28 marzo 2009
FMI: Il peggio deve ancora venire
Il peggio deve ancora venire. Il Fondo monetario internazionale, che ieri a Washington ha pubblicato i nuovi aggiornamenti della situazione economica internazionale, avverte che «non c´è da illudersi», che «davanti a noi abbiamo ancora tempi molto difficili» e che dunque bisogna agire «con decisione e varare nuove misure di stimolo». Il quadro, già allarmante, viene dipinto con toni ancora più preoccupati dall´Fmi che invita le autorità del globo ad affrontare con decisione il problema della capitalizzazione delle banche (senza escludere le nazionalizzazioni) e a tagliare il nodo degli «asset tossici» prodotti dalla crisi dei mutui subprime. Il panorama delle stime di crescita a livello globale si fa sempre più fosco: è confermato che quest´anno il Pil mondiale per la prima volta in sessant´anni, all´incirca dalla Seconda guerra mondiale, si contrarrà (tra lo 0,5 e l´1,5 per cento) mentre quello delle economie avanzate subirà una riduzione valutata tra i 3 e i 3,5 punti percentuali. Una «crescita graduale» si avrà solo a partire dal prossimo anno.
La situazione dell´Italia non è diversa da quella degli altri paesi, ma i dati sul deficit-Pil, stimato dall´Fmi per il 2009 al 4,8 per cento (5,2 nel 2010), desta particolare allarme per la cronica instabilità dei nostri conti pubblici. L´aggiornamento appesantisce notevolmente le proiezioni del governo che, nel recente Programma di stabilità, prevedeva per quest´anno un deficit-Pil al 3,7 per cento: al disavanzo si aggiunge ora un 0,2 per cento di Pil pari al costo delle misure anticrisi.
Non consola che la media dei deficit dei paesi del G20 arriverà al 5,9 per cento, che la Germania sarà al 4 e la Francia al 6 per cento. Tant´è che il direttore esecutivo dell´Fmi per l´Italia, Arrigo Sadun, ha sentito il bisogno di esprimersi con toni rassicurati: «L´Italia non è a rischio default, siamo meno esposti degli altri alla crisi dei subprime e dei derivati», ha detto ieri a Parigi. Il Fondo dedica anche uno studio al mercato del lavoro italiano giudicato arretrato e urgentemente da riformare.
Quanto agli Stati Uniti, che quest´anno, sempre secondo l´Fmi, vedranno una riduzione del Pil del 2,6 per cento, si cercano con il lanternino alcuni segnali di vitalità dell´economia che marginalmente emergono. E´ il caso dell´indice dell´attività manifatturiere dell´area di Philadelphia, redatto dalla locale Fed, che ha ridotto le perdite: -35 a marzo rispetto a -41,3 a gennaio. Lo stesso vale per il sussidio di disoccupazione: nella settimana terminata il 7 marzo ha raggiunto il record di 5,4 milioni di americani. Tuttavia le richieste in quest´ultima settimana monitorata sono calate: sono state 12 mila in meno.
di Roberto Petrini
La crisi finanziaria... ingrasserà le banche
E’ evidente che la maggior parte dei cittadini si senta confusa di fronte alla crisi che si è scatenata nelle ultime settimane.
In ogni caso, anche se tutti parlano della crisi, ci sono davvero poche idee chiare che permettono ai cittadini di sapere con certezza quello che sta succedendo.
Le questioni che dobbiamo conoscere prima di tutto per comprendere la crisi attuale sono le seguenti.
E’ una crisi derivata dai mutui. All’origine ha preso corpo nel mercato americano dei mutui ipotecari.
In seguito all’enorme espansione del settore immobiliare si generò una massiccia offerta di mutui ipotecari, dei quali quasi un quinto vennero concessi a famiglie che riuscivano appena a pagarli quando i tassi di interessi erano molto bassi.
Quando cominciarono gli aumenti nei tassi di interessi e le rate dei mutui diventarono più care cominciarono anche le insolvenze.
Questo colpì immediatamente le banche che avevano concesso questi prestiti, ma, visto quello che di solito accade con questi crediti inesigibili, la crisi si estese. Le banche, infatti, avevano venduto, a loro volta, i titoli rappresentativi dei crediti ipotecari nei mercati finanziari. Questo è il modo nel quale le banche convertono il debito delle famiglie in un enorme affare perché non solo ricevono il denaro che prestano ma anche gli interessi, fino a quando non ottengono ulteriori guadagni negoziando i titoli di credito.
Si genera un effetto a catena che è quello che provoca l’estensione della crisi.
Quando si sottoscrive un mutuo si crea un titolo finanziario. Le banche statunitensi collocarono nel mercato milioni di questi titoli che furono acquistati da altre banche e da investitori di tutti i paesi.
E’ per questo che quando si è scatenata la crisi dei mutui ipotecari si è innescata anche una crisi finanziaria, visto che le insolvenze crescenti pregiudicano in seguito la sicurezza e la redditività delle grandi banche e dei fondi di investimento internazionali. Quando si vedono le perdite non solo si perde il denaro, ma si disinvestono anche i fondi dai mercati, arrivando al punto di frenare o paralizzare i flussi finanziari internazionali, in maggiore o minore dimensione a seconda della propria partecipazione ai fondi stessi.
Si produce così una crisi di liquidità, non perché manchino i mezzi di pagamento ma perché si preleva troppo denaro e questo accade perché al giorno d’oggi la stragrande maggioranza degli strumenti di pagamento è “fittizia”, vale a dire, carta finanziaria più o meno come i titoli rappresentativi di mutui ipotecari dei quali ho parlato sopra e che sono legati principalmente ad operazioni di carattere speculativo.
Se all’inizio la crisi si scatena nell’ambito dei mutui ipotecari, in quello delle banche o della finanza, in seguito compromette l’economia reale (vale a dire, quella che ha a che vedere con la produzione effettiva di beni e di servizi e non con “carte” finanziarie).
L’impatto di questa crisi sull’economia reale si produce per precisi motivi.
In primo luogo, poiché la crisi dei mutui ipotecari colpisce logicamente in modo diretto il settore immobiliare che, come si sa, è stato uno dei motivi principali dello sviluppo economico negli ultimi anni.
La crisi dei mutui ipotecari porterà senza dubbio a licenziamenti non solo nel settore delle costruzioni, ma anche nelle attività che sono in relazione con il settore immobiliare. In secondo luogo, quando si profila una crisi le banche e gli investitori reagiscono, come ho detto, ritirando i propri fondi dal mercato e generando una carenza di liquidità. La spesa totale ne risente e, di conseguenza, l’insieme delle attività economiche “reali”.
In terzo luogo, e come corollario a quanto già detto, le banche centrali si trovano di fronte ad un dilemma perverso: da una parte quello che fanno (e che hanno fatto) è mettere a disposizione delle banche centinaia di migliaia di milioni di dollari (con una generosità che manca loro quando vengono colpite dalla crisi le persone e le zone meno fortunate del pianeta). Quello che fanno le banche centrali è di incentivare i possessori di risorse finanziarie al fine di far collocare nei mercati le risorse che questi hanno prelevato. Innanzitutto si arricchiscono così i proprietari del capitale che svolgono un’attività finanziaria e in secondo luogo contribuisce alla riduzione degli investimenti e dei consumi, deteriorando, come ho già detto, l’attività economica nel suo complesso.
Di fatto, è probabile che quello che sta succedendo sia che molte di queste banche non sappiano nemmeno con sicurezza fino a che punto siano coinvolte con la crisi. Gli investimenti che realizzano nei mercati finanziari sono come dei castelli di carte, una sull’altra e con struttura piramidale, fatte in modo che il detentore finale del titolo non sappia bene quale sia l’operazione finanziaria originaria che ha creato il titolo che lui adesso sta comprando o cercando di vendere, operazione che le nuove tecnologie permettono di realizzare in modo veloce e anonimo.
Le banche (e in generale i grandi detentori di mezzi finanziari) si sono trasformate nell’asse attorno al quale gira la vita economica. Direttamente o indirettamente (grazie ai finanziamenti) sono le vere protagoniste della bolla speculativa immobiliare degli ultimi anni, delle acquisizioni speculative delle imprese e delle oscillazioni delle borse.
Però adesso il problema è se, dopo aver collocato i loro mezzi in tante operazioni speculative, in questo momento sono in condizione di sopportare una crisi di liquidità finanziaria, una drastica diminuzione della capacità di indebitamento delle famiglie e delle imprese, insolvenze più o meno generalizzate, o l’esplosione di una bolla immobiliare che porterà ad una diminuzione del valore dei loro attivi. Vale a dire se adesso disporranno di mezzi sufficienti per far fronte alle domande di denaro e se avranno a disposizione i mezzi finanziari richiesti dalla vita economica.
Non è azzardato sospettare che questo stia già accadendo e che la grande quantità di liquidità che le banche centrali hanno immesso nel mercato avesse lo scopo di essere un palliativo alle responsabilità delle banche degli ultimi anni.
Di fatto è sorprendente la mancanza di informazione e la mancanza di trasparenza con le quali le autorità economiche gestiscono la crisi. Può essere che quello che sta succedendo sia qualcosa di più che una crisi prodotta da una cattiva gestione del portafoglio dei grandi investitori derivante dai problemi causati dalle ipoteche nelle famiglie, che generano, a loro volta, una crisi di liquidità. Vale a dire che ci troviamo in una crisi che, oltre a questo, colpirà la struttura patrimoniale delle banche, nel qual caso la situazione attuale porterebbe a conseguenze più gravi e di più ampio spettro.
In questo caso saremmo di fronte ad una crisi gravissima che obbligherà (per salvaguardare gli utili e lo status quo delle banche) a stabilire una sorta di “recinto globale” o localizzato secondo come si deciderà, vale a dire, un blocco del denaro depositato nelle banche per favorire (come è stato fatto in Argentina) il recupero dell’insolvenza bancaria.
Come sappiamo il funzionamento degli affari delle banche si basa su di un principio molto semplice: si raccolgono risparmi, se ne tiene da parte una quota per far fronte alle domande di rimborso e con il resto si fanno operazioni redditizie.
Tradizionalmente queste operazioni consistevano nel prestare denaro ad imprenditori che creano beni e servizi oppure a consumatori. Però nell’ultimo decennio l’attività bancaria è cambiata ed è passata principalmente a forme di allocazione del risparmio in operazioni finanziarie speculative.
La conseguenza di tutto questo è lo straordinario aumento dell’instabilità del sistema e del rischio che questo si assume, e la domanda che oggi è inevitabile farsi è se in questa stupida corsa al profitto le banche non siano arrivate al parossismo e al rischio eccessivo.
Questo è un problema che riconoscono persino gli economisti liberali più sensati e coerenti quando criticano l’attuale regime delle banche e propongono un sistema di riserva bancaria al 100% per evitare di arrivare ad un vero e proprio collasso economico.
Come ogni altra questa crisi ha dei chiari danneggiati.
Che è lo stesso che dire che la crisi si paga in termini di impiego, di attività economica e di creazione della ricchezza.
Non tutti perdono con la crisi. Al contrario, da essa escono rinforzate le banche e i grandi possessori di capitali.
Da un lato, occorre tener conto che le banche impiegano solo una piccola parte del proprio patrimonio in titoli rischiosi, in modo che un rialzo dei tassi di interesse si ripercuoterà in modo favorevole nelle sue entrate totali.
Altro effetto della crisi darà che si concentrerà molto di più la proprietà di mezzi economici e finanziari. I grandi immobiliaristi e le banche hanno accumulato centinaia di migliaia di alloggi e di terreni che in gran parte sono stati finanziati gratis grazie alla bolla speculativa che loro stessi hanno contribuito a creare. Alla fine l’effetto della crisi immobiliare, della crisi finanziaria e della crisi dell’economia reale si trasmette, com’è logico, ai guadagni delle imprese e alle quotazioni di borsa delle loro azioni. E anche in questo mercato si producono movimenti massicci di vendita che porteranno i grandi investitori ad approfittarne per accumulare proprietà aziendali, concentrando così il potere nelle grandi banche e nelle grandi imprese sul complesso dell’economia.
È quella che viene chiamata economia finanziarizzata e che è intrinsecamente instabile e propensa a creare crisi.
Al momento si è verificato negli Usa, ma si verificherà anche in altri paesi.
Da un lato ho già detto che la crisi non produce solo danneggiati ma anche grandi e privilegiati beneficiari. Inoltre risulta che è impossibile evitare questo tipo di crisi nel contesto finanziario e globale del capitalismo neoliberale dei nostri giorni. Tutto questo vuol dire che il terreno dove si è sviluppata la crisi attuale non è solo quello dei mutui ipotecari, e che sarà più o meno facile arrestarla a seconda di come funzionerà l’economia capitalista dei nostri giorni nel suo intorno.
di Juan Torres López
27 marzo 2009
Parenti in cattedra, atenei da vergogna
Se in vita vostra avete solo collaborato a un lavoro «scientifico» di una pagina (una!) scritto con altre cinque persone e presentato a un convegno ma mai pubblicato su una rivista internazionale, non disperate: potete sempre vincere un concorso universitario. Basta esser nati sotto la giusta congiunzione astrale. Come successe al «professor » Giovanni Lanteri. Che vinse appunto un posto da «associato» all'Università di Messina presentando 2 pubblicazioni. La prima («Studio preliminare sull'espressione immunoistochimica dell'Eritropoietina... ») fu subito scartata dagli stessi commissari: «Non venga presa in considerazione ai fini della presente valutazione ». La seconda («A new outbreak of photobacteriosis in Sicily») è finita nel fascicolo dell'inchiesta giudiziaria col giudizio del Ministero dell'Università consultato dai magi-strati: «Priva di rigore metodologico. Non è possibile individuare il singolo apporto di ciascuno dei sei autori».
L'episodio, sconcertante, è uno dei tantissimi raccolti da Nino Luca, un collega del «Corriere.it», in un libro appena uscito da Marsilio: Parentopoli. Quando l'università è affare di famiglia. Un reportage durissimo e spassoso su uno degli aspetti più controversi dell'università, quello dei concorsi sospetti. Che troppo spesso finiscono col consegnare la cattedra a mogli, figli, cognati, amici e amici degli amici.
Immaginiamo già l'obiezione: non ci son solo i baroni e le clientele e le apocalittiche classifiche internazionali! Giusto. È vero che la situazione «cambia drasticamente se si concentra l'analisi sulle singole aree disciplinari» (come ricorda Domenico Marinucci, direttore del Dipartimento diMatematica di Tor Vergata, 19˚ in Europa tra le eccellenze del settore e meno afflitto dalla cronica povertà di docenti stranieri), vero che nelle «hit parade» avulse la «Normale » è stabilmente nelle prime venti al mondo, vero che tanti ragazzi usciti dai nostri atenei vanno alla conquista del mondo.
Il reportage di Nino Luca, però, proprio per l'abbondanza di episodi così incredibili da risultare irresistibilmente comici, mette spavento.
A partire dalla disinvolta e allegra spudoratezza con cui tanti rettori irridono alle perplessità di chi non riesce a capacitarsi di come, ad esempio, possano essere circondati da tanti parenti.
Come Gennaro Ferrara, da 22 anni alla guida della Parthenope di Napoli: «Ma lei vuole fare un articolo serio o un articolo scherzoso? No, perché se lei vuole fare un articolo scherzoso, io ci sto». Come mai ha portato con sé all'università la seconda moglie, il di lei fratello, la figlia e i mariti delle due figlie? La risposta: «Se trattiamo “parentopoli” in termini scandalistici non va bene». Poveri figli, poi...«Devono dimostrare ogni giorno di valere...». Alcuni casi raccontati sono noti, come quello d'una torinese bocciata a un concorso che mesi fa si sfogò con «La Stampa» d'esser stata trombata, scusate il bisticcio, perché non aveva «più voluto compiacere sessualmente» il direttore della scuola di specializzazione. O quello della famiglia Massari che «porta l'Università di Bari nel Guinness dei primati» grazie al piazzamento nei dintorni della facoltà di economia di otto-Massari-otto: Antonella, Fabrizio, Francesco Saverio, Gian Siro, Gilberto, Lanfranco, Manuela e Stefania. O quello del preside di Medicina e rettore della «Sapienza» Luigi Frati («Parentopoli? Voi giornalisti sapete fare solo folclore!», ha urlato a Luca), un uomo tutto casa e ufficio dato che nella sua facoltà lavorano la moglie Luciana Angeletti, il figlio Giacomo e la figlia Paola, che nell'aula magna di Patologia ha fatto la festa di nozze.
Altri casi sono meno conosciuti. Come quello di un recentissimo concorso per due posti alla Facoltà di Medicina e Chirurgia della Bicocca di Milano con cinque soli concorrenti tra i quali tre figli (due vittoriosi, ovvio) di docenti della stessa Facoltà di Medicina e Chirurgia. O quello della condanna a un anno di reclusione per abuso d'ufficio (pena sospesa) e a uno d'interdizione dai pubblici uffici (per aver danneggiato la professoressa Antonina Alberti durante un concorso) di Fernanda Caizzi Decleva, moglie del presidente in carica della Crui, la conferenza dei rettori.
La cosa più interessante del reportage, però, al di là della sottolineatura di certe bizzarrie (come quella che riguarda l'ex rettore di Bologna Fabio Roversi Monaco, che ha incassato 11 lauree honoris causa da vari atenei mondiali distribuendone in parallelo 160 a gente varia, da Madre Teresa di Calcutta a Valentino Rossi), sono le chiacchierate tra l'autore e alcuni dei protagonisti del mondo accademico italiano.
Come quella con Augusto Preti, che diventò rettore a Brescia nel lontanissimo 1983, quando erano ancora vivi Garrincha e David Niven, e scherza: «Io sono il potere assoluto». O Pasquale Mistretta, il rettore di Cagliari, secondo il quale «molti figli illustri, proprio a causa dei complessi d'inferiorità verso i padri, a volte si sono smarriti: alcuni sono finiti anche nel tunnel della droga», quindi forse «quando un padre va in pensione, come un tempo succedeva in banca o all'Enel, è logico che ci sia un occhio di riguardo» per i figli.
Il meglio, però, lo dà il professore Giuseppe Nicotina spiegando come il suo Ludovico avesse vinto in solitaria un concorso per ricercatore: «I figli dei docenti sono più bravi perché hanno tutta una "forma mentis" che si crea nell'ambito familiare tipico di noi professori». Insomma: è una questione quasi genetica. Se poi una spintarella aiuta la forma mentis..
di Gian Antonio Stella
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28 marzo 2009
FMI: Il peggio deve ancora venire
Il peggio deve ancora venire. Il Fondo monetario internazionale, che ieri a Washington ha pubblicato i nuovi aggiornamenti della situazione economica internazionale, avverte che «non c´è da illudersi», che «davanti a noi abbiamo ancora tempi molto difficili» e che dunque bisogna agire «con decisione e varare nuove misure di stimolo». Il quadro, già allarmante, viene dipinto con toni ancora più preoccupati dall´Fmi che invita le autorità del globo ad affrontare con decisione il problema della capitalizzazione delle banche (senza escludere le nazionalizzazioni) e a tagliare il nodo degli «asset tossici» prodotti dalla crisi dei mutui subprime. Il panorama delle stime di crescita a livello globale si fa sempre più fosco: è confermato che quest´anno il Pil mondiale per la prima volta in sessant´anni, all´incirca dalla Seconda guerra mondiale, si contrarrà (tra lo 0,5 e l´1,5 per cento) mentre quello delle economie avanzate subirà una riduzione valutata tra i 3 e i 3,5 punti percentuali. Una «crescita graduale» si avrà solo a partire dal prossimo anno.
La situazione dell´Italia non è diversa da quella degli altri paesi, ma i dati sul deficit-Pil, stimato dall´Fmi per il 2009 al 4,8 per cento (5,2 nel 2010), desta particolare allarme per la cronica instabilità dei nostri conti pubblici. L´aggiornamento appesantisce notevolmente le proiezioni del governo che, nel recente Programma di stabilità, prevedeva per quest´anno un deficit-Pil al 3,7 per cento: al disavanzo si aggiunge ora un 0,2 per cento di Pil pari al costo delle misure anticrisi.
Non consola che la media dei deficit dei paesi del G20 arriverà al 5,9 per cento, che la Germania sarà al 4 e la Francia al 6 per cento. Tant´è che il direttore esecutivo dell´Fmi per l´Italia, Arrigo Sadun, ha sentito il bisogno di esprimersi con toni rassicurati: «L´Italia non è a rischio default, siamo meno esposti degli altri alla crisi dei subprime e dei derivati», ha detto ieri a Parigi. Il Fondo dedica anche uno studio al mercato del lavoro italiano giudicato arretrato e urgentemente da riformare.
Quanto agli Stati Uniti, che quest´anno, sempre secondo l´Fmi, vedranno una riduzione del Pil del 2,6 per cento, si cercano con il lanternino alcuni segnali di vitalità dell´economia che marginalmente emergono. E´ il caso dell´indice dell´attività manifatturiere dell´area di Philadelphia, redatto dalla locale Fed, che ha ridotto le perdite: -35 a marzo rispetto a -41,3 a gennaio. Lo stesso vale per il sussidio di disoccupazione: nella settimana terminata il 7 marzo ha raggiunto il record di 5,4 milioni di americani. Tuttavia le richieste in quest´ultima settimana monitorata sono calate: sono state 12 mila in meno.
di Roberto Petrini
La crisi finanziaria... ingrasserà le banche
E’ evidente che la maggior parte dei cittadini si senta confusa di fronte alla crisi che si è scatenata nelle ultime settimane.
In ogni caso, anche se tutti parlano della crisi, ci sono davvero poche idee chiare che permettono ai cittadini di sapere con certezza quello che sta succedendo.
Le questioni che dobbiamo conoscere prima di tutto per comprendere la crisi attuale sono le seguenti.
E’ una crisi derivata dai mutui. All’origine ha preso corpo nel mercato americano dei mutui ipotecari.
In seguito all’enorme espansione del settore immobiliare si generò una massiccia offerta di mutui ipotecari, dei quali quasi un quinto vennero concessi a famiglie che riuscivano appena a pagarli quando i tassi di interessi erano molto bassi.
Quando cominciarono gli aumenti nei tassi di interessi e le rate dei mutui diventarono più care cominciarono anche le insolvenze.
Questo colpì immediatamente le banche che avevano concesso questi prestiti, ma, visto quello che di solito accade con questi crediti inesigibili, la crisi si estese. Le banche, infatti, avevano venduto, a loro volta, i titoli rappresentativi dei crediti ipotecari nei mercati finanziari. Questo è il modo nel quale le banche convertono il debito delle famiglie in un enorme affare perché non solo ricevono il denaro che prestano ma anche gli interessi, fino a quando non ottengono ulteriori guadagni negoziando i titoli di credito.
Si genera un effetto a catena che è quello che provoca l’estensione della crisi.
Quando si sottoscrive un mutuo si crea un titolo finanziario. Le banche statunitensi collocarono nel mercato milioni di questi titoli che furono acquistati da altre banche e da investitori di tutti i paesi.
E’ per questo che quando si è scatenata la crisi dei mutui ipotecari si è innescata anche una crisi finanziaria, visto che le insolvenze crescenti pregiudicano in seguito la sicurezza e la redditività delle grandi banche e dei fondi di investimento internazionali. Quando si vedono le perdite non solo si perde il denaro, ma si disinvestono anche i fondi dai mercati, arrivando al punto di frenare o paralizzare i flussi finanziari internazionali, in maggiore o minore dimensione a seconda della propria partecipazione ai fondi stessi.
Si produce così una crisi di liquidità, non perché manchino i mezzi di pagamento ma perché si preleva troppo denaro e questo accade perché al giorno d’oggi la stragrande maggioranza degli strumenti di pagamento è “fittizia”, vale a dire, carta finanziaria più o meno come i titoli rappresentativi di mutui ipotecari dei quali ho parlato sopra e che sono legati principalmente ad operazioni di carattere speculativo.
Se all’inizio la crisi si scatena nell’ambito dei mutui ipotecari, in quello delle banche o della finanza, in seguito compromette l’economia reale (vale a dire, quella che ha a che vedere con la produzione effettiva di beni e di servizi e non con “carte” finanziarie).
L’impatto di questa crisi sull’economia reale si produce per precisi motivi.
In primo luogo, poiché la crisi dei mutui ipotecari colpisce logicamente in modo diretto il settore immobiliare che, come si sa, è stato uno dei motivi principali dello sviluppo economico negli ultimi anni.
La crisi dei mutui ipotecari porterà senza dubbio a licenziamenti non solo nel settore delle costruzioni, ma anche nelle attività che sono in relazione con il settore immobiliare. In secondo luogo, quando si profila una crisi le banche e gli investitori reagiscono, come ho detto, ritirando i propri fondi dal mercato e generando una carenza di liquidità. La spesa totale ne risente e, di conseguenza, l’insieme delle attività economiche “reali”.
In terzo luogo, e come corollario a quanto già detto, le banche centrali si trovano di fronte ad un dilemma perverso: da una parte quello che fanno (e che hanno fatto) è mettere a disposizione delle banche centinaia di migliaia di milioni di dollari (con una generosità che manca loro quando vengono colpite dalla crisi le persone e le zone meno fortunate del pianeta). Quello che fanno le banche centrali è di incentivare i possessori di risorse finanziarie al fine di far collocare nei mercati le risorse che questi hanno prelevato. Innanzitutto si arricchiscono così i proprietari del capitale che svolgono un’attività finanziaria e in secondo luogo contribuisce alla riduzione degli investimenti e dei consumi, deteriorando, come ho già detto, l’attività economica nel suo complesso.
Di fatto, è probabile che quello che sta succedendo sia che molte di queste banche non sappiano nemmeno con sicurezza fino a che punto siano coinvolte con la crisi. Gli investimenti che realizzano nei mercati finanziari sono come dei castelli di carte, una sull’altra e con struttura piramidale, fatte in modo che il detentore finale del titolo non sappia bene quale sia l’operazione finanziaria originaria che ha creato il titolo che lui adesso sta comprando o cercando di vendere, operazione che le nuove tecnologie permettono di realizzare in modo veloce e anonimo.
Le banche (e in generale i grandi detentori di mezzi finanziari) si sono trasformate nell’asse attorno al quale gira la vita economica. Direttamente o indirettamente (grazie ai finanziamenti) sono le vere protagoniste della bolla speculativa immobiliare degli ultimi anni, delle acquisizioni speculative delle imprese e delle oscillazioni delle borse.
Però adesso il problema è se, dopo aver collocato i loro mezzi in tante operazioni speculative, in questo momento sono in condizione di sopportare una crisi di liquidità finanziaria, una drastica diminuzione della capacità di indebitamento delle famiglie e delle imprese, insolvenze più o meno generalizzate, o l’esplosione di una bolla immobiliare che porterà ad una diminuzione del valore dei loro attivi. Vale a dire se adesso disporranno di mezzi sufficienti per far fronte alle domande di denaro e se avranno a disposizione i mezzi finanziari richiesti dalla vita economica.
Non è azzardato sospettare che questo stia già accadendo e che la grande quantità di liquidità che le banche centrali hanno immesso nel mercato avesse lo scopo di essere un palliativo alle responsabilità delle banche degli ultimi anni.
Di fatto è sorprendente la mancanza di informazione e la mancanza di trasparenza con le quali le autorità economiche gestiscono la crisi. Può essere che quello che sta succedendo sia qualcosa di più che una crisi prodotta da una cattiva gestione del portafoglio dei grandi investitori derivante dai problemi causati dalle ipoteche nelle famiglie, che generano, a loro volta, una crisi di liquidità. Vale a dire che ci troviamo in una crisi che, oltre a questo, colpirà la struttura patrimoniale delle banche, nel qual caso la situazione attuale porterebbe a conseguenze più gravi e di più ampio spettro.
In questo caso saremmo di fronte ad una crisi gravissima che obbligherà (per salvaguardare gli utili e lo status quo delle banche) a stabilire una sorta di “recinto globale” o localizzato secondo come si deciderà, vale a dire, un blocco del denaro depositato nelle banche per favorire (come è stato fatto in Argentina) il recupero dell’insolvenza bancaria.
Come sappiamo il funzionamento degli affari delle banche si basa su di un principio molto semplice: si raccolgono risparmi, se ne tiene da parte una quota per far fronte alle domande di rimborso e con il resto si fanno operazioni redditizie.
Tradizionalmente queste operazioni consistevano nel prestare denaro ad imprenditori che creano beni e servizi oppure a consumatori. Però nell’ultimo decennio l’attività bancaria è cambiata ed è passata principalmente a forme di allocazione del risparmio in operazioni finanziarie speculative.
La conseguenza di tutto questo è lo straordinario aumento dell’instabilità del sistema e del rischio che questo si assume, e la domanda che oggi è inevitabile farsi è se in questa stupida corsa al profitto le banche non siano arrivate al parossismo e al rischio eccessivo.
Questo è un problema che riconoscono persino gli economisti liberali più sensati e coerenti quando criticano l’attuale regime delle banche e propongono un sistema di riserva bancaria al 100% per evitare di arrivare ad un vero e proprio collasso economico.
Come ogni altra questa crisi ha dei chiari danneggiati.
Che è lo stesso che dire che la crisi si paga in termini di impiego, di attività economica e di creazione della ricchezza.
Non tutti perdono con la crisi. Al contrario, da essa escono rinforzate le banche e i grandi possessori di capitali.
Da un lato, occorre tener conto che le banche impiegano solo una piccola parte del proprio patrimonio in titoli rischiosi, in modo che un rialzo dei tassi di interesse si ripercuoterà in modo favorevole nelle sue entrate totali.
Altro effetto della crisi darà che si concentrerà molto di più la proprietà di mezzi economici e finanziari. I grandi immobiliaristi e le banche hanno accumulato centinaia di migliaia di alloggi e di terreni che in gran parte sono stati finanziati gratis grazie alla bolla speculativa che loro stessi hanno contribuito a creare. Alla fine l’effetto della crisi immobiliare, della crisi finanziaria e della crisi dell’economia reale si trasmette, com’è logico, ai guadagni delle imprese e alle quotazioni di borsa delle loro azioni. E anche in questo mercato si producono movimenti massicci di vendita che porteranno i grandi investitori ad approfittarne per accumulare proprietà aziendali, concentrando così il potere nelle grandi banche e nelle grandi imprese sul complesso dell’economia.
È quella che viene chiamata economia finanziarizzata e che è intrinsecamente instabile e propensa a creare crisi.
Al momento si è verificato negli Usa, ma si verificherà anche in altri paesi.
Da un lato ho già detto che la crisi non produce solo danneggiati ma anche grandi e privilegiati beneficiari. Inoltre risulta che è impossibile evitare questo tipo di crisi nel contesto finanziario e globale del capitalismo neoliberale dei nostri giorni. Tutto questo vuol dire che il terreno dove si è sviluppata la crisi attuale non è solo quello dei mutui ipotecari, e che sarà più o meno facile arrestarla a seconda di come funzionerà l’economia capitalista dei nostri giorni nel suo intorno.
di Juan Torres López
27 marzo 2009
Parenti in cattedra, atenei da vergogna
Se in vita vostra avete solo collaborato a un lavoro «scientifico» di una pagina (una!) scritto con altre cinque persone e presentato a un convegno ma mai pubblicato su una rivista internazionale, non disperate: potete sempre vincere un concorso universitario. Basta esser nati sotto la giusta congiunzione astrale. Come successe al «professor » Giovanni Lanteri. Che vinse appunto un posto da «associato» all'Università di Messina presentando 2 pubblicazioni. La prima («Studio preliminare sull'espressione immunoistochimica dell'Eritropoietina... ») fu subito scartata dagli stessi commissari: «Non venga presa in considerazione ai fini della presente valutazione ». La seconda («A new outbreak of photobacteriosis in Sicily») è finita nel fascicolo dell'inchiesta giudiziaria col giudizio del Ministero dell'Università consultato dai magi-strati: «Priva di rigore metodologico. Non è possibile individuare il singolo apporto di ciascuno dei sei autori».
L'episodio, sconcertante, è uno dei tantissimi raccolti da Nino Luca, un collega del «Corriere.it», in un libro appena uscito da Marsilio: Parentopoli. Quando l'università è affare di famiglia. Un reportage durissimo e spassoso su uno degli aspetti più controversi dell'università, quello dei concorsi sospetti. Che troppo spesso finiscono col consegnare la cattedra a mogli, figli, cognati, amici e amici degli amici.
Immaginiamo già l'obiezione: non ci son solo i baroni e le clientele e le apocalittiche classifiche internazionali! Giusto. È vero che la situazione «cambia drasticamente se si concentra l'analisi sulle singole aree disciplinari» (come ricorda Domenico Marinucci, direttore del Dipartimento diMatematica di Tor Vergata, 19˚ in Europa tra le eccellenze del settore e meno afflitto dalla cronica povertà di docenti stranieri), vero che nelle «hit parade» avulse la «Normale » è stabilmente nelle prime venti al mondo, vero che tanti ragazzi usciti dai nostri atenei vanno alla conquista del mondo.
Il reportage di Nino Luca, però, proprio per l'abbondanza di episodi così incredibili da risultare irresistibilmente comici, mette spavento.
A partire dalla disinvolta e allegra spudoratezza con cui tanti rettori irridono alle perplessità di chi non riesce a capacitarsi di come, ad esempio, possano essere circondati da tanti parenti.
Come Gennaro Ferrara, da 22 anni alla guida della Parthenope di Napoli: «Ma lei vuole fare un articolo serio o un articolo scherzoso? No, perché se lei vuole fare un articolo scherzoso, io ci sto». Come mai ha portato con sé all'università la seconda moglie, il di lei fratello, la figlia e i mariti delle due figlie? La risposta: «Se trattiamo “parentopoli” in termini scandalistici non va bene». Poveri figli, poi...«Devono dimostrare ogni giorno di valere...». Alcuni casi raccontati sono noti, come quello d'una torinese bocciata a un concorso che mesi fa si sfogò con «La Stampa» d'esser stata trombata, scusate il bisticcio, perché non aveva «più voluto compiacere sessualmente» il direttore della scuola di specializzazione. O quello della famiglia Massari che «porta l'Università di Bari nel Guinness dei primati» grazie al piazzamento nei dintorni della facoltà di economia di otto-Massari-otto: Antonella, Fabrizio, Francesco Saverio, Gian Siro, Gilberto, Lanfranco, Manuela e Stefania. O quello del preside di Medicina e rettore della «Sapienza» Luigi Frati («Parentopoli? Voi giornalisti sapete fare solo folclore!», ha urlato a Luca), un uomo tutto casa e ufficio dato che nella sua facoltà lavorano la moglie Luciana Angeletti, il figlio Giacomo e la figlia Paola, che nell'aula magna di Patologia ha fatto la festa di nozze.
Altri casi sono meno conosciuti. Come quello di un recentissimo concorso per due posti alla Facoltà di Medicina e Chirurgia della Bicocca di Milano con cinque soli concorrenti tra i quali tre figli (due vittoriosi, ovvio) di docenti della stessa Facoltà di Medicina e Chirurgia. O quello della condanna a un anno di reclusione per abuso d'ufficio (pena sospesa) e a uno d'interdizione dai pubblici uffici (per aver danneggiato la professoressa Antonina Alberti durante un concorso) di Fernanda Caizzi Decleva, moglie del presidente in carica della Crui, la conferenza dei rettori.
La cosa più interessante del reportage, però, al di là della sottolineatura di certe bizzarrie (come quella che riguarda l'ex rettore di Bologna Fabio Roversi Monaco, che ha incassato 11 lauree honoris causa da vari atenei mondiali distribuendone in parallelo 160 a gente varia, da Madre Teresa di Calcutta a Valentino Rossi), sono le chiacchierate tra l'autore e alcuni dei protagonisti del mondo accademico italiano.
Come quella con Augusto Preti, che diventò rettore a Brescia nel lontanissimo 1983, quando erano ancora vivi Garrincha e David Niven, e scherza: «Io sono il potere assoluto». O Pasquale Mistretta, il rettore di Cagliari, secondo il quale «molti figli illustri, proprio a causa dei complessi d'inferiorità verso i padri, a volte si sono smarriti: alcuni sono finiti anche nel tunnel della droga», quindi forse «quando un padre va in pensione, come un tempo succedeva in banca o all'Enel, è logico che ci sia un occhio di riguardo» per i figli.
Il meglio, però, lo dà il professore Giuseppe Nicotina spiegando come il suo Ludovico avesse vinto in solitaria un concorso per ricercatore: «I figli dei docenti sono più bravi perché hanno tutta una "forma mentis" che si crea nell'ambito familiare tipico di noi professori». Insomma: è una questione quasi genetica. Se poi una spintarella aiuta la forma mentis..
di Gian Antonio Stella
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