“Mi sto sforzando ... per scoprire se l'uomo ha ancora un posto in questo groviglio; se ancora ha dell'autorità fra queste colossali masse in movimento; se ancora può esercitare una qualunque forza sulle statistiche che dalle sue mani stanno scivolando via nell'astratto e nell'irreale. Può avere un posto, un'autorità e una possibilità d'azione su una base migliore delle dichiarazioni infondate di speranza o degli atti ciechi di irragionevole fede?”
(Jacques Ellul)
Una nostra amica ha osservato che una delle conseguenze di avere figli e nipoti è che “ti danno più gente di cui preoccuparti.” Da padre e nonno, la sua osservazione è corretta. Per lungo tempo sono stato dell'opinione che un genitore ha l'obbligo morale di non permettere che i suoi bambini vivano sotto una tirannia. In tutta la mia vita da adulto sono stato preoccupato per questo dovere ma, anche se credo i miei sforzi abbiano prodotto alcuni benefici marginali, il Leviatano ancora imperversa divorando tutto ciò che incontra. La mia continua insistenza su questo pericolo ha almeno aiutato le mie figlie – e spero, con il tempo, i miei nipoti – a sviluppare una consapevolezza della minaccia contro il loro benessere posta dai sistemi politici e delle incertezze che si trovano davanti a loro.
È interessante – anche se non piacevole – testimoniare il crollo della civilizzazione occidentale. Un sistema vibrante che un tempo produceva i valori materiali ed intangibili che sostengono il benessere umano, ha raggiunto uno stato terminale. I principi e le pratiche della civilizzazione che trovarono sufficiente espressione – anche se incostante – nelle società occidentali, si sono deteriorati in un'accettazione della corruzione – a condizione che venga praticata agli alti livelli – e la celebrazione della violenza – a condizione che sia diretta contro plausibili categorie di malfattori. In tali modi è stato eseguito il saccheggio multi-trilionario di dollari dei contribuenti in nome di una plutocrazia trincerata statal-corporativa insieme al continuo condurre guerre infinite contro nemici infiniti per spedire una cultura in bancarotta morale, intellettuale ed economica in un buco nero in attesa.
Nel guardare politici, membri dei media tradizionali e accademici selezionati discutere il sedicente programma di “stimolo” destinato a conferire trilioni di dollari alle istituzioni favorite dell'establishment, mi sono scoperto a ricordare quei primi giorni dopo il bombardamento di Bagdad dell'amministrazione Bush, con i ladri impegnati nel saccheggio totale dei reperti del Museo Nazionale Iracheno. Come si adatta agli americani, con la loro insistenza sul giusto processo procedurale, che debbano ritenersi soddisfatti guardando il Congresso che esegue tale saccheggio su C-SPAN, con le regole del manuale Cencelli rispettate fedelmente.
La disperazione con cui i presidenti Bush e Obama hanno sollecitato questa spoliazione in grande stile è stata strabiliante, con il sig. Bush che è arrivato a minacciare la dichiarazione della legge marziale se il Congresso non avesse aderito al suo piano. Anche la terminologia ha subito una veloce trasformazione: quello che è cominciato come un “salvataggio” si è fatto rapidamente un brutto nome, ed è stato cambiato in “stimolo.” Ma chi o che cosa debba essere “stimolato” rimane aperto alle ipotesi. Più incertezza alla base di questo piano, più Boobus sospetta qualcosa di spiacevole. Nel tentativo di acquietare tali timori, il sig. Obama ha parlato – con le più nebbiose delle parole – di un certo “programma” messo assieme per salvare l'America dagli effetti della terza legge del moto di Newton. Dopo tutto, se Ozymandias deve avere credibilità fra i creduloni, i suoi stregoni devono sembrare capaci di progettare e di mettere in opera dei “piani” efficaci. Che i “piani” allo studio non siano che fotocopie dei piani precedenti che hanno generato le nostre difficoltà attuali, non dev'essere preso in considerazione. Lo studio sull'economia o della storia potrebbe informare Boobus del circolo vizioso in cui è intrappolato. Ma il sig. Obama ha ammonito dal dare ascolto alle “ideologie” o concentrarsi sul passato!
Caratterizzare questo cosiddetto “stimolo” come un piano in grado di rettificare decenni di programmi e politiche contro cui i fautori del mercato hanno a lungo avvertito, è corrompere la natura razionale e informata della pianificazione intelligente. Nel migliore dei casi, i sostenitori di questo programma hanno offerto poco più di un calderone di congetture che si riduce ad un “proviamo e vediamo se funziona.” Né l'impresa è un “investimento” a nome dei contribuenti, come i politici insistono a caratterizzarla. Di recente ho visto che il costo complessivo dei molti pacchetti di “salvataggio” dati agli interessi corporativi, ammonta a circa 9.700.000.000.000. Se la mia matematica è corretta, questo cosiddetto “investimento” arriva a quasi 33.000 dollari per americano. Pensate che riceverete degli assegni di dividendi da queste società, o che vi sarà concesso di presenziare alle riunioni annuali degli azionisti per votare la nuova amministrazione?
Non c'è dubbio che i destinatari corporativi di questo bottino siano “stimolati” ad ottenere più denaro possibile. Ma persino la goffa incertezza su come funzionerà il programma, su quali criteri saranno impiegati per selezionare i destinatari, o su come i soldi saranno usati, illustra che questo programma non è tanto un piano su base razionale, quanto uno schema. Qualsiasi pretesa che questa sia una soluzione attentamente calcolata ad un ubiquo problema mette in ombra la sua sordida realtà: uno sforzo disperato degli interessi istituzionali di arraffare il tesoro governativo prima che l'intero sistema sprofondi. Che da esso possa derivare la prognosi per un ripristino della salute economica del paese non è meglio che affidarvi per un intervento chirurgico al cervello alle mani di una matricola universitaria che ha appena ricevuto un 18 in un corso del primo anno di biologia!
Questo – “piano” – come le guerre i cui costi in così larga misura hanno contribuito ai nostri malanni economici – non è che un'altra espressione dei fallimenti morali, intellettuali ed economici che stanno distruggendo la civiltà occidentale. Una società produttiva, libera e pacifica non può essere tenuta insieme dalla violenza, dalla sorveglianza, dalla tortura, dalle squadre SWAT, dalle bugie e dalle prigioni. Nemmeno può tollerare le politiche governative di saccheggio del frutto del lavoro di un'intera popolazione e della sua ridistribuzione agli amici istituzionali di coloro che sono al potere.
Chiedo perdono ai miei figli e nipoti per non essere riuscito nel mio dovere morale di proteggerlo dalle devastazioni della tirannia. Continuerò nei miei sforzi, naturalmente, riconoscendo che soltanto metodi pacifici possono produrre un mondo pacifico. Nel frattempo, vi offro questi consigli: (1) non credete mai a qualsiasi cosa il governo vi dica; (2) non credete mai a qualsiasi cosa i media tradizionali vi dicano; (3) prestate attenzione – ma siate scettici – a coloro le cui idee non si conformano alle definizioni della realtà basate sul consenso; (4) padroneggiate l'arte del pensiero contrario ed imparate a tenervi lontani dai branchi così come da coloro che insistono nell'imbrancare altri in precipitose fughe distruttive, da lemming; (5) non riponete la vostra fiducia in coloro che vi offrono la “speranza,” ma cercate coloro che vi aiuteranno a sviluppare la comprensione; (6) siate pronti – come furono i vostri antenati – a muovervi verso nuove frontiere più adatte sia alla vostra libertà che al vostro benessere materiale; (7) trovate, sostenete, proteggete e difendete amici a voi simili, essendo consci delle origini comuni delle parole “pace,” “libertà,” “amore,” e “amico;” ( evitate di essere trascinati nel buco nero a cui la nostra civilizzazione è destinata; la cui forza d'attrazione è resa possibile dalle energie collettive dei vostri vicini; e, (9) consci di tutto quanto sopra, evitate il senso di disperazione unendo le vostre intelligenze e le vostre emozioni per aiutare la creazione di una nuova civiltà basata sulla pace, la libertà ed il rispetto per l'inviolabilità dell'individuo.
di Butler Shaffer -
22 marzo 2009
21 marzo 2009
La sovranità alimentare
Sono numerose le ragioni per prendere in seria considerazione la sovranità alimentare. A medio e lungo termine, il riscaldamento globale, la rarefazione irreversibile delle risorse naturali, la distruzione delle coltivazioni agricole delle famiglie e le scandalose ingiustizie nella ripartizione dei prodotti alimentari che avvengono alle nostre latitudini, provocheranno drammatiche crisi di approvvigionamento. Ugualmente pericoloso è il crollo degli approvvigionamenti dovuto a catastrofi naturali, al repentino aumento dei prezzi e ai conflitti politici e militari. In passato ci siamo lasciati illudere da scenari rassicuranti illusori, trascurando così la possibilità di assicurare e sviluppare le condizioni della sovranità alimentare. La silenziosa obbedienza di una larga maggioranza all’epoca della riforma – dello stravolgimento sociale secondo i dogmi neoconservatori – ha condotto, tra le altre cose, al fatto che oggi l’umanità sia più che mai lontana dal riuscire a gestire i problemi legati alla fame e alla povertà. Il Rapporto sull’agricoltura mondiale, pubblicato nell’agosto 2008, smaschera la menzogna neoliberale e dimostra che bisogna agire subito. Rivela le lacune scandalose del sistema economico mondiale che rende enormi profitti a una piccola minoranza di gente senza scrupoli. Gli autori del Rapporto chiedono un cambiamento sostanziale della politica e delle economie agricole e mettono in primo piano la sovranità alimentare per tutti i popoli e tutte le nazioni.
Solidarietà e responsabilità individuale
per ammortizzare i colpi
Da secoli, i Paesi ricchi avanzano economicamente sfruttando i Paesi «meno sviluppati». Da un lato la sovrabbondanza, dall’altro la povertà. Facciamo penare gli altri, li lasciamo soffrire di fame e cadere nella miseria per creare le nostre oasi di benessere, i nostri paradisi di divertimenti e la nostra società di servizi e d’informazione priva di valori. E’ drammatico che in molti Paesi industrializzati molte persone non si rendano conto che un giorno si troveranno anche loro dalla parte dei perdenti di un nuovo ordine sociale, a meno che i cittadini non comincino ad opporsi all’ingiustizia. Per il momento, noi ci troviamo in una «buona posizione», benché già nella fase in cui sta venendo meno la nostra sicurezza esistenziale. Lottiamo individualmente per salvare ciò che può essere salvato, nonostante già da molto tempo si renda indispensabile unire le nostre forze per combattere l’ingiustizia, la contrazione delle risorse messa in atto da un élite rapace e avida di potere. Se da un lato proviamo pena nell’accettare che coloro che vivono nel sud del mondo soffrano in gran parte di povertà e fame, dall’altro accettiamo che, nei Paesi industrializzati dell’Occidente, vengano meno i principi di protezione sociale.
L’attuale crisi finanziaria ed economica è ancora una volta occasione per imporre il cosiddetto «consenso di Washington» proclamato nel 1989 dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale (FMI). Si tratta di far capire a tutti che le negoziazioni e le discussioni in materia economica non conformi all’ideologia del mercato devono essere vietate. Il «consenso di Washington» rilancia la strategia della restrizione delle democrazie. Ne fa parte prima di tutto l’eliminazione della rivendicazione liberale di sovranità, il più grande ostacolo nella crociata a favore di un sistema economico globale neoliberale conforme alla Scuola di Chicago.
Su questo argomento, le richieste avanzate nel Vertice di Berlino convocato dal cancelliere tedesco Angela Merkel in vista della preparazione del G20, che si terrà il 2 aprile prossimo a Londra, sono particolarmente allarmanti. Grazie ad una nuova «architettura dei mercati finanziari», gli Stati sovrani dovranno sottoporsi ad un organo di controllo globale e il FMI, la Banca mondiale e l’OMC devono essere abilitati a punire, attraverso delle sanzioni, gli Stati «recalcitranti» ad una regolamentazione globale. La democrazia – intesa come partecipazione dei cittadini responsabili alle decisioni, il riparo più efficace contro il dilagare del mercato liberalizzato – va definitivamente distrutta. Mai più niente deve ostacolare la sete di potere e di profitto dell’alta finanza, così come la mercificazione distruttrice dei valori e la destabilizzazione di tutte le economie.
Dobbiamo contrastare questa strategia di potentati globali attraverso un’associazione solidale per la difesa della nostra libertà. D’accordo con il motto «Uno per tutti, tutti per uno», dobbiamo impedire che la sicurezza del lavoro, le istituzioni sociali, i sistemi sanitari ed educativi efficienti, le infrastrutture dei trasporti e di approvvigionamento finiscano in modo definitivo nel caos prodotto dagli sbandamenti neoliberali.
L’esplosione delle bolle
annienta le economie nazionali
Le bolle del sistema finanziario ed economico globale liberale sono scoppiate, o meglio, sono state fatte scoppiare. Il divario tra l’economia reale e quella finanziaria ha determinato un crollo colossale che trascina nell’abisso le economie mondiali già traballanti. Le ricchezze nazionali accumulate nel corso di generazioni devono ora essere sacrificate ai «vitelli d’oro» neoliberali. Miliardi e miliardi di dollari, euro e franchi vengono immessi in un sistema malato senza salvare un solo posto di lavoro. Ma c’è di peggio: le imprese sostenute dagli aiuti statali presentano dei «piani di risanamento» che faranno perdere migliaia di posti di lavoro. L’Europa prevede un tasso di disoccupazione di almeno un 10%, ma questo dovrebbe essere un pronostico «ottimista». Aiutando finanziariamente le industrie e le banche in difficoltà, i Paesi europei rischiano la bancarotta. Certamente, uno Stato non potrà mai fallire; tuttavia, le finanze pubbliche spogliate e le perdite colossali degli istituti sociali e di previdenza, dovute alla speculazione, costituiscono un’ottima ragione per obbligare la popolazione a rinunciare «volontariamente» ai propri diritti, ai propri risparmi e alla previdenza sociale. Il punto fondamentale è di sapere in che misura la situazione disastrosa dovuta alla perdita di occupazione, all’affondamento dei sistemi economici e finanziari e ai Paesi insolventi, sia stata indotta per risolvere il problema del blocco delle riforme.
Non c’è bisogno di osare tanto. Invece di rimanere passivi, angosciati dalle minacce che pesano sulle nostre basi esistenziali, dobbiamo superare lo choc e organizzare la resistenza. E questo concentrandoci sull’essenziale, assumendoci le nostre responsabilità e, fedeli alle tradizioni democratiche, unendoci nell’azione. Il sostegno all’autonomia è un altro elemento della democrazia autentica e dell’autodeterminazione.
La solidarietà, congiuntamente al fatto di considerare la sicurezza dei mezzi di sussistenza e di sforzarsi nell’individuare questi stessi mezzi, rappresenta la forza determinante che rende possibile l’indipendenza, necessaria per proteggere la comunità internazionale e noi stessi dalla potenza distruttrice della dottrina neoliberale del libero scambio.
Annientare la dittatura economica globale attraverso la sovranità alimentare
Per i popoli, la possibilità di poter decidere essi stessi cosa coltivare, raccogliere, stoccare per poi giungere sulle tavole delle famiglie, rappresenta il mezzo diretto attraverso cui affrancarsi dalla dominazione dell’economia globale. Una volta che i popoli avranno riconquistato la sovranità nel settore dell’alimentazione e quindi della politica agricola e del commercio di prodotti alimentari, anche altri settori riusciranno a sfuggire al sistema economico globale. La priorità è tuttavia quella di riuscire ad assicurare i mezzi di sussistenza grazie ad alimenti quantitativamente sufficienti e di ottima qualità. Questa priorità sarà raggiunta nel momento in cui le famiglie, le comunità di villaggi, le regioni e gli Stati disporranno di risorse alimentari in grado di garantire che nessuno soffrirà la fame, che nessuno si ammalerà o morirà per aver ingerito alimenti o bevande avariati. Per fare questo, è necessario rispettare la diversità delle condizioni climatiche, geografiche, culturali ed economiche e permettere soluzioni rispondenti ai bisogni della popolazione.
Riconquistiamo la sovranità alimentare. Questo concetto è stato creato da La Via campesina, un gruppo mondiale che riunisce varie organizzazioni di piccoli contadini e braccianti agricoli. È nata in seguito all’insoddisfazione crescente dei contadini nei confronti della globalizzazione che ha raggiunto anche il settore agricolo. La Via campesina sostiene che un’economia agricola di tipo globale serve unicamente gli interessi delle grandi nazioni industrializzate esportatrici e l’agrobusiness mondiale. Teme invece che gli interessi delle popolazioni rurali e la sicurezza alimentare vengano schiacciate dal rullo compressore dell’OMC. Vorrebbe evitare che l’agricoltura venisse sacrificata e che venisse meno la sovranità dell’approvvigionamento. L’associazione è impegnata sul fronte del miglioramento delle condizioni di lavoro dei piccoli contadini e dei braccianti agricoli attraverso un commercio equo-solidale, una maggiore giustizia sociale e la creazione di un’economia durevole in tutto il mondo. Già all’epoca del Vertice mondiale dell’alimentazione tenutosi nel 1996, La Via campesina chiedeva la sovranità alimentare di tutti i popoli. Da allora, questa rivendicazione è stata sostenuta in modo inequivoco da un numero sempre crescente di associazioni contadine e di ONG, ed ora anche dagli autori del Rapporto sull’agricoltura mondiale.
Gli uomini devono imparare a vivere dei prodotti offerti dal loro territorio. Bisogna creare un equilibrio tra uomo e natura su un territorio limitato, un ciclo naturale di produzione e di consumo in uno spazio ristretto, senza spreco né distruzione delle condizioni di produzione e di vita naturali. Attraverso questo equilibrio, ci affrancheremo dalle dipendenze e riprenderemo in mano, poco a poco, la questione alimentare.
Metodi per realizzare la sovranità alimentare
Un elemento deve essere chiaro. Oggi, la sovranità alimentare non è una missione ad esclusivo appannaggio dei Paesi poveri ma anche di quelli ricchi, Svizzera inclusa. Ogni Paese è chiamato a risolvere il problema a modo suo, nell’interesse della lotta mondiale contro la fame. Si tratta di un atto di solidarietà che non ha niente a che vedere con il protezionismo. Benché i guru del commercio mondiale avranno un bel da fare a protestare e i governi a mantenere ostinatamente il loro punto di vista, la popolazione ha il diritto di esigere la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare.
Il diritto di decidere circa la produzione, la trasformazione, lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti alimentari, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo ed ecologico, dipende da numerosi parametri essenziali. Ciascun Paese deve essere attento a:
* risparmiare accuratamente le risorse naturali e sfruttare in modo da assicurarsi il più alto livello possibile di autosufficienza nel lungo termine, ossia per le generazioni future;
* rispettare il patrimonio culturale e i valori contadini, al di là del folclore;
* assicurare agli agricoltori, indipendentemente dalla dimensione della terra coltivata, il libero accesso alle terre agricole, alle sementi, all’acqua, al sapere e ad eventuali misure protezionistiche;
* dare la priorità, nell’ambito della promozione statale, alla produzione di alimenti sani e di ottima qualità che si adattino alle specificità climatiche, culturali ed economiche;
* orientare la produzione soprattutto verso i bisogni locali e il mercato nazionale e fornire alla popolazione alimenti naturali e sani in quantità sufficienti;
* fare in modo che le strutture di produzione, trasformazione e logistica, parallelamente all’aspetto che concerne i pascoli e la misura delle coltivazioni, offrano condizioni iniziali ottimali per l’approvvigionamento locale della popolazione e garantiscano, anche in periodi di crisi, la più grande sicurezza di approvvigionamento possibile grazie alla flessibilità e alla condivisione dei rischi;
* integrare le strutture situate a monte e a valle nell’approvvigionamento alimentare concepito su piccole unità;
* pagare ai contadini prezzi adeguati permettendo loro di vivere dignitosamente;
* preparare e applicare, a seconda delle situazioni, delle misure adeguate per impedire produzioni eccedenti;
* dare la possibilità di applicare delle misure protezionistiche nei confronti dell’importazione dei cosiddetti «prodotti a basso costo» e sostenere in modo efficace la produzione di alimenti base (per es. con prezzi più alti);
* vietare nel modo più assoluto gli aiuti all’esportazione e le misure interne di sostegno all’esportazione a prezzi inferiori ai costi di produzione.
E infine: Che chi non ce l’ha ancora si costruisca una cantina e ci conservi delle riserve, coltivi un orto per la famiglia e apprenda i rudimenti di una cucina semplice e sana. Ma prima di tutto dovrà mettere in piedi nel suo quartiere o nel suo villaggio un rete di aiuti all’autonomia tra gli abitanti e con i contadini.
di Reinhard Koradi
Entro aprile il crac di un paese europeo?
Un adagio borsistico dice: quando scende, compra. Lasciate perdere e scappate dal mercato, se per caso siete ancora dentro. Comprare quelle azioni che crollano è come cercare di prendere al volo un coltello caduto dal tavolo: con ogni probabilità, ci si taglia. L’altissima volatilità, i volume bassissimi e i book illiquidi fanno del mercato un acquario in cui nuotano solo i trader di un certo livello, ovvero chi ha bisogno di incertezza e volatilità per guadagnare.
Tre giorni fa il mondo sembrò gridare alla fine del tunnel per i rialzi folli delle piazze di tutto il mondo trainate dall’annuncio da parte di Citigroup di un ritorno al profitto nel primo bimestre di quest’anno. In tempi di disperazione, basta poco per entusiasmarsi. Infatti quel profitto di 19 miliardi di dollari è ante-imposte e ante-svalutazioni: pensate soltanto che nell’ultimo trimestre del 2008, quello horribilis per Citigroup, il profitto (sempre calcolato in base a queste condizioni) era di 13,4 miliardi di dollari.
Cosa ci sia da far schizzare gli indici al +6% se non la follia di un mercato, quello azionario, destinato a un ridimensionamento radicale, non lo si capisce. Anche un bambino, infatti, si rende conto che non ci si può fidare di indici che un giorno prezzano un’azione a 2 dollari e il giorno dopo la premiano con rialzi del 15%: è la stessa azienda, con gli stessi buchi di bilancio. Ormai, siamo all’insider trading istituzionale e politico per mantenere in vita aziende che dovrebbero fallire proprio per il bene del mercato.
Altra notizia che ha ringalluzzito New York e di riflesso le piazze europee è la quasi certezza nella reintroduzione in America del bando sullo short-selling, ritenuto la causa di tutti i ribassi del mondo quando invece è l’unico strumento in grado di dimostrare con i fatti lo stato di salute di un titolo e quindi di un’azienda. Così facendo si permetterà alle dirigenze e ai management di mezzo mondo di raccontare impunemente bugie al mercato senza la controprova del crollo del loro titolo grazie alle scommesse al ribasso dello shorting: ancora una volta la politica, invece di limitare il proprio intervento al minimo e all’indispensabile, entra a gamba tesa nel libero mercato tutelando sempre i soliti noti e mai i risparmiatori, gli investitori e gli azionisti. Se questo è il cambiamento di Obama, ne avremmo fatto volentieri a meno.
Di certo c’è, invece, l’aggiornamento dei cds sul default del debito dei paesi europei: a parte l’Islanda ormai fallita che presenta qualcosa come 1037 punti base per assicurarsi contro il default del debito a cinque anni, la classifica dei “vivi” (per quanto, ancora, non si sa) vede al primo posto l’Irlanda con 347,4 punti base, seguita dalla Grecia con 259,5 punti base, dall’Austria con 255,4 punti base, dall’Italia con 196 punti base, dalla Gran Bretagna con 155 e dalla Spagna con 146 punti base.
Peccato che la Gran Bretagna abbia già speso il 20% del proprio Pil per cercare di salvare le banche e nonostante questo abbia una prezzatura di cds più bassa della nostra: il debito pubblico italiano è fuori controllo - esattamente come l’esposizione di capitale ad Est dell’Austria - e non basteranno certo i Tremonti-bond a evitare i fallimenti o le perdite di capitalizzazione che a Londra stimano, per alcuni istituti italiani, almeno del 25% sul totale. La bolla degli assicurativi, poi, è ormai pronta a esplodere con gli istituti esposti verso banche e fondi (casualmente grazie a porcherie finanziarie che non si sa da dove arrivino e quanto valgano essendo trattate quasi tutte over-the-counter) e con un disperato bisogno di liquidità: serviranno, a breve, ricapitalizzazioni molto serie e non mancheranno le rights issue di emergenza. A quel punto titoli come Aviva e Prudential, in rally da tre giorni grazie alle rassicurazioni del management, crolleranno come castelli di sabbia.
Il quadro è fosco? No, è molto peggio. Mercoledì 11 marzo a Londra, nel corso di una conference call di Ubs, per presentare l’outlook dell’istituto e le strategie rispetto all’aggravarsi della crisi, si è parlato anche di altro: ovvero, «scenari di un’eurozona da cui ormai con certezza sarà costretto in breve tempo a uscire un membro». Già, l’Europa sta andando in frantumi e la Germania non pagherà per tenerla insieme con la colla: il detto inglese dice, "you broke, you fix it". E vale per tutti, aprile sarà il mese della resa dei conti. E l’Italia, purtroppo, non sarà solo spettatrice delle disgrazie altrui. A giorni, appena sarà disponibile, il draft del documento di Ubs.
di Maurizio Bottare
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22 marzo 2009
Un buco nero da 10 miliardi al giorno
“Mi sto sforzando ... per scoprire se l'uomo ha ancora un posto in questo groviglio; se ancora ha dell'autorità fra queste colossali masse in movimento; se ancora può esercitare una qualunque forza sulle statistiche che dalle sue mani stanno scivolando via nell'astratto e nell'irreale. Può avere un posto, un'autorità e una possibilità d'azione su una base migliore delle dichiarazioni infondate di speranza o degli atti ciechi di irragionevole fede?”
(Jacques Ellul)
Una nostra amica ha osservato che una delle conseguenze di avere figli e nipoti è che “ti danno più gente di cui preoccuparti.” Da padre e nonno, la sua osservazione è corretta. Per lungo tempo sono stato dell'opinione che un genitore ha l'obbligo morale di non permettere che i suoi bambini vivano sotto una tirannia. In tutta la mia vita da adulto sono stato preoccupato per questo dovere ma, anche se credo i miei sforzi abbiano prodotto alcuni benefici marginali, il Leviatano ancora imperversa divorando tutto ciò che incontra. La mia continua insistenza su questo pericolo ha almeno aiutato le mie figlie – e spero, con il tempo, i miei nipoti – a sviluppare una consapevolezza della minaccia contro il loro benessere posta dai sistemi politici e delle incertezze che si trovano davanti a loro.
È interessante – anche se non piacevole – testimoniare il crollo della civilizzazione occidentale. Un sistema vibrante che un tempo produceva i valori materiali ed intangibili che sostengono il benessere umano, ha raggiunto uno stato terminale. I principi e le pratiche della civilizzazione che trovarono sufficiente espressione – anche se incostante – nelle società occidentali, si sono deteriorati in un'accettazione della corruzione – a condizione che venga praticata agli alti livelli – e la celebrazione della violenza – a condizione che sia diretta contro plausibili categorie di malfattori. In tali modi è stato eseguito il saccheggio multi-trilionario di dollari dei contribuenti in nome di una plutocrazia trincerata statal-corporativa insieme al continuo condurre guerre infinite contro nemici infiniti per spedire una cultura in bancarotta morale, intellettuale ed economica in un buco nero in attesa.
Nel guardare politici, membri dei media tradizionali e accademici selezionati discutere il sedicente programma di “stimolo” destinato a conferire trilioni di dollari alle istituzioni favorite dell'establishment, mi sono scoperto a ricordare quei primi giorni dopo il bombardamento di Bagdad dell'amministrazione Bush, con i ladri impegnati nel saccheggio totale dei reperti del Museo Nazionale Iracheno. Come si adatta agli americani, con la loro insistenza sul giusto processo procedurale, che debbano ritenersi soddisfatti guardando il Congresso che esegue tale saccheggio su C-SPAN, con le regole del manuale Cencelli rispettate fedelmente.
La disperazione con cui i presidenti Bush e Obama hanno sollecitato questa spoliazione in grande stile è stata strabiliante, con il sig. Bush che è arrivato a minacciare la dichiarazione della legge marziale se il Congresso non avesse aderito al suo piano. Anche la terminologia ha subito una veloce trasformazione: quello che è cominciato come un “salvataggio” si è fatto rapidamente un brutto nome, ed è stato cambiato in “stimolo.” Ma chi o che cosa debba essere “stimolato” rimane aperto alle ipotesi. Più incertezza alla base di questo piano, più Boobus sospetta qualcosa di spiacevole. Nel tentativo di acquietare tali timori, il sig. Obama ha parlato – con le più nebbiose delle parole – di un certo “programma” messo assieme per salvare l'America dagli effetti della terza legge del moto di Newton. Dopo tutto, se Ozymandias deve avere credibilità fra i creduloni, i suoi stregoni devono sembrare capaci di progettare e di mettere in opera dei “piani” efficaci. Che i “piani” allo studio non siano che fotocopie dei piani precedenti che hanno generato le nostre difficoltà attuali, non dev'essere preso in considerazione. Lo studio sull'economia o della storia potrebbe informare Boobus del circolo vizioso in cui è intrappolato. Ma il sig. Obama ha ammonito dal dare ascolto alle “ideologie” o concentrarsi sul passato!
Caratterizzare questo cosiddetto “stimolo” come un piano in grado di rettificare decenni di programmi e politiche contro cui i fautori del mercato hanno a lungo avvertito, è corrompere la natura razionale e informata della pianificazione intelligente. Nel migliore dei casi, i sostenitori di questo programma hanno offerto poco più di un calderone di congetture che si riduce ad un “proviamo e vediamo se funziona.” Né l'impresa è un “investimento” a nome dei contribuenti, come i politici insistono a caratterizzarla. Di recente ho visto che il costo complessivo dei molti pacchetti di “salvataggio” dati agli interessi corporativi, ammonta a circa 9.700.000.000.000. Se la mia matematica è corretta, questo cosiddetto “investimento” arriva a quasi 33.000 dollari per americano. Pensate che riceverete degli assegni di dividendi da queste società, o che vi sarà concesso di presenziare alle riunioni annuali degli azionisti per votare la nuova amministrazione?
Non c'è dubbio che i destinatari corporativi di questo bottino siano “stimolati” ad ottenere più denaro possibile. Ma persino la goffa incertezza su come funzionerà il programma, su quali criteri saranno impiegati per selezionare i destinatari, o su come i soldi saranno usati, illustra che questo programma non è tanto un piano su base razionale, quanto uno schema. Qualsiasi pretesa che questa sia una soluzione attentamente calcolata ad un ubiquo problema mette in ombra la sua sordida realtà: uno sforzo disperato degli interessi istituzionali di arraffare il tesoro governativo prima che l'intero sistema sprofondi. Che da esso possa derivare la prognosi per un ripristino della salute economica del paese non è meglio che affidarvi per un intervento chirurgico al cervello alle mani di una matricola universitaria che ha appena ricevuto un 18 in un corso del primo anno di biologia!
Questo – “piano” – come le guerre i cui costi in così larga misura hanno contribuito ai nostri malanni economici – non è che un'altra espressione dei fallimenti morali, intellettuali ed economici che stanno distruggendo la civiltà occidentale. Una società produttiva, libera e pacifica non può essere tenuta insieme dalla violenza, dalla sorveglianza, dalla tortura, dalle squadre SWAT, dalle bugie e dalle prigioni. Nemmeno può tollerare le politiche governative di saccheggio del frutto del lavoro di un'intera popolazione e della sua ridistribuzione agli amici istituzionali di coloro che sono al potere.
Chiedo perdono ai miei figli e nipoti per non essere riuscito nel mio dovere morale di proteggerlo dalle devastazioni della tirannia. Continuerò nei miei sforzi, naturalmente, riconoscendo che soltanto metodi pacifici possono produrre un mondo pacifico. Nel frattempo, vi offro questi consigli: (1) non credete mai a qualsiasi cosa il governo vi dica; (2) non credete mai a qualsiasi cosa i media tradizionali vi dicano; (3) prestate attenzione – ma siate scettici – a coloro le cui idee non si conformano alle definizioni della realtà basate sul consenso; (4) padroneggiate l'arte del pensiero contrario ed imparate a tenervi lontani dai branchi così come da coloro che insistono nell'imbrancare altri in precipitose fughe distruttive, da lemming; (5) non riponete la vostra fiducia in coloro che vi offrono la “speranza,” ma cercate coloro che vi aiuteranno a sviluppare la comprensione; (6) siate pronti – come furono i vostri antenati – a muovervi verso nuove frontiere più adatte sia alla vostra libertà che al vostro benessere materiale; (7) trovate, sostenete, proteggete e difendete amici a voi simili, essendo consci delle origini comuni delle parole “pace,” “libertà,” “amore,” e “amico;” ( evitate di essere trascinati nel buco nero a cui la nostra civilizzazione è destinata; la cui forza d'attrazione è resa possibile dalle energie collettive dei vostri vicini; e, (9) consci di tutto quanto sopra, evitate il senso di disperazione unendo le vostre intelligenze e le vostre emozioni per aiutare la creazione di una nuova civiltà basata sulla pace, la libertà ed il rispetto per l'inviolabilità dell'individuo.
di Butler Shaffer -
(Jacques Ellul)
Una nostra amica ha osservato che una delle conseguenze di avere figli e nipoti è che “ti danno più gente di cui preoccuparti.” Da padre e nonno, la sua osservazione è corretta. Per lungo tempo sono stato dell'opinione che un genitore ha l'obbligo morale di non permettere che i suoi bambini vivano sotto una tirannia. In tutta la mia vita da adulto sono stato preoccupato per questo dovere ma, anche se credo i miei sforzi abbiano prodotto alcuni benefici marginali, il Leviatano ancora imperversa divorando tutto ciò che incontra. La mia continua insistenza su questo pericolo ha almeno aiutato le mie figlie – e spero, con il tempo, i miei nipoti – a sviluppare una consapevolezza della minaccia contro il loro benessere posta dai sistemi politici e delle incertezze che si trovano davanti a loro.
È interessante – anche se non piacevole – testimoniare il crollo della civilizzazione occidentale. Un sistema vibrante che un tempo produceva i valori materiali ed intangibili che sostengono il benessere umano, ha raggiunto uno stato terminale. I principi e le pratiche della civilizzazione che trovarono sufficiente espressione – anche se incostante – nelle società occidentali, si sono deteriorati in un'accettazione della corruzione – a condizione che venga praticata agli alti livelli – e la celebrazione della violenza – a condizione che sia diretta contro plausibili categorie di malfattori. In tali modi è stato eseguito il saccheggio multi-trilionario di dollari dei contribuenti in nome di una plutocrazia trincerata statal-corporativa insieme al continuo condurre guerre infinite contro nemici infiniti per spedire una cultura in bancarotta morale, intellettuale ed economica in un buco nero in attesa.
Nel guardare politici, membri dei media tradizionali e accademici selezionati discutere il sedicente programma di “stimolo” destinato a conferire trilioni di dollari alle istituzioni favorite dell'establishment, mi sono scoperto a ricordare quei primi giorni dopo il bombardamento di Bagdad dell'amministrazione Bush, con i ladri impegnati nel saccheggio totale dei reperti del Museo Nazionale Iracheno. Come si adatta agli americani, con la loro insistenza sul giusto processo procedurale, che debbano ritenersi soddisfatti guardando il Congresso che esegue tale saccheggio su C-SPAN, con le regole del manuale Cencelli rispettate fedelmente.
La disperazione con cui i presidenti Bush e Obama hanno sollecitato questa spoliazione in grande stile è stata strabiliante, con il sig. Bush che è arrivato a minacciare la dichiarazione della legge marziale se il Congresso non avesse aderito al suo piano. Anche la terminologia ha subito una veloce trasformazione: quello che è cominciato come un “salvataggio” si è fatto rapidamente un brutto nome, ed è stato cambiato in “stimolo.” Ma chi o che cosa debba essere “stimolato” rimane aperto alle ipotesi. Più incertezza alla base di questo piano, più Boobus sospetta qualcosa di spiacevole. Nel tentativo di acquietare tali timori, il sig. Obama ha parlato – con le più nebbiose delle parole – di un certo “programma” messo assieme per salvare l'America dagli effetti della terza legge del moto di Newton. Dopo tutto, se Ozymandias deve avere credibilità fra i creduloni, i suoi stregoni devono sembrare capaci di progettare e di mettere in opera dei “piani” efficaci. Che i “piani” allo studio non siano che fotocopie dei piani precedenti che hanno generato le nostre difficoltà attuali, non dev'essere preso in considerazione. Lo studio sull'economia o della storia potrebbe informare Boobus del circolo vizioso in cui è intrappolato. Ma il sig. Obama ha ammonito dal dare ascolto alle “ideologie” o concentrarsi sul passato!
Caratterizzare questo cosiddetto “stimolo” come un piano in grado di rettificare decenni di programmi e politiche contro cui i fautori del mercato hanno a lungo avvertito, è corrompere la natura razionale e informata della pianificazione intelligente. Nel migliore dei casi, i sostenitori di questo programma hanno offerto poco più di un calderone di congetture che si riduce ad un “proviamo e vediamo se funziona.” Né l'impresa è un “investimento” a nome dei contribuenti, come i politici insistono a caratterizzarla. Di recente ho visto che il costo complessivo dei molti pacchetti di “salvataggio” dati agli interessi corporativi, ammonta a circa 9.700.000.000.000. Se la mia matematica è corretta, questo cosiddetto “investimento” arriva a quasi 33.000 dollari per americano. Pensate che riceverete degli assegni di dividendi da queste società, o che vi sarà concesso di presenziare alle riunioni annuali degli azionisti per votare la nuova amministrazione?
Non c'è dubbio che i destinatari corporativi di questo bottino siano “stimolati” ad ottenere più denaro possibile. Ma persino la goffa incertezza su come funzionerà il programma, su quali criteri saranno impiegati per selezionare i destinatari, o su come i soldi saranno usati, illustra che questo programma non è tanto un piano su base razionale, quanto uno schema. Qualsiasi pretesa che questa sia una soluzione attentamente calcolata ad un ubiquo problema mette in ombra la sua sordida realtà: uno sforzo disperato degli interessi istituzionali di arraffare il tesoro governativo prima che l'intero sistema sprofondi. Che da esso possa derivare la prognosi per un ripristino della salute economica del paese non è meglio che affidarvi per un intervento chirurgico al cervello alle mani di una matricola universitaria che ha appena ricevuto un 18 in un corso del primo anno di biologia!
Questo – “piano” – come le guerre i cui costi in così larga misura hanno contribuito ai nostri malanni economici – non è che un'altra espressione dei fallimenti morali, intellettuali ed economici che stanno distruggendo la civiltà occidentale. Una società produttiva, libera e pacifica non può essere tenuta insieme dalla violenza, dalla sorveglianza, dalla tortura, dalle squadre SWAT, dalle bugie e dalle prigioni. Nemmeno può tollerare le politiche governative di saccheggio del frutto del lavoro di un'intera popolazione e della sua ridistribuzione agli amici istituzionali di coloro che sono al potere.
Chiedo perdono ai miei figli e nipoti per non essere riuscito nel mio dovere morale di proteggerlo dalle devastazioni della tirannia. Continuerò nei miei sforzi, naturalmente, riconoscendo che soltanto metodi pacifici possono produrre un mondo pacifico. Nel frattempo, vi offro questi consigli: (1) non credete mai a qualsiasi cosa il governo vi dica; (2) non credete mai a qualsiasi cosa i media tradizionali vi dicano; (3) prestate attenzione – ma siate scettici – a coloro le cui idee non si conformano alle definizioni della realtà basate sul consenso; (4) padroneggiate l'arte del pensiero contrario ed imparate a tenervi lontani dai branchi così come da coloro che insistono nell'imbrancare altri in precipitose fughe distruttive, da lemming; (5) non riponete la vostra fiducia in coloro che vi offrono la “speranza,” ma cercate coloro che vi aiuteranno a sviluppare la comprensione; (6) siate pronti – come furono i vostri antenati – a muovervi verso nuove frontiere più adatte sia alla vostra libertà che al vostro benessere materiale; (7) trovate, sostenete, proteggete e difendete amici a voi simili, essendo consci delle origini comuni delle parole “pace,” “libertà,” “amore,” e “amico;” ( evitate di essere trascinati nel buco nero a cui la nostra civilizzazione è destinata; la cui forza d'attrazione è resa possibile dalle energie collettive dei vostri vicini; e, (9) consci di tutto quanto sopra, evitate il senso di disperazione unendo le vostre intelligenze e le vostre emozioni per aiutare la creazione di una nuova civiltà basata sulla pace, la libertà ed il rispetto per l'inviolabilità dell'individuo.
di Butler Shaffer -
21 marzo 2009
La sovranità alimentare
Sono numerose le ragioni per prendere in seria considerazione la sovranità alimentare. A medio e lungo termine, il riscaldamento globale, la rarefazione irreversibile delle risorse naturali, la distruzione delle coltivazioni agricole delle famiglie e le scandalose ingiustizie nella ripartizione dei prodotti alimentari che avvengono alle nostre latitudini, provocheranno drammatiche crisi di approvvigionamento. Ugualmente pericoloso è il crollo degli approvvigionamenti dovuto a catastrofi naturali, al repentino aumento dei prezzi e ai conflitti politici e militari. In passato ci siamo lasciati illudere da scenari rassicuranti illusori, trascurando così la possibilità di assicurare e sviluppare le condizioni della sovranità alimentare. La silenziosa obbedienza di una larga maggioranza all’epoca della riforma – dello stravolgimento sociale secondo i dogmi neoconservatori – ha condotto, tra le altre cose, al fatto che oggi l’umanità sia più che mai lontana dal riuscire a gestire i problemi legati alla fame e alla povertà. Il Rapporto sull’agricoltura mondiale, pubblicato nell’agosto 2008, smaschera la menzogna neoliberale e dimostra che bisogna agire subito. Rivela le lacune scandalose del sistema economico mondiale che rende enormi profitti a una piccola minoranza di gente senza scrupoli. Gli autori del Rapporto chiedono un cambiamento sostanziale della politica e delle economie agricole e mettono in primo piano la sovranità alimentare per tutti i popoli e tutte le nazioni.
Solidarietà e responsabilità individuale
per ammortizzare i colpi
Da secoli, i Paesi ricchi avanzano economicamente sfruttando i Paesi «meno sviluppati». Da un lato la sovrabbondanza, dall’altro la povertà. Facciamo penare gli altri, li lasciamo soffrire di fame e cadere nella miseria per creare le nostre oasi di benessere, i nostri paradisi di divertimenti e la nostra società di servizi e d’informazione priva di valori. E’ drammatico che in molti Paesi industrializzati molte persone non si rendano conto che un giorno si troveranno anche loro dalla parte dei perdenti di un nuovo ordine sociale, a meno che i cittadini non comincino ad opporsi all’ingiustizia. Per il momento, noi ci troviamo in una «buona posizione», benché già nella fase in cui sta venendo meno la nostra sicurezza esistenziale. Lottiamo individualmente per salvare ciò che può essere salvato, nonostante già da molto tempo si renda indispensabile unire le nostre forze per combattere l’ingiustizia, la contrazione delle risorse messa in atto da un élite rapace e avida di potere. Se da un lato proviamo pena nell’accettare che coloro che vivono nel sud del mondo soffrano in gran parte di povertà e fame, dall’altro accettiamo che, nei Paesi industrializzati dell’Occidente, vengano meno i principi di protezione sociale.
L’attuale crisi finanziaria ed economica è ancora una volta occasione per imporre il cosiddetto «consenso di Washington» proclamato nel 1989 dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale (FMI). Si tratta di far capire a tutti che le negoziazioni e le discussioni in materia economica non conformi all’ideologia del mercato devono essere vietate. Il «consenso di Washington» rilancia la strategia della restrizione delle democrazie. Ne fa parte prima di tutto l’eliminazione della rivendicazione liberale di sovranità, il più grande ostacolo nella crociata a favore di un sistema economico globale neoliberale conforme alla Scuola di Chicago.
Su questo argomento, le richieste avanzate nel Vertice di Berlino convocato dal cancelliere tedesco Angela Merkel in vista della preparazione del G20, che si terrà il 2 aprile prossimo a Londra, sono particolarmente allarmanti. Grazie ad una nuova «architettura dei mercati finanziari», gli Stati sovrani dovranno sottoporsi ad un organo di controllo globale e il FMI, la Banca mondiale e l’OMC devono essere abilitati a punire, attraverso delle sanzioni, gli Stati «recalcitranti» ad una regolamentazione globale. La democrazia – intesa come partecipazione dei cittadini responsabili alle decisioni, il riparo più efficace contro il dilagare del mercato liberalizzato – va definitivamente distrutta. Mai più niente deve ostacolare la sete di potere e di profitto dell’alta finanza, così come la mercificazione distruttrice dei valori e la destabilizzazione di tutte le economie.
Dobbiamo contrastare questa strategia di potentati globali attraverso un’associazione solidale per la difesa della nostra libertà. D’accordo con il motto «Uno per tutti, tutti per uno», dobbiamo impedire che la sicurezza del lavoro, le istituzioni sociali, i sistemi sanitari ed educativi efficienti, le infrastrutture dei trasporti e di approvvigionamento finiscano in modo definitivo nel caos prodotto dagli sbandamenti neoliberali.
L’esplosione delle bolle
annienta le economie nazionali
Le bolle del sistema finanziario ed economico globale liberale sono scoppiate, o meglio, sono state fatte scoppiare. Il divario tra l’economia reale e quella finanziaria ha determinato un crollo colossale che trascina nell’abisso le economie mondiali già traballanti. Le ricchezze nazionali accumulate nel corso di generazioni devono ora essere sacrificate ai «vitelli d’oro» neoliberali. Miliardi e miliardi di dollari, euro e franchi vengono immessi in un sistema malato senza salvare un solo posto di lavoro. Ma c’è di peggio: le imprese sostenute dagli aiuti statali presentano dei «piani di risanamento» che faranno perdere migliaia di posti di lavoro. L’Europa prevede un tasso di disoccupazione di almeno un 10%, ma questo dovrebbe essere un pronostico «ottimista». Aiutando finanziariamente le industrie e le banche in difficoltà, i Paesi europei rischiano la bancarotta. Certamente, uno Stato non potrà mai fallire; tuttavia, le finanze pubbliche spogliate e le perdite colossali degli istituti sociali e di previdenza, dovute alla speculazione, costituiscono un’ottima ragione per obbligare la popolazione a rinunciare «volontariamente» ai propri diritti, ai propri risparmi e alla previdenza sociale. Il punto fondamentale è di sapere in che misura la situazione disastrosa dovuta alla perdita di occupazione, all’affondamento dei sistemi economici e finanziari e ai Paesi insolventi, sia stata indotta per risolvere il problema del blocco delle riforme.
Non c’è bisogno di osare tanto. Invece di rimanere passivi, angosciati dalle minacce che pesano sulle nostre basi esistenziali, dobbiamo superare lo choc e organizzare la resistenza. E questo concentrandoci sull’essenziale, assumendoci le nostre responsabilità e, fedeli alle tradizioni democratiche, unendoci nell’azione. Il sostegno all’autonomia è un altro elemento della democrazia autentica e dell’autodeterminazione.
La solidarietà, congiuntamente al fatto di considerare la sicurezza dei mezzi di sussistenza e di sforzarsi nell’individuare questi stessi mezzi, rappresenta la forza determinante che rende possibile l’indipendenza, necessaria per proteggere la comunità internazionale e noi stessi dalla potenza distruttrice della dottrina neoliberale del libero scambio.
Annientare la dittatura economica globale attraverso la sovranità alimentare
Per i popoli, la possibilità di poter decidere essi stessi cosa coltivare, raccogliere, stoccare per poi giungere sulle tavole delle famiglie, rappresenta il mezzo diretto attraverso cui affrancarsi dalla dominazione dell’economia globale. Una volta che i popoli avranno riconquistato la sovranità nel settore dell’alimentazione e quindi della politica agricola e del commercio di prodotti alimentari, anche altri settori riusciranno a sfuggire al sistema economico globale. La priorità è tuttavia quella di riuscire ad assicurare i mezzi di sussistenza grazie ad alimenti quantitativamente sufficienti e di ottima qualità. Questa priorità sarà raggiunta nel momento in cui le famiglie, le comunità di villaggi, le regioni e gli Stati disporranno di risorse alimentari in grado di garantire che nessuno soffrirà la fame, che nessuno si ammalerà o morirà per aver ingerito alimenti o bevande avariati. Per fare questo, è necessario rispettare la diversità delle condizioni climatiche, geografiche, culturali ed economiche e permettere soluzioni rispondenti ai bisogni della popolazione.
Riconquistiamo la sovranità alimentare. Questo concetto è stato creato da La Via campesina, un gruppo mondiale che riunisce varie organizzazioni di piccoli contadini e braccianti agricoli. È nata in seguito all’insoddisfazione crescente dei contadini nei confronti della globalizzazione che ha raggiunto anche il settore agricolo. La Via campesina sostiene che un’economia agricola di tipo globale serve unicamente gli interessi delle grandi nazioni industrializzate esportatrici e l’agrobusiness mondiale. Teme invece che gli interessi delle popolazioni rurali e la sicurezza alimentare vengano schiacciate dal rullo compressore dell’OMC. Vorrebbe evitare che l’agricoltura venisse sacrificata e che venisse meno la sovranità dell’approvvigionamento. L’associazione è impegnata sul fronte del miglioramento delle condizioni di lavoro dei piccoli contadini e dei braccianti agricoli attraverso un commercio equo-solidale, una maggiore giustizia sociale e la creazione di un’economia durevole in tutto il mondo. Già all’epoca del Vertice mondiale dell’alimentazione tenutosi nel 1996, La Via campesina chiedeva la sovranità alimentare di tutti i popoli. Da allora, questa rivendicazione è stata sostenuta in modo inequivoco da un numero sempre crescente di associazioni contadine e di ONG, ed ora anche dagli autori del Rapporto sull’agricoltura mondiale.
Gli uomini devono imparare a vivere dei prodotti offerti dal loro territorio. Bisogna creare un equilibrio tra uomo e natura su un territorio limitato, un ciclo naturale di produzione e di consumo in uno spazio ristretto, senza spreco né distruzione delle condizioni di produzione e di vita naturali. Attraverso questo equilibrio, ci affrancheremo dalle dipendenze e riprenderemo in mano, poco a poco, la questione alimentare.
Metodi per realizzare la sovranità alimentare
Un elemento deve essere chiaro. Oggi, la sovranità alimentare non è una missione ad esclusivo appannaggio dei Paesi poveri ma anche di quelli ricchi, Svizzera inclusa. Ogni Paese è chiamato a risolvere il problema a modo suo, nell’interesse della lotta mondiale contro la fame. Si tratta di un atto di solidarietà che non ha niente a che vedere con il protezionismo. Benché i guru del commercio mondiale avranno un bel da fare a protestare e i governi a mantenere ostinatamente il loro punto di vista, la popolazione ha il diritto di esigere la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare.
Il diritto di decidere circa la produzione, la trasformazione, lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti alimentari, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo ed ecologico, dipende da numerosi parametri essenziali. Ciascun Paese deve essere attento a:
* risparmiare accuratamente le risorse naturali e sfruttare in modo da assicurarsi il più alto livello possibile di autosufficienza nel lungo termine, ossia per le generazioni future;
* rispettare il patrimonio culturale e i valori contadini, al di là del folclore;
* assicurare agli agricoltori, indipendentemente dalla dimensione della terra coltivata, il libero accesso alle terre agricole, alle sementi, all’acqua, al sapere e ad eventuali misure protezionistiche;
* dare la priorità, nell’ambito della promozione statale, alla produzione di alimenti sani e di ottima qualità che si adattino alle specificità climatiche, culturali ed economiche;
* orientare la produzione soprattutto verso i bisogni locali e il mercato nazionale e fornire alla popolazione alimenti naturali e sani in quantità sufficienti;
* fare in modo che le strutture di produzione, trasformazione e logistica, parallelamente all’aspetto che concerne i pascoli e la misura delle coltivazioni, offrano condizioni iniziali ottimali per l’approvvigionamento locale della popolazione e garantiscano, anche in periodi di crisi, la più grande sicurezza di approvvigionamento possibile grazie alla flessibilità e alla condivisione dei rischi;
* integrare le strutture situate a monte e a valle nell’approvvigionamento alimentare concepito su piccole unità;
* pagare ai contadini prezzi adeguati permettendo loro di vivere dignitosamente;
* preparare e applicare, a seconda delle situazioni, delle misure adeguate per impedire produzioni eccedenti;
* dare la possibilità di applicare delle misure protezionistiche nei confronti dell’importazione dei cosiddetti «prodotti a basso costo» e sostenere in modo efficace la produzione di alimenti base (per es. con prezzi più alti);
* vietare nel modo più assoluto gli aiuti all’esportazione e le misure interne di sostegno all’esportazione a prezzi inferiori ai costi di produzione.
E infine: Che chi non ce l’ha ancora si costruisca una cantina e ci conservi delle riserve, coltivi un orto per la famiglia e apprenda i rudimenti di una cucina semplice e sana. Ma prima di tutto dovrà mettere in piedi nel suo quartiere o nel suo villaggio un rete di aiuti all’autonomia tra gli abitanti e con i contadini.
di Reinhard Koradi
Entro aprile il crac di un paese europeo?
Un adagio borsistico dice: quando scende, compra. Lasciate perdere e scappate dal mercato, se per caso siete ancora dentro. Comprare quelle azioni che crollano è come cercare di prendere al volo un coltello caduto dal tavolo: con ogni probabilità, ci si taglia. L’altissima volatilità, i volume bassissimi e i book illiquidi fanno del mercato un acquario in cui nuotano solo i trader di un certo livello, ovvero chi ha bisogno di incertezza e volatilità per guadagnare.
Tre giorni fa il mondo sembrò gridare alla fine del tunnel per i rialzi folli delle piazze di tutto il mondo trainate dall’annuncio da parte di Citigroup di un ritorno al profitto nel primo bimestre di quest’anno. In tempi di disperazione, basta poco per entusiasmarsi. Infatti quel profitto di 19 miliardi di dollari è ante-imposte e ante-svalutazioni: pensate soltanto che nell’ultimo trimestre del 2008, quello horribilis per Citigroup, il profitto (sempre calcolato in base a queste condizioni) era di 13,4 miliardi di dollari.
Cosa ci sia da far schizzare gli indici al +6% se non la follia di un mercato, quello azionario, destinato a un ridimensionamento radicale, non lo si capisce. Anche un bambino, infatti, si rende conto che non ci si può fidare di indici che un giorno prezzano un’azione a 2 dollari e il giorno dopo la premiano con rialzi del 15%: è la stessa azienda, con gli stessi buchi di bilancio. Ormai, siamo all’insider trading istituzionale e politico per mantenere in vita aziende che dovrebbero fallire proprio per il bene del mercato.
Altra notizia che ha ringalluzzito New York e di riflesso le piazze europee è la quasi certezza nella reintroduzione in America del bando sullo short-selling, ritenuto la causa di tutti i ribassi del mondo quando invece è l’unico strumento in grado di dimostrare con i fatti lo stato di salute di un titolo e quindi di un’azienda. Così facendo si permetterà alle dirigenze e ai management di mezzo mondo di raccontare impunemente bugie al mercato senza la controprova del crollo del loro titolo grazie alle scommesse al ribasso dello shorting: ancora una volta la politica, invece di limitare il proprio intervento al minimo e all’indispensabile, entra a gamba tesa nel libero mercato tutelando sempre i soliti noti e mai i risparmiatori, gli investitori e gli azionisti. Se questo è il cambiamento di Obama, ne avremmo fatto volentieri a meno.
Di certo c’è, invece, l’aggiornamento dei cds sul default del debito dei paesi europei: a parte l’Islanda ormai fallita che presenta qualcosa come 1037 punti base per assicurarsi contro il default del debito a cinque anni, la classifica dei “vivi” (per quanto, ancora, non si sa) vede al primo posto l’Irlanda con 347,4 punti base, seguita dalla Grecia con 259,5 punti base, dall’Austria con 255,4 punti base, dall’Italia con 196 punti base, dalla Gran Bretagna con 155 e dalla Spagna con 146 punti base.
Peccato che la Gran Bretagna abbia già speso il 20% del proprio Pil per cercare di salvare le banche e nonostante questo abbia una prezzatura di cds più bassa della nostra: il debito pubblico italiano è fuori controllo - esattamente come l’esposizione di capitale ad Est dell’Austria - e non basteranno certo i Tremonti-bond a evitare i fallimenti o le perdite di capitalizzazione che a Londra stimano, per alcuni istituti italiani, almeno del 25% sul totale. La bolla degli assicurativi, poi, è ormai pronta a esplodere con gli istituti esposti verso banche e fondi (casualmente grazie a porcherie finanziarie che non si sa da dove arrivino e quanto valgano essendo trattate quasi tutte over-the-counter) e con un disperato bisogno di liquidità: serviranno, a breve, ricapitalizzazioni molto serie e non mancheranno le rights issue di emergenza. A quel punto titoli come Aviva e Prudential, in rally da tre giorni grazie alle rassicurazioni del management, crolleranno come castelli di sabbia.
Il quadro è fosco? No, è molto peggio. Mercoledì 11 marzo a Londra, nel corso di una conference call di Ubs, per presentare l’outlook dell’istituto e le strategie rispetto all’aggravarsi della crisi, si è parlato anche di altro: ovvero, «scenari di un’eurozona da cui ormai con certezza sarà costretto in breve tempo a uscire un membro». Già, l’Europa sta andando in frantumi e la Germania non pagherà per tenerla insieme con la colla: il detto inglese dice, "you broke, you fix it". E vale per tutti, aprile sarà il mese della resa dei conti. E l’Italia, purtroppo, non sarà solo spettatrice delle disgrazie altrui. A giorni, appena sarà disponibile, il draft del documento di Ubs.
di Maurizio Bottare
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