24 aprile 2009

La crisi nel 2009 e il crollo del 2010



Molti analisti americani sostengono che il crollo definitivo dell’ economia americana potrebbe avere luogo alla fine di quest’ anno e sará ricordato come il crollo del 2009, ritengono gli esperti. Altri ancora, tra cui un esperto in scienze politiche russo, prevedono la stessa situazione. L’ America è senza dubbio in condizioni disperate, ma ció che piú lascia perplessi è la continua tendenza da parte degli stessi Stati Uniti a negare seccamente la gravitá della situazione ed a peggiorare le cose attraverso inutili piani di salvataggio e conflitti col resto del mondo, invece di affrontare la realtá che vuole la fine dell’ America come superpotenza, in conseguenza del fallimento del sistema economico. A questo punto sarebbe auspicabile che la nazione ponesse fine alle guerre (peraltro perse) col minor danno e massimo onore possibile. Non c’è nessuna ragione per perseverare in una linea politica che non vede vie d’ uscita. la cosa piú sensata per la sopravvivenza consiste nel delineare una nuova morale politica economica e finanziaria.

La profonda recessione che rasenta la depressione economica, di cui siamo stati testimoni fino ad ora, è causata dal crac del mercato immobiliare degli USA. Dal momento che altre nazioni industrializzate, specialmente in Europa, hanno tentato di imitare i sotterfugi dei dissoluti banchieri e finanzieri americani, il crollo dei sistemi economici, compresi i mercati e le banche delle suddette nazioni è stata la conseguenza piú immediata. L’ Islanda è stata la prima nazione a dichiarare bancarotta; il suo Prodotto Interno Lordo gravita intorno ai 6.5 miliardi di dollari, ma le banche hanno preso in prestito qualcosa come 65 miliardi di dollari, mentre i manager continuavano per la loro strada per inerzia. La Gran Bretagna, al contrario, non ha dichiarato bancarotta ufficialmente, ma tutti sanno che effettivamente di bancarotta si tratta in quanto sia le banche che le istituzioni finanziarie sono a terra.

In ogni caso questo è soltanto l’ inizio; per l’ autunno di quest’ anno gli esperti prevedono il crollo degli immobili commerciali per gli USA: i negozi chiudono e non c’è nessuno che li voglia prendere in affitto. Le aziende stanno riducendo al massimo le spese e sgombrando molti uffici, o chiudono definitivamente i battenti. Altissimi grattacieli stanno diventando edifici fantasma. Tutti questi beni immobiliari vengono ipotecati al limite, ma senza la prospettiva di entrate i prestiti risultano inefficaci, con le conseguenti temutissime perdite. Qui si tratta di assicurazione e riassicurazione, e le cifre di cui si parla sono da capogiro. È pressoché impossibile progettare un piano che si avvicini anche di poco alla risoluzione del problema. Col crollo del settore immobiliare si scatenerá l’ inferno, e se multinazionali come la General Motors e la Ford decideranno di chiudere i battenti, non si tratterá solamente di migliaia di migliaia di disoccupati ( anche se in questo caso l’ uso della parola ‘solamente’ puó sembrare privo di tatto). Due interi centri diventeranno centri fantasma. La situazione é terribile, ma se si conta il numero di mogli, bambini e genitori che dipendono da quelle rendite, è piú che terribile: diventa una situazione inimmaginabile. Tutto questo mentre corrotti e avidi banchieri della Bernie Madoff continuano a guadagnare miliardi (o forse milioni di miliardi) di dollari perché cosi sta scritto nei loro contratti.

Per di piú c’è addirittura il professor Igor Nikolavich Panarin che in un articolo del dicembre 2008 di Andrew Osborne del Wall Street Journal, non l’ ultimo dei furfanti quindi, sostiene che l’ anno prossimo sará ricordato come l’ anno del crollo, per cui gli USA saranno spaccati in sei entitá separate. Sempre secondo il professor Panarin, queste saranno costituite dalla Repubblica della California, la Repubblica dell’ America del Centro Nord, l’ America Atlantica e la Repubblica del Texas, mentre le Hawaii e l’ Alaska torneranno nelle mani della Russia.

Con i milioni di cinesi che vivono nella costa occidentale* (dove il numero giornaliero di persone che vi circolano è di oltre 5 milioni), la California sará, sempre secondo Panarin, sotto il controllo della Cina, mentre la Repubblica dell’ America Centro Nord fará parte del Canada, o comunque sará fortemente influenzata da quest’ ultima. L’ America Atlantica potrebbe essere annessa all’ Unione Europea, il Texas potrebbe far parte del Messico e le Hawaii potrebbero diventare parte della Cina o del Giappone.

Il professor Panarin è stato un esperto del KGB nonché professore in scienze politiche in Russia, decano dell’ Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri a Mosca e autore di diversi libri di geopolitica. Non si puó quindi dire che sia un inetto. In realtá aveva previsto questa situazione prima del tracollo economico iniziato l’ anno scorso, precisamente a Linz in Austria, nel settembre del 1998, davanti a 400 delegati, durante una conferenza sull’ utilizzo in guerra delle informazioni per ottenere vantaggi sul nemico. I presenti alla conferenza rimasero costernati; come lo stesso Panarin riferisce, vedendo sullo schermo la mappa degli Stati Uniti frammentata, centinaia di persone tra il pubblico rimasero alquanto sorprese. Piú tardi molti dei delegati gli chiesero di firmare copie della mappa. Il quadro è lo stesso di quando il dottore in scienze politiche Emmanuel Todd in 1976 fece la previsione del crollo dell’ Unione Sovietica 15 anni prima che il fatto avesse luogo, previsione che al tempo provocó le risa di molti.

Panarin non dice che la sua sia una conclusione inevitabile, ma soltanto che al momento c’è un 55-45 per cento di possibilitá che la disintegrazione si verifichi. Se effettivamente avrá luogo, sará caratterizzata da tre fattori; immigrazione di massa e declino economico e morale potrebbero scatenare una guerra civile e il crollo del dollaro giá il prossimo autunno. Intorno alla fine del giugno 2010, o i primi di luglio, gli USA saranno divisi in sei parti e si prevede una crisi politica e sociale provocata dalla situazione economica, finanziaria e demografica. Quando la situazione tenderá a degenerare, sostiene Panarin, gli stati piú ricchi rifiuteranno i fondi da parte del governo federale e ci sará la secessione: sommosse e infine la guerra civile saranno le conseguenze di tutto ció. Gli USA si divideranno per substrati etnici e ci sará la prevaricazione all’ interno del territorio da parte di poteri extranazionali. Tutto quello che i pachistani devono fare a quel punto è aspettare un pó finché l’ America non cesserá di impicciarsi nei loro affari, mentre il consigliere del generale Petraeus, David kilcullen, ritiene che il Pakistan potrebbe cadere nel giro di pochi mesi.

Non è facile concepire il crollo di un impero o di una superpotenza. Quando i suoi organi vitali vengono corrosi da termiti nel corso degli anni i risultati si vedono a lungo termine, soprattutto se la gente è asservita al potere e sfoggio di ricchezza da parte di chi governa. Quando il crollo arriva è dunque subitaneo e coglie la gente di sorpresa. ‘’Sono andato a dormire la notte scorsa e la mattina dopo al risveglio l’ Unione Sovietica non esisteva piú’’; nemmeno la piú potente macchina da guerra mai costruita ha potuto salvare quella nazione. Ricordate l’ impero britannico, su cui ‘’il sole non sarebbe mai potuto tramontare’’? Al contrario, il sole è decisamente tramontato, e soltanto 60 anni dopo la Gran Bretagna non solo è in bancarotta, ma è anche un supplemento degli USA: un potere di terz’ ordine che a sua volta potrebbe presto disintegrarsi con la secessione della Scozia. La storia è segnata dal crollo delle civiltá, imperi e superpotenze; le ossa delle quali pullulano nei mausolei nazionali.

Parte delle affermazioni del professor Panarin è supportata dal fatto che l’ amministrazione Bush ha approvato piani per l’ imposizione della corte marziale in caso di crollo economico o rivolte sociali che comportino l’ uso delle armi. Le previsioni di Panarin sembrano non solo plausibili, ma anche probabili se, come peraltro è risultato fino ad ora, questo scenario di decadenza diventerá reale. Stando a quanto dice Rand Clifford, gli USA hanno giá creato piani per recludere i cittadini ribelli in campi chiamati ‘’Rex 84’’, e servizi d’ emergenza per i membri del parlamento e le loro famiglie. In un comunicato del Phoenix Business Journal si dice:’’ Un comunicato dell’ esercito americano ed il War College parla della possibilitá di utilizzare le truppe statunitensi in caso di rivolte civili date dalla crisi economica, come nel caso di proteste contro le imprese ed il governo, oppure di corsa alle banche assediate. L’ articolo del giornale riporta le parole del War College:’’violenza di massa negli USA da parte dei cittadini costringerebbe la difesa a rivedere le prioritá al fine di garantire l’ ordine interno e la sicurezza delle persone’’. Bisogna peró dire che l’ esercito studia regolarmente piani da attuare in caso di situazioni estreme, pur risultando queste inverosimili.

L’ ultima parola a Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter e sostenitore di Obama:’’gli Stati Uniti stanno per avere milioni di disoccupati che dovranno affrontare difficoltá estreme, e questa situazione dovrebbe durare per un bel po’ di tempo, con la speranza che le cose prima o poi migliorino. Nello stesso tempo l’ opinione pubblica è consapevole che una parte considerevole di ricchezza è stata messa a disposizione di pochi, a livelli che non hanno precedenti nella storia degli USA: rivolte civili sono proprio verosimili’’.

Humayun Gahuar (esperto di scienze politiche di alto livello- e-mail: humayun.gauhar@gmail.com)

23 aprile 2009

Ripensare il mondo, per bio-regioni


Le città non devono sparire, ma cambiare, mettendosi al servizio delle loro bio-regioni. Così parlò Giuseppe Moretti, referente italiano dei bioregionalisti, intervistato da Daniel Tarozzi per Terranauta. Bioregionalismo? «E’ la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza sulla Terra, rispettando tutti gli esseri viventi». Da Francesco d’Assisi alla spirale della crisi planetaria: «La nostra non è un’ideologia, ma un’attitudine di buon senso e di umiltà». Meglio allora considerare la Terra come un insieme naturale di bio-regioni, regolate dal ciclo dell’acqua malgrado le devastazioni dell’homo tecnologicus: «Da quando l’uomo ha imparato a scheggiare le rocce per ricavarne punte di lancia, la tecnologia non ci ha mai lasciato. Ma la tecnologia, di per sé, è neutra: dipende dall’uso che ne se fa. E oggi, finalmente, possiamo scegliere».




Nata negli Usa negli anni ‘90 e i primi 250 gruppi e poi sviluppatasi in Messico, Canada, Sud America, Australia, Asia ed Europa, la corrente bioregionalista che vede tra i suoi terra-mondo1massimi interpreti l’inglese Etain Addey (autrice di “Una gioia silenziosa”) annovera tra i suoi antenati italiani i fondatori della rivista “AAM Terra Nuova”, aggregazione informale ora sfociata nella Rete Bioregionale Italiana, che ad ogni solstizio pubblica i “Quaderni di vita bioregionale” ed ogni equinozio il giornale “Lato selvatico”. «Appartengo alla cosiddetta generazione degli anni ’60, non ho mai smesso di scrutare le idee dei movimenti alternativi», racconta Moretti. «Conobbi l’idea bioregionale quando avevo già scelto di ritornare alla terra, dopo una parentesi di lavoro dipendente in città». Decisivi i contatti coi pionieri americani, come Peter Berg e Judy Golhaft.

Il bioregionalismo, spiega Moretti, considera il pianeta come un unico organismo vivente, suddiviso in bioregioni. «Sono le regioni naturali della terra, luoghi definiti per continuità di flora e di fauna o per interezza fluviale, grandi a sufficienza da sostenere un’ampia e complessa comunità di esseri viventi. L’uomo è parte integrante di tutto questo, non il suo signore e padrone: l’umiltà è saggezza, visto il divario tra la mente umana e quella della natura». Ri-abitare la terra con occhi nuovi, dunque. Percepire «l’importanza di vivere in un ambiente sano e diversificato» e comprendere che «dalla salute delle acque, dei boschi e del mondo animale dipende la nostra stessa salute», e che «dal diritto di libertà e giustizia sociale dei popoli dipende la nostra stessa libertà e giustizia».

«Ogni cosa è connessa l’una all’altra, su questa terra». Convizione che i buddisti fanno propria da migliaia di anni (i biologi da molto meno) e che ora i bioregionalisti ribadiscono, partendo dall’elemento più vitale: l’acqua. «Il ciclo dell’acqua – dice Moretti – fa della terra un unico grande bacino idrografico. E il bacino idrografico in cui ognuno etain-addey1di noi vive è il contesto della nostra pratica: un bacino idrografico è di fatto una bioregione, e viceversa. Prendersi cura del proprio bacino idrografico, della propria bioregione, significa quindi assumersi le proprie responsabilità, qui e ora, di fronte ai problemi che sono ormai su scala globale: ecco perché oggi è importante ri-abitare la terra in senso bioregionale».

Naturalmente, senza rifiutare scienza e tecnologia. «Oggi possiamo scegliere: di scaldare l’acqua con la legna o coi pannelli solari piuttosto che con l’energia fossile; possiamo scegliere di coltivarci parte del nostro cibo o acquistarlo da produttori ecologicamente consapevoli e liberi dagli ingranaggi speculativi globali, piuttosto che dalla grande distribuzione; possiamo scegliere di ignorare le mode e comprare solo le cose di cui abbiamo effettivamente bisogno, piuttosto che essere succubi di un sistema che fa del consumismo la propria ragione di essere. Dobbiamo ri-ascoltare la nostra natura selvatica: consumare senza sprecare, produrre senza distruggere, vivere e lasciar vivere».

Giuseppe Moretti e i bioregionalisti tifano per la Decrescita Felice, gli ecovillaggi, i seedsavers che custodiscono varietà antiche di semi; partecipano ai gruppi d’acquisto solidale e alla finanza etica, promuovono eco-tecnologie e prodotti a chilometri zero. «Le sorti del cambiamento non sono prerogativa di pochi, tutti possono incidere». Inutile aspettarsi miracoli dagli economisti: non hanno soluzioni, dice Moretti, a parte inventarsi «guazzabugli» grazie ai quali «a perderci sono sempre i più deboli». Non c’è da stare allegri: «Il mondo oggi è talmente imbevuto nel mito del potere, sia politico che economico o religioso, che difficilmente rinuncerà ai privilegi acquisiti».

Una rivoluzione culturale: a questo punta il bioregionalismo. «Non un cambiamento a livello di governi, ma un rivoltamento completo nel modo di intendere il nostro essere qui sulla terra». Illusioni da ex hippy? «Siamo una evoluzione di tutti quelli che con immaginazione, creatività e caparbietà hanno, nel corso del tempo, cercato di migliorare, sia spiritualmente che mentalmente, se stessi prima e la società poi, così da ridurre sia l’impronta umana sul pianeta che l’arroganza del potere e l’avidità di pochi sulla gente e sulla natura», constata Moretti. «Abbiamo fallito? Da quello che si vede sembra di sì, ma è vero anche che questo è un percorso lungo, che richiede tempo, pazienza e dedizione. L’importante è non smettere di ‘seminare’».

di Giuseppe Moretti

22 aprile 2009

Niels Harrit: «Altro che “pistola fumante”, c’è la “pistola carica” dell’11/9»



Harrit-Niels

Abbiamo visto di recente la
ricerca sulle polveri del WTC firmata tra gli altri dal professor Niels Harrit dell’Università di Copenaghen, un professore che ha la vocazione della nano-chimica, di cui è un esperto. Il clamore suscitato da questa ricerca ha portato il 6 aprile 2009 a una intervista di Harrit sul canale TV2 della tv pubblica danese, in seconda serata. Harrit è stato intervistato per 10 minuti durante il tg.
L’8 aprile, Harrit è stato di nuovo intervistato per sei minuti durante un programma del mattino di notizie e intrattenimento in diretta sulla stessa rete. In entrambe le occasioni Harrit ha potuto argomentare bene le proprie tesi con intervistatori aperti e corretti.

La prima intervista è stata sottotitolata in inglese e caricata su YouTube. Di seguito si può vedere l’intervista e la sua traduzione in italiano:

http://www.youtube.com/watch?v=8_tf25lx_3o





Intervista a Niels Harrit su TV2 News, Danimarca.


Alcuni ricercatori internazionali hanno trovato tracce di esplosivi in mezzo ai detriti del World Trade Center.
Un nuovo articolo scientifico conclude che gli impatti dei due aerei dirottati non causarono i crolli nel 2001.
Rivolgiamo la nostra attenzione all’11/9, il grande attacco su New York. Apparentemente i due impatti degli aeroplani non cagionarono il crollo delle torri, secondo quanto afferma un articolo scientifico da poco pubblicato.
I ricercatori hanno trovato dell’esplosivo detto nano-termite fra i resti, e non può provenire dagli aerei. Ritengono che svariate tonnellate di esplosivi siano state collocate negli edifici in precedenza.

Niels Harrit, lei e altri otto ricercatori stabilite in questo articolo che sia stata la nano-termite a far sì che questi edifici crollassero. Che cos’è la nano-termite?

«Abbiamo trovato nano-termite nei detriti. Non stiamo dicendo che sia stata usata soltanto nano-termite. La termite stessa risale al 1893. È una mistura di alluminio e polvere di ruggine, che reagisce fino a creare intenso calore. La reazione produce ferro, scaldato a 2500 °C. Questo può essere usato per fare saldature. Può essere anche usato per fondere altro ferro. Siccome le nanotecnologie rendono le cose più piccole, nella nano-termite, questa polvere del 1893 è ridotta in particelle minuscole, perfettamente mescolate. Quando queste reagiscono, l’intenso calore si sviluppa molto più velocemente. La nano-termite può essere mischiata con additivi per sprigionare un calore intenso, o fungere da efficacissimo esplosivo. Contiene più energia della dinamite, e può essere usata come combustibile per razzi.»

Ho cercato con Google “nano-termite”, e non è che si sia scritto molto su di essa. Si tratta di una sostanza scientifica ampiamente conosciuta? O è così nuova che gli altri scienziati la conoscono a malapena?

«È un nome collettivo per una classe di sostanze con alti livelli di energia. Se dei ricercatori civili (come lo sono io) non la conoscono abbastanza, è probabilmente perché non lavorano granché con gli esplosivi, come invece fanno gli scienziati militari. Dovrebbe chiedere a loro. Io non so quanta familiarità abbiano con le nanotecnologie.»

Quindi lei ha trovato questa sostanza nel WTC, perché pensa che abbia causato i crolli?

«Be’, è un esplosivo. Per cos’altro sarebbe dovuto essere lì?»

Lei ritiene che l’intenso calore abbia fuso la struttura di sostegno in acciaio dell’edificio, e abbia causato che gli edifici collassassero come un castello di carte?

«Non posso dire di preciso, visto che questa sostanza serve a entrambi gli scopi. Può esplodere e frantumare le cose, e può fonderle. Entrambi gli effetti furono probabilmente utilizzati, per come ho visto. Del metallo fuso si riversa fuori dalla Torre Sud diversi minuti prima del crollo. Questo indica che l’intera struttura era stata indebolita in precedenza. Poi i normali esplosivi entrarono in gioco. L’effettiva sequenza del crollo doveva essere sincronizzata alla perfezione, fin giù.»

Di quali quantità stiamo parlando?

«Grandi quantità. C’erano solo due aerei, ma tre grattacieli sono crollati. Sappiamo grosso modo quanta polvere fu generata. Le foto mostrano enormi quantità: tranne l’acciaio tutto fu polverizzato. E sappiamo grosso modo quanta termite incombusta abbiamo trovato. Questa è la “pistola carica”, un materiale che non si è acceso per qualche ragione. Stiamo parlando di tonnellate. Oltre 10 tonnellate, può darsi 100 tonnellate.»

Dieci tonnellate, può darsi cento tonnellate, in tre edifici? E queste sostanze non si trovano normalmente in simili edifici?

«No, no. Questi materiali sono estremamente avanzati.»

Come si fa a collocare un tale materiale in un grattacielo, su tutti i piani?

«Cioè come si fa a portarlo dentro?»

Sì.

«Con i pallet. Se dovessi trasportarlo i quelle quantità userei i pallet. Prenderei un carrello e li movimenterei su pallet.»

Perché questo non è stato scoperto prima?

«Da chi?»

Dai portieri, per esempio. Se sta facendo passare da 10 a 100 tonnellate di nano-termite, e la sta piazzando su tutti i piani, sono solo sorpreso che nessuno l’abbia notata.

«Da giornalista, dovrebbe indirizzare tale domanda alla società responsabile della sicurezza al WTC.»

Dunque lei non ha alcun dubbio che il materiale era presente?

«Non si può contraffare questo tipo di scienza. L’abbiamo trovata. Termite non ancora soggetta a reazioni.»

Quale accoglienza ha ricevuto il suo articolo nel mondo? Per me si tratta di conoscenza del tutto nuova.

«È stato pubblicato appena venerdì scorso. Perciò è troppo presto per dirlo. Ma l’articolo potrebbe non essere così inedito e singolare come le sembra. Centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo sanno da molto che i tre edifici sono stati demoliti. Questo era lampante. La nostra ricerca è solo l’ultimo chiodo sulla bara. Questa non è la “pistola fumante”, è la “pistola carica”. Ogni giorno, migliaia di persone comprendono che il WTC fu demolito. Questo è qualcosa che non si può fermare.»

Perché nessuno ha scoperto da prima che c’era nano-termite negli edifici? Son passati quasi dieci anni.

«Lei intende nella polvere?»

Sì.

«È stato per caso che qualcuno ha osservato la polvere al microscopio. Si tratta di minuscoli frammenti rossi. I più grandi misurano 1 mm, e possono essere visti a occhio nudo. Ma occorre il microscopio per vedere la maggior parte. È stato per caso che qualcuno li ha scoperti due anni fa. Ci sono voluti 18 mesi per preparare l’articolo scientifico cui lei si riferisce. È un articolo davvero completo basato su una ricerca minuziosa.»

Lei ha lavorato su questo per diversi anni, perché la cosa non le tornava?

«Sì, oltre due anni in effetti. Tutto è cominciato quando ho visto il crollo dell’Edificio 7, il terzo grattacielo. È crollato sette ore dopo le torri gemelle. E c’erano solo due aeroplani. Quando vedi un edificio di 47 piani, alto 186 metri, crollare in 6,5 secondi, e sei uno scienziato, pensi “cosa?”. Ho dovuto guardarlo ancora, e ancora. Ho toccato il tasto dieci volte, e la mia mandibola scendeva sempre più giù. Per prima cosa, non avevo mai sentito prima di quell’edificio. E non c’era nessuna ragione visibile per cui dovesse crollare in quel modo, direttamente giù, in 6,5 secondi. Non mi son dato pace da quel giorno.»

Sin dall’11/9 ci sono state speculazioni, e teorie del complotto. Cosa ha da dire ai telespettatori che sentono della sua ricerca e dicono “questa l’abbiamo già sentita, ci sono tante teorie del complotto”. Cosa direbbe per convincerli che questa è diversa?

«Penso che ci sia una sola teoria del complotto di cui valga la pena parlare, quella che riguarda i 19 dirottatori. Ritengo che i telespettatori debbano domandarsi quali prove abbiano visto a sostegno della teoria del complotto ufficiale. Se qualcuno ha visto delle prove, mi piacerebbe sentirlo in merito. Nessuno è stato formalmente incriminato. Nessuno è “wanted”. Il nostro lavoro dovrebbe portare a richiedere un’appropriata inchiesta criminale sugli attacchi terroristici dell’11/9, perché finora non c’è stata. La stiamo ancora aspettando. Noi speriamo che i nostri risultati saranno usati come una prova tecnica quando quel giorno verrà».

Niels Harrit, avvincente, grazie per essere intervenuto.

«È stato un piacere.»


di Pino Cabras

24 aprile 2009

La crisi nel 2009 e il crollo del 2010



Molti analisti americani sostengono che il crollo definitivo dell’ economia americana potrebbe avere luogo alla fine di quest’ anno e sará ricordato come il crollo del 2009, ritengono gli esperti. Altri ancora, tra cui un esperto in scienze politiche russo, prevedono la stessa situazione. L’ America è senza dubbio in condizioni disperate, ma ció che piú lascia perplessi è la continua tendenza da parte degli stessi Stati Uniti a negare seccamente la gravitá della situazione ed a peggiorare le cose attraverso inutili piani di salvataggio e conflitti col resto del mondo, invece di affrontare la realtá che vuole la fine dell’ America come superpotenza, in conseguenza del fallimento del sistema economico. A questo punto sarebbe auspicabile che la nazione ponesse fine alle guerre (peraltro perse) col minor danno e massimo onore possibile. Non c’è nessuna ragione per perseverare in una linea politica che non vede vie d’ uscita. la cosa piú sensata per la sopravvivenza consiste nel delineare una nuova morale politica economica e finanziaria.

La profonda recessione che rasenta la depressione economica, di cui siamo stati testimoni fino ad ora, è causata dal crac del mercato immobiliare degli USA. Dal momento che altre nazioni industrializzate, specialmente in Europa, hanno tentato di imitare i sotterfugi dei dissoluti banchieri e finanzieri americani, il crollo dei sistemi economici, compresi i mercati e le banche delle suddette nazioni è stata la conseguenza piú immediata. L’ Islanda è stata la prima nazione a dichiarare bancarotta; il suo Prodotto Interno Lordo gravita intorno ai 6.5 miliardi di dollari, ma le banche hanno preso in prestito qualcosa come 65 miliardi di dollari, mentre i manager continuavano per la loro strada per inerzia. La Gran Bretagna, al contrario, non ha dichiarato bancarotta ufficialmente, ma tutti sanno che effettivamente di bancarotta si tratta in quanto sia le banche che le istituzioni finanziarie sono a terra.

In ogni caso questo è soltanto l’ inizio; per l’ autunno di quest’ anno gli esperti prevedono il crollo degli immobili commerciali per gli USA: i negozi chiudono e non c’è nessuno che li voglia prendere in affitto. Le aziende stanno riducendo al massimo le spese e sgombrando molti uffici, o chiudono definitivamente i battenti. Altissimi grattacieli stanno diventando edifici fantasma. Tutti questi beni immobiliari vengono ipotecati al limite, ma senza la prospettiva di entrate i prestiti risultano inefficaci, con le conseguenti temutissime perdite. Qui si tratta di assicurazione e riassicurazione, e le cifre di cui si parla sono da capogiro. È pressoché impossibile progettare un piano che si avvicini anche di poco alla risoluzione del problema. Col crollo del settore immobiliare si scatenerá l’ inferno, e se multinazionali come la General Motors e la Ford decideranno di chiudere i battenti, non si tratterá solamente di migliaia di migliaia di disoccupati ( anche se in questo caso l’ uso della parola ‘solamente’ puó sembrare privo di tatto). Due interi centri diventeranno centri fantasma. La situazione é terribile, ma se si conta il numero di mogli, bambini e genitori che dipendono da quelle rendite, è piú che terribile: diventa una situazione inimmaginabile. Tutto questo mentre corrotti e avidi banchieri della Bernie Madoff continuano a guadagnare miliardi (o forse milioni di miliardi) di dollari perché cosi sta scritto nei loro contratti.

Per di piú c’è addirittura il professor Igor Nikolavich Panarin che in un articolo del dicembre 2008 di Andrew Osborne del Wall Street Journal, non l’ ultimo dei furfanti quindi, sostiene che l’ anno prossimo sará ricordato come l’ anno del crollo, per cui gli USA saranno spaccati in sei entitá separate. Sempre secondo il professor Panarin, queste saranno costituite dalla Repubblica della California, la Repubblica dell’ America del Centro Nord, l’ America Atlantica e la Repubblica del Texas, mentre le Hawaii e l’ Alaska torneranno nelle mani della Russia.

Con i milioni di cinesi che vivono nella costa occidentale* (dove il numero giornaliero di persone che vi circolano è di oltre 5 milioni), la California sará, sempre secondo Panarin, sotto il controllo della Cina, mentre la Repubblica dell’ America Centro Nord fará parte del Canada, o comunque sará fortemente influenzata da quest’ ultima. L’ America Atlantica potrebbe essere annessa all’ Unione Europea, il Texas potrebbe far parte del Messico e le Hawaii potrebbero diventare parte della Cina o del Giappone.

Il professor Panarin è stato un esperto del KGB nonché professore in scienze politiche in Russia, decano dell’ Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri a Mosca e autore di diversi libri di geopolitica. Non si puó quindi dire che sia un inetto. In realtá aveva previsto questa situazione prima del tracollo economico iniziato l’ anno scorso, precisamente a Linz in Austria, nel settembre del 1998, davanti a 400 delegati, durante una conferenza sull’ utilizzo in guerra delle informazioni per ottenere vantaggi sul nemico. I presenti alla conferenza rimasero costernati; come lo stesso Panarin riferisce, vedendo sullo schermo la mappa degli Stati Uniti frammentata, centinaia di persone tra il pubblico rimasero alquanto sorprese. Piú tardi molti dei delegati gli chiesero di firmare copie della mappa. Il quadro è lo stesso di quando il dottore in scienze politiche Emmanuel Todd in 1976 fece la previsione del crollo dell’ Unione Sovietica 15 anni prima che il fatto avesse luogo, previsione che al tempo provocó le risa di molti.

Panarin non dice che la sua sia una conclusione inevitabile, ma soltanto che al momento c’è un 55-45 per cento di possibilitá che la disintegrazione si verifichi. Se effettivamente avrá luogo, sará caratterizzata da tre fattori; immigrazione di massa e declino economico e morale potrebbero scatenare una guerra civile e il crollo del dollaro giá il prossimo autunno. Intorno alla fine del giugno 2010, o i primi di luglio, gli USA saranno divisi in sei parti e si prevede una crisi politica e sociale provocata dalla situazione economica, finanziaria e demografica. Quando la situazione tenderá a degenerare, sostiene Panarin, gli stati piú ricchi rifiuteranno i fondi da parte del governo federale e ci sará la secessione: sommosse e infine la guerra civile saranno le conseguenze di tutto ció. Gli USA si divideranno per substrati etnici e ci sará la prevaricazione all’ interno del territorio da parte di poteri extranazionali. Tutto quello che i pachistani devono fare a quel punto è aspettare un pó finché l’ America non cesserá di impicciarsi nei loro affari, mentre il consigliere del generale Petraeus, David kilcullen, ritiene che il Pakistan potrebbe cadere nel giro di pochi mesi.

Non è facile concepire il crollo di un impero o di una superpotenza. Quando i suoi organi vitali vengono corrosi da termiti nel corso degli anni i risultati si vedono a lungo termine, soprattutto se la gente è asservita al potere e sfoggio di ricchezza da parte di chi governa. Quando il crollo arriva è dunque subitaneo e coglie la gente di sorpresa. ‘’Sono andato a dormire la notte scorsa e la mattina dopo al risveglio l’ Unione Sovietica non esisteva piú’’; nemmeno la piú potente macchina da guerra mai costruita ha potuto salvare quella nazione. Ricordate l’ impero britannico, su cui ‘’il sole non sarebbe mai potuto tramontare’’? Al contrario, il sole è decisamente tramontato, e soltanto 60 anni dopo la Gran Bretagna non solo è in bancarotta, ma è anche un supplemento degli USA: un potere di terz’ ordine che a sua volta potrebbe presto disintegrarsi con la secessione della Scozia. La storia è segnata dal crollo delle civiltá, imperi e superpotenze; le ossa delle quali pullulano nei mausolei nazionali.

Parte delle affermazioni del professor Panarin è supportata dal fatto che l’ amministrazione Bush ha approvato piani per l’ imposizione della corte marziale in caso di crollo economico o rivolte sociali che comportino l’ uso delle armi. Le previsioni di Panarin sembrano non solo plausibili, ma anche probabili se, come peraltro è risultato fino ad ora, questo scenario di decadenza diventerá reale. Stando a quanto dice Rand Clifford, gli USA hanno giá creato piani per recludere i cittadini ribelli in campi chiamati ‘’Rex 84’’, e servizi d’ emergenza per i membri del parlamento e le loro famiglie. In un comunicato del Phoenix Business Journal si dice:’’ Un comunicato dell’ esercito americano ed il War College parla della possibilitá di utilizzare le truppe statunitensi in caso di rivolte civili date dalla crisi economica, come nel caso di proteste contro le imprese ed il governo, oppure di corsa alle banche assediate. L’ articolo del giornale riporta le parole del War College:’’violenza di massa negli USA da parte dei cittadini costringerebbe la difesa a rivedere le prioritá al fine di garantire l’ ordine interno e la sicurezza delle persone’’. Bisogna peró dire che l’ esercito studia regolarmente piani da attuare in caso di situazioni estreme, pur risultando queste inverosimili.

L’ ultima parola a Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter e sostenitore di Obama:’’gli Stati Uniti stanno per avere milioni di disoccupati che dovranno affrontare difficoltá estreme, e questa situazione dovrebbe durare per un bel po’ di tempo, con la speranza che le cose prima o poi migliorino. Nello stesso tempo l’ opinione pubblica è consapevole che una parte considerevole di ricchezza è stata messa a disposizione di pochi, a livelli che non hanno precedenti nella storia degli USA: rivolte civili sono proprio verosimili’’.

Humayun Gahuar (esperto di scienze politiche di alto livello- e-mail: humayun.gauhar@gmail.com)

23 aprile 2009

Ripensare il mondo, per bio-regioni


Le città non devono sparire, ma cambiare, mettendosi al servizio delle loro bio-regioni. Così parlò Giuseppe Moretti, referente italiano dei bioregionalisti, intervistato da Daniel Tarozzi per Terranauta. Bioregionalismo? «E’ la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza sulla Terra, rispettando tutti gli esseri viventi». Da Francesco d’Assisi alla spirale della crisi planetaria: «La nostra non è un’ideologia, ma un’attitudine di buon senso e di umiltà». Meglio allora considerare la Terra come un insieme naturale di bio-regioni, regolate dal ciclo dell’acqua malgrado le devastazioni dell’homo tecnologicus: «Da quando l’uomo ha imparato a scheggiare le rocce per ricavarne punte di lancia, la tecnologia non ci ha mai lasciato. Ma la tecnologia, di per sé, è neutra: dipende dall’uso che ne se fa. E oggi, finalmente, possiamo scegliere».




Nata negli Usa negli anni ‘90 e i primi 250 gruppi e poi sviluppatasi in Messico, Canada, Sud America, Australia, Asia ed Europa, la corrente bioregionalista che vede tra i suoi terra-mondo1massimi interpreti l’inglese Etain Addey (autrice di “Una gioia silenziosa”) annovera tra i suoi antenati italiani i fondatori della rivista “AAM Terra Nuova”, aggregazione informale ora sfociata nella Rete Bioregionale Italiana, che ad ogni solstizio pubblica i “Quaderni di vita bioregionale” ed ogni equinozio il giornale “Lato selvatico”. «Appartengo alla cosiddetta generazione degli anni ’60, non ho mai smesso di scrutare le idee dei movimenti alternativi», racconta Moretti. «Conobbi l’idea bioregionale quando avevo già scelto di ritornare alla terra, dopo una parentesi di lavoro dipendente in città». Decisivi i contatti coi pionieri americani, come Peter Berg e Judy Golhaft.

Il bioregionalismo, spiega Moretti, considera il pianeta come un unico organismo vivente, suddiviso in bioregioni. «Sono le regioni naturali della terra, luoghi definiti per continuità di flora e di fauna o per interezza fluviale, grandi a sufficienza da sostenere un’ampia e complessa comunità di esseri viventi. L’uomo è parte integrante di tutto questo, non il suo signore e padrone: l’umiltà è saggezza, visto il divario tra la mente umana e quella della natura». Ri-abitare la terra con occhi nuovi, dunque. Percepire «l’importanza di vivere in un ambiente sano e diversificato» e comprendere che «dalla salute delle acque, dei boschi e del mondo animale dipende la nostra stessa salute», e che «dal diritto di libertà e giustizia sociale dei popoli dipende la nostra stessa libertà e giustizia».

«Ogni cosa è connessa l’una all’altra, su questa terra». Convizione che i buddisti fanno propria da migliaia di anni (i biologi da molto meno) e che ora i bioregionalisti ribadiscono, partendo dall’elemento più vitale: l’acqua. «Il ciclo dell’acqua – dice Moretti – fa della terra un unico grande bacino idrografico. E il bacino idrografico in cui ognuno etain-addey1di noi vive è il contesto della nostra pratica: un bacino idrografico è di fatto una bioregione, e viceversa. Prendersi cura del proprio bacino idrografico, della propria bioregione, significa quindi assumersi le proprie responsabilità, qui e ora, di fronte ai problemi che sono ormai su scala globale: ecco perché oggi è importante ri-abitare la terra in senso bioregionale».

Naturalmente, senza rifiutare scienza e tecnologia. «Oggi possiamo scegliere: di scaldare l’acqua con la legna o coi pannelli solari piuttosto che con l’energia fossile; possiamo scegliere di coltivarci parte del nostro cibo o acquistarlo da produttori ecologicamente consapevoli e liberi dagli ingranaggi speculativi globali, piuttosto che dalla grande distribuzione; possiamo scegliere di ignorare le mode e comprare solo le cose di cui abbiamo effettivamente bisogno, piuttosto che essere succubi di un sistema che fa del consumismo la propria ragione di essere. Dobbiamo ri-ascoltare la nostra natura selvatica: consumare senza sprecare, produrre senza distruggere, vivere e lasciar vivere».

Giuseppe Moretti e i bioregionalisti tifano per la Decrescita Felice, gli ecovillaggi, i seedsavers che custodiscono varietà antiche di semi; partecipano ai gruppi d’acquisto solidale e alla finanza etica, promuovono eco-tecnologie e prodotti a chilometri zero. «Le sorti del cambiamento non sono prerogativa di pochi, tutti possono incidere». Inutile aspettarsi miracoli dagli economisti: non hanno soluzioni, dice Moretti, a parte inventarsi «guazzabugli» grazie ai quali «a perderci sono sempre i più deboli». Non c’è da stare allegri: «Il mondo oggi è talmente imbevuto nel mito del potere, sia politico che economico o religioso, che difficilmente rinuncerà ai privilegi acquisiti».

Una rivoluzione culturale: a questo punta il bioregionalismo. «Non un cambiamento a livello di governi, ma un rivoltamento completo nel modo di intendere il nostro essere qui sulla terra». Illusioni da ex hippy? «Siamo una evoluzione di tutti quelli che con immaginazione, creatività e caparbietà hanno, nel corso del tempo, cercato di migliorare, sia spiritualmente che mentalmente, se stessi prima e la società poi, così da ridurre sia l’impronta umana sul pianeta che l’arroganza del potere e l’avidità di pochi sulla gente e sulla natura», constata Moretti. «Abbiamo fallito? Da quello che si vede sembra di sì, ma è vero anche che questo è un percorso lungo, che richiede tempo, pazienza e dedizione. L’importante è non smettere di ‘seminare’».

di Giuseppe Moretti

22 aprile 2009

Niels Harrit: «Altro che “pistola fumante”, c’è la “pistola carica” dell’11/9»



Harrit-Niels

Abbiamo visto di recente la
ricerca sulle polveri del WTC firmata tra gli altri dal professor Niels Harrit dell’Università di Copenaghen, un professore che ha la vocazione della nano-chimica, di cui è un esperto. Il clamore suscitato da questa ricerca ha portato il 6 aprile 2009 a una intervista di Harrit sul canale TV2 della tv pubblica danese, in seconda serata. Harrit è stato intervistato per 10 minuti durante il tg.
L’8 aprile, Harrit è stato di nuovo intervistato per sei minuti durante un programma del mattino di notizie e intrattenimento in diretta sulla stessa rete. In entrambe le occasioni Harrit ha potuto argomentare bene le proprie tesi con intervistatori aperti e corretti.

La prima intervista è stata sottotitolata in inglese e caricata su YouTube. Di seguito si può vedere l’intervista e la sua traduzione in italiano:

http://www.youtube.com/watch?v=8_tf25lx_3o





Intervista a Niels Harrit su TV2 News, Danimarca.


Alcuni ricercatori internazionali hanno trovato tracce di esplosivi in mezzo ai detriti del World Trade Center.
Un nuovo articolo scientifico conclude che gli impatti dei due aerei dirottati non causarono i crolli nel 2001.
Rivolgiamo la nostra attenzione all’11/9, il grande attacco su New York. Apparentemente i due impatti degli aeroplani non cagionarono il crollo delle torri, secondo quanto afferma un articolo scientifico da poco pubblicato.
I ricercatori hanno trovato dell’esplosivo detto nano-termite fra i resti, e non può provenire dagli aerei. Ritengono che svariate tonnellate di esplosivi siano state collocate negli edifici in precedenza.

Niels Harrit, lei e altri otto ricercatori stabilite in questo articolo che sia stata la nano-termite a far sì che questi edifici crollassero. Che cos’è la nano-termite?

«Abbiamo trovato nano-termite nei detriti. Non stiamo dicendo che sia stata usata soltanto nano-termite. La termite stessa risale al 1893. È una mistura di alluminio e polvere di ruggine, che reagisce fino a creare intenso calore. La reazione produce ferro, scaldato a 2500 °C. Questo può essere usato per fare saldature. Può essere anche usato per fondere altro ferro. Siccome le nanotecnologie rendono le cose più piccole, nella nano-termite, questa polvere del 1893 è ridotta in particelle minuscole, perfettamente mescolate. Quando queste reagiscono, l’intenso calore si sviluppa molto più velocemente. La nano-termite può essere mischiata con additivi per sprigionare un calore intenso, o fungere da efficacissimo esplosivo. Contiene più energia della dinamite, e può essere usata come combustibile per razzi.»

Ho cercato con Google “nano-termite”, e non è che si sia scritto molto su di essa. Si tratta di una sostanza scientifica ampiamente conosciuta? O è così nuova che gli altri scienziati la conoscono a malapena?

«È un nome collettivo per una classe di sostanze con alti livelli di energia. Se dei ricercatori civili (come lo sono io) non la conoscono abbastanza, è probabilmente perché non lavorano granché con gli esplosivi, come invece fanno gli scienziati militari. Dovrebbe chiedere a loro. Io non so quanta familiarità abbiano con le nanotecnologie.»

Quindi lei ha trovato questa sostanza nel WTC, perché pensa che abbia causato i crolli?

«Be’, è un esplosivo. Per cos’altro sarebbe dovuto essere lì?»

Lei ritiene che l’intenso calore abbia fuso la struttura di sostegno in acciaio dell’edificio, e abbia causato che gli edifici collassassero come un castello di carte?

«Non posso dire di preciso, visto che questa sostanza serve a entrambi gli scopi. Può esplodere e frantumare le cose, e può fonderle. Entrambi gli effetti furono probabilmente utilizzati, per come ho visto. Del metallo fuso si riversa fuori dalla Torre Sud diversi minuti prima del crollo. Questo indica che l’intera struttura era stata indebolita in precedenza. Poi i normali esplosivi entrarono in gioco. L’effettiva sequenza del crollo doveva essere sincronizzata alla perfezione, fin giù.»

Di quali quantità stiamo parlando?

«Grandi quantità. C’erano solo due aerei, ma tre grattacieli sono crollati. Sappiamo grosso modo quanta polvere fu generata. Le foto mostrano enormi quantità: tranne l’acciaio tutto fu polverizzato. E sappiamo grosso modo quanta termite incombusta abbiamo trovato. Questa è la “pistola carica”, un materiale che non si è acceso per qualche ragione. Stiamo parlando di tonnellate. Oltre 10 tonnellate, può darsi 100 tonnellate.»

Dieci tonnellate, può darsi cento tonnellate, in tre edifici? E queste sostanze non si trovano normalmente in simili edifici?

«No, no. Questi materiali sono estremamente avanzati.»

Come si fa a collocare un tale materiale in un grattacielo, su tutti i piani?

«Cioè come si fa a portarlo dentro?»

Sì.

«Con i pallet. Se dovessi trasportarlo i quelle quantità userei i pallet. Prenderei un carrello e li movimenterei su pallet.»

Perché questo non è stato scoperto prima?

«Da chi?»

Dai portieri, per esempio. Se sta facendo passare da 10 a 100 tonnellate di nano-termite, e la sta piazzando su tutti i piani, sono solo sorpreso che nessuno l’abbia notata.

«Da giornalista, dovrebbe indirizzare tale domanda alla società responsabile della sicurezza al WTC.»

Dunque lei non ha alcun dubbio che il materiale era presente?

«Non si può contraffare questo tipo di scienza. L’abbiamo trovata. Termite non ancora soggetta a reazioni.»

Quale accoglienza ha ricevuto il suo articolo nel mondo? Per me si tratta di conoscenza del tutto nuova.

«È stato pubblicato appena venerdì scorso. Perciò è troppo presto per dirlo. Ma l’articolo potrebbe non essere così inedito e singolare come le sembra. Centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo sanno da molto che i tre edifici sono stati demoliti. Questo era lampante. La nostra ricerca è solo l’ultimo chiodo sulla bara. Questa non è la “pistola fumante”, è la “pistola carica”. Ogni giorno, migliaia di persone comprendono che il WTC fu demolito. Questo è qualcosa che non si può fermare.»

Perché nessuno ha scoperto da prima che c’era nano-termite negli edifici? Son passati quasi dieci anni.

«Lei intende nella polvere?»

Sì.

«È stato per caso che qualcuno ha osservato la polvere al microscopio. Si tratta di minuscoli frammenti rossi. I più grandi misurano 1 mm, e possono essere visti a occhio nudo. Ma occorre il microscopio per vedere la maggior parte. È stato per caso che qualcuno li ha scoperti due anni fa. Ci sono voluti 18 mesi per preparare l’articolo scientifico cui lei si riferisce. È un articolo davvero completo basato su una ricerca minuziosa.»

Lei ha lavorato su questo per diversi anni, perché la cosa non le tornava?

«Sì, oltre due anni in effetti. Tutto è cominciato quando ho visto il crollo dell’Edificio 7, il terzo grattacielo. È crollato sette ore dopo le torri gemelle. E c’erano solo due aeroplani. Quando vedi un edificio di 47 piani, alto 186 metri, crollare in 6,5 secondi, e sei uno scienziato, pensi “cosa?”. Ho dovuto guardarlo ancora, e ancora. Ho toccato il tasto dieci volte, e la mia mandibola scendeva sempre più giù. Per prima cosa, non avevo mai sentito prima di quell’edificio. E non c’era nessuna ragione visibile per cui dovesse crollare in quel modo, direttamente giù, in 6,5 secondi. Non mi son dato pace da quel giorno.»

Sin dall’11/9 ci sono state speculazioni, e teorie del complotto. Cosa ha da dire ai telespettatori che sentono della sua ricerca e dicono “questa l’abbiamo già sentita, ci sono tante teorie del complotto”. Cosa direbbe per convincerli che questa è diversa?

«Penso che ci sia una sola teoria del complotto di cui valga la pena parlare, quella che riguarda i 19 dirottatori. Ritengo che i telespettatori debbano domandarsi quali prove abbiano visto a sostegno della teoria del complotto ufficiale. Se qualcuno ha visto delle prove, mi piacerebbe sentirlo in merito. Nessuno è stato formalmente incriminato. Nessuno è “wanted”. Il nostro lavoro dovrebbe portare a richiedere un’appropriata inchiesta criminale sugli attacchi terroristici dell’11/9, perché finora non c’è stata. La stiamo ancora aspettando. Noi speriamo che i nostri risultati saranno usati come una prova tecnica quando quel giorno verrà».

Niels Harrit, avvincente, grazie per essere intervenuto.

«È stato un piacere.»


di Pino Cabras