25 aprile 2009

I pirati del XXI secolo

Chi immaginava che nel 2009, i governi del mondo avrebbero dichiarato una nuova Guerra ai Pirati? Mentre leggete questo, la Marina Reale Britannica - appoggiata dalle navi di più di due dozzine di paesi, dagli USA alla Cina - sta navigando nelle acque somale per combattere degli uomini che ancora raffiguriamo come furfanti della pantomima del pappagallo sulla spalla. Presto combatteranno le navi somale ed anche inseguiranno i pirati sulla terraferma, in uno dei più disintegrati paesi sulla terra.

Ma dietro le stranezze da linguaggio dei pirati di questa storia, vi è uno scandalo non rivelato. La gente che i nostri governi etichettano come "una delle grandi minacce dei nostri tempi" hanno una storia straordinaria da raccontare - e qualche buon diritto dalla loro parte.

I pirati non sono mai stati affatto quel che pensiamo siano. Durante l'"età d'oro della pirateria" - dal 1650 al 1730 - l'idea del pirata come rapinatore insensato e selvaggio che oggi persiste è stata creata dal governo britannico in un grande sforzo di propaganda. Molte persone comuni la ritenevano falsa: i pirati erano spesso liberati con la forza dalla forca da folle sostenitrici. Perché? Cosa potevano capire che noi non possiamo?

Nel suo libro "Furfanti di tutti i paesi", lo storico Marcus Rediker studia attentamente le testimonianze per scoprirlo. Se allora diventavi un mercante o un marinaio - strappato dalle banchine dell'East End di Londra, giovane ed affamato - finivi in un inferno di legno galleggiante. Lavoravi tutte le ore su una nave ristretta e mezza affamata e se rallentavi il ritmo per un secondo, l'onnipotente capitano ti avrebbe frustato con il gatto a nove code. Se ti rilassavi regolarmente, potevi essere gettato in mare. Ed alla fine di mesi o anni di questo, eri spesso truffato sui tuoi salari.

I pirati sono state le prime persone a ribellarsi contro questo mondo. Si sono ammutinati contro i loro tirannici capitani - e hanno creato un modo diverso di operare sui mari. Una volta che avevano una nave, i pirati eleggevano i loro capitani e prendevano tutte le loro decisioni collettivamente. Suddividevano le loro ricompense in ciò che Rediker chiama "uno dei progetti più egualitari per la disposizione delle risorse che si trovi in qualsiasi luogo nel 18° secolo".

Comprendevano persino schiavi africani fuggiti e vivevano con loro come pari. I pirati dimostravano "piuttosto chiaramente" - e sovversivamente - che le navi non dovevano essere dirette nella maniera brutale ed oppressiva della marina mercantile e della marina reale". E' per questo che erano popolari, nonostante fossero dei ladri improduttivi.

Le parole di un pirata dell'età perduta - un giovane britannico di nome William Scott - dovrebbero risonare in questa nuova età della pirateria. Giusto prima di essere impiccato a Charleston, Sud Carolina, disse: "Quello che ho fatto è stato di impedire a me stesso di perire. Sono stato costretto ad entrare nella pirateria per vivere".

Nel 1991, il governo della Somalia - nel Corno d'Africa - crollò. Da allora i suoi 9 milioni di abitanti barcollano nell'inedia - e molte delle forze più ignobili del mondo occidentale hanno visto questo come una grande opportunità per rubare la riserva alimentare del paese e per scaricare i nostri residui radioattivi nei loro mari.

Si: residui radioattivi. Appena il governo era finito, delle misteriose navi europee cominciarono ad apparire al largo delle coste della Somalia, a scaricare grandi serbatoi nell'oceano. La popolazione costiera ad ammalarsi. Al principio soffrivano di strane infiammazioni della pelle, nausea e bambini deformi. Quindi, dopo lo tsunami del 2005, centinaia dei barili scaricati e sgocciolanti si depositarono sulla spiaggia. La gente cominciò a soffrire di malattie causate dall'irradiamento e più di 300 morirono.

Ahmedou Ould-Abdallah, l'inviato dell'ONU in Somalia, mi racconta: "Qualcuno sta scaricando qui materiale nucleare. Vi sono anche piombo e metalli pesanti come cadmio e mercurio - dite voi". Molto di questo è rintracciabile agli ospedali ed alle fabbriche europee, che pare lo passino alla mafia italiana perché lo "sistemi" a buon prezzo. Quando ho chiesto a Ould-Abdallah cosa stessero facendo su questo i governi europei, ha affermato con un sospiro: "Nulla. Non vi sono state nessuna rimozione, nessun risarcimento e nessuna prevenzione".

Allo stesso tempo, altre navi europee depredano i mari della Somalia della loro maggiore risorsa: il pesce. Abbiamo distrutto le nostre riserve di pesce con il sovrasfruttamento - ed ora siamo passati alle loro. Oltre $300 milioni di valore di tonno, gamberetti, aragoste ed altri animali marini vengono rubati ogni anno da grandi pescherecci che assalgono illegalmente i non protetti mari della Somalia.

I pescatori locali hanno perduto improvvisamente i loro mezzi di sussistenza e stanno soffrendo la fame. Mohammed Hussein, un pescatore della città di Marka, 100 km a sud di Mogadiscio, ha raccontato alla Reuters: "Se non si fa niente, presto non vi sarà molto pesce rimasto nelle nostre acque costiere".

Questo è il contesto del quale sono emersi gli uomini che chiamiamo "pirati". Tutti concordano che erano dei comuni pescatori somali che al principio hanno preso i motoscafi per cercare di dissuadere i trasportatori ed i pescherecci, o almeno levare su di essi una "tassa". Chiamano se stessi la Guardia Costiera Volontaria della Somalia - e non è difficile capire perché.

In una surreale intervista telefonica, uno dei leader dei pirati, Sugule Ali, ha dichiarato che il loro motivo era "fermare la pesca e lo scarico illegali nelle nostre acque ... Non ci consideriamo banditi del mare. Consideriamo che i banditi del mare siano quelli che pescano e scaricano illegalmente nei nostri mari e gettano immondizia nei nostri mari e portano armi nei nostri mari". William Scott comprenderebbe queste parole.

Non, questo non rende giustificabile la presa di ostaggi e, si, alcuni sono chiaramente soltanto dei banditi - specialmente quelli che hanno ritardato il traffico delle vettovaglie del Programma Mondiale Alimentare. Ma i "pirati" hanno l'appoggio schiacciante della popolazione locale per una ragione. Il sito di notizie somalo indipendente WardherNews ha condotto la migliore ricerca che abbiamo su quello che pensano i somali comuni - e ha scoperto che il 70% "appoggiava fortemente la pirateria come una forma di difesa nazionale delle acque territoriali del paese".

In America, durante la guerra rivoluzionaria, George Washington ed i padri fondatori dell'America pagavano dei pirati per proteggere le acque territoriali americane, perché non avevano nessuna marina o guardia costiera proprie. La maggior parte degli americani li appoggiava. E' così differente?

Ci aspettavamo che i somali affamati stessero fermi passivamente sulle loro spiagge, a remare con la pagaia nei nostri rifiuti nucleari e a guardarci portar via il loro pesce da mangiare nei ristoranti di Londra, Parigi e Roma? Non abbiamo agito per quei crimini - ma quando alcuni dei pescatori hanno reagito scompigliando il corridoio di transito per il 20% del rifornimento petrolifero mondiale, abbiamo cominciato a strillare dei "cattivi". Se vogliamo veramente occuparci della pirateria, dobbiamo fermarne la causa alla radice - i nostri crimini - prima di mandare le cannoniere ad estirpare i criminali della Somalia.

La storia della guerra alla pirateria del 2009 è stata riassunta nel modo migliore da un altro pirata, che visse e morì nel quarto secolo A.C. Fu catturato e portato da Alessandro Magno, che chiese di sapere "cosa intendesse prendendo possesso del mare". Il pirata sorrise e rispose: "Quel che tu intendi prendendo l'intera terra: ma poiché io lo compio con una piccola nave, vengo chiamato un ladro, mentre tu, che lo fai con una grande flotta, sei chiamato un imperatore".

Ancora una volta, oggi entrano in porto le nostre grandi flotte imperiali - ma chi è il rapinatore?

Johann Hari

24 aprile 2009

La crisi nel 2009 e il crollo del 2010



Molti analisti americani sostengono che il crollo definitivo dell’ economia americana potrebbe avere luogo alla fine di quest’ anno e sará ricordato come il crollo del 2009, ritengono gli esperti. Altri ancora, tra cui un esperto in scienze politiche russo, prevedono la stessa situazione. L’ America è senza dubbio in condizioni disperate, ma ció che piú lascia perplessi è la continua tendenza da parte degli stessi Stati Uniti a negare seccamente la gravitá della situazione ed a peggiorare le cose attraverso inutili piani di salvataggio e conflitti col resto del mondo, invece di affrontare la realtá che vuole la fine dell’ America come superpotenza, in conseguenza del fallimento del sistema economico. A questo punto sarebbe auspicabile che la nazione ponesse fine alle guerre (peraltro perse) col minor danno e massimo onore possibile. Non c’è nessuna ragione per perseverare in una linea politica che non vede vie d’ uscita. la cosa piú sensata per la sopravvivenza consiste nel delineare una nuova morale politica economica e finanziaria.

La profonda recessione che rasenta la depressione economica, di cui siamo stati testimoni fino ad ora, è causata dal crac del mercato immobiliare degli USA. Dal momento che altre nazioni industrializzate, specialmente in Europa, hanno tentato di imitare i sotterfugi dei dissoluti banchieri e finanzieri americani, il crollo dei sistemi economici, compresi i mercati e le banche delle suddette nazioni è stata la conseguenza piú immediata. L’ Islanda è stata la prima nazione a dichiarare bancarotta; il suo Prodotto Interno Lordo gravita intorno ai 6.5 miliardi di dollari, ma le banche hanno preso in prestito qualcosa come 65 miliardi di dollari, mentre i manager continuavano per la loro strada per inerzia. La Gran Bretagna, al contrario, non ha dichiarato bancarotta ufficialmente, ma tutti sanno che effettivamente di bancarotta si tratta in quanto sia le banche che le istituzioni finanziarie sono a terra.

In ogni caso questo è soltanto l’ inizio; per l’ autunno di quest’ anno gli esperti prevedono il crollo degli immobili commerciali per gli USA: i negozi chiudono e non c’è nessuno che li voglia prendere in affitto. Le aziende stanno riducendo al massimo le spese e sgombrando molti uffici, o chiudono definitivamente i battenti. Altissimi grattacieli stanno diventando edifici fantasma. Tutti questi beni immobiliari vengono ipotecati al limite, ma senza la prospettiva di entrate i prestiti risultano inefficaci, con le conseguenti temutissime perdite. Qui si tratta di assicurazione e riassicurazione, e le cifre di cui si parla sono da capogiro. È pressoché impossibile progettare un piano che si avvicini anche di poco alla risoluzione del problema. Col crollo del settore immobiliare si scatenerá l’ inferno, e se multinazionali come la General Motors e la Ford decideranno di chiudere i battenti, non si tratterá solamente di migliaia di migliaia di disoccupati ( anche se in questo caso l’ uso della parola ‘solamente’ puó sembrare privo di tatto). Due interi centri diventeranno centri fantasma. La situazione é terribile, ma se si conta il numero di mogli, bambini e genitori che dipendono da quelle rendite, è piú che terribile: diventa una situazione inimmaginabile. Tutto questo mentre corrotti e avidi banchieri della Bernie Madoff continuano a guadagnare miliardi (o forse milioni di miliardi) di dollari perché cosi sta scritto nei loro contratti.

Per di piú c’è addirittura il professor Igor Nikolavich Panarin che in un articolo del dicembre 2008 di Andrew Osborne del Wall Street Journal, non l’ ultimo dei furfanti quindi, sostiene che l’ anno prossimo sará ricordato come l’ anno del crollo, per cui gli USA saranno spaccati in sei entitá separate. Sempre secondo il professor Panarin, queste saranno costituite dalla Repubblica della California, la Repubblica dell’ America del Centro Nord, l’ America Atlantica e la Repubblica del Texas, mentre le Hawaii e l’ Alaska torneranno nelle mani della Russia.

Con i milioni di cinesi che vivono nella costa occidentale* (dove il numero giornaliero di persone che vi circolano è di oltre 5 milioni), la California sará, sempre secondo Panarin, sotto il controllo della Cina, mentre la Repubblica dell’ America Centro Nord fará parte del Canada, o comunque sará fortemente influenzata da quest’ ultima. L’ America Atlantica potrebbe essere annessa all’ Unione Europea, il Texas potrebbe far parte del Messico e le Hawaii potrebbero diventare parte della Cina o del Giappone.

Il professor Panarin è stato un esperto del KGB nonché professore in scienze politiche in Russia, decano dell’ Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri a Mosca e autore di diversi libri di geopolitica. Non si puó quindi dire che sia un inetto. In realtá aveva previsto questa situazione prima del tracollo economico iniziato l’ anno scorso, precisamente a Linz in Austria, nel settembre del 1998, davanti a 400 delegati, durante una conferenza sull’ utilizzo in guerra delle informazioni per ottenere vantaggi sul nemico. I presenti alla conferenza rimasero costernati; come lo stesso Panarin riferisce, vedendo sullo schermo la mappa degli Stati Uniti frammentata, centinaia di persone tra il pubblico rimasero alquanto sorprese. Piú tardi molti dei delegati gli chiesero di firmare copie della mappa. Il quadro è lo stesso di quando il dottore in scienze politiche Emmanuel Todd in 1976 fece la previsione del crollo dell’ Unione Sovietica 15 anni prima che il fatto avesse luogo, previsione che al tempo provocó le risa di molti.

Panarin non dice che la sua sia una conclusione inevitabile, ma soltanto che al momento c’è un 55-45 per cento di possibilitá che la disintegrazione si verifichi. Se effettivamente avrá luogo, sará caratterizzata da tre fattori; immigrazione di massa e declino economico e morale potrebbero scatenare una guerra civile e il crollo del dollaro giá il prossimo autunno. Intorno alla fine del giugno 2010, o i primi di luglio, gli USA saranno divisi in sei parti e si prevede una crisi politica e sociale provocata dalla situazione economica, finanziaria e demografica. Quando la situazione tenderá a degenerare, sostiene Panarin, gli stati piú ricchi rifiuteranno i fondi da parte del governo federale e ci sará la secessione: sommosse e infine la guerra civile saranno le conseguenze di tutto ció. Gli USA si divideranno per substrati etnici e ci sará la prevaricazione all’ interno del territorio da parte di poteri extranazionali. Tutto quello che i pachistani devono fare a quel punto è aspettare un pó finché l’ America non cesserá di impicciarsi nei loro affari, mentre il consigliere del generale Petraeus, David kilcullen, ritiene che il Pakistan potrebbe cadere nel giro di pochi mesi.

Non è facile concepire il crollo di un impero o di una superpotenza. Quando i suoi organi vitali vengono corrosi da termiti nel corso degli anni i risultati si vedono a lungo termine, soprattutto se la gente è asservita al potere e sfoggio di ricchezza da parte di chi governa. Quando il crollo arriva è dunque subitaneo e coglie la gente di sorpresa. ‘’Sono andato a dormire la notte scorsa e la mattina dopo al risveglio l’ Unione Sovietica non esisteva piú’’; nemmeno la piú potente macchina da guerra mai costruita ha potuto salvare quella nazione. Ricordate l’ impero britannico, su cui ‘’il sole non sarebbe mai potuto tramontare’’? Al contrario, il sole è decisamente tramontato, e soltanto 60 anni dopo la Gran Bretagna non solo è in bancarotta, ma è anche un supplemento degli USA: un potere di terz’ ordine che a sua volta potrebbe presto disintegrarsi con la secessione della Scozia. La storia è segnata dal crollo delle civiltá, imperi e superpotenze; le ossa delle quali pullulano nei mausolei nazionali.

Parte delle affermazioni del professor Panarin è supportata dal fatto che l’ amministrazione Bush ha approvato piani per l’ imposizione della corte marziale in caso di crollo economico o rivolte sociali che comportino l’ uso delle armi. Le previsioni di Panarin sembrano non solo plausibili, ma anche probabili se, come peraltro è risultato fino ad ora, questo scenario di decadenza diventerá reale. Stando a quanto dice Rand Clifford, gli USA hanno giá creato piani per recludere i cittadini ribelli in campi chiamati ‘’Rex 84’’, e servizi d’ emergenza per i membri del parlamento e le loro famiglie. In un comunicato del Phoenix Business Journal si dice:’’ Un comunicato dell’ esercito americano ed il War College parla della possibilitá di utilizzare le truppe statunitensi in caso di rivolte civili date dalla crisi economica, come nel caso di proteste contro le imprese ed il governo, oppure di corsa alle banche assediate. L’ articolo del giornale riporta le parole del War College:’’violenza di massa negli USA da parte dei cittadini costringerebbe la difesa a rivedere le prioritá al fine di garantire l’ ordine interno e la sicurezza delle persone’’. Bisogna peró dire che l’ esercito studia regolarmente piani da attuare in caso di situazioni estreme, pur risultando queste inverosimili.

L’ ultima parola a Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter e sostenitore di Obama:’’gli Stati Uniti stanno per avere milioni di disoccupati che dovranno affrontare difficoltá estreme, e questa situazione dovrebbe durare per un bel po’ di tempo, con la speranza che le cose prima o poi migliorino. Nello stesso tempo l’ opinione pubblica è consapevole che una parte considerevole di ricchezza è stata messa a disposizione di pochi, a livelli che non hanno precedenti nella storia degli USA: rivolte civili sono proprio verosimili’’.

Humayun Gahuar (esperto di scienze politiche di alto livello- e-mail: humayun.gauhar@gmail.com)

23 aprile 2009

Ripensare il mondo, per bio-regioni


Le città non devono sparire, ma cambiare, mettendosi al servizio delle loro bio-regioni. Così parlò Giuseppe Moretti, referente italiano dei bioregionalisti, intervistato da Daniel Tarozzi per Terranauta. Bioregionalismo? «E’ la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza sulla Terra, rispettando tutti gli esseri viventi». Da Francesco d’Assisi alla spirale della crisi planetaria: «La nostra non è un’ideologia, ma un’attitudine di buon senso e di umiltà». Meglio allora considerare la Terra come un insieme naturale di bio-regioni, regolate dal ciclo dell’acqua malgrado le devastazioni dell’homo tecnologicus: «Da quando l’uomo ha imparato a scheggiare le rocce per ricavarne punte di lancia, la tecnologia non ci ha mai lasciato. Ma la tecnologia, di per sé, è neutra: dipende dall’uso che ne se fa. E oggi, finalmente, possiamo scegliere».




Nata negli Usa negli anni ‘90 e i primi 250 gruppi e poi sviluppatasi in Messico, Canada, Sud America, Australia, Asia ed Europa, la corrente bioregionalista che vede tra i suoi terra-mondo1massimi interpreti l’inglese Etain Addey (autrice di “Una gioia silenziosa”) annovera tra i suoi antenati italiani i fondatori della rivista “AAM Terra Nuova”, aggregazione informale ora sfociata nella Rete Bioregionale Italiana, che ad ogni solstizio pubblica i “Quaderni di vita bioregionale” ed ogni equinozio il giornale “Lato selvatico”. «Appartengo alla cosiddetta generazione degli anni ’60, non ho mai smesso di scrutare le idee dei movimenti alternativi», racconta Moretti. «Conobbi l’idea bioregionale quando avevo già scelto di ritornare alla terra, dopo una parentesi di lavoro dipendente in città». Decisivi i contatti coi pionieri americani, come Peter Berg e Judy Golhaft.

Il bioregionalismo, spiega Moretti, considera il pianeta come un unico organismo vivente, suddiviso in bioregioni. «Sono le regioni naturali della terra, luoghi definiti per continuità di flora e di fauna o per interezza fluviale, grandi a sufficienza da sostenere un’ampia e complessa comunità di esseri viventi. L’uomo è parte integrante di tutto questo, non il suo signore e padrone: l’umiltà è saggezza, visto il divario tra la mente umana e quella della natura». Ri-abitare la terra con occhi nuovi, dunque. Percepire «l’importanza di vivere in un ambiente sano e diversificato» e comprendere che «dalla salute delle acque, dei boschi e del mondo animale dipende la nostra stessa salute», e che «dal diritto di libertà e giustizia sociale dei popoli dipende la nostra stessa libertà e giustizia».

«Ogni cosa è connessa l’una all’altra, su questa terra». Convizione che i buddisti fanno propria da migliaia di anni (i biologi da molto meno) e che ora i bioregionalisti ribadiscono, partendo dall’elemento più vitale: l’acqua. «Il ciclo dell’acqua – dice Moretti – fa della terra un unico grande bacino idrografico. E il bacino idrografico in cui ognuno etain-addey1di noi vive è il contesto della nostra pratica: un bacino idrografico è di fatto una bioregione, e viceversa. Prendersi cura del proprio bacino idrografico, della propria bioregione, significa quindi assumersi le proprie responsabilità, qui e ora, di fronte ai problemi che sono ormai su scala globale: ecco perché oggi è importante ri-abitare la terra in senso bioregionale».

Naturalmente, senza rifiutare scienza e tecnologia. «Oggi possiamo scegliere: di scaldare l’acqua con la legna o coi pannelli solari piuttosto che con l’energia fossile; possiamo scegliere di coltivarci parte del nostro cibo o acquistarlo da produttori ecologicamente consapevoli e liberi dagli ingranaggi speculativi globali, piuttosto che dalla grande distribuzione; possiamo scegliere di ignorare le mode e comprare solo le cose di cui abbiamo effettivamente bisogno, piuttosto che essere succubi di un sistema che fa del consumismo la propria ragione di essere. Dobbiamo ri-ascoltare la nostra natura selvatica: consumare senza sprecare, produrre senza distruggere, vivere e lasciar vivere».

Giuseppe Moretti e i bioregionalisti tifano per la Decrescita Felice, gli ecovillaggi, i seedsavers che custodiscono varietà antiche di semi; partecipano ai gruppi d’acquisto solidale e alla finanza etica, promuovono eco-tecnologie e prodotti a chilometri zero. «Le sorti del cambiamento non sono prerogativa di pochi, tutti possono incidere». Inutile aspettarsi miracoli dagli economisti: non hanno soluzioni, dice Moretti, a parte inventarsi «guazzabugli» grazie ai quali «a perderci sono sempre i più deboli». Non c’è da stare allegri: «Il mondo oggi è talmente imbevuto nel mito del potere, sia politico che economico o religioso, che difficilmente rinuncerà ai privilegi acquisiti».

Una rivoluzione culturale: a questo punta il bioregionalismo. «Non un cambiamento a livello di governi, ma un rivoltamento completo nel modo di intendere il nostro essere qui sulla terra». Illusioni da ex hippy? «Siamo una evoluzione di tutti quelli che con immaginazione, creatività e caparbietà hanno, nel corso del tempo, cercato di migliorare, sia spiritualmente che mentalmente, se stessi prima e la società poi, così da ridurre sia l’impronta umana sul pianeta che l’arroganza del potere e l’avidità di pochi sulla gente e sulla natura», constata Moretti. «Abbiamo fallito? Da quello che si vede sembra di sì, ma è vero anche che questo è un percorso lungo, che richiede tempo, pazienza e dedizione. L’importante è non smettere di ‘seminare’».

di Giuseppe Moretti

25 aprile 2009

I pirati del XXI secolo

Chi immaginava che nel 2009, i governi del mondo avrebbero dichiarato una nuova Guerra ai Pirati? Mentre leggete questo, la Marina Reale Britannica - appoggiata dalle navi di più di due dozzine di paesi, dagli USA alla Cina - sta navigando nelle acque somale per combattere degli uomini che ancora raffiguriamo come furfanti della pantomima del pappagallo sulla spalla. Presto combatteranno le navi somale ed anche inseguiranno i pirati sulla terraferma, in uno dei più disintegrati paesi sulla terra.

Ma dietro le stranezze da linguaggio dei pirati di questa storia, vi è uno scandalo non rivelato. La gente che i nostri governi etichettano come "una delle grandi minacce dei nostri tempi" hanno una storia straordinaria da raccontare - e qualche buon diritto dalla loro parte.

I pirati non sono mai stati affatto quel che pensiamo siano. Durante l'"età d'oro della pirateria" - dal 1650 al 1730 - l'idea del pirata come rapinatore insensato e selvaggio che oggi persiste è stata creata dal governo britannico in un grande sforzo di propaganda. Molte persone comuni la ritenevano falsa: i pirati erano spesso liberati con la forza dalla forca da folle sostenitrici. Perché? Cosa potevano capire che noi non possiamo?

Nel suo libro "Furfanti di tutti i paesi", lo storico Marcus Rediker studia attentamente le testimonianze per scoprirlo. Se allora diventavi un mercante o un marinaio - strappato dalle banchine dell'East End di Londra, giovane ed affamato - finivi in un inferno di legno galleggiante. Lavoravi tutte le ore su una nave ristretta e mezza affamata e se rallentavi il ritmo per un secondo, l'onnipotente capitano ti avrebbe frustato con il gatto a nove code. Se ti rilassavi regolarmente, potevi essere gettato in mare. Ed alla fine di mesi o anni di questo, eri spesso truffato sui tuoi salari.

I pirati sono state le prime persone a ribellarsi contro questo mondo. Si sono ammutinati contro i loro tirannici capitani - e hanno creato un modo diverso di operare sui mari. Una volta che avevano una nave, i pirati eleggevano i loro capitani e prendevano tutte le loro decisioni collettivamente. Suddividevano le loro ricompense in ciò che Rediker chiama "uno dei progetti più egualitari per la disposizione delle risorse che si trovi in qualsiasi luogo nel 18° secolo".

Comprendevano persino schiavi africani fuggiti e vivevano con loro come pari. I pirati dimostravano "piuttosto chiaramente" - e sovversivamente - che le navi non dovevano essere dirette nella maniera brutale ed oppressiva della marina mercantile e della marina reale". E' per questo che erano popolari, nonostante fossero dei ladri improduttivi.

Le parole di un pirata dell'età perduta - un giovane britannico di nome William Scott - dovrebbero risonare in questa nuova età della pirateria. Giusto prima di essere impiccato a Charleston, Sud Carolina, disse: "Quello che ho fatto è stato di impedire a me stesso di perire. Sono stato costretto ad entrare nella pirateria per vivere".

Nel 1991, il governo della Somalia - nel Corno d'Africa - crollò. Da allora i suoi 9 milioni di abitanti barcollano nell'inedia - e molte delle forze più ignobili del mondo occidentale hanno visto questo come una grande opportunità per rubare la riserva alimentare del paese e per scaricare i nostri residui radioattivi nei loro mari.

Si: residui radioattivi. Appena il governo era finito, delle misteriose navi europee cominciarono ad apparire al largo delle coste della Somalia, a scaricare grandi serbatoi nell'oceano. La popolazione costiera ad ammalarsi. Al principio soffrivano di strane infiammazioni della pelle, nausea e bambini deformi. Quindi, dopo lo tsunami del 2005, centinaia dei barili scaricati e sgocciolanti si depositarono sulla spiaggia. La gente cominciò a soffrire di malattie causate dall'irradiamento e più di 300 morirono.

Ahmedou Ould-Abdallah, l'inviato dell'ONU in Somalia, mi racconta: "Qualcuno sta scaricando qui materiale nucleare. Vi sono anche piombo e metalli pesanti come cadmio e mercurio - dite voi". Molto di questo è rintracciabile agli ospedali ed alle fabbriche europee, che pare lo passino alla mafia italiana perché lo "sistemi" a buon prezzo. Quando ho chiesto a Ould-Abdallah cosa stessero facendo su questo i governi europei, ha affermato con un sospiro: "Nulla. Non vi sono state nessuna rimozione, nessun risarcimento e nessuna prevenzione".

Allo stesso tempo, altre navi europee depredano i mari della Somalia della loro maggiore risorsa: il pesce. Abbiamo distrutto le nostre riserve di pesce con il sovrasfruttamento - ed ora siamo passati alle loro. Oltre $300 milioni di valore di tonno, gamberetti, aragoste ed altri animali marini vengono rubati ogni anno da grandi pescherecci che assalgono illegalmente i non protetti mari della Somalia.

I pescatori locali hanno perduto improvvisamente i loro mezzi di sussistenza e stanno soffrendo la fame. Mohammed Hussein, un pescatore della città di Marka, 100 km a sud di Mogadiscio, ha raccontato alla Reuters: "Se non si fa niente, presto non vi sarà molto pesce rimasto nelle nostre acque costiere".

Questo è il contesto del quale sono emersi gli uomini che chiamiamo "pirati". Tutti concordano che erano dei comuni pescatori somali che al principio hanno preso i motoscafi per cercare di dissuadere i trasportatori ed i pescherecci, o almeno levare su di essi una "tassa". Chiamano se stessi la Guardia Costiera Volontaria della Somalia - e non è difficile capire perché.

In una surreale intervista telefonica, uno dei leader dei pirati, Sugule Ali, ha dichiarato che il loro motivo era "fermare la pesca e lo scarico illegali nelle nostre acque ... Non ci consideriamo banditi del mare. Consideriamo che i banditi del mare siano quelli che pescano e scaricano illegalmente nei nostri mari e gettano immondizia nei nostri mari e portano armi nei nostri mari". William Scott comprenderebbe queste parole.

Non, questo non rende giustificabile la presa di ostaggi e, si, alcuni sono chiaramente soltanto dei banditi - specialmente quelli che hanno ritardato il traffico delle vettovaglie del Programma Mondiale Alimentare. Ma i "pirati" hanno l'appoggio schiacciante della popolazione locale per una ragione. Il sito di notizie somalo indipendente WardherNews ha condotto la migliore ricerca che abbiamo su quello che pensano i somali comuni - e ha scoperto che il 70% "appoggiava fortemente la pirateria come una forma di difesa nazionale delle acque territoriali del paese".

In America, durante la guerra rivoluzionaria, George Washington ed i padri fondatori dell'America pagavano dei pirati per proteggere le acque territoriali americane, perché non avevano nessuna marina o guardia costiera proprie. La maggior parte degli americani li appoggiava. E' così differente?

Ci aspettavamo che i somali affamati stessero fermi passivamente sulle loro spiagge, a remare con la pagaia nei nostri rifiuti nucleari e a guardarci portar via il loro pesce da mangiare nei ristoranti di Londra, Parigi e Roma? Non abbiamo agito per quei crimini - ma quando alcuni dei pescatori hanno reagito scompigliando il corridoio di transito per il 20% del rifornimento petrolifero mondiale, abbiamo cominciato a strillare dei "cattivi". Se vogliamo veramente occuparci della pirateria, dobbiamo fermarne la causa alla radice - i nostri crimini - prima di mandare le cannoniere ad estirpare i criminali della Somalia.

La storia della guerra alla pirateria del 2009 è stata riassunta nel modo migliore da un altro pirata, che visse e morì nel quarto secolo A.C. Fu catturato e portato da Alessandro Magno, che chiese di sapere "cosa intendesse prendendo possesso del mare". Il pirata sorrise e rispose: "Quel che tu intendi prendendo l'intera terra: ma poiché io lo compio con una piccola nave, vengo chiamato un ladro, mentre tu, che lo fai con una grande flotta, sei chiamato un imperatore".

Ancora una volta, oggi entrano in porto le nostre grandi flotte imperiali - ma chi è il rapinatore?

Johann Hari

24 aprile 2009

La crisi nel 2009 e il crollo del 2010



Molti analisti americani sostengono che il crollo definitivo dell’ economia americana potrebbe avere luogo alla fine di quest’ anno e sará ricordato come il crollo del 2009, ritengono gli esperti. Altri ancora, tra cui un esperto in scienze politiche russo, prevedono la stessa situazione. L’ America è senza dubbio in condizioni disperate, ma ció che piú lascia perplessi è la continua tendenza da parte degli stessi Stati Uniti a negare seccamente la gravitá della situazione ed a peggiorare le cose attraverso inutili piani di salvataggio e conflitti col resto del mondo, invece di affrontare la realtá che vuole la fine dell’ America come superpotenza, in conseguenza del fallimento del sistema economico. A questo punto sarebbe auspicabile che la nazione ponesse fine alle guerre (peraltro perse) col minor danno e massimo onore possibile. Non c’è nessuna ragione per perseverare in una linea politica che non vede vie d’ uscita. la cosa piú sensata per la sopravvivenza consiste nel delineare una nuova morale politica economica e finanziaria.

La profonda recessione che rasenta la depressione economica, di cui siamo stati testimoni fino ad ora, è causata dal crac del mercato immobiliare degli USA. Dal momento che altre nazioni industrializzate, specialmente in Europa, hanno tentato di imitare i sotterfugi dei dissoluti banchieri e finanzieri americani, il crollo dei sistemi economici, compresi i mercati e le banche delle suddette nazioni è stata la conseguenza piú immediata. L’ Islanda è stata la prima nazione a dichiarare bancarotta; il suo Prodotto Interno Lordo gravita intorno ai 6.5 miliardi di dollari, ma le banche hanno preso in prestito qualcosa come 65 miliardi di dollari, mentre i manager continuavano per la loro strada per inerzia. La Gran Bretagna, al contrario, non ha dichiarato bancarotta ufficialmente, ma tutti sanno che effettivamente di bancarotta si tratta in quanto sia le banche che le istituzioni finanziarie sono a terra.

In ogni caso questo è soltanto l’ inizio; per l’ autunno di quest’ anno gli esperti prevedono il crollo degli immobili commerciali per gli USA: i negozi chiudono e non c’è nessuno che li voglia prendere in affitto. Le aziende stanno riducendo al massimo le spese e sgombrando molti uffici, o chiudono definitivamente i battenti. Altissimi grattacieli stanno diventando edifici fantasma. Tutti questi beni immobiliari vengono ipotecati al limite, ma senza la prospettiva di entrate i prestiti risultano inefficaci, con le conseguenti temutissime perdite. Qui si tratta di assicurazione e riassicurazione, e le cifre di cui si parla sono da capogiro. È pressoché impossibile progettare un piano che si avvicini anche di poco alla risoluzione del problema. Col crollo del settore immobiliare si scatenerá l’ inferno, e se multinazionali come la General Motors e la Ford decideranno di chiudere i battenti, non si tratterá solamente di migliaia di migliaia di disoccupati ( anche se in questo caso l’ uso della parola ‘solamente’ puó sembrare privo di tatto). Due interi centri diventeranno centri fantasma. La situazione é terribile, ma se si conta il numero di mogli, bambini e genitori che dipendono da quelle rendite, è piú che terribile: diventa una situazione inimmaginabile. Tutto questo mentre corrotti e avidi banchieri della Bernie Madoff continuano a guadagnare miliardi (o forse milioni di miliardi) di dollari perché cosi sta scritto nei loro contratti.

Per di piú c’è addirittura il professor Igor Nikolavich Panarin che in un articolo del dicembre 2008 di Andrew Osborne del Wall Street Journal, non l’ ultimo dei furfanti quindi, sostiene che l’ anno prossimo sará ricordato come l’ anno del crollo, per cui gli USA saranno spaccati in sei entitá separate. Sempre secondo il professor Panarin, queste saranno costituite dalla Repubblica della California, la Repubblica dell’ America del Centro Nord, l’ America Atlantica e la Repubblica del Texas, mentre le Hawaii e l’ Alaska torneranno nelle mani della Russia.

Con i milioni di cinesi che vivono nella costa occidentale* (dove il numero giornaliero di persone che vi circolano è di oltre 5 milioni), la California sará, sempre secondo Panarin, sotto il controllo della Cina, mentre la Repubblica dell’ America Centro Nord fará parte del Canada, o comunque sará fortemente influenzata da quest’ ultima. L’ America Atlantica potrebbe essere annessa all’ Unione Europea, il Texas potrebbe far parte del Messico e le Hawaii potrebbero diventare parte della Cina o del Giappone.

Il professor Panarin è stato un esperto del KGB nonché professore in scienze politiche in Russia, decano dell’ Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri a Mosca e autore di diversi libri di geopolitica. Non si puó quindi dire che sia un inetto. In realtá aveva previsto questa situazione prima del tracollo economico iniziato l’ anno scorso, precisamente a Linz in Austria, nel settembre del 1998, davanti a 400 delegati, durante una conferenza sull’ utilizzo in guerra delle informazioni per ottenere vantaggi sul nemico. I presenti alla conferenza rimasero costernati; come lo stesso Panarin riferisce, vedendo sullo schermo la mappa degli Stati Uniti frammentata, centinaia di persone tra il pubblico rimasero alquanto sorprese. Piú tardi molti dei delegati gli chiesero di firmare copie della mappa. Il quadro è lo stesso di quando il dottore in scienze politiche Emmanuel Todd in 1976 fece la previsione del crollo dell’ Unione Sovietica 15 anni prima che il fatto avesse luogo, previsione che al tempo provocó le risa di molti.

Panarin non dice che la sua sia una conclusione inevitabile, ma soltanto che al momento c’è un 55-45 per cento di possibilitá che la disintegrazione si verifichi. Se effettivamente avrá luogo, sará caratterizzata da tre fattori; immigrazione di massa e declino economico e morale potrebbero scatenare una guerra civile e il crollo del dollaro giá il prossimo autunno. Intorno alla fine del giugno 2010, o i primi di luglio, gli USA saranno divisi in sei parti e si prevede una crisi politica e sociale provocata dalla situazione economica, finanziaria e demografica. Quando la situazione tenderá a degenerare, sostiene Panarin, gli stati piú ricchi rifiuteranno i fondi da parte del governo federale e ci sará la secessione: sommosse e infine la guerra civile saranno le conseguenze di tutto ció. Gli USA si divideranno per substrati etnici e ci sará la prevaricazione all’ interno del territorio da parte di poteri extranazionali. Tutto quello che i pachistani devono fare a quel punto è aspettare un pó finché l’ America non cesserá di impicciarsi nei loro affari, mentre il consigliere del generale Petraeus, David kilcullen, ritiene che il Pakistan potrebbe cadere nel giro di pochi mesi.

Non è facile concepire il crollo di un impero o di una superpotenza. Quando i suoi organi vitali vengono corrosi da termiti nel corso degli anni i risultati si vedono a lungo termine, soprattutto se la gente è asservita al potere e sfoggio di ricchezza da parte di chi governa. Quando il crollo arriva è dunque subitaneo e coglie la gente di sorpresa. ‘’Sono andato a dormire la notte scorsa e la mattina dopo al risveglio l’ Unione Sovietica non esisteva piú’’; nemmeno la piú potente macchina da guerra mai costruita ha potuto salvare quella nazione. Ricordate l’ impero britannico, su cui ‘’il sole non sarebbe mai potuto tramontare’’? Al contrario, il sole è decisamente tramontato, e soltanto 60 anni dopo la Gran Bretagna non solo è in bancarotta, ma è anche un supplemento degli USA: un potere di terz’ ordine che a sua volta potrebbe presto disintegrarsi con la secessione della Scozia. La storia è segnata dal crollo delle civiltá, imperi e superpotenze; le ossa delle quali pullulano nei mausolei nazionali.

Parte delle affermazioni del professor Panarin è supportata dal fatto che l’ amministrazione Bush ha approvato piani per l’ imposizione della corte marziale in caso di crollo economico o rivolte sociali che comportino l’ uso delle armi. Le previsioni di Panarin sembrano non solo plausibili, ma anche probabili se, come peraltro è risultato fino ad ora, questo scenario di decadenza diventerá reale. Stando a quanto dice Rand Clifford, gli USA hanno giá creato piani per recludere i cittadini ribelli in campi chiamati ‘’Rex 84’’, e servizi d’ emergenza per i membri del parlamento e le loro famiglie. In un comunicato del Phoenix Business Journal si dice:’’ Un comunicato dell’ esercito americano ed il War College parla della possibilitá di utilizzare le truppe statunitensi in caso di rivolte civili date dalla crisi economica, come nel caso di proteste contro le imprese ed il governo, oppure di corsa alle banche assediate. L’ articolo del giornale riporta le parole del War College:’’violenza di massa negli USA da parte dei cittadini costringerebbe la difesa a rivedere le prioritá al fine di garantire l’ ordine interno e la sicurezza delle persone’’. Bisogna peró dire che l’ esercito studia regolarmente piani da attuare in caso di situazioni estreme, pur risultando queste inverosimili.

L’ ultima parola a Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter e sostenitore di Obama:’’gli Stati Uniti stanno per avere milioni di disoccupati che dovranno affrontare difficoltá estreme, e questa situazione dovrebbe durare per un bel po’ di tempo, con la speranza che le cose prima o poi migliorino. Nello stesso tempo l’ opinione pubblica è consapevole che una parte considerevole di ricchezza è stata messa a disposizione di pochi, a livelli che non hanno precedenti nella storia degli USA: rivolte civili sono proprio verosimili’’.

Humayun Gahuar (esperto di scienze politiche di alto livello- e-mail: humayun.gauhar@gmail.com)

23 aprile 2009

Ripensare il mondo, per bio-regioni


Le città non devono sparire, ma cambiare, mettendosi al servizio delle loro bio-regioni. Così parlò Giuseppe Moretti, referente italiano dei bioregionalisti, intervistato da Daniel Tarozzi per Terranauta. Bioregionalismo? «E’ la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza sulla Terra, rispettando tutti gli esseri viventi». Da Francesco d’Assisi alla spirale della crisi planetaria: «La nostra non è un’ideologia, ma un’attitudine di buon senso e di umiltà». Meglio allora considerare la Terra come un insieme naturale di bio-regioni, regolate dal ciclo dell’acqua malgrado le devastazioni dell’homo tecnologicus: «Da quando l’uomo ha imparato a scheggiare le rocce per ricavarne punte di lancia, la tecnologia non ci ha mai lasciato. Ma la tecnologia, di per sé, è neutra: dipende dall’uso che ne se fa. E oggi, finalmente, possiamo scegliere».




Nata negli Usa negli anni ‘90 e i primi 250 gruppi e poi sviluppatasi in Messico, Canada, Sud America, Australia, Asia ed Europa, la corrente bioregionalista che vede tra i suoi terra-mondo1massimi interpreti l’inglese Etain Addey (autrice di “Una gioia silenziosa”) annovera tra i suoi antenati italiani i fondatori della rivista “AAM Terra Nuova”, aggregazione informale ora sfociata nella Rete Bioregionale Italiana, che ad ogni solstizio pubblica i “Quaderni di vita bioregionale” ed ogni equinozio il giornale “Lato selvatico”. «Appartengo alla cosiddetta generazione degli anni ’60, non ho mai smesso di scrutare le idee dei movimenti alternativi», racconta Moretti. «Conobbi l’idea bioregionale quando avevo già scelto di ritornare alla terra, dopo una parentesi di lavoro dipendente in città». Decisivi i contatti coi pionieri americani, come Peter Berg e Judy Golhaft.

Il bioregionalismo, spiega Moretti, considera il pianeta come un unico organismo vivente, suddiviso in bioregioni. «Sono le regioni naturali della terra, luoghi definiti per continuità di flora e di fauna o per interezza fluviale, grandi a sufficienza da sostenere un’ampia e complessa comunità di esseri viventi. L’uomo è parte integrante di tutto questo, non il suo signore e padrone: l’umiltà è saggezza, visto il divario tra la mente umana e quella della natura». Ri-abitare la terra con occhi nuovi, dunque. Percepire «l’importanza di vivere in un ambiente sano e diversificato» e comprendere che «dalla salute delle acque, dei boschi e del mondo animale dipende la nostra stessa salute», e che «dal diritto di libertà e giustizia sociale dei popoli dipende la nostra stessa libertà e giustizia».

«Ogni cosa è connessa l’una all’altra, su questa terra». Convizione che i buddisti fanno propria da migliaia di anni (i biologi da molto meno) e che ora i bioregionalisti ribadiscono, partendo dall’elemento più vitale: l’acqua. «Il ciclo dell’acqua – dice Moretti – fa della terra un unico grande bacino idrografico. E il bacino idrografico in cui ognuno etain-addey1di noi vive è il contesto della nostra pratica: un bacino idrografico è di fatto una bioregione, e viceversa. Prendersi cura del proprio bacino idrografico, della propria bioregione, significa quindi assumersi le proprie responsabilità, qui e ora, di fronte ai problemi che sono ormai su scala globale: ecco perché oggi è importante ri-abitare la terra in senso bioregionale».

Naturalmente, senza rifiutare scienza e tecnologia. «Oggi possiamo scegliere: di scaldare l’acqua con la legna o coi pannelli solari piuttosto che con l’energia fossile; possiamo scegliere di coltivarci parte del nostro cibo o acquistarlo da produttori ecologicamente consapevoli e liberi dagli ingranaggi speculativi globali, piuttosto che dalla grande distribuzione; possiamo scegliere di ignorare le mode e comprare solo le cose di cui abbiamo effettivamente bisogno, piuttosto che essere succubi di un sistema che fa del consumismo la propria ragione di essere. Dobbiamo ri-ascoltare la nostra natura selvatica: consumare senza sprecare, produrre senza distruggere, vivere e lasciar vivere».

Giuseppe Moretti e i bioregionalisti tifano per la Decrescita Felice, gli ecovillaggi, i seedsavers che custodiscono varietà antiche di semi; partecipano ai gruppi d’acquisto solidale e alla finanza etica, promuovono eco-tecnologie e prodotti a chilometri zero. «Le sorti del cambiamento non sono prerogativa di pochi, tutti possono incidere». Inutile aspettarsi miracoli dagli economisti: non hanno soluzioni, dice Moretti, a parte inventarsi «guazzabugli» grazie ai quali «a perderci sono sempre i più deboli». Non c’è da stare allegri: «Il mondo oggi è talmente imbevuto nel mito del potere, sia politico che economico o religioso, che difficilmente rinuncerà ai privilegi acquisiti».

Una rivoluzione culturale: a questo punta il bioregionalismo. «Non un cambiamento a livello di governi, ma un rivoltamento completo nel modo di intendere il nostro essere qui sulla terra». Illusioni da ex hippy? «Siamo una evoluzione di tutti quelli che con immaginazione, creatività e caparbietà hanno, nel corso del tempo, cercato di migliorare, sia spiritualmente che mentalmente, se stessi prima e la società poi, così da ridurre sia l’impronta umana sul pianeta che l’arroganza del potere e l’avidità di pochi sulla gente e sulla natura», constata Moretti. «Abbiamo fallito? Da quello che si vede sembra di sì, ma è vero anche che questo è un percorso lungo, che richiede tempo, pazienza e dedizione. L’importante è non smettere di ‘seminare’».

di Giuseppe Moretti