19 aprile 2009

Il declino dell'impero statunitense

penta300

Potrebbe non essere percepito come ovvio al giorno d'oggi, sicuramente per via del modo in cui i media riportano la situazione, ma il 13 marzo 2009 sarà molto probabilmente visto dai futuri storici come l'inizio di un inesorabile declino dell'imperialismo statunitense. In questo giorno il premier cinese Wen Jiabao annuncia la preoccupazione da parte del suo paese per l'oltre 1 miliardo di dollari di azioni in titoli del tesoro statunitense e chiede che gli Stati Uniti garantiscano alla Cina il mantenimento del credito e che vengano “onorate le promesse”, e pretende di essere rassicurato a proposito della “sicurezza degli asset cinesi”.

Non c'è modo per cui gli Stati Uniti possano accontentare il Premier Wen e continuare a finanziare e a mantenere operativo un sistema militare globale con più di 1000 basi oltreoceano, enormi gruppi tattici di portaerei e con centinaia di migliaia di uomini e donne armati fino ai denti con le ultime attrezzature militari più high-tech. Tutto questo senza menzionare le guerre senza fine che, da tempo, porta avanti dall'altra parte del globo.

La Cina sta togliendo il terreno da sotto ai piedi del dominio globale militare statunitense durato sei decadi. Non è una coincidenza che il weekend precedente all'affermazione fatta da Wen, un vascello cinese abbia aggredito la "Impeccable", una nave dell'intelligence statunitense che operava nel mare a sud della Cina.

La minaccia implicita nel commento apparentemente moderato di Wen è che se gli Stati Uniti non dovessero riuscire a dare un taglio alla loro spesa in disavanzo, rimettendo in sesto la situazione economica (il che significherebbe ridurre drasticamente la qualità della vita americana e diminuire le esorbitanti spese militari) la Cina taglierebbe semplicemente i finanziamenti al disavanzo americano, forniti con l'acquisto di Titoli di Stato statunitensi, un'azione che di per sé causerebbe il collasso del dollaro e di ciò che rimane dell'economia statunitense.

Il declino economico e militare degli Stati Uniti non è certo una cosa che può verificarsi dal giorno alla notte, poiché la Cina deve continuare a vendere la sua manodopera al mercato statunitense (il più esteso al mondo) e per farlo, deve continuare a ri-immettere i dollari spesi in beni di manifattura cinese sul mercato statunitense, il che finora si è tradotto con l'acquisto di titoli del debito pubblico.

Tra gli altri modi per riciclare i dollari verso il mercato statunitense vi è l'investimento in asset propri degli Stati Uniti. Finora, la Cina ha fatto ciò cautamente, anche per evitare l'insorgere di complicanze di ordine politico all'interno degli Stati Uniti. L'acquisto di titoli di capitale è sempre avvenuto tramite l'acquisizione di partecipazioni minoritarie, come è successo nel caso della Blackstone Group, una società di private equity. Ma se la Cina decidesse di smettere di finanziare l'enorme disavanzo statunitense, le cose potrebbero cambiare. La Cina potrebbe decidere di lasciar scendere il dollaro per avvantaggiarsi della caduta del valore degli asset statunitensi e iniziare a comprare gli Stati Uniti a poco prezzo.

Si parla già di compagnie automobilistiche cinesi che acquisiranno General Motors e Chrysler, e perché no? Potrebbero ottenere queste aziende, per non parlare della maggior parte delle banche nazionali, attualmente acquistabili per quattro soldi. Ma la Cina non ha nessun obbligo di limitarsi (né lo farebbe) a comprare compagnie morenti, ma potrebbe tranquillamente concedersi General Electric, Boeing e IBM, asset in agricoltura e miniere, compagnie petrolifere e giacimenti di petrolio.

Infatti, la Cina ha usato le sue riserve di valuta in Dollari e Euro, ottenute col surplus commerciale, per mettersi sotto chiave convenienti contratti a lungo termine per quanto riguarda il petrolio e altri beni critici. Questo non è che l'inizio. Sarebbe ironico e incredibilmente stupido se gli Stati Uniti dopo aver speso diverse centinaia di miliardi di dollari in prestiti, (che diventerebbero poi 3000 miliardi di dollari se considerassimo gli interessi maturati) lo avessero fatto solo per ottenere la conquista e il controllo dell'Iraq, con l'obiettivo di garantirsi il controllo del petrolio, dal momento che la Cina ha ottenuto gli stessi fini in maniera molto più pacifica e molto più economica, semplicemente comprando a mano a mano i contratti forniti.

E' plausibile oltretutto che l'India, la cui economia è anche più solida di quella cinese al momento, faccia lo stesso. Ne risulterebbe un vasto e permanente indebolimento degli Stati Uniti, poiché è inevitabile che l'economia di questa federazione diventi sempre più subordinata agli interessi dei suoi nuovi proprietari.

Vi è un'ironia deliziosa in tutto ciò, poiché gli Stati Uniti hanno fatto esattamente lo stesso per decenni con tutti i paesi in via di sviluppo di cui hanno comprato le industrie e le risorse, manipolandone e controllandone i sistemi politici a loro vantaggio e piacimento, sempre col supporto, e quando ritenuto opportuno, l'uso minaccioso della sua potenza militare.

Ora, quelli che una volta erano i potenti Stati Uniti (ricordate il “world’s lone superpower” di Dick Cheney e il “New World Order” di George H.W. Bush?), adesso si ritrovano a implorare le Cina di lasciare in pace le loro navi da guerra, ridotti a un mendicare privi di ogni dignità, come esternato da una delle prime dichiarazioni di Hillary Clinton in veste di Segretaria di Stato in cui chiedeva alla Cina di continuare a comprare i titoli statunitensi.

Dal punto di vista della maggioranza della popolazione mondiale, che ha vissuto per troppo tempo sotto la dittatura statunitense, questo è tutto positivo, ma costringere la "nuova Roma" a ritirarsi all'interno dei suoi stessi confini, potrebbe risultare positivo anche per noi, cittadini americani, che abbiamo sempre dovuto pagare per tutte queste avventure militari in nome dell'impero e del profitto aziendale, con il nostro sangue e le nostre tasse.

Il nostro problema, comunque, è che tutte queste meritate rivalse militari ed economiche saranno accompagnate da un'amara dose di realtà quotidiana che vedrà il livello della nostra qualità della vita scemare. Finché Cina, India e tutti i paesi produttori di petrolio hanno voluto acquistare Titoli di Stato americani per finanziare tutti i nostri eccessi multi-generazionali, è stato possibile per il governo statunitense continuare a mantenere tutti noi cittadini grassi e felici, creando una serie di bolle economiche, alzando i nostri salari e il valore delle nostre case a livelli assurdi, mentre i tassi d'interesse rimanevano rassicurantemente bassi e il Dollaro, valuta di riserva del mondo, rimaneva abbastanza alto da permetterci di continuare a comprare i beni la cui produzione veniva progressivamente spostata oltroceano.

Improvvisamente però, con questa breve asserzione, il Premier cinese Wen ha reso evidente quanto non siano più gli Stati Uniti a tenere le redini. Nessuno lo dice forte qui in America ma, dietro le quinte, è palese quanto la politica economica statunitense sarà dettata d'ora in poi dai governi con sede a Pechino, Tokyo, Nuova Delhi e Brasilia. Gli stessi posti che avranno sempre più potere decisionale sulle modalità e sull'eventualità dell'uso del nostro, un tempo "magno", potere militare.

Considerata la storia del nostro secondo dopoguerra, non può essere una cosa negativa.

Dave Lindorff è un giornalista e colonnista di Philadelphia. Il suo ultimo libro è: "The Case for Impeachment" (St. Martin's Press, 2006, ora disponibile in edizione tascabile). Contatto: dlindorff@mindspring.com

18 aprile 2009

L'oppio dell'ottimismo



In un controeditoriale pubblicato sul New York Times (16 ottobre 1998), il direttore del Trends Research Institute Gerald Celente predisse che l'intervento governativo per salvare “le società private considerate ‘troppo grandi per fallire’” avrebbe causato la fine del capitalismo di libero mercato.

Allora egli lo definì “Capitalismo per Codardi” (cliccare qui per leggere l'articolo).

Ora lo si chiama programmi di stimolo e operazioni di salvataggio.

Allora, il signor Celente avvertì che le ricapitalizzazioni non avrebbero funzionato.

Oggi, il signor Celente ripete lo stesso avvertimento… Continuano a non funzionare.

Allora, il governo annunciò che se non si fosse salvato il fondo speculativo Long Term Capital Management, i mercati finanziari globali sarebbero implosi.

Nella foto: Gerard Celente

Oggi, con i mercati che implodono, il governo avverte che se non si salvano certe banche, società finanziarie per l'intermediazione in titoli, società leverage buy-out, compagnie assicurative ecc., l'economia globale è destinata a collassare.

Allora, il signor Gerald Celente fornì una precisa previsione: “Il contagio globale potrebbe essere soppresso temporaneamente a forza di dosi di amoxicillina monetaria, ma quando si verificherà una nuova epidemia, sarà un ceppo resistente alle ricapitalizzazioni e molto più virulento”.

Il contagio globale è stato soppresso, la nuova epidemia si è verificata, e il più virulento dei ceppi incombe su di noi. E, come predisse il signor Celente, sta dando prova di essere resistente alle ricapitalizzazioni.

Oggi, il signor Celente prevede che non vi sia quantità di amoxicillina monetaria che possa curare il virus che si diffonde.

Avvertimento Trend #1: Ciò che il governo sta promuovendo oggi è già stato tentato. Non ha funzionato in passato, e non funzionerà neppure ora.

Dopo il summit del G-20, Barack Obama, pur ammettendo che non esiste garanzia di successo, ha dichiarato, “comunque non ho alcun dubbio sul fatto che le misure adottate siano cruciali per evitare il nostro scivolamento verso la depressione”.

Se il Presidente Obama non è in grado di dare garanzie, come può “non avere alcun dubbio”? Per di più, tutte le ricapitalizzazioni, le operazioni di salvataggio e i piani di stimolo che egli ha sostenuto e/o avviato fino ad ora hanno già fallito. E poiché i piani nuovi non sono che variazioni di politiche già tentate, collaudate e fallite, sono anch'essi destinati a fallire. Il G-20 non sarà “una svolta” e mentre le misure adottate potranno forse rallentare il nostro scivolamento verso la depressione, di certo non lo eviteranno.

Avvertimento Trend #2: Non ci si faccia sedurre dai picchi del mercato azionario o dagli aumenti negli indicatori economici anticipati. Si sia particolarmente diffidenti nei confronti di quei venditori che sostengono che i mercati hanno raggiunto il fondo e verso i titoli dei giornali che insinuano che il peggio è passato (“Car sales not as horrid in March” – 'Vendite auto meno orrende che a marzo' e “Investors jump on good financial news” – 'Gli investitori colgono al balzo le buone notizie economiche' su USA Today del 2 aprile 2009).

A guardar bene, quelle che sono vendute come “buone notizie economiche” sono solo notizie leggermente meno lugubri di quanto non ci si aspettasse. Ciò nonostante, agli insider e ai giocatori professionisti si presenterà una qualche possibilità di cavalcare le onde del mercato.

Potrebbero inoltre esserci fugaci opportunità di vendita in seguito alle recenti modifiche dei principi contabili grazie alle quali le banche stesse possono stabilire il prezzo degli elementi patrimoniali a prescindere dal valore di mercato, riducendo quindi drasticamente le proprie perdite. Non è una misura per la ripresa. In effetti, questa decisione del Financial Accounting Standards Board (FASB – il comitato statunitense per i principi contabili), poco evidenziata dai media, è un imbroglio contabile, una capitolazione che permette alle banche di stabilire il valore delle proprie attività tossiche.

Pornografia del pessimismo

Nel 1998, il signor Gerald Celente era virtualmente da solo quando prevedeva sia l'aumento dell'intervento governativo, sia il suo inevitabile fallimento e le sue ripercussioni catastrofiche. Nel mezzo dell'euforia delle società Dot-com, con i mercati che volavano alti, la creazione di fortune e la pandemia di ottimismo, qualsiasi visione negativa veniva ignorata o scrollata via come tetra e rovinosa. Oggi, in un momento in cui ogni elemento di quella previsione vecchia di dieci anni è una realtà quotidiana che occupa i titoli dei giornali di tutto il mondo, la mancata attenzione è stata sostituita dalla derisione. Non essendo più in grado di metterti da parte, ti attaccano. Prima erano i pagliacci televisivi, ora sono commentatori similmente non qualificati. Essi stessi riluttanti ad affrontare realtà inesorabili, cercano di deflettere l'attenzione del pubblico da scomode realtà a fine men che lieto. Nel suo controeditoriale sul New York Times, Ben Schott, dopo aver citato Celente per aver correttamente previsto “La crisi asiatica ed altre calamità”, schernisce le di lui attuali predizioni definendole “Pornografia del pessimismo” (NYT, 26 marzo 2009).

Il signor Schott è presumibilmente più a suo agio con le esortazioni a Speranza, Fiducia e Ottimismo partorite dal Confidence Man al comando e dalla sua squadra di sostenitori. Ma se noi siamo fornitori di “pornografia del pessimismo”, la mercanzia di Schott & Co. è “oppio dell'ottimismo”.

Questa perniciosa panacea anestetizza il pubblico. “L'oppio dell'ottimismo” lenisce il dolore – posti di lavoro perduti, preclusione dal mercato, rovina finanziaria – diminuisce l'ansia, riduce la vigilanza, compromette la coordinazione e provoca grave assuefazione. L'uso reiterato o cronico causa deterioramento mentale. L'overdose può portare a stordimento, coma e decesso.

L'America sta affrontando una crisi che è molto più che economica. Le implicazioni sono di enorme rilievo. Siamo testimoni del declino dell'Impero America.

Gerald Celente

14 aprile 2009

La lezione abruzzese

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Molte volte non sono d'accordo con l'autore di questo articolo ma, adesso, in questo momento le sue parole, sono l'espressione delle mie idee.Non è il momento, adesso, di fare polemiche sulla tragedia. Poi, ho molte cose da dire a Bertolaso e Barberi. Conosco bene l'argomento terremoti e, in questo momento, anche da abruzzese, verrà il momento. I nodi vengono al pettine. Per il momento, aiutiamoli tutti, stronchiamo gli sciacalli e, cominciamo ad usare un metodo legale di riferimento.




C’è una lezione abruzzese da segnalare: l’Italia politica sta faticosamente imparando a distinguere i compiti fondamentali in cui unirsi dai temi, non meno importanti, in cui è democraticamente vitale dividersi. La maggioranza e l’opposizione stanno recitando un ruolo inedito. Hanno capito, tra le macerie e le innumerevoli vittime dell’Abruzzo, che sulle emergenze nazionali non deve avere spazio l’isteria di uno scontro primitivo.

Il governo si muove con sollecitudine, ma non chiude le porte al sostegno dell’opposizione. Il Pd non usa propagandisticamente il disastro e partecipa fattivamente ai soccorsi. Nelle stesse ore, su un tema diverso come la sicurezza e la proposta delle ronde di volontari, maggioranza e opposizione si combattono invece a viso aperto. La tragedia rinsalda l’unità nazionale. Ma la politica non va in letargo, rivendica quanto c’è di sano nel conflitto democratico. Le polemiche non mancheranno, ma a tempo debito. Ci si deve interrogare sulla sconcertante fragilità di un ospedale ridotto in frantumi dalla potenza del terremoto.

Bisognerà capire se le leggi che impongono la costruzione di edifici anti-sismici sono state osservate nel corso degli anni. Ci saranno idee, ipotesi di ricostruzione, tempi da rispettare su cui è giusto che l’opposizione vigili, critichi, stimoli chi ha responsabilità di governo. Ma è un bene che lo Stato faccia fisicamente sentire la sua presenza, e che le opere di soccorso siano accompagnate dall’impegno diretto, efficace e non formale del governo. Ed è un bene che, se l’opposizione giudica positivamente l’atteggiamento di chi governa, non debba essere costretta a nasconderlo in omaggio alla retorica dello scontro totale e del non riconoscimento della reciproca legittimità.

Tutto questo sarebbe normale nelle democrazie più solide: nessuno trovò disdicevole che l’America si fosse unita sotto la stessa bandiera, attorno al governo e ai pompieri di New York nei giorni successivi all’11 settembre. In Italia, invece, questo spettacolo di unità e di coesione nel momento della tragedia nazionale è sorprendente perché inconsueto. Una coesione che però non ha paralizzato il Parlamento, non ha svuotato l’opposizione al punto da indurla a rinunciare alla sua legittima battaglia sui temi della sicurezza dei cittadini.

Uniti sulla tragedia abruzzese. Divisi, vivacemente polemici, conflittuali e senza ricatti unanimistici sulle materie su cui non può essere invocata l’unanimità. Una novità che ovviamente non consola e non risarcisce chi ha perso tutto nel terremoto. Ma restituisce una dignità allo Stato che interviene a tutela dei suoi cittadini. Una prova di serietà e di affidabilità, almeno per una volta.

di Pier Luigi Battista

19 aprile 2009

Il declino dell'impero statunitense

penta300

Potrebbe non essere percepito come ovvio al giorno d'oggi, sicuramente per via del modo in cui i media riportano la situazione, ma il 13 marzo 2009 sarà molto probabilmente visto dai futuri storici come l'inizio di un inesorabile declino dell'imperialismo statunitense. In questo giorno il premier cinese Wen Jiabao annuncia la preoccupazione da parte del suo paese per l'oltre 1 miliardo di dollari di azioni in titoli del tesoro statunitense e chiede che gli Stati Uniti garantiscano alla Cina il mantenimento del credito e che vengano “onorate le promesse”, e pretende di essere rassicurato a proposito della “sicurezza degli asset cinesi”.

Non c'è modo per cui gli Stati Uniti possano accontentare il Premier Wen e continuare a finanziare e a mantenere operativo un sistema militare globale con più di 1000 basi oltreoceano, enormi gruppi tattici di portaerei e con centinaia di migliaia di uomini e donne armati fino ai denti con le ultime attrezzature militari più high-tech. Tutto questo senza menzionare le guerre senza fine che, da tempo, porta avanti dall'altra parte del globo.

La Cina sta togliendo il terreno da sotto ai piedi del dominio globale militare statunitense durato sei decadi. Non è una coincidenza che il weekend precedente all'affermazione fatta da Wen, un vascello cinese abbia aggredito la "Impeccable", una nave dell'intelligence statunitense che operava nel mare a sud della Cina.

La minaccia implicita nel commento apparentemente moderato di Wen è che se gli Stati Uniti non dovessero riuscire a dare un taglio alla loro spesa in disavanzo, rimettendo in sesto la situazione economica (il che significherebbe ridurre drasticamente la qualità della vita americana e diminuire le esorbitanti spese militari) la Cina taglierebbe semplicemente i finanziamenti al disavanzo americano, forniti con l'acquisto di Titoli di Stato statunitensi, un'azione che di per sé causerebbe il collasso del dollaro e di ciò che rimane dell'economia statunitense.

Il declino economico e militare degli Stati Uniti non è certo una cosa che può verificarsi dal giorno alla notte, poiché la Cina deve continuare a vendere la sua manodopera al mercato statunitense (il più esteso al mondo) e per farlo, deve continuare a ri-immettere i dollari spesi in beni di manifattura cinese sul mercato statunitense, il che finora si è tradotto con l'acquisto di titoli del debito pubblico.

Tra gli altri modi per riciclare i dollari verso il mercato statunitense vi è l'investimento in asset propri degli Stati Uniti. Finora, la Cina ha fatto ciò cautamente, anche per evitare l'insorgere di complicanze di ordine politico all'interno degli Stati Uniti. L'acquisto di titoli di capitale è sempre avvenuto tramite l'acquisizione di partecipazioni minoritarie, come è successo nel caso della Blackstone Group, una società di private equity. Ma se la Cina decidesse di smettere di finanziare l'enorme disavanzo statunitense, le cose potrebbero cambiare. La Cina potrebbe decidere di lasciar scendere il dollaro per avvantaggiarsi della caduta del valore degli asset statunitensi e iniziare a comprare gli Stati Uniti a poco prezzo.

Si parla già di compagnie automobilistiche cinesi che acquisiranno General Motors e Chrysler, e perché no? Potrebbero ottenere queste aziende, per non parlare della maggior parte delle banche nazionali, attualmente acquistabili per quattro soldi. Ma la Cina non ha nessun obbligo di limitarsi (né lo farebbe) a comprare compagnie morenti, ma potrebbe tranquillamente concedersi General Electric, Boeing e IBM, asset in agricoltura e miniere, compagnie petrolifere e giacimenti di petrolio.

Infatti, la Cina ha usato le sue riserve di valuta in Dollari e Euro, ottenute col surplus commerciale, per mettersi sotto chiave convenienti contratti a lungo termine per quanto riguarda il petrolio e altri beni critici. Questo non è che l'inizio. Sarebbe ironico e incredibilmente stupido se gli Stati Uniti dopo aver speso diverse centinaia di miliardi di dollari in prestiti, (che diventerebbero poi 3000 miliardi di dollari se considerassimo gli interessi maturati) lo avessero fatto solo per ottenere la conquista e il controllo dell'Iraq, con l'obiettivo di garantirsi il controllo del petrolio, dal momento che la Cina ha ottenuto gli stessi fini in maniera molto più pacifica e molto più economica, semplicemente comprando a mano a mano i contratti forniti.

E' plausibile oltretutto che l'India, la cui economia è anche più solida di quella cinese al momento, faccia lo stesso. Ne risulterebbe un vasto e permanente indebolimento degli Stati Uniti, poiché è inevitabile che l'economia di questa federazione diventi sempre più subordinata agli interessi dei suoi nuovi proprietari.

Vi è un'ironia deliziosa in tutto ciò, poiché gli Stati Uniti hanno fatto esattamente lo stesso per decenni con tutti i paesi in via di sviluppo di cui hanno comprato le industrie e le risorse, manipolandone e controllandone i sistemi politici a loro vantaggio e piacimento, sempre col supporto, e quando ritenuto opportuno, l'uso minaccioso della sua potenza militare.

Ora, quelli che una volta erano i potenti Stati Uniti (ricordate il “world’s lone superpower” di Dick Cheney e il “New World Order” di George H.W. Bush?), adesso si ritrovano a implorare le Cina di lasciare in pace le loro navi da guerra, ridotti a un mendicare privi di ogni dignità, come esternato da una delle prime dichiarazioni di Hillary Clinton in veste di Segretaria di Stato in cui chiedeva alla Cina di continuare a comprare i titoli statunitensi.

Dal punto di vista della maggioranza della popolazione mondiale, che ha vissuto per troppo tempo sotto la dittatura statunitense, questo è tutto positivo, ma costringere la "nuova Roma" a ritirarsi all'interno dei suoi stessi confini, potrebbe risultare positivo anche per noi, cittadini americani, che abbiamo sempre dovuto pagare per tutte queste avventure militari in nome dell'impero e del profitto aziendale, con il nostro sangue e le nostre tasse.

Il nostro problema, comunque, è che tutte queste meritate rivalse militari ed economiche saranno accompagnate da un'amara dose di realtà quotidiana che vedrà il livello della nostra qualità della vita scemare. Finché Cina, India e tutti i paesi produttori di petrolio hanno voluto acquistare Titoli di Stato americani per finanziare tutti i nostri eccessi multi-generazionali, è stato possibile per il governo statunitense continuare a mantenere tutti noi cittadini grassi e felici, creando una serie di bolle economiche, alzando i nostri salari e il valore delle nostre case a livelli assurdi, mentre i tassi d'interesse rimanevano rassicurantemente bassi e il Dollaro, valuta di riserva del mondo, rimaneva abbastanza alto da permetterci di continuare a comprare i beni la cui produzione veniva progressivamente spostata oltroceano.

Improvvisamente però, con questa breve asserzione, il Premier cinese Wen ha reso evidente quanto non siano più gli Stati Uniti a tenere le redini. Nessuno lo dice forte qui in America ma, dietro le quinte, è palese quanto la politica economica statunitense sarà dettata d'ora in poi dai governi con sede a Pechino, Tokyo, Nuova Delhi e Brasilia. Gli stessi posti che avranno sempre più potere decisionale sulle modalità e sull'eventualità dell'uso del nostro, un tempo "magno", potere militare.

Considerata la storia del nostro secondo dopoguerra, non può essere una cosa negativa.

Dave Lindorff è un giornalista e colonnista di Philadelphia. Il suo ultimo libro è: "The Case for Impeachment" (St. Martin's Press, 2006, ora disponibile in edizione tascabile). Contatto: dlindorff@mindspring.com

18 aprile 2009

L'oppio dell'ottimismo



In un controeditoriale pubblicato sul New York Times (16 ottobre 1998), il direttore del Trends Research Institute Gerald Celente predisse che l'intervento governativo per salvare “le società private considerate ‘troppo grandi per fallire’” avrebbe causato la fine del capitalismo di libero mercato.

Allora egli lo definì “Capitalismo per Codardi” (cliccare qui per leggere l'articolo).

Ora lo si chiama programmi di stimolo e operazioni di salvataggio.

Allora, il signor Celente avvertì che le ricapitalizzazioni non avrebbero funzionato.

Oggi, il signor Celente ripete lo stesso avvertimento… Continuano a non funzionare.

Allora, il governo annunciò che se non si fosse salvato il fondo speculativo Long Term Capital Management, i mercati finanziari globali sarebbero implosi.

Nella foto: Gerard Celente

Oggi, con i mercati che implodono, il governo avverte che se non si salvano certe banche, società finanziarie per l'intermediazione in titoli, società leverage buy-out, compagnie assicurative ecc., l'economia globale è destinata a collassare.

Allora, il signor Gerald Celente fornì una precisa previsione: “Il contagio globale potrebbe essere soppresso temporaneamente a forza di dosi di amoxicillina monetaria, ma quando si verificherà una nuova epidemia, sarà un ceppo resistente alle ricapitalizzazioni e molto più virulento”.

Il contagio globale è stato soppresso, la nuova epidemia si è verificata, e il più virulento dei ceppi incombe su di noi. E, come predisse il signor Celente, sta dando prova di essere resistente alle ricapitalizzazioni.

Oggi, il signor Celente prevede che non vi sia quantità di amoxicillina monetaria che possa curare il virus che si diffonde.

Avvertimento Trend #1: Ciò che il governo sta promuovendo oggi è già stato tentato. Non ha funzionato in passato, e non funzionerà neppure ora.

Dopo il summit del G-20, Barack Obama, pur ammettendo che non esiste garanzia di successo, ha dichiarato, “comunque non ho alcun dubbio sul fatto che le misure adottate siano cruciali per evitare il nostro scivolamento verso la depressione”.

Se il Presidente Obama non è in grado di dare garanzie, come può “non avere alcun dubbio”? Per di più, tutte le ricapitalizzazioni, le operazioni di salvataggio e i piani di stimolo che egli ha sostenuto e/o avviato fino ad ora hanno già fallito. E poiché i piani nuovi non sono che variazioni di politiche già tentate, collaudate e fallite, sono anch'essi destinati a fallire. Il G-20 non sarà “una svolta” e mentre le misure adottate potranno forse rallentare il nostro scivolamento verso la depressione, di certo non lo eviteranno.

Avvertimento Trend #2: Non ci si faccia sedurre dai picchi del mercato azionario o dagli aumenti negli indicatori economici anticipati. Si sia particolarmente diffidenti nei confronti di quei venditori che sostengono che i mercati hanno raggiunto il fondo e verso i titoli dei giornali che insinuano che il peggio è passato (“Car sales not as horrid in March” – 'Vendite auto meno orrende che a marzo' e “Investors jump on good financial news” – 'Gli investitori colgono al balzo le buone notizie economiche' su USA Today del 2 aprile 2009).

A guardar bene, quelle che sono vendute come “buone notizie economiche” sono solo notizie leggermente meno lugubri di quanto non ci si aspettasse. Ciò nonostante, agli insider e ai giocatori professionisti si presenterà una qualche possibilità di cavalcare le onde del mercato.

Potrebbero inoltre esserci fugaci opportunità di vendita in seguito alle recenti modifiche dei principi contabili grazie alle quali le banche stesse possono stabilire il prezzo degli elementi patrimoniali a prescindere dal valore di mercato, riducendo quindi drasticamente le proprie perdite. Non è una misura per la ripresa. In effetti, questa decisione del Financial Accounting Standards Board (FASB – il comitato statunitense per i principi contabili), poco evidenziata dai media, è un imbroglio contabile, una capitolazione che permette alle banche di stabilire il valore delle proprie attività tossiche.

Pornografia del pessimismo

Nel 1998, il signor Gerald Celente era virtualmente da solo quando prevedeva sia l'aumento dell'intervento governativo, sia il suo inevitabile fallimento e le sue ripercussioni catastrofiche. Nel mezzo dell'euforia delle società Dot-com, con i mercati che volavano alti, la creazione di fortune e la pandemia di ottimismo, qualsiasi visione negativa veniva ignorata o scrollata via come tetra e rovinosa. Oggi, in un momento in cui ogni elemento di quella previsione vecchia di dieci anni è una realtà quotidiana che occupa i titoli dei giornali di tutto il mondo, la mancata attenzione è stata sostituita dalla derisione. Non essendo più in grado di metterti da parte, ti attaccano. Prima erano i pagliacci televisivi, ora sono commentatori similmente non qualificati. Essi stessi riluttanti ad affrontare realtà inesorabili, cercano di deflettere l'attenzione del pubblico da scomode realtà a fine men che lieto. Nel suo controeditoriale sul New York Times, Ben Schott, dopo aver citato Celente per aver correttamente previsto “La crisi asiatica ed altre calamità”, schernisce le di lui attuali predizioni definendole “Pornografia del pessimismo” (NYT, 26 marzo 2009).

Il signor Schott è presumibilmente più a suo agio con le esortazioni a Speranza, Fiducia e Ottimismo partorite dal Confidence Man al comando e dalla sua squadra di sostenitori. Ma se noi siamo fornitori di “pornografia del pessimismo”, la mercanzia di Schott & Co. è “oppio dell'ottimismo”.

Questa perniciosa panacea anestetizza il pubblico. “L'oppio dell'ottimismo” lenisce il dolore – posti di lavoro perduti, preclusione dal mercato, rovina finanziaria – diminuisce l'ansia, riduce la vigilanza, compromette la coordinazione e provoca grave assuefazione. L'uso reiterato o cronico causa deterioramento mentale. L'overdose può portare a stordimento, coma e decesso.

L'America sta affrontando una crisi che è molto più che economica. Le implicazioni sono di enorme rilievo. Siamo testimoni del declino dell'Impero America.

Gerald Celente

14 aprile 2009

La lezione abruzzese

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Molte volte non sono d'accordo con l'autore di questo articolo ma, adesso, in questo momento le sue parole, sono l'espressione delle mie idee.Non è il momento, adesso, di fare polemiche sulla tragedia. Poi, ho molte cose da dire a Bertolaso e Barberi. Conosco bene l'argomento terremoti e, in questo momento, anche da abruzzese, verrà il momento. I nodi vengono al pettine. Per il momento, aiutiamoli tutti, stronchiamo gli sciacalli e, cominciamo ad usare un metodo legale di riferimento.




C’è una lezione abruzzese da segnalare: l’Italia politica sta faticosamente imparando a distinguere i compiti fondamentali in cui unirsi dai temi, non meno importanti, in cui è democraticamente vitale dividersi. La maggioranza e l’opposizione stanno recitando un ruolo inedito. Hanno capito, tra le macerie e le innumerevoli vittime dell’Abruzzo, che sulle emergenze nazionali non deve avere spazio l’isteria di uno scontro primitivo.

Il governo si muove con sollecitudine, ma non chiude le porte al sostegno dell’opposizione. Il Pd non usa propagandisticamente il disastro e partecipa fattivamente ai soccorsi. Nelle stesse ore, su un tema diverso come la sicurezza e la proposta delle ronde di volontari, maggioranza e opposizione si combattono invece a viso aperto. La tragedia rinsalda l’unità nazionale. Ma la politica non va in letargo, rivendica quanto c’è di sano nel conflitto democratico. Le polemiche non mancheranno, ma a tempo debito. Ci si deve interrogare sulla sconcertante fragilità di un ospedale ridotto in frantumi dalla potenza del terremoto.

Bisognerà capire se le leggi che impongono la costruzione di edifici anti-sismici sono state osservate nel corso degli anni. Ci saranno idee, ipotesi di ricostruzione, tempi da rispettare su cui è giusto che l’opposizione vigili, critichi, stimoli chi ha responsabilità di governo. Ma è un bene che lo Stato faccia fisicamente sentire la sua presenza, e che le opere di soccorso siano accompagnate dall’impegno diretto, efficace e non formale del governo. Ed è un bene che, se l’opposizione giudica positivamente l’atteggiamento di chi governa, non debba essere costretta a nasconderlo in omaggio alla retorica dello scontro totale e del non riconoscimento della reciproca legittimità.

Tutto questo sarebbe normale nelle democrazie più solide: nessuno trovò disdicevole che l’America si fosse unita sotto la stessa bandiera, attorno al governo e ai pompieri di New York nei giorni successivi all’11 settembre. In Italia, invece, questo spettacolo di unità e di coesione nel momento della tragedia nazionale è sorprendente perché inconsueto. Una coesione che però non ha paralizzato il Parlamento, non ha svuotato l’opposizione al punto da indurla a rinunciare alla sua legittima battaglia sui temi della sicurezza dei cittadini.

Uniti sulla tragedia abruzzese. Divisi, vivacemente polemici, conflittuali e senza ricatti unanimistici sulle materie su cui non può essere invocata l’unanimità. Una novità che ovviamente non consola e non risarcisce chi ha perso tutto nel terremoto. Ma restituisce una dignità allo Stato che interviene a tutela dei suoi cittadini. Una prova di serietà e di affidabilità, almeno per una volta.

di Pier Luigi Battista