver fatto trucidare Zinov’ev e Kamenev, avesse fatto recuperare i proiettili dal loro cranio per conservarli, puliti e incastonati su piedistalli, insieme alla sua ricca collezione di 3900 foto e 11 film pornografici, 165 pipe e portasigarette ornate di immagini oscene, falli di gomma e montagne di biancheria intima femminile.

Ma nel 1935, quando Yagoda era all’apice del potere, lo scrittore ebreo francese Romain Rolland , premio Nobel, scrisse un inno in lode ed esaltazione del mostro.

Ecco, qualcosa del genere succede adesso. Con Angelo Panebianco e suoi compari nei panni dei Rolland, degli Aragon e dei Sartre, o dei Moravia & C. La sola differenza è che chi diceva la verità allora, era bollato come reazionario e fascista, ridotto allo stato di non-persona; oggi, come anti-semita e criminalizzato. Ma il clima è lo stesso, lo stesso il «sapore» della difesa dello stesso potere, con la stessa impronta.

Solo così si spiega che un Panebianco possa scrivere frasi come: «Richard Falk, il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, rappresentante dell’Human Right Council alle Nazioni Unite, sta usando la sua carica e la sponsorizzazione dell’ONU per fare propaganda pro-Hamas e anti-israeliana». (ebreo americano, docente di diritto internazionale a Princeton, Falk è stato respinto alla frontiera da Israele perchè non fosse testimone della verità).

Questo tipo di frasi, per uno della mia età, suona molto «sovietico» . Vuol dire che simili frasi sono state, diciamo, autorizzate.

Quindi solo a futura memoria, non certo per convincere Panebianco (che è ben pagato per fare quello che fa) traduco qui alcune citazioni di capo sionisti famosi, che ci dicono quanto valore essi diano alla vita umana, non solo dei goym, ma anche dei loro ebrei.

David Ben Gurion, durante la guerra: «Se io sapessi che è possibile salvare tutti i figli (ebrei) di Germania trasferendoli in Inghilterra, e solo metà di loro trasferendoli nella terra di Israele, sceglierei la seconda possibilità; perchè di fronte a noi non abbiamo solo il numero di questi figli, ma il progetto storico del popolo di Israele» (Shabtai Teveth, «Ben Gurion», 1988,).

«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca dei terreni e il taglio di tutti i servizi sociali per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba» (David Ben-Gurion, maggio 1948, to the General Staff. Da «Ben-Gurion, A Biography», di y Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978).

«Dobbiamo espellere arabi e prendere i loro posti» –(David Ben Gurion, 1937, «Ben Gurion and the Palestine Arabs» Shabtai Teveth, Oxford University Press, 1985).

«Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano» (Golda Meir,dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969).

«Come possiamo restituire I territor occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli» ( Golda Meir, marzo, 1969).

«...Uscimmo fuori, e Ben Gurion ci accompagnò sulla porta. Allon ripetè la sua domanda: cosa si deve fare con la popolazione palestinese? Ben Gurion scosse la mano con un gesto che diceva: cacciarli fuori». (Yitzhak Rabin,è un passo censurato delle memorie di Rabin, rivelato dal New York Times, 23 ottobrer 1979)

«Saranno create, nel corso dei 10 o 20 anni prossimi, condizioni tali da attrarre la naturale e volontaria emigrazione dei rifugiati da Gaza e dalla Cisgiordania verso la Giordania. Per ottenere questo dobbiamo accordarci con re Hussein e non con Yasser Arafat». (Yitzhak Rabin, citato dn David Shipler sul New York Times, 04/04/1983)

«I palestinesi sono bestie con due zampe» (Menachem Begin,primo ministro di Israele 1977-83, davanti alla Knesset, citato da Amnon Kapeliouk, "Begin and the Beasts", New Statesman, June 25, 1982.)

«La partizione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta... Gerusalenne fu e sarà per sempre la nostra capitale. Eretz Israel sarà restaurato per il popolo d’Israele; tutto e per sempre» (Menachem Begin, il giorno dopo il voto all’Onu per la partizione della Palestina).

«I palestinesi saranno schiacciati come cavallette... le teste spaccate contro le rocce e i muri» ( Yitzhak Shamir, primo ministro in carica, in un discorso ai «coloni» ebraici, New York Times 1 aprile, 1988).

«Israele doveva sfruttare la repressione delle dimostrazioni in Cina (nei giorni di Tienanmen, ndr.) quando l’attenzione del mondo era concentrata su quel paese, per procedere alle espulsioni di massa degli arabi dei territori (occupati)» (Benyamin Netanyahu, all’epoca vice-ministro degli esteri, già primo ministro, davanti agli studenti della t Bar Ilan University; citazione tratta dal giornale isrealiano Hotam, 24 novembre 1989).

«I palestinesi sono come coccodrilli, più carne gli dai e più ne vogliono» (Ehud Barak, primo ministro all’epoca, 28 agosto 2000. Riportato dal Jerusalem Post 30 agosto 2000).

«Se pensassimo che anzichè 200 morti palestinesi, 2 mila morti ponessero fine alla guerriglia in un colpo solo, useremmo molto più forza…» (Ehud Barak, primo ministro, citato dalla Associated Press, 16 novembre 2000).

«Mi sarei arruolato in una organizzazione terroristica»: (risposta di - Ehud Barak a Gideon Levy, il noto giornalista di Ha'aretz che gli aveva domandato cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese)

«C’è un abisso tra noi (ebrei) e i nostri nemici: non solo in capacità ma in moralità, cultura, decenza di vita e coscienza. Sono i nostri vicini, ma è come se non appartenessero al nostro continente, al nostro mondo, ma a una diversa galassia» (Moshe Katsav, presidente di Israele, al Jerusalem Post, 10 maggio 2001. Katsav ha poi dovuto dimettersi per molestie sessuali alle sue segretarie).

«Noi dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto di abitare anche in un centimetro di Eretz Israel... Capiscono solo la forza. Noi useremo la forza senza limiti finchè i palestinesi non vengano strisciando a noi» (Rafael Eitan, capo dello stato maggiore di Tsahal, citato da Gad Becker in «Yedioth Ahronot», 13 aprile 1983).

«E’ dovere dei leader israeliani spiegare all’opinione pubblica, con chiarezza e coraggio, alcuni fatti che col tempo sono stati dimenticati. Il primo è: non c’è sionismo, colonizzazione o stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre» (Ariel Sharon, allora ministro degli esteri, ad un discorso tenuto davanti ai militanti del partito di estrema destra Tsomet – Agence France Presse, 15 novembre 1998).

«Ciascuno deve darsi una mossa, correre e arraffare quante più alture possibile per espandere gli insediamenti (ebraici), perchè tutto ciò che prendiamo adesso rimarrà nostro... Tutto ciò che non arraffiamo andrà a loro» (Ariel Sharon, stesso discorso di cui sopra).

«Israele ha il diritto di processare altri, ma nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato di Israele» (Sharon, primo ministro, 25 marzo 2001, BBC Online).

Queste citazioni sono sufficienti a capire qual è lo scopo delle incursioni in corso, e qual è lo scopo di Israele in generale: la pulizia etnica e l’espulsione forzata, a forza di massacri, dei palestinesi dalla «terra santa».

Negli anni ’30, si sarebbero potute estrarre identiche affermazioni (a favore del «socialismo mondiale») dai discorsi di Kaganovic, di Yagoda, di Trotsky-Bronstein; ciò non avrebbe indotto i Panebianco dell’epoca a un ripensamento.

A quell’epoca, gli ebrei erano per il socialismo, e dunque la menzogna più plateale era autorizzata; oggi che sono per il sionismo armato, è autorizzata la menzogna sionista.

Quando Panebianco esalta il superiore «valore della vita» umana che gli ebrei nutrirebbero rispetto ad Hamas, non fa che riecheggiare i discorsi della propaganda ebraica.

Per esempio la replica del rabbino Levi Brackman a Sarah Roy, una docente di Harvard che sul Christian Science Monitor si è chiesta angosciata di fronte ai bombardamenti spietati: «Abbiamo ancora la tradizione etica ebraica? La promessa di santità, così centrale alla nostra esistenza, è oggi oltre la nostra capacità di perseguirla?».

Risponde rabbi Brackman (1): «Sarah Roy scrive che essere ebrei significa ‘testimoniare, sollevarsi davanti all’ingiustizia e rifiutare di tacere. Significa compassione, tolleranza, e soccorso. In assenza di questi imperativi, cessiamo di essere ebrei’. Ma una più profonda lettura dell’ebraismo mostra che sì, gli ebrei sono un popolo definito dalla loro capacità di compassione e tolleranza; ma ci sono momenti in cui ci è vietato di agire secondo questi sentimenti perchè tali azioni sarebbero distruttive. E’ importante sentire compassione per i residenti di Gaza, ma questo sentimento di preoccupazione e simpatia non deve esere confuso con la chiarezza etica e morale. Al contrario, decidere di non montare una difesa contro terroristi omicidi per compassione, non è solo immorale, è anti-ebraico, idiota e profondamente irresponsabile».

Bel discorso, no? Ma anche rabbi Beckman non è l’autore di questo civile ragionamento. Ecco l’originale:

«…Dobbiamo essere onesti, decenti, leali e membri camerateschi verso la nostra stirpe e nessun altro.... Non dobbiamo mai essere duri e spietati quando non è necessario, questo è chiaro. Noi tedeschi, che siamo il solo popolo del mondo che ha un atteggiamento morale verso gli animali, dobbiamo avere un atteggiamento morale anche verso questi animali umani. Ma è un delitto contro il nostro sangue preoccuparsi di loro, se questo causa problemi ai nostri figli e nipoti. Quando qualcuno viene da me e mi dice, “Non posso scavare la trincea anticarro usando donne e bambini, è inumano, li espone alla morte’, io rispondo: ‘Tu sei un assassino del tuo stesso sangue, perchè se la trincea anticarro non è scavata, moriranno soldati tedeschi, e sono figli di madri tedesche, sono il nostro sangue”».

Chi parla? Heinrich Himmler, nel celebre discorso di Posen (Poznan) agli alti ufficiali SS (SS-Gruppenfueher) pronunciato il 4 ottobre 1943 (2).

Si è detto che tutti coloro che in Germania non si opposero al Reich, e magari ne celebrarono le lodi, erano «volonterosi carnefici di Hitler».

Oggi, sul Corriere vantano la superiore moralità ebraica altrettanti volontari carnefici; poichè solo la deplorazione e l’indignazione pubblica, sui media, potrebbe frenare il massacro degli inermi, il pubblico applauso corale dei media occidentali, al contrario, incoreaggia nuove e peggiori imprese SS (soldati sionisti).

E poichè la lode corale va all’attuale ministro della difesa Ehud Barak, converrà ricordare che «Barak» non è il suo vero nome, è un nome di battaglia: significa «Fulmine». In tedesco, Blitz.

Maurizio Blondet

La dittatura della statistica e la cybernetica

La cybernetica, la statistica e il potere sono dei sistemi strettamente connessi, il cui connubio ha dato vita in questo secolo ai crimini più terribili compiuti dall’umanità. Lo stesso piano diabolico di Adolf Hitler, ancora oggetto di indagini e di discussioni da parte degli storici, fu realizzato grazie alla perfetta alleanza tra il Terzo Reicht e la società di elettronica IBM, che ha offerto una preziosa cooperazione attraverso le sue filiali tedesche. Quanto solo sperimentato dal regime nazista di Hitler, viene oggi attuato dal Governo degli Stati Uniti, dall’Unione Europea, dalla Russia, che utilizzando la guerra al terrorismo, hanno introdotto la biometria per individuare, classificare e monitorare la popolazione e le sue risorse.



La rete è divenuta ormai un grande contenitore di informazioni e dati, in cui è possibile trovare tutto niente. Sembra ormai un grande accumulo di merce e rifiuti indifferenziato, dove accanto ai blog dei rivoluzionari part-time, vi sono media, partiti, centri di raccolta di petizioni e firme, catene di Sant’Antonio, comunicati inutili come inutili sono le organizzazioni che le emettono nel tentativo di sensibilizzare le masse. Oramai la disinformazione è di casa, un oceano difficile da contrastare su ogni fronte, nonostante l'impegno di molti ad evidenziare le grande anomalie del sistema. I forum e i gruppi di discussione sono i centri di traffico telematico più affollati, ed è lì che si scatenano "i rossi e i neri", personaggi inutili e frustrati, gli utenti sintetici e i fomentatori. L’Italia, in particolare, conosce tanti rivoluzionari, dagli sconosciuti ai più noti del grande schermo, che hanno organizzato comizi e grandi spettacoli di piazza, hanno raccolto firme telematiche da consegnare al Primo Ministro, per poi rendersi conto che non rimane altro che la Svizzera come "rifugio dalla censura", o dal Fisco. Tutto serve a riempire le pagine della rete, dagli appelli di pace e alle minacce terroristiche emanati dalla propria casa comodamente seduti, dai video di propaganda della rabbia alle riviste di hobbisti: tutto nasce e muore all’interno di questa grande scatola che è il web. Giorno dopo giorno tutti noi contribuiamo a tale grande progetto per creare la massa sintetica, i setteraristi, gli utili idioti che servono a fare movimenti di popolo quando è necessario. Mentre Google o You Tube si arricchiscono, la frustrazione e la rabbia gonfia ancora di più questo popolo della rete, i rivoluzionari del web. Saranno proprio loro a pagare il più alto prezzo della digitalizzazione della informazione, perché saranno i primi ad essere eliminati dalla censura diretta.

Come abbiamo avuto modo di spiegare, la nuova guerra è quella cybernetica, la quale provoca già vittime e vincitori. Il Mossad ora combatte con i propri nemici virtualmente, denunciando l’attacco dei siti israeliani da parte di hackers iraniani; allo stesso modo serbi ed albanesi si scambiano accuse violando i siti delle rispettive istituzioni, distruggendo archivi e web-site di partiti. Tutto questo giro di vite e di personaggi è direttamente strumentale alla produzione di statistiche e di analisi, fonte di potere e di ricchezza per quelle entità che monitorano i server e il traffico della rete. La realtà in cui viviamo è un continuo altalenarsi di dati statistici che mostrano come le società stanno evolvendo o arretrando sulla scala della disumanizzazione e del controllo. Un ragazzo morto mette sotto-sopra uno Stato come la Grecia; a Gaza muoiono 1000 persone sotto i colpi dei raid israeliani: 1 vittima o 1000 morti sono pur sempre una statistica, che è alla base delle nostre leggi e della stessa giustizia.

La cybernetica, la statistica e il potere sono dei sistemi strettamente connessi, il cui connubio hanno dato vita in questo secolo ai crimini più terribili compiuti dall’umanità. Lo stesso piano diabolico di Adolf Hitler, ancora oggetto di indagini e di discussioni da parte degli storici, fu realizzato grazie alla perfetta alleanza tra il Terzo Reicht e la società di elettronica IBM, che ha offerto una preziosa cooperazione attraverso le sue filiali tedesche. La IBM ha infatti contribuito con le sue tecnologie all'individuazione e la catalogazione della popolazione ebrea in Europa, negli anni compresi tra il 1933 e il 1940. Naturalmente in quegli anni non esistevano gli elaboratori (gli attuali computer) ma esisteva la tecnologia "punch card" dell' Hollerith svstems della IBM (nella foto, manifesto della Hollerith) , che non era nient’altro che un sistema cibernetico che attribuiva un numero di serie ad ogni individuo mediante dei codici: le macchine IBM, affittate a costi elevatissimi, hanno creato miliardi di matrici (schede perforate). Grazie ad esse, Hitler è riuscito ad "automatizzare" la ricerca del popolo ebreo, analizzando registri anagrafici, censimenti e banche di dati di tutti i Paesi europei, con una velocità e precisione a dir poco impressionante, che gli storici non sono mai riusciti a spiegare. La tecnologia IBM ha consentito anche l’organizzazione del trasporto ferroviario e dei campi di concentramento all’estero, mentre forniva assistenza, manutenzione e personale in maniera esclusiva. Inoltre la IBM con sede a Berlino ha conservato i duplicati di molti libri di codici, come qualsiasi IBM service bureau, che oggi conserva i dati di backup di server e computer ( Fonte: IBM and The Holocaust di Edwin Black).
La tecnologia IBM e le matrici di identificazione


Quanto solo sperimentato dal regime nazista di Hitler, viene oggi attuato dal Governo degli Stati Uniti e dall’Unione Europea, che utilizzando la guerra al terrorismo, hanno introdotto la biometria per individuare, classificare e monitorare la popolazione e le sue risorse. Quel numero tatuato sul braccio degli ebrei, che ancora oggi viene nascosto come vergogna o paura per i crimini subiti, ci è stato già attribuito dalla biometria, che si ripropone come progetto per la mappatura della popolazione mondiale. Tutto questo è stato realizzato grazie ad Al Qaeda, in nome e per conto della democrazia. Delle entità che non conosciamo si sono appropriate dei dati statistici dei Paesi, violando la sovranità dei popoli e degli speculatori che li utilizzano per propri interessi.
Ogni nostra scelta viene in qualche modo anticipata dall’analisi su grandi numeri della massa di dati che hanno a disposizione. È come giocare una partita di scacchi dove i giocatori conoscono in anticipo le mosse e non è possibile cambiare le regole, pena l’eliminazione dalla gara. Allora, signori della democrazia che viene dal Web, cosa significa per Obama il Ministero della Cibernetica? È la nuova guerra della rete, una guerra invisibile. Tuttavia le masse non capiranno mai cosa stia accadendo attorno a loro, perché sono surrogate dal terrore, indotte a pensare delle cose contro la loro stessa volontà, credendo di vivere in una democrazia, di avere dei diritti. In realtà è solo un concetto astratto. Gli stessi politici che ottengono dai cittadini un mandato a governare sono condizionati da un ricatto eterno. Questo è il nostro fallimento, sul quale si ripropongono come dei rivoluzionari i nuovi leader della cibernetica, che non sono altro che copie contraffatte di un sistema che non esiste più. L'Umanità deve fermarsi e riflettere sui propri errori, rispolverare le carte che uomini di scienza hanno regalato al mondo, e che gli uomini stessi hanno nascosto: gli eserciti dovranno capire che combattono guerre sbagliate contro un nemico sbagliato.

by etleboro

22 gennaio 2009

Menti consumati dall’odio

tsahal_550
L’organizzazione ebraica «Breaking the silence» (Rompere il silenzio) ha diffuso un opuscolo di cento pagine che contiene interviste a decine di soldati di Tsahal impiegati ad Hebron, la città palestinese di Gaza dove però fra 80 mila palestinesi pretendono di abitare 700 coloni ebraici, che i soldati difendono.

L’agenzia ebraica Ynet.news ha ripreso quattro di queste interviste (1).

Le mani tagliate col filo di ferro

Soldato: «C’era uno matto davvero nella mia unità, gli piaceva torturare. Una volta ha provocato l’amputazione delle mani di un uomo».

Intervistatore: «Cosa è successo?».

Soldato: «Insomma, c’era quell’arabo... il soldato gli ruba una scatola di tabacco. L’arabo si mette a gridare: ‘Ladri, ladri, vi ho visto’. Si avvicina al soldato, e noi lo spingiamo per allontanarlo. Non sapevamo del furto. ‘Il soldato comincia a pestarlo, e tutti noi anche... finisce che l’arabo è stato pestato parecchio. ‘Poi il soldato ha preso un filo di ferro - era molto incazzato - ha afferrato l’arabo e ha cominciato a stringerlielo attorno...».

Intervistatore: «alle mani?».

Soldato: «Già.... gliel’ha stretto molto forte. Te lo giuro, abbiamo cercato di fermarlo. ‘No, non lo lascio andare. Ha alzato le mani contro di me, lo punisco’. E dài a girare, dài a stringere… dopo, quando abbiamo cercato di liberarlo, non ci siamo riusciti, gli aveva fatto proprio un canale nella mano. Era blu. E il tipo gridava: ‘Non sento più la mano’. Abbiamo anche tentato di scavare (tra la carne e il filo metallico) con un coltello, ma non siamo riusciti… Gli abbiamo detto di andare all’ospedale. Niente da fare, non riuscivamo a tagliare il filo. Gli hanno amputato la mano».

Ladri

Soldato: «Abbiamo fatto un bel po’ di ruberie….Una volta siamo entrati in una casa di Hebron, gente ricca. Abbiamo trovato in una scrivania una quantità di dollari. Pazzesco. Il capitano dice ai due secondi in grado dell’unità: bene, ci dividiamo questi soldi. Se li sono spartiti. Ne hanno lasciato un po’, e a me hanno detto: «Se parli, torniamo e ti sgozziamo».

Intervistatore: «Era consueto, il furto?».

Soldato: «Un po’ di saccheggio era normale... Backgammon (sic), sigarette, tutto... Quello che ci piaceva lo prendevamo. Altri ragazzi prendevano regali per le loro ragazze dalle botteghe».

Pestaggi

Soldato: «Eravamo di pattuglia, e vediamo un tipo in un taxi che sembrava nascondere qualcosa. Fermiamo la macchina... C’era appena stato un incidente, un soldato accoltellato o qualcosa del genere».
«Troviamo un coltello... Chiediamo al tizio: «Perchè il coltello?», e lui dice: «E’ per mia madre, per tagliare la verdura». Noi diciamo: «Cosa sei, un idiota? Scherzi? Stai mentendo?». Ci ha fatto proprio incazzare. Lo abbiamo afferrato e l’abbiamo colpito, non in faccia, nelle costole».

«Il resto della pattuglia vede il pestaggio, e ci salta dentro... Tutti a picchiarlo, a picchiarlo di brutto, sul serio. Con bastoni sulla testa. E uno poi comincia a strangolarlo, con le due mani. Aveva 17 o 18 anni e comincia a gridare “Mama, Baba”. Quello continua a strangolarlo, stava diventando blu e perdeva coscienza. Di colpo gli altri ragazzi si rendono conto di quel che succede e cominciano a tirare indietro il soldato. Ma lui non voleva lasciare la presa. Non lasciava, e urlava: «Ci volevi ammazzare, vuoi ammazzarci, volevi pugnalarmi eh? Figlio di puttana, pugnalarmi volevi».
«Era come matto, lo abbiamo tirato indietro per le gambe e la vita. Tutto il suo corpo era sollevato, e noi tiravamo... ma
(il soldato) s’era attaccato all’uomo come un pitbull. Finalmente l’abbiamo staccato».

Soffocamenti

Soldato: «Facevamo ogni genere di esperimento per vedere chi faceva la più bella spaccata a Abu Sneina. Li mettevamo faccia al muro, come per perquisirli, e ordinavamo loro di allargare le gambe. Allarga! Allarga! Allarga! Era la gara per vedere chi allargava di più. Oppure controllavamo chi tratteneva il respiro più a lungo».

Intervistatore: «Come lo controllavate?».

Soldato: «Soffocandoli. Uno di noi faceva finta di perquisirli, ma di colpo urlava qualcosa come se quelli avessero parlato e cominciava a soffocarli... a bloccargli le vie aeree, bisogna premere il pomo d’Adamo. Non è piacevole. Guardi l’orologio mentre lo fai, finoa che quello sviene. Chi ci mette più tempo a svenire, vince».

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L’organizzazione Breaking the Silence dice di aver pubblicato queste interviste per «suscitare un pubblico dibattito sul prezzo morale pagato dalla società israeliana nel suo complesso», per far vedere cosa diventano «giovani soldati obbligati a prendere il controllo di una popolazione civile». Ed è un continuo «degrado morale», e «la società israeliana ha il dovere di ascoltare i soldati e assumersi la responsabilità di ciò che viene fatto in suo nome».

Il testo integrale delle testimonianze può essere letto nel sito dell’organizzazione, www.shovrimshtika.org

Uno dei soldati dice: «Tutti noi sentivamo di fare qualcosa di sbagliato. Almeno, i miei amici sentivano di fare una cosa sbagliata». Ma nessuna resipiscenza tardiva minaccia i «coloni» giudaici di Hebron, che si sono messi lì a Gaza per rivendicare ad Israele le tombe dei Patriarchi, che sorgono lì e sono un luogo di preghiera anche per i musulmani.

Da questo insediamento veniva Baruch Goldstein, che nel ’94 irruppe nella Tombe ammazzando col suo mitragliatore 29 palestinesi e ferendone 150. Goldstein era americano e armato, come tutti i «coloni» di questo avamposto sacro, che è abitato da estremisti seguaci del rabbino Kahane e del partito razzista-religioso Kach. Infatti i coloni hanno sepolto Goldstein (che fu ucciso mentre compiva il massacro) nel loro cimitero che chiamano Kahane Memorial Park.

La lapide sulla tomba dice: «A san Baruch Goldstein, che ha dato la sua vita per il popolo ebraico, la Torà e la nazione di Israele». Parecchi rabbini confermarono che la strage compiuta da Goldsetin era una «mitzvah», un’opera meritevole di fronte a Dio.

Mantenuti dalla diaspora, questi coloni non hanno bisogno di lavorare. Passano il tempo ad angariare i palestinesi a cui hanno rubato i campi, a tirare pietre e ad aggredire gli scolari palestinesi che passano nelle vicinanze per andare a scuola, a sparare sui passanti e ad ubriacarsi. Ebrei ma americani, si sentono come coloni del Far West in territorio Sioux, ma con l’aggiunta «religiosa».

Sono costantemente armati di mitra e pistole, portano con orgoglio la kippà e lunghe barbe da «profeti». Caratteristici gli sguardi carichi d’odio con cui ti squadrano, se non sei ebreo, e gli insulti di cui ti coprono se sei giornalista o fotoreporter.
Le loro donne, in parrucca o foulard ebraico, insultano le donne palestinesi, e quando possono le picchiano. Sotto la protezione costante del glorioso Tsahal.

L’ultima impresa di questi pii ebrei riguarda Hammad Nidar Khadatbh, un ragazzo palestinese di 15 anni, che il 15 aprile era uscito di casa per raccogliere cetrioli, purtroppo nelle vicinanze dell’insediamento illegale (ma protetto) di Al-Hamra. La sera non era tornato, e la famiglia è uscita a cercarlo per ogni dove. Nulla. Il mattino dopo, il padre e i fratelli di Hammad ripartono alla sua ricerca, e lo trovano in una zona dove l’avevano già cercato la sera prima. Evidentemente era stato buttato lì nella notte.

Il corpo del ragazzo era nudo, gonfio, e torturato. La faccia gli era stata spaccata con pietre, il collo rotto, un dito gli era stato troncato. Sul torso aveva numerosi buchi, apparentemente praticati con un oggetto aguzzo e tondo, come una penna. Il corpo è stato portato ad un perito, per l'autopsia, nel settore israeliano di Gerusalemme. I parenti sono convinti che anche quello scempio sul loro figlio sia una delle opere sante dei coloni religiosi.

«Dio della pace,
Volgi verso il Tuo cammino di amore
coloro che hanno il cuore e la mente
consumati dall’odio».
Dalla preghiera del Santo Padre a Ground Zero.

Maurizio Blondet

I carnefici di regimi spiegano...



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Angelo Panebianco sul Corriere di domenica: «Fra le molte asimmetrie del conflitto c’è anche quella rappresentata dal diverso valore attribuito dai contendenti alla vita umana. Per gli uomini di Hamas, come per Hezbollah in Libano, la vita (anche quella degli appartenenti al proprio popolo) vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i civili, compresi i bambini e le donne, come scudi umani. Per gli israeliani, le cose stanno differentemente. Cercano di limitare il più possibile le ingiurie alla popolazione civile...».

Quando menzogne così disonorevoli, sputi sulle vittime, vengono scritte sui giornali autorevoli da autorevoli commentatori, chi ha un po’ di esperienza storica sa che qualcosa è successo.

Gli vengono a mente i precedenti: per mezzo secolo, finchè il comunismo sovietico ebbe il favore della intellettualità ebraica, questo tipo di menzogne di sapore inequivocabile – aperte violazioni della verità evidente – erano pane quotidiano sui giornali non solo comunisti, ma progressisti e delle borghesie illuminate d’Europa.

Nel 1932-33, mentre Lazar Moiseyevich Kaganovich, numero 2 del Partito, procedeva alla requisione forzata dei grani in Ucraina, con fucilazioni dei contadini e provocando la morte per fame di 7 milioni di esseri umani, non era raro trovare articoli dove si gettava la colpa sui «kulaki», come «sabotatori» che «sottraevano il grano all’ammasso». Fior di scrittori tornavano dall’URSS magnificando, in articoli estasiati, la felicità e l’abbondanza che il sistema sovietico aveva regalato ai russi.

L’assoluta maggioranza degli intellettuali, non solo comunisti, insorgeva se qualche (rara) voce si alzava a rivelare che in URSS vigeva il Terrore poliziesco e milioni di esseri umani innocenti stavano scomparendo nel vasto arcipelago Gulag, gestito dal capo supremo della repressione, Genrich Yagoda, e da 500 mila ebrei comunisti che avevano trovato un ben pagato lavoro nella Ghepeù, poi NKVD, poi KGB: erano tutte «calunnie» contro lo «Stato dei lavoratori» che aveva «liberato il proletariato»; per adesso in un solo Paese, ma gli intellettuali aperti e progressisti auspicavano che il paradiso sovietico arrivasse al più presto a liberare anche noi.

Solo dopo la denuncia ufficiale di Kruscev lo stesso Corriere osò ammettere i «crimini di Stalin». I crimini di Lazar Moiseyevich Kaganovich non sono mai stati evocati, anche se è stato pari grado di Stalin, l’autore non solo dell’holodmor, del genocidio ucraino, ma della eradicazione del cristianesimo in Russia.

Solo il 26 settembre 1995 il New York Times ha rievocato il commissario Kaganovich mentre, in piedi fra le macerie della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, la principale delle chiese che fece distruggere, esclamava ebbro di stupro: «Abbiamo umiliato la Madre Russia; le abbiamo strappato la gonna».

Kaganovich, figlio di ciabattino ebreo, è morto nel 1991 nel suo letto, mai molestato, con la ricca pensione dell’alto funzionario sovietico.

Solo nel 2003 Simon Sebag Montefiore ha rievocato il sadidsmo massacratore di Yagoda, il capo supremo dei Gulag; e di come, dopo aver fatto trucidare Zinov’ev e Kamenev, avesse fatto recuperare i proiettili dal loro cranio per conservarli, puliti e incastonati su piedistalli, insieme alla sua ricca collezione di 3900 foto e 11 film pornografici, 165 pipe e portasigarette ornate di immagini oscene, falli di gomma e montagne di biancheria intima femminile.

Ma nel 1935, quando Yagoda era all’apice del potere, lo scrittore ebreo francese Romain Rolland , premio Nobel, scrisse un inno in lode ed esaltazione del mostro.

Ecco, qualcosa del genere succede adesso. Con Angelo Panebianco e suoi compari nei panni dei Rolland, degli Aragon e dei Sartre, o dei Moravia & C. La sola differenza è che chi diceva la verità allora, era bollato come reazionario e fascista, ridotto allo stato di non-persona; oggi, come anti-semita e criminalizzato. Ma il clima è lo stesso, lo stesso il «sapore» della difesa dello stesso potere, con la stessa impronta.

Solo così si spiega che un Panebianco possa scrivere frasi come: «Richard Falk, il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, rappresentante dell’Human Right Council alle Nazioni Unite, sta usando la sua carica e la sponsorizzazione dell’ONU per fare propaganda pro-Hamas e anti-israeliana». (ebreo americano, docente di diritto internazionale a Princeton, Falk è stato respinto alla frontiera da Israele perchè non fosse testimone della verità).

Questo tipo di frasi, per uno della mia età, suona molto «sovietico» . Vuol dire che simili frasi sono state, diciamo, autorizzate.

Quindi solo a futura memoria, non certo per convincere Panebianco (che è ben pagato per fare quello che fa) traduco qui alcune citazioni di capo sionisti famosi, che ci dicono quanto valore essi diano alla vita umana, non solo dei goym, ma anche dei loro ebrei.

David Ben Gurion, durante la guerra: «Se io sapessi che è possibile salvare tutti i figli (ebrei) di Germania trasferendoli in Inghilterra, e solo metà di loro trasferendoli nella terra di Israele, sceglierei la seconda possibilità; perchè di fronte a noi non abbiamo solo il numero di questi figli, ma il progetto storico del popolo di Israele» (Shabtai Teveth, «Ben Gurion», 1988,).

«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca dei terreni e il taglio di tutti i servizi sociali per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba» (David Ben-Gurion, maggio 1948, to the General Staff. Da «Ben-Gurion, A Biography», di y Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978).

«Dobbiamo espellere arabi e prendere i loro posti» –(David Ben Gurion, 1937, «Ben Gurion and the Palestine Arabs» Shabtai Teveth, Oxford University Press, 1985).

«Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano» (Golda Meir,dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969).

«Come possiamo restituire I territor occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli» ( Golda Meir, marzo, 1969).

«...Uscimmo fuori, e Ben Gurion ci accompagnò sulla porta. Allon ripetè la sua domanda: cosa si deve fare con la popolazione palestinese? Ben Gurion scosse la mano con un gesto che diceva: cacciarli fuori». (Yitzhak Rabin,è un passo censurato delle memorie di Rabin, rivelato dal New York Times, 23 ottobrer 1979)

«Saranno create, nel corso dei 10 o 20 anni prossimi, condizioni tali da attrarre la naturale e volontaria emigrazione dei rifugiati da Gaza e dalla Cisgiordania verso la Giordania. Per ottenere questo dobbiamo accordarci con re Hussein e non con Yasser Arafat». (Yitzhak Rabin, citato dn David Shipler sul New York Times, 04/04/1983)

«I palestinesi sono bestie con due zampe» (Menachem Begin,primo ministro di Israele 1977-83, davanti alla Knesset, citato da Amnon Kapeliouk, "Begin and the Beasts", New Statesman, June 25, 1982.)

«La partizione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta... Gerusalenne fu e sarà per sempre la nostra capitale. Eretz Israel sarà restaurato per il popolo d’Israele; tutto e per sempre» (Menachem Begin, il giorno dopo il voto all’Onu per la partizione della Palestina).

«I palestinesi saranno schiacciati come cavallette... le teste spaccate contro le rocce e i muri» ( Yitzhak Shamir, primo ministro in carica, in un discorso ai «coloni» ebraici, New York Times 1 aprile, 1988).

«Israele doveva sfruttare la repressione delle dimostrazioni in Cina (nei giorni di Tienanmen, ndr.) quando l’attenzione del mondo era concentrata su quel paese, per procedere alle espulsioni di massa degli arabi dei territori (occupati)» (Benyamin Netanyahu, all’epoca vice-ministro degli esteri, già primo ministro, davanti agli studenti della t Bar Ilan University; citazione tratta dal giornale isrealiano Hotam, 24 novembre 1989).

«I palestinesi sono come coccodrilli, più carne gli dai e più ne vogliono» (Ehud Barak, primo ministro all’epoca, 28 agosto 2000. Riportato dal Jerusalem Post 30 agosto 2000).

«Se pensassimo che anzichè 200 morti palestinesi, 2 mila morti ponessero fine alla guerriglia in un colpo solo, useremmo molto più forza…» (Ehud Barak, primo ministro, citato dalla Associated Press, 16 novembre 2000).

«Mi sarei arruolato in una organizzazione terroristica»: (risposta di - Ehud Barak a Gideon Levy, il noto giornalista di Ha'aretz che gli aveva domandato cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese)

«C’è un abisso tra noi (ebrei) e i nostri nemici: non solo in capacità ma in moralità, cultura, decenza di vita e coscienza. Sono i nostri vicini, ma è come se non appartenessero al nostro continente, al nostro mondo, ma a una diversa galassia» (Moshe Katsav, presidente di Israele, al Jerusalem Post, 10 maggio 2001. Katsav ha poi dovuto dimettersi per molestie sessuali alle sue segretarie).

«Noi dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto di abitare anche in un centimetro di Eretz Israel... Capiscono solo la forza. Noi useremo la forza senza limiti finchè i palestinesi non vengano strisciando a noi» (Rafael Eitan, capo dello stato maggiore di Tsahal, citato da Gad Becker in «Yedioth Ahronot», 13 aprile 1983).

«E’ dovere dei leader israeliani spiegare all’opinione pubblica, con chiarezza e coraggio, alcuni fatti che col tempo sono stati dimenticati. Il primo è: non c’è sionismo, colonizzazione o stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre» (Ariel Sharon, allora ministro degli esteri, ad un discorso tenuto davanti ai militanti del partito di estrema destra Tsomet – Agence France Presse, 15 novembre 1998).

«Ciascuno deve darsi una mossa, correre e arraffare quante più alture possibile per espandere gli insediamenti (ebraici), perchè tutto ciò che prendiamo adesso rimarrà nostro... Tutto ciò che non arraffiamo andrà a loro» (Ariel Sharon, stesso discorso di cui sopra).

«Israele ha il diritto di processare altri, ma nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato di Israele» (Sharon, primo ministro, 25 marzo 2001, BBC Online).

Queste citazioni sono sufficienti a capire qual è lo scopo delle incursioni in corso, e qual è lo scopo di Israele in generale: la pulizia etnica e l’espulsione forzata, a forza di massacri, dei palestinesi dalla «terra santa».

Negli anni ’30, si sarebbero potute estrarre identiche affermazioni (a favore del «socialismo mondiale») dai discorsi di Kaganovic, di Yagoda, di Trotsky-Bronstein; ciò non avrebbe indotto i Panebianco dell’epoca a un ripensamento.

A quell’epoca, gli ebrei erano per il socialismo, e dunque la menzogna più plateale era autorizzata; oggi che sono per il sionismo armato, è autorizzata la menzogna sionista.

Quando Panebianco esalta il superiore «valore della vita» umana che gli ebrei nutrirebbero rispetto ad Hamas, non fa che riecheggiare i discorsi della propaganda ebraica.

Per esempio la replica del rabbino Levi Brackman a Sarah Roy, una docente di Harvard che sul Christian Science Monitor si è chiesta angosciata di fronte ai bombardamenti spietati: «Abbiamo ancora la tradizione etica ebraica? La promessa di santità, così centrale alla nostra esistenza, è oggi oltre la nostra capacità di perseguirla?».

Risponde rabbi Brackman (1): «Sarah Roy scrive che essere ebrei significa ‘testimoniare, sollevarsi davanti all’ingiustizia e rifiutare di tacere. Significa compassione, tolleranza, e soccorso. In assenza di questi imperativi, cessiamo di essere ebrei’. Ma una più profonda lettura dell’ebraismo mostra che sì, gli ebrei sono un popolo definito dalla loro capacità di compassione e tolleranza; ma ci sono momenti in cui ci è vietato di agire secondo questi sentimenti perchè tali azioni sarebbero distruttive. E’ importante sentire compassione per i residenti di Gaza, ma questo sentimento di preoccupazione e simpatia non deve esere confuso con la chiarezza etica e morale. Al contrario, decidere di non montare una difesa contro terroristi omicidi per compassione, non è solo immorale, è anti-ebraico, idiota e profondamente irresponsabile».

Bel discorso, no? Ma anche rabbi Beckman non è l’autore di questo civile ragionamento. Ecco l’originale:

«…Dobbiamo essere onesti, decenti, leali e membri camerateschi verso la nostra stirpe e nessun altro.... Non dobbiamo mai essere duri e spietati quando non è necessario, questo è chiaro. Noi tedeschi, che siamo il solo popolo del mondo che ha un atteggiamento morale verso gli animali, dobbiamo avere un atteggiamento morale anche verso questi animali umani. Ma è un delitto contro il nostro sangue preoccuparsi di loro, se questo causa problemi ai nostri figli e nipoti. Quando qualcuno viene da me e mi dice, “Non posso scavare la trincea anticarro usando donne e bambini, è inumano, li espone alla morte’, io rispondo: ‘Tu sei un assassino del tuo stesso sangue, perchè se la trincea anticarro non è scavata, moriranno soldati tedeschi, e sono figli di madri tedesche, sono il nostro sangue”».

Chi parla? Heinrich Himmler, nel celebre discorso di Posen (Poznan) agli alti ufficiali SS (SS-Gruppenfueher) pronunciato il 4 ottobre 1943 (2).

Si è detto che tutti coloro che in Germania non si opposero al Reich, e magari ne celebrarono le lodi, erano «volonterosi carnefici di Hitler».

Oggi, sul Corriere vantano la superiore moralità ebraica altrettanti volontari carnefici; poichè solo la deplorazione e l’indignazione pubblica, sui media, potrebbe frenare il massacro degli inermi, il pubblico applauso corale dei media occidentali, al contrario, incoreaggia nuove e peggiori imprese SS (soldati sionisti).

E poichè la lode corale va all’attuale ministro della difesa Ehud Barak, converrà ricordare che «Barak» non è il suo vero nome, è un nome di battaglia: significa «Fulmine». In tedesco, Blitz.

Maurizio Blondet

La dittatura della statistica e la cybernetica

La cybernetica, la statistica e il potere sono dei sistemi strettamente connessi, il cui connubio ha dato vita in questo secolo ai crimini più terribili compiuti dall’umanità. Lo stesso piano diabolico di Adolf Hitler, ancora oggetto di indagini e di discussioni da parte degli storici, fu realizzato grazie alla perfetta alleanza tra il Terzo Reicht e la società di elettronica IBM, che ha offerto una preziosa cooperazione attraverso le sue filiali tedesche. Quanto solo sperimentato dal regime nazista di Hitler, viene oggi attuato dal Governo degli Stati Uniti, dall’Unione Europea, dalla Russia, che utilizzando la guerra al terrorismo, hanno introdotto la biometria per individuare, classificare e monitorare la popolazione e le sue risorse.



La rete è divenuta ormai un grande contenitore di informazioni e dati, in cui è possibile trovare tutto niente. Sembra ormai un grande accumulo di merce e rifiuti indifferenziato, dove accanto ai blog dei rivoluzionari part-time, vi sono media, partiti, centri di raccolta di petizioni e firme, catene di Sant’Antonio, comunicati inutili come inutili sono le organizzazioni che le emettono nel tentativo di sensibilizzare le masse. Oramai la disinformazione è di casa, un oceano difficile da contrastare su ogni fronte, nonostante l'impegno di molti ad evidenziare le grande anomalie del sistema. I forum e i gruppi di discussione sono i centri di traffico telematico più affollati, ed è lì che si scatenano "i rossi e i neri", personaggi inutili e frustrati, gli utenti sintetici e i fomentatori. L’Italia, in particolare, conosce tanti rivoluzionari, dagli sconosciuti ai più noti del grande schermo, che hanno organizzato comizi e grandi spettacoli di piazza, hanno raccolto firme telematiche da consegnare al Primo Ministro, per poi rendersi conto che non rimane altro che la Svizzera come "rifugio dalla censura", o dal Fisco. Tutto serve a riempire le pagine della rete, dagli appelli di pace e alle minacce terroristiche emanati dalla propria casa comodamente seduti, dai video di propaganda della rabbia alle riviste di hobbisti: tutto nasce e muore all’interno di questa grande scatola che è il web. Giorno dopo giorno tutti noi contribuiamo a tale grande progetto per creare la massa sintetica, i setteraristi, gli utili idioti che servono a fare movimenti di popolo quando è necessario. Mentre Google o You Tube si arricchiscono, la frustrazione e la rabbia gonfia ancora di più questo popolo della rete, i rivoluzionari del web. Saranno proprio loro a pagare il più alto prezzo della digitalizzazione della informazione, perché saranno i primi ad essere eliminati dalla censura diretta.

Come abbiamo avuto modo di spiegare, la nuova guerra è quella cybernetica, la quale provoca già vittime e vincitori. Il Mossad ora combatte con i propri nemici virtualmente, denunciando l’attacco dei siti israeliani da parte di hackers iraniani; allo stesso modo serbi ed albanesi si scambiano accuse violando i siti delle rispettive istituzioni, distruggendo archivi e web-site di partiti. Tutto questo giro di vite e di personaggi è direttamente strumentale alla produzione di statistiche e di analisi, fonte di potere e di ricchezza per quelle entità che monitorano i server e il traffico della rete. La realtà in cui viviamo è un continuo altalenarsi di dati statistici che mostrano come le società stanno evolvendo o arretrando sulla scala della disumanizzazione e del controllo. Un ragazzo morto mette sotto-sopra uno Stato come la Grecia; a Gaza muoiono 1000 persone sotto i colpi dei raid israeliani: 1 vittima o 1000 morti sono pur sempre una statistica, che è alla base delle nostre leggi e della stessa giustizia.

La cybernetica, la statistica e il potere sono dei sistemi strettamente connessi, il cui connubio hanno dato vita in questo secolo ai crimini più terribili compiuti dall’umanità. Lo stesso piano diabolico di Adolf Hitler, ancora oggetto di indagini e di discussioni da parte degli storici, fu realizzato grazie alla perfetta alleanza tra il Terzo Reicht e la società di elettronica IBM, che ha offerto una preziosa cooperazione attraverso le sue filiali tedesche. La IBM ha infatti contribuito con le sue tecnologie all'individuazione e la catalogazione della popolazione ebrea in Europa, negli anni compresi tra il 1933 e il 1940. Naturalmente in quegli anni non esistevano gli elaboratori (gli attuali computer) ma esisteva la tecnologia "punch card" dell' Hollerith svstems della IBM (nella foto, manifesto della Hollerith) , che non era nient’altro che un sistema cibernetico che attribuiva un numero di serie ad ogni individuo mediante dei codici: le macchine IBM, affittate a costi elevatissimi, hanno creato miliardi di matrici (schede perforate). Grazie ad esse, Hitler è riuscito ad "automatizzare" la ricerca del popolo ebreo, analizzando registri anagrafici, censimenti e banche di dati di tutti i Paesi europei, con una velocità e precisione a dir poco impressionante, che gli storici non sono mai riusciti a spiegare. La tecnologia IBM ha consentito anche l’organizzazione del trasporto ferroviario e dei campi di concentramento all’estero, mentre forniva assistenza, manutenzione e personale in maniera esclusiva. Inoltre la IBM con sede a Berlino ha conservato i duplicati di molti libri di codici, come qualsiasi IBM service bureau, che oggi conserva i dati di backup di server e computer ( Fonte: IBM and The Holocaust di Edwin Black).
La tecnologia IBM e le matrici di identificazione


Quanto solo sperimentato dal regime nazista di Hitler, viene oggi attuato dal Governo degli Stati Uniti e dall’Unione Europea, che utilizzando la guerra al terrorismo, hanno introdotto la biometria per individuare, classificare e monitorare la popolazione e le sue risorse. Quel numero tatuato sul braccio degli ebrei, che ancora oggi viene nascosto come vergogna o paura per i crimini subiti, ci è stato già attribuito dalla biometria, che si ripropone come progetto per la mappatura della popolazione mondiale. Tutto questo è stato realizzato grazie ad Al Qaeda, in nome e per conto della democrazia. Delle entità che non conosciamo si sono appropriate dei dati statistici dei Paesi, violando la sovranità dei popoli e degli speculatori che li utilizzano per propri interessi.
Ogni nostra scelta viene in qualche modo anticipata dall’analisi su grandi numeri della massa di dati che hanno a disposizione. È come giocare una partita di scacchi dove i giocatori conoscono in anticipo le mosse e non è possibile cambiare le regole, pena l’eliminazione dalla gara. Allora, signori della democrazia che viene dal Web, cosa significa per Obama il Ministero della Cibernetica? È la nuova guerra della rete, una guerra invisibile. Tuttavia le masse non capiranno mai cosa stia accadendo attorno a loro, perché sono surrogate dal terrore, indotte a pensare delle cose contro la loro stessa volontà, credendo di vivere in una democrazia, di avere dei diritti. In realtà è solo un concetto astratto. Gli stessi politici che ottengono dai cittadini un mandato a governare sono condizionati da un ricatto eterno. Questo è il nostro fallimento, sul quale si ripropongono come dei rivoluzionari i nuovi leader della cibernetica, che non sono altro che copie contraffatte di un sistema che non esiste più. L'Umanità deve fermarsi e riflettere sui propri errori, rispolverare le carte che uomini di scienza hanno regalato al mondo, e che gli uomini stessi hanno nascosto: gli eserciti dovranno capire che combattono guerre sbagliate contro un nemico sbagliato.

by etleboro