28 aprile 2009

Democrazia capovolta

vauro_berlusca_democrazia_2005

Secondo la Costituzione il voto è un “dovere civico”. Ma poteva andare bene nel 1948.
Oggi è il non-voto a essere un dovere. Morale
Oggi di italiani contenti se ne trovano pochi.

Che siano di destra, di sinistra o indecisi, ormai quasi tutti sentono il fiato della crisi economica sul collo, e si lamentano sistematicamente ai quattro venti.“Paese di merda!” “Io me ne vado, qui non si può vivere”. “Siamo governati da una banda di delinquenti”.

Naturalmente lo sappiamo tutti che quella “banda di delinquenti” la votiamo noi, ma se qualcuno prova solo a suggerire di smettere di votarli, si sente rispondere con disdegno che "tanto non cambia nulla".

Il problema è tutto qui.

Cinismo, pigrizia mentale e pochezza morale concorrono ad una situazione paradossale che si potrebbe sintetizzare in questo modo: mi faccio del male da solo, ma non ho alternative, e quindi continuo a farmelo. Apparentemente, la cosa può sembrare vera: anche se uno non vota lo fanno tutti gli altri, e quindi il problema rimane. Un pò come agli incroci cittadini, che nell’ora di punta tutti occupano disordinatamente, pur di arrivare a casa “prima dell’altro”, invece di rispettare il semaforo. Se lo facessero tutti – dice ciascuno – io sarei il primo a rispettare il semaforo. Se invece lo fai da solo, non solo non serve a niente, ma ti prendi anche del cretino da quello dietro, che ti suona per farti passare a tutti i costi, nonostante il rosso. Dall’alto del suo palazzo il potente osserva soddisfatto i suoi popolani, che si scannano fra di loro invece di organizzarsi per un vantaggio comune.

Ora, finchè si tratta di intasare un incrocio “perchè tanto lo fanno tutti”, si perde al massimo un pò di tempo sulla strada di casa. Quando invece continui a votare dei delinquenti, “perchè tanto lo fanno tutti”, diventi un delinquente come loro. Il motivo è molto semplice: la nostra è una democrazia rappresentativa, nella quale tu eleggi un tuo concittadino perchè vada a rappresentare la tua volontà in parlamento. Se poi quel parlamento decide, ad esempio, di privatizzare l’acqua, lo avrà fatto in tuo nome, e quindi sarai tu a dover rispondere alla storia per aver rinunciato al libero uso di uno dei beni più essenziali di cui disponga l’umanità. E la cosa più divertente è che non solo non trarrai il minimo beneficio economico da questa privatizzazione, ma sarai proprio tu ad arricchire la nuova società dell’acqua, che da oggi dovrai pagare a peso d’oro.

Pensa che meraviglia: hai scelto qualcuno che rappresentasse la tua volontà, e costui ha deciso di danneggiarti in modo palese, sostanziale e duraturo. E tu alla fine del mandato, invece di chiedergli conto di quello che ha fatto, torni a votarlo dicendo che “tanto non c’è alternativa”. Nemmeno il peggiore dei masochisti arriverebbe a tanto. Qualcuno potrà obiettare che in realtà lui ha votato un partito, e che è stato il partito a scegliere chi mandare in parlamento. Ma il problema non cambia: se torni a votare un partito che in passato ha mandato delinquenti in parlamento, a) lo stai autorizzando a fare la stessa cosa, e b) implicitamente approvi quello che hanno fatto in passato.

E finora abbiamo parlato solo di acqua, ma quello che hanno fatto i nostri governi – sia di destra che di sinistra, indistintamente – negli ultimi 20 anni va ben oltre la privatizzazione di un bene comune. A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno sistematicamente svenduto l’Italia agli stranieri, rendendoci ancora più schiavi del capitale estero, invece di liberarci una volta per tutte dalla morsa del piano Marshall.

A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno sistematicamente soggiaciuto al potere del Vaticano, invece di liberarci una volta per tutte da una schiavitù – psicologica, morale e materiale – che dura da millenni. A partire dagli anni ’90, invece di proseguire sulla strada indicata da Tangentopoli, i nostri politici hanno ripreso, incrementato e perfezionato il sistema di spartizione del denaro pubblico, moltiplicando il livello di corruzione fino quasi ad istituzionalizzarlo: oggi non c’è pubblico incarico che non si muova senza un equivalente movimento di denaro, come naturalmente non c’è spesa pubblica che non contenga una quota sostanziale di tangenti, per ciascuno dei livelli coinvolti. Ne risulta che da una parte il cittadino lavora per mandare soldi allo stato, e dall’altra manda al governo gente che sistematicamente glielo ruba. A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno mandato più volte in guerra i nostri soldati in palese violazione della nostra Costituzione. Ogni volta che l’Italia ha partecipato ad attacchi o invasioni di nazioni sovrane, inoltre, violava i più importanti accordi internazionali, e i più fondamentali principi del rispetto della vita umana.

Le chiamavano missioni di pace, ma da Aviano partivano bombardieri carichi di ordigni all’uranio impoverito, che venivano sganciati senza pietà sui civili della ex-Jugoslavia. Persino in una guerra convenzionale – per quanto legittima la si possa considerare - questo tipo di azioni sarebbe severamente proibito dalla Convenzione di Ginevra, a cui l’Italia ha aderito sin dal primo giorno. Abbiamo scelto a rappresentarci delle persone che hanno violato leggi, convenzioni e costituzioni, e che hanno ucciso distrutto e devastato nel nostro nome – rendendo noi stessi degli assassini - e noi torniamo tranquillamente a votarle, perchè “tanto non c’è alternativa”. La democrazia - ti dirà il solito cinico – è solo una presa in giro. In realtà è un sistema di controllo inventato apposta per illudere le masse di gestire il potere, mentre al potere ci saranno le stesse persone di sempre, alle quali delle masse non può importare di meno.

Ma siamo proprio sicuri, che non esista una alternativa? La democrazia infatti non è un obbligo, che ti impone di votare qualcuno a tutti costi, ma un privilegio, che ti permette di scegliere da chi vuoi essere rappresentato nella gestione della cosa pubblica. Se quindi vai alle urne, e non trovi nessuno degno di rappresentarti, semplicemente non voti per nessuno e torni a casa. Al massimo, avrai fatto una bella passeggiata fino alla scuola comunale.

è il principio di accettare per buona la rosa dei candidati che ci viene offerta, a farci concludere che “tanto non c’è niente da fare”. Certo, con quei candidati non ci sarà mai nulla da fare, che discorsi! Sono figli di un sistema marcio alla radice, che non poteva che generare gente dello stesso spessore morale. Quando mai uno scarafaggio ha dato luce a una farfalla? Ma non sta scritto da nessuna parte che si debbano accettare per forza quei candidati, nè i partiti che poi li sceglieranno. Se nessuno ti soddisfa, trattieni il tuo voto e torni a casa.

A questo punto il cinico dice: “non votare non serve a nulla, perchè tanto votano gli altri”. La prima risposta è questa: non importa se serve o non serve. Innanzitutto, non votare una classe politica criminale significa a) non approvare i loro crimini passati, e b) non autorizzarla a commetterne di nuovi. Questo già dovrebbe bastare, ad un individuo con un minimo di rettitudine morale.

In secondo luogo, bisogna vedere se davvero “non serve a nulla” trattenere il nostro voto, o se sia invece questo ragionamento a nullificare l’intero concetto di rappresentatività popolare. Perchè mai credete che i politici, che ignorano sistematicamente le nostre necessità quando stanno al governo, ci corrono dietro come delle mammolette appena inizia il periodo elettorale? Come si spiega che per cinque anni rubino svendano e distruggano a piacimento, senza minimamente curarsi di noi, ma poi diventino degli angioletti, pieni di belle parole e di buone intenzioni, in campagna elettorale? Proprio perchè la nostra è una democrazia rappresentativa, e senza il nostro voto loro non possono più fare nulla. Senza il nostro voto loro non esistono più.

A questo punto anche un bambino capirebbe che il coltello dalla parte del manico l’abbiamo noi, e che quindi saremmo perfettamente in grado di dettare le nostre condizioni, prima di dare quel voto. Invece ci sediamo incantati ad ascoltare le loro favolette, che parlano vagamente di “riforme”, di “crescita” e di “posti di lavoro”, e poi ci torturiamo per intere settimane per decidere chi sia meglio e chi sia peggio. Alla fine regaliamo il nostro voto al “meno peggio” – pur di non rinunciare a dire la nostra - e corriamo a casa per iniziare a bestemmiare contro di lui.

Questa non è democrazia. è criminalità organizzata. E le elezioni non sono un mandato a governare, ma un’autorizzazione a delinquere. Che firmiamo noi di nostro pugno, legislatura dopo legislatura.

Certo che la democrazia è una presa in giro, se praticata in questo modo, ma siamo noi a renderla tale, usandola senza ragionare, e senza il minimo senso di responsabilità. Se il politico ha un bisognotalmente disperato del nostro voto da arrivare a rendersi ridicolo, con le sue favolette elettorali, come si può pensare che non cambi nulla nel non darglielo? Se questa gente corre su e giù per l’Italia come un criceto impazzito, pur di raggranellare mezzo voto in più, vorrà dire che quei voti le servono a qualcosa, non credete? Le servono per tornare in quel posto meraviglioso dove prendi uno stipendio esorbitante per non fare nulla di utile, mentre gestisci con grande “elasticità” milioni di miliardi di euro prodotti dal sudore della gente che lavora. Chi non vorrebbe tornarci, in un posto del genere? E chi non sarebbe disposto a calpestare persino la madre, la moglie o la sorella, pur di farlo? Cosa vuoi che sia, firmare una leggiucola che privatizza l’acqua sorgiva, quando ho la possibilità di entrare in quota nella nuova società che la venderà a peso d’oro? Tanto - ragiona il politico - fra cinque anni chi mi ha votato non se ne ricorderà più, e al massimo sto fuori un turno, che mi serve per preparare meglio la mia rete di contatti, e rientrare alla grande in quello successivo. La vera alternanza politica è questa: chi ruba, e chi sta all’asciutto. Facciamo un po’ per uno, e lasciamo che sia il popolo a decidere ogni volta a chi tocca.

Ma questa non è democrazia, è criminalità organizzata, e le elezioni non sono un mandato a governare, ma una vera e propria autorizzazione a delinquere. Che firmiamo noi, di nostro pugno, legislatura dopo legislatura. D’altronde, finchè continueremo a dare il voto a questa gente, senza pretendere nulla in cambio, non potremo illuderci che costoro si sforzino di fare meglio la volta successiva. Perchè mai dovrebbero provarci? è quindi “votando comunque”, casomai, che non cambia niente. La democrazia prevede una forte responsabilità in chi demanda il proprio potere decisionale, e una responsabilità ancora maggiore in chi viene incaricato di esercitarlo. è quindi naturale che fra le due parti debba esserci prima un accordo chiaro e dettagliato, in modo da poter rispondere ciascuno delle proprie responsabilità, alla fine del mandato. Non si può mandare al governo gente che dice “farò le riforme” mentre si mette annoiata le dita nel naso, senza chiedergli di specificare tempi, modalità e termini precisi di tali riforme.

- Quali riforme farai, se vieni eletto?
- Farò la riforma della scuola.
- Bravo, ci voleva. E come la farai?
- Darò più soldi agli insegnanti, e aumenterò il budget per i libri scolastici.
- Benissimo, ma non mi basta. Toglierai i crocefissi dalle aule?
- Beh, insomma, proprio toglierli…. mi sembra un pò troppo.
- Perchè troppo? Non sei d’accordo che la loro presenza viola il diritto costituzionale delle altre religioni?
- Si va beh, tecnicamente parlando…
- La costituzione va rispettata, e se tu non intendi farlo io non ti voto.
- E per chi voti allora? Non credo che troverai qualcuno disposto a togliere i crocefissi dalle aule, in questo momento.
- Vorrà dire che aspetterò. Io non ho fretta. Sei tu che sbavi per avere il mio voto a tutti i costi, ma per me dartelo o non dartelo non cambia nulla, perchè si continuerà comunque con la stessa merda. Quindi me lo tengo, e ti faccio tanti auguri. Se fra cinque anni ci hai ripensato, fatti sentire.
- Ma scusa, se hai detto che per te non cambia niente, non potresti darmelo comunque il voto? Cosa ti costa, scusa?
- Mi costa che non voglio sentirmi responsabile di tutti i disastri che combinate. Saluti.
A quel punto magari succede che ti allontani, e dopo un pò ti senti richiamare.
- Senti, scusa…. Mi è venuta un’idea – ti dice il candidato, raggiungendoti ansimante.
- Dimmi.
- E se i crocefissi li facessimo spostare nei corridoi, invece che toglierli del tutto? Perchè sai, toglierli proprio la Chiesa non ci sta, e lì viene giù un casino. Se invece li convinciamo a spostarli nei corridoi, intanto abbiamo fatto un passo avanti, no?
- Si può fare. Ma tu sei in grado di convincerli a spostarli?
- Guarda, al 100% non te lo posso garantire, però a naso direi che la cosa è fattibile. Con la giusta delicatezza, e con i tempi giusti, credo che sia possibile.
- Entro cinque anni?
- Entro cinque anni.
- Va bene, ti do il voto. Fra cinque anni vedremo cosa sei riuscito a fare. Se li hai fatti spostare in corridoio, ti voto di nuovo per toglierli del tutto. Altrimenti comprati una canna da pesca, perchè hai finito di rappresentare la gente come me.

Ecco chi comanda, in democrazia. Siamo noi ad avere il coltello dalla parte del manico. Però dobbiamo sapere con precisione cosa vogliamo, prima di scegliere qualcuno che vada a farlo per nostro conto. Per poter utilizzare quel coltello nel modo giusto, infatti, dobbiamo poter chiedere conto al candidato del suo operato con estrema precisione, alla fine del mandato, e questo è possibile solo se i suoi impegni iniziali erano stati altrettanto precisi e dettagliati.

Sia chiaro: per non-voto non si intende affatto non andare a votare, ma recarsi regolarmente al seggio e ritirare la scheda. E poi riconsegnarla in bianco. O, ancora meglio, annullata. Così da evitare ogni rischio di “appropriamenti indebiti”.

Non c’è bisogno di limitare per legge - a due, o tre legislature - la presenza in parlamento dei deputati. Saremo noi a rimandarceli se ci hanno soddisfatto in quella precedente, e a cancellarli per sempre dalla lista dei “deputabili”, se invece hanno tradito i loro impegni. (Idem per i partiti, se votassimo quelli). Invece ce ne stiamo qui seduti come degli imbecilli a farci raccontare delle favolette senza senso, durante le campagne elettorali, e poi mandiamo questa gente al governo con un impegno talmente vago che non solo loro si fanno i porci comodi, ma alla fine noi non sappiamo nemmeno più con chi prendercela. Se ciascun cittadino rispettasse il semplice principio della democrazia rappresentativa, che prevede di eleggere chi si impegni a fare per tuo conto ciò che tu ritieni giusto – e non “il meno peggio” - i non-voti sarebbero talmente tanti che i politici sarebbero immediatamente obbligati a scendere a patti con il proprio elettorato. Sia chiaro: per non-voto si intende schede bianche, o preferibilmente nulle (per evitare “appropriamenti indebiti”), non si intende assolutamente di non andare a votare. Alle urne bisogna recarsi fisicamente, per fare la propria parte. Se poi non c’è nessuno che riteniamo degno di rappresentarci (persona o partito fa poca differenza), annulliamo semplicemente la scheda e torniamo a casa.

Certo, non è facile rinunciare al diritto di far sentire la propria voce, ma dobbiamo renderci conto che un non-voto di questo tipo è forse la voce più potente che si possa esprimere nella nostra attuale situazione, mentre usufruire di quel diritto senza avere una reale scelta di fronte è solo una colossale presa in giro. Inizialmente, le bianche e le nulle potranno anche finire nel calderone degli altri (si dividono persino quelle, pur di rafforzare la loro legittimazione), ma quando le quote di voti effettivi cominciassero davvero a calare, nessun politico potrebbe permettersi di andare al governo senza un reale mandato.

Lo strumento per governare correttamente ce l’abbiamo, dobbiamo solo capovolgerlo prima dell’uso.

Massimo Mazzucco -

27 aprile 2009

Israele, siluro sull'inchiesta Onu

onu

CRIMINI DI GUERRA A GAZA - «Commissione non imparziale», Tel Aviv chiude la porta a Goldstone

Nessuna collaborazione con gli ispettori che indagheranno su Piombo fuso
Tel Aviv non collaborerà con l'inchiesta delle Nazioni Unite sull'operazione «Piombo fuso», l'offensiva delle truppe israeliane che tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009 ha causato la morte di oltre 1.417 palestinesi (la maggior parte dei quali civili) nella Striscia di Gaza. «Israele ha informato il Consiglio dei diritti umani dell'Onu che non coopererà con un'indagine basata su una risoluzione non imparziale» ha dichiarato alla France presse un funzionario dello Stato ebraico che ha chiesto di restare anonimo. Hamas al contrario - riferisce il quotidiano Ha'aretz - ha fatto sapere di essere pronta a cooperare con la squadra guidata da Richard Goldstone, il giudice sudafricano (ex procuratore dei tribunali per i crimini di guerra commessi in Ruanda ed Ex Yugoslavia) che guiderà gli investigatori attesi tra qualche settimana nella regione e il cui rapporto al Consiglio è previsto per il luglio prossimo.
La lettera che ufficializza il diniego è stata spedita, attraverso l'ambasciata israeliana a Ginevra, a Goldstone e alla sede dell'Agenzia dell'Onu che si occupa dei diritti umani. Senza la collaborazione da parte delle autorità israeliane, per gli investigatori di Goldstone sarà più difficile raccogliere prove sulle armi utilizzate contro Gaza, su condotte criminali da parte dei soldati e su eventuali ordini che le hanno causate. Già da qualche giorno si era capito che i responsabili dei massacri di Gaza avevano intenzione di mettere il bastone tra le ruote all'iniziativa del Consiglio, di cui fanno parte 47 paesi: «L'indagine non ha alcuna base morale, perché già prima di essere iniziata ha deciso chi è colpevole e di cosa» aveva tagliato corto qualche giorno fa Yigal Palmor, il portavoce del ministero degli esteri.
All'allora governo Olmert proprio non era andata giù la risoluzione, adottata dal Consiglio dei diritti umani il 12 gennaio scorso, che condannava l'offensiva militare e chiedeva la fine dei bombardamenti. Eppure Goldstone, che si era detto «scioccato» per l'incarico affidatogli - a causa della sua collaborazione con istituzioni israeliane (tra cui l'università ebraica di Gerusalemme) - aveva fatto di tutto per non suscitare il sospetto delle autorità israeliane. Mentre il mandato gli chiede d'indagare sulla condotta delle truppe di Tel Aviv nei 22 giorni di attacco a Gaza, il giudice aveva dichiarato di voler prendere in esame tutte le presunte violazioni (anche i lanci di razzi da parte di Hamas) e di voler estendere il raggio temporale dell'inchiesta al periodo precedente l'attacco, per spiegarne il contesto.
Le organizzazioni non governative palestinesi e internazionali - tra cui Amnesty international e Human rights watch - hanno raccolto indizi che accusano l'esercito di aver bombardato aree densamente popolate, utilizzato munizioni al fosforo bianco su zone abitate, impiegato palestinesi come scudi umani, aver effettuato esecuzioni extragiudiziali. Anche Hamas è stata accusata per il lancio di razzi in territorio israeliano e di aver utilizzato scudi umani.
Per le stesse accuse il procuratore della Corte penale internazionale (Icc) Luis Moreno Ocampo sta tuttora valutando se sussiste la possibilità di aprire un'indagine contro Tel Aviv in base alle denunce presentate da decine di ong.
Intanto continua l'opera di sdoganamento di Hamas, considerata «organizzazione terroristica» dalla Comunità internazionale ma con cui sempre più governi iniziano a intavolare trattative. Ieri il leader palestinese Khaled Meshaal, a capo dell'ufficio politico del movimento islamico in esilio, ha incontrato a Damasco una nuova delegazione parlamentare britannica, nel terzo meeting del genere nell'arco di un mese. In un comunicato, Hamas precisa che la delegazione guidata dall'onorevole Roger Godsiff ha incontrato Meshaal e altri rappresentanti di Hamas.

«È una visita che s'inserisce nel quadro degli sforzi europei per aprire canali di dialogo con Hamas al fine di comprendere nel profondo, attraverso un dialogo diretto col movimento, la nostra causa», si legge nel testo. Hamas figura dal 2003 nella lista dell'Unione europea delle organizzazioni terroristiche, eppure Meshaal aveva già incontrato a Damasco nel marzo scorso deputati europei. «I membri della delegazione britannica - prosegue il comunicato - hanno espresso la loro convinzione che nella regione non si può arrivare alla pace senza un dialogo con Hamas che si è conquistato la fiducia del popolo palestinese in modo democratico trasparente».


di Michelangelo Cocco

26 aprile 2009

Si delinea un confronto tra gli Stati Uniti ed Israele

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Si sta delineando un notevole confronto tra gli Stati Uniti ed Israele sulle scelte politiche che variano dalla Palestina all’Iran, secondo fonti dello State Department.

Il nuovo governo Likud / Yisrael Beiteinu d'Israele sta portando avanti un'agenda che va contro le politiche che gli Stati Uniti da lunga data stanno riservando al Medio Oriente. Il presidente del partito Yisrael Beiteinu, Avigdor Lieberman, nuovo Ministro degli Esteri israeliano, è considerato da una fonte dello State Department un “fascista est-europeo che pratica il razzismo”.

Le fonti dello State Department ora sono convinte che quello che a Washington è stato chiamato “Israel Lobby” presto si trasformerà in una “Likud / Lieberman Lobby”, ancor più problematica, che spingerà una politica pro-guerra e pro-coloni all'interno del Congresso e dell’Amministrazione di Barack Obama. Questa lobby, nuova e più aggressiva, userà il suo controllo soprattutto attraverso i deputati Steve Israele (Democratico-New York) e Mark Kirk (Repubblicano-Illinois), come anche attraverso il Senatore Charles Schumer (Democratico-New York), per assicurarsi che le nuove politiche d’Israele saranno trasmesse al Capo dello Staff della Casa Bianca, Rahm Emanuel ed al consulente capo di Obama, David Axelrod, e che loro agiranno di conseguenza.

Ci sono, in ogni modo, molti punti di potenziale rottura tra l'amministrazione Obama ed il nuovo governo israeliano, secondo le fonti dello State Department. Uno sarà l’interazione degli Stati Uniti con Hamas, il legittimo governo eletto della Palestina. Il termine del Presidente palestinese Mahmoud Abbas è scaduto ed attualmente il potere legittimo in Palestina appartiene a Hamas. Questo fatto politico significa che gli Stati Uniti hanno nessun’alternativa che parlare direttamente con Hamas.

C'è anche il fatto che Hamas è un partito che favorisce le urne elettorali e non i tradizionali modi medio-orientali di impossessarsi del potere, siano questi principi, generali, figure religiose, o semplici furfanti. Secondo fonti dello State Department, Hamas ha dato una lavata di capo anche agli Hezbollah del Libano, che in passato si erano opposti alla presa di potere attraverso elezioni nel Libano, affinché divenissero generalmente più democratici. Questo cambio si è realizzato, secondo le fonti, con Hezbollah ora completamente impegnato nel processo democratico.

La popolarità di Hamas, specialmente in seguito alla guerra genocida d'Israele contro Gaza, ha agitato i governi dell'Egitto, d’Arabia Saudita e, in minor modo, della Giordania, a causa del suo zelo a guadagnare il potere attraverso elezioni e non attraverso un colpo di stato. Fonti dello State Department dicono che se l'Egitto avesse oneste e democratiche elezioni, la Fratellanza Musulmana (Muslim Brotherhood), che dava vita a Hamas in Palestina, vincerebbe comodamente e la dittatura di Hosni Mubarak avrebbe presto fine. La stessa situazione esiste in Arabia Saudita, dove c’è nervosismo nella famiglia Saud a causa della popolarità di Hamas, che è vista come potenziale minaccia alla Casata dei Saud.

Il personale dello State Department, da osservazioni sul campo, è consapevole che il movimento Fatah di Abbas in Palestina è visto dalla maggioranza dei Palestinesi come corrotto e truffaldino, mentre Hamas è visto come pulito, vigoroso, ed attraente.

Un altro confronto che si mette in evidenza tra gli Stati Uniti e l'Israele riguarda le 200 testate nucleari di Israele. Con gli Stati Uniti occupati in trattative dirette sul nucleare con Iran ed Arabia Saudita, che richiedono un regime internazionale per l’approvvigionamento di combustibile per centrali nucleari, assieme alla tutela che tale tecnologia non può essere convertita per lo sviluppo di armi, c'è anche la probabilità che ci sarà una notevole spinta per creare nel Medio Oriente una zona libera dal nucleare. Se gli Stati Uniti investono in tale piano, vuol dire che l'Israele dovrà smantellare il suo arsenale nucleare. Dato il fatto, che funzionari dello State Department descrivono come “complesso suicida di Masada” d’Israele, tale piano sarà pressoché impossibile da realizzare, dato la svolta corrente d'Israele verso regole più teocratiche e di destra. Una fonte dello State Department lo mise così: "Noi non possiamo indirizzare il programma nucleare iraniano senza indirizzare il programma d’armamento nucleare israeliano."

Funzionari dei Servizi Segreti statunitensi sono anche preparati a smettere di considerare informazioni che arrivano alla CIA ed alle altre agenzie dal Mossad e dalle altre agenzie d’intelligenza israeliane. La nuova squadra che si sta insediando nel Directorate of National Intelligence e nella CIA è acutamente consapevole che gli israeliani hanno, come un membro lo mise, "una lunga storia di disseminazione ingannevole di disinformazione" a funzionari dei Servizi statunitensi, aggiungendo che mentre alcune fonti straniere hanno offerto "cattiva intelligenza distrattamente, Israele è stato intenzionalmente disonesto".

Ufficiali della Difesa statunitense fanno notare che Israele non può attaccare l'Iran senza collusione con gli Stati Uniti, che controllano lo spazio aereo sopra l’Iraq ed il Golfo Persico e qualsiasi aggressione aerea israeliana richiederebbe l’approvazione degli Stati Uniti. Sotto l'amministrazione presente questo scenario è improbabile, come viene riferito a WMR (Wayne Madsen Report).

"L'unico modo di Bibi Netanyahu per attaccare l'Iran è, se lui fosse rassicurato che l'Iran risponderà colpendo forze militari statunitensi nella regione, che costringerebbe gli Stati Uniti ad una risposta militare", disse un funzionario a WMR. Poi aggiunse, "Israele, da solo, non può intraprendere un attacco aereo sostenuto contro l'Iran".

Il Vicepresidente Joe Biden recentemente ha messo in guardia Israele dal condurre qualsiasi azione militare contro l'Iran.

Wayne Madsen

28 aprile 2009

Democrazia capovolta

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Secondo la Costituzione il voto è un “dovere civico”. Ma poteva andare bene nel 1948.
Oggi è il non-voto a essere un dovere. Morale
Oggi di italiani contenti se ne trovano pochi.

Che siano di destra, di sinistra o indecisi, ormai quasi tutti sentono il fiato della crisi economica sul collo, e si lamentano sistematicamente ai quattro venti.“Paese di merda!” “Io me ne vado, qui non si può vivere”. “Siamo governati da una banda di delinquenti”.

Naturalmente lo sappiamo tutti che quella “banda di delinquenti” la votiamo noi, ma se qualcuno prova solo a suggerire di smettere di votarli, si sente rispondere con disdegno che "tanto non cambia nulla".

Il problema è tutto qui.

Cinismo, pigrizia mentale e pochezza morale concorrono ad una situazione paradossale che si potrebbe sintetizzare in questo modo: mi faccio del male da solo, ma non ho alternative, e quindi continuo a farmelo. Apparentemente, la cosa può sembrare vera: anche se uno non vota lo fanno tutti gli altri, e quindi il problema rimane. Un pò come agli incroci cittadini, che nell’ora di punta tutti occupano disordinatamente, pur di arrivare a casa “prima dell’altro”, invece di rispettare il semaforo. Se lo facessero tutti – dice ciascuno – io sarei il primo a rispettare il semaforo. Se invece lo fai da solo, non solo non serve a niente, ma ti prendi anche del cretino da quello dietro, che ti suona per farti passare a tutti i costi, nonostante il rosso. Dall’alto del suo palazzo il potente osserva soddisfatto i suoi popolani, che si scannano fra di loro invece di organizzarsi per un vantaggio comune.

Ora, finchè si tratta di intasare un incrocio “perchè tanto lo fanno tutti”, si perde al massimo un pò di tempo sulla strada di casa. Quando invece continui a votare dei delinquenti, “perchè tanto lo fanno tutti”, diventi un delinquente come loro. Il motivo è molto semplice: la nostra è una democrazia rappresentativa, nella quale tu eleggi un tuo concittadino perchè vada a rappresentare la tua volontà in parlamento. Se poi quel parlamento decide, ad esempio, di privatizzare l’acqua, lo avrà fatto in tuo nome, e quindi sarai tu a dover rispondere alla storia per aver rinunciato al libero uso di uno dei beni più essenziali di cui disponga l’umanità. E la cosa più divertente è che non solo non trarrai il minimo beneficio economico da questa privatizzazione, ma sarai proprio tu ad arricchire la nuova società dell’acqua, che da oggi dovrai pagare a peso d’oro.

Pensa che meraviglia: hai scelto qualcuno che rappresentasse la tua volontà, e costui ha deciso di danneggiarti in modo palese, sostanziale e duraturo. E tu alla fine del mandato, invece di chiedergli conto di quello che ha fatto, torni a votarlo dicendo che “tanto non c’è alternativa”. Nemmeno il peggiore dei masochisti arriverebbe a tanto. Qualcuno potrà obiettare che in realtà lui ha votato un partito, e che è stato il partito a scegliere chi mandare in parlamento. Ma il problema non cambia: se torni a votare un partito che in passato ha mandato delinquenti in parlamento, a) lo stai autorizzando a fare la stessa cosa, e b) implicitamente approvi quello che hanno fatto in passato.

E finora abbiamo parlato solo di acqua, ma quello che hanno fatto i nostri governi – sia di destra che di sinistra, indistintamente – negli ultimi 20 anni va ben oltre la privatizzazione di un bene comune. A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno sistematicamente svenduto l’Italia agli stranieri, rendendoci ancora più schiavi del capitale estero, invece di liberarci una volta per tutte dalla morsa del piano Marshall.

A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno sistematicamente soggiaciuto al potere del Vaticano, invece di liberarci una volta per tutte da una schiavitù – psicologica, morale e materiale – che dura da millenni. A partire dagli anni ’90, invece di proseguire sulla strada indicata da Tangentopoli, i nostri politici hanno ripreso, incrementato e perfezionato il sistema di spartizione del denaro pubblico, moltiplicando il livello di corruzione fino quasi ad istituzionalizzarlo: oggi non c’è pubblico incarico che non si muova senza un equivalente movimento di denaro, come naturalmente non c’è spesa pubblica che non contenga una quota sostanziale di tangenti, per ciascuno dei livelli coinvolti. Ne risulta che da una parte il cittadino lavora per mandare soldi allo stato, e dall’altra manda al governo gente che sistematicamente glielo ruba. A partire dagli anni ‘90 i nostri governi hanno mandato più volte in guerra i nostri soldati in palese violazione della nostra Costituzione. Ogni volta che l’Italia ha partecipato ad attacchi o invasioni di nazioni sovrane, inoltre, violava i più importanti accordi internazionali, e i più fondamentali principi del rispetto della vita umana.

Le chiamavano missioni di pace, ma da Aviano partivano bombardieri carichi di ordigni all’uranio impoverito, che venivano sganciati senza pietà sui civili della ex-Jugoslavia. Persino in una guerra convenzionale – per quanto legittima la si possa considerare - questo tipo di azioni sarebbe severamente proibito dalla Convenzione di Ginevra, a cui l’Italia ha aderito sin dal primo giorno. Abbiamo scelto a rappresentarci delle persone che hanno violato leggi, convenzioni e costituzioni, e che hanno ucciso distrutto e devastato nel nostro nome – rendendo noi stessi degli assassini - e noi torniamo tranquillamente a votarle, perchè “tanto non c’è alternativa”. La democrazia - ti dirà il solito cinico – è solo una presa in giro. In realtà è un sistema di controllo inventato apposta per illudere le masse di gestire il potere, mentre al potere ci saranno le stesse persone di sempre, alle quali delle masse non può importare di meno.

Ma siamo proprio sicuri, che non esista una alternativa? La democrazia infatti non è un obbligo, che ti impone di votare qualcuno a tutti costi, ma un privilegio, che ti permette di scegliere da chi vuoi essere rappresentato nella gestione della cosa pubblica. Se quindi vai alle urne, e non trovi nessuno degno di rappresentarti, semplicemente non voti per nessuno e torni a casa. Al massimo, avrai fatto una bella passeggiata fino alla scuola comunale.

è il principio di accettare per buona la rosa dei candidati che ci viene offerta, a farci concludere che “tanto non c’è niente da fare”. Certo, con quei candidati non ci sarà mai nulla da fare, che discorsi! Sono figli di un sistema marcio alla radice, che non poteva che generare gente dello stesso spessore morale. Quando mai uno scarafaggio ha dato luce a una farfalla? Ma non sta scritto da nessuna parte che si debbano accettare per forza quei candidati, nè i partiti che poi li sceglieranno. Se nessuno ti soddisfa, trattieni il tuo voto e torni a casa.

A questo punto il cinico dice: “non votare non serve a nulla, perchè tanto votano gli altri”. La prima risposta è questa: non importa se serve o non serve. Innanzitutto, non votare una classe politica criminale significa a) non approvare i loro crimini passati, e b) non autorizzarla a commetterne di nuovi. Questo già dovrebbe bastare, ad un individuo con un minimo di rettitudine morale.

In secondo luogo, bisogna vedere se davvero “non serve a nulla” trattenere il nostro voto, o se sia invece questo ragionamento a nullificare l’intero concetto di rappresentatività popolare. Perchè mai credete che i politici, che ignorano sistematicamente le nostre necessità quando stanno al governo, ci corrono dietro come delle mammolette appena inizia il periodo elettorale? Come si spiega che per cinque anni rubino svendano e distruggano a piacimento, senza minimamente curarsi di noi, ma poi diventino degli angioletti, pieni di belle parole e di buone intenzioni, in campagna elettorale? Proprio perchè la nostra è una democrazia rappresentativa, e senza il nostro voto loro non possono più fare nulla. Senza il nostro voto loro non esistono più.

A questo punto anche un bambino capirebbe che il coltello dalla parte del manico l’abbiamo noi, e che quindi saremmo perfettamente in grado di dettare le nostre condizioni, prima di dare quel voto. Invece ci sediamo incantati ad ascoltare le loro favolette, che parlano vagamente di “riforme”, di “crescita” e di “posti di lavoro”, e poi ci torturiamo per intere settimane per decidere chi sia meglio e chi sia peggio. Alla fine regaliamo il nostro voto al “meno peggio” – pur di non rinunciare a dire la nostra - e corriamo a casa per iniziare a bestemmiare contro di lui.

Questa non è democrazia. è criminalità organizzata. E le elezioni non sono un mandato a governare, ma un’autorizzazione a delinquere. Che firmiamo noi di nostro pugno, legislatura dopo legislatura.

Certo che la democrazia è una presa in giro, se praticata in questo modo, ma siamo noi a renderla tale, usandola senza ragionare, e senza il minimo senso di responsabilità. Se il politico ha un bisognotalmente disperato del nostro voto da arrivare a rendersi ridicolo, con le sue favolette elettorali, come si può pensare che non cambi nulla nel non darglielo? Se questa gente corre su e giù per l’Italia come un criceto impazzito, pur di raggranellare mezzo voto in più, vorrà dire che quei voti le servono a qualcosa, non credete? Le servono per tornare in quel posto meraviglioso dove prendi uno stipendio esorbitante per non fare nulla di utile, mentre gestisci con grande “elasticità” milioni di miliardi di euro prodotti dal sudore della gente che lavora. Chi non vorrebbe tornarci, in un posto del genere? E chi non sarebbe disposto a calpestare persino la madre, la moglie o la sorella, pur di farlo? Cosa vuoi che sia, firmare una leggiucola che privatizza l’acqua sorgiva, quando ho la possibilità di entrare in quota nella nuova società che la venderà a peso d’oro? Tanto - ragiona il politico - fra cinque anni chi mi ha votato non se ne ricorderà più, e al massimo sto fuori un turno, che mi serve per preparare meglio la mia rete di contatti, e rientrare alla grande in quello successivo. La vera alternanza politica è questa: chi ruba, e chi sta all’asciutto. Facciamo un po’ per uno, e lasciamo che sia il popolo a decidere ogni volta a chi tocca.

Ma questa non è democrazia, è criminalità organizzata, e le elezioni non sono un mandato a governare, ma una vera e propria autorizzazione a delinquere. Che firmiamo noi, di nostro pugno, legislatura dopo legislatura. D’altronde, finchè continueremo a dare il voto a questa gente, senza pretendere nulla in cambio, non potremo illuderci che costoro si sforzino di fare meglio la volta successiva. Perchè mai dovrebbero provarci? è quindi “votando comunque”, casomai, che non cambia niente. La democrazia prevede una forte responsabilità in chi demanda il proprio potere decisionale, e una responsabilità ancora maggiore in chi viene incaricato di esercitarlo. è quindi naturale che fra le due parti debba esserci prima un accordo chiaro e dettagliato, in modo da poter rispondere ciascuno delle proprie responsabilità, alla fine del mandato. Non si può mandare al governo gente che dice “farò le riforme” mentre si mette annoiata le dita nel naso, senza chiedergli di specificare tempi, modalità e termini precisi di tali riforme.

- Quali riforme farai, se vieni eletto?
- Farò la riforma della scuola.
- Bravo, ci voleva. E come la farai?
- Darò più soldi agli insegnanti, e aumenterò il budget per i libri scolastici.
- Benissimo, ma non mi basta. Toglierai i crocefissi dalle aule?
- Beh, insomma, proprio toglierli…. mi sembra un pò troppo.
- Perchè troppo? Non sei d’accordo che la loro presenza viola il diritto costituzionale delle altre religioni?
- Si va beh, tecnicamente parlando…
- La costituzione va rispettata, e se tu non intendi farlo io non ti voto.
- E per chi voti allora? Non credo che troverai qualcuno disposto a togliere i crocefissi dalle aule, in questo momento.
- Vorrà dire che aspetterò. Io non ho fretta. Sei tu che sbavi per avere il mio voto a tutti i costi, ma per me dartelo o non dartelo non cambia nulla, perchè si continuerà comunque con la stessa merda. Quindi me lo tengo, e ti faccio tanti auguri. Se fra cinque anni ci hai ripensato, fatti sentire.
- Ma scusa, se hai detto che per te non cambia niente, non potresti darmelo comunque il voto? Cosa ti costa, scusa?
- Mi costa che non voglio sentirmi responsabile di tutti i disastri che combinate. Saluti.
A quel punto magari succede che ti allontani, e dopo un pò ti senti richiamare.
- Senti, scusa…. Mi è venuta un’idea – ti dice il candidato, raggiungendoti ansimante.
- Dimmi.
- E se i crocefissi li facessimo spostare nei corridoi, invece che toglierli del tutto? Perchè sai, toglierli proprio la Chiesa non ci sta, e lì viene giù un casino. Se invece li convinciamo a spostarli nei corridoi, intanto abbiamo fatto un passo avanti, no?
- Si può fare. Ma tu sei in grado di convincerli a spostarli?
- Guarda, al 100% non te lo posso garantire, però a naso direi che la cosa è fattibile. Con la giusta delicatezza, e con i tempi giusti, credo che sia possibile.
- Entro cinque anni?
- Entro cinque anni.
- Va bene, ti do il voto. Fra cinque anni vedremo cosa sei riuscito a fare. Se li hai fatti spostare in corridoio, ti voto di nuovo per toglierli del tutto. Altrimenti comprati una canna da pesca, perchè hai finito di rappresentare la gente come me.

Ecco chi comanda, in democrazia. Siamo noi ad avere il coltello dalla parte del manico. Però dobbiamo sapere con precisione cosa vogliamo, prima di scegliere qualcuno che vada a farlo per nostro conto. Per poter utilizzare quel coltello nel modo giusto, infatti, dobbiamo poter chiedere conto al candidato del suo operato con estrema precisione, alla fine del mandato, e questo è possibile solo se i suoi impegni iniziali erano stati altrettanto precisi e dettagliati.

Sia chiaro: per non-voto non si intende affatto non andare a votare, ma recarsi regolarmente al seggio e ritirare la scheda. E poi riconsegnarla in bianco. O, ancora meglio, annullata. Così da evitare ogni rischio di “appropriamenti indebiti”.

Non c’è bisogno di limitare per legge - a due, o tre legislature - la presenza in parlamento dei deputati. Saremo noi a rimandarceli se ci hanno soddisfatto in quella precedente, e a cancellarli per sempre dalla lista dei “deputabili”, se invece hanno tradito i loro impegni. (Idem per i partiti, se votassimo quelli). Invece ce ne stiamo qui seduti come degli imbecilli a farci raccontare delle favolette senza senso, durante le campagne elettorali, e poi mandiamo questa gente al governo con un impegno talmente vago che non solo loro si fanno i porci comodi, ma alla fine noi non sappiamo nemmeno più con chi prendercela. Se ciascun cittadino rispettasse il semplice principio della democrazia rappresentativa, che prevede di eleggere chi si impegni a fare per tuo conto ciò che tu ritieni giusto – e non “il meno peggio” - i non-voti sarebbero talmente tanti che i politici sarebbero immediatamente obbligati a scendere a patti con il proprio elettorato. Sia chiaro: per non-voto si intende schede bianche, o preferibilmente nulle (per evitare “appropriamenti indebiti”), non si intende assolutamente di non andare a votare. Alle urne bisogna recarsi fisicamente, per fare la propria parte. Se poi non c’è nessuno che riteniamo degno di rappresentarci (persona o partito fa poca differenza), annulliamo semplicemente la scheda e torniamo a casa.

Certo, non è facile rinunciare al diritto di far sentire la propria voce, ma dobbiamo renderci conto che un non-voto di questo tipo è forse la voce più potente che si possa esprimere nella nostra attuale situazione, mentre usufruire di quel diritto senza avere una reale scelta di fronte è solo una colossale presa in giro. Inizialmente, le bianche e le nulle potranno anche finire nel calderone degli altri (si dividono persino quelle, pur di rafforzare la loro legittimazione), ma quando le quote di voti effettivi cominciassero davvero a calare, nessun politico potrebbe permettersi di andare al governo senza un reale mandato.

Lo strumento per governare correttamente ce l’abbiamo, dobbiamo solo capovolgerlo prima dell’uso.

Massimo Mazzucco -

27 aprile 2009

Israele, siluro sull'inchiesta Onu

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CRIMINI DI GUERRA A GAZA - «Commissione non imparziale», Tel Aviv chiude la porta a Goldstone

Nessuna collaborazione con gli ispettori che indagheranno su Piombo fuso
Tel Aviv non collaborerà con l'inchiesta delle Nazioni Unite sull'operazione «Piombo fuso», l'offensiva delle truppe israeliane che tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009 ha causato la morte di oltre 1.417 palestinesi (la maggior parte dei quali civili) nella Striscia di Gaza. «Israele ha informato il Consiglio dei diritti umani dell'Onu che non coopererà con un'indagine basata su una risoluzione non imparziale» ha dichiarato alla France presse un funzionario dello Stato ebraico che ha chiesto di restare anonimo. Hamas al contrario - riferisce il quotidiano Ha'aretz - ha fatto sapere di essere pronta a cooperare con la squadra guidata da Richard Goldstone, il giudice sudafricano (ex procuratore dei tribunali per i crimini di guerra commessi in Ruanda ed Ex Yugoslavia) che guiderà gli investigatori attesi tra qualche settimana nella regione e il cui rapporto al Consiglio è previsto per il luglio prossimo.
La lettera che ufficializza il diniego è stata spedita, attraverso l'ambasciata israeliana a Ginevra, a Goldstone e alla sede dell'Agenzia dell'Onu che si occupa dei diritti umani. Senza la collaborazione da parte delle autorità israeliane, per gli investigatori di Goldstone sarà più difficile raccogliere prove sulle armi utilizzate contro Gaza, su condotte criminali da parte dei soldati e su eventuali ordini che le hanno causate. Già da qualche giorno si era capito che i responsabili dei massacri di Gaza avevano intenzione di mettere il bastone tra le ruote all'iniziativa del Consiglio, di cui fanno parte 47 paesi: «L'indagine non ha alcuna base morale, perché già prima di essere iniziata ha deciso chi è colpevole e di cosa» aveva tagliato corto qualche giorno fa Yigal Palmor, il portavoce del ministero degli esteri.
All'allora governo Olmert proprio non era andata giù la risoluzione, adottata dal Consiglio dei diritti umani il 12 gennaio scorso, che condannava l'offensiva militare e chiedeva la fine dei bombardamenti. Eppure Goldstone, che si era detto «scioccato» per l'incarico affidatogli - a causa della sua collaborazione con istituzioni israeliane (tra cui l'università ebraica di Gerusalemme) - aveva fatto di tutto per non suscitare il sospetto delle autorità israeliane. Mentre il mandato gli chiede d'indagare sulla condotta delle truppe di Tel Aviv nei 22 giorni di attacco a Gaza, il giudice aveva dichiarato di voler prendere in esame tutte le presunte violazioni (anche i lanci di razzi da parte di Hamas) e di voler estendere il raggio temporale dell'inchiesta al periodo precedente l'attacco, per spiegarne il contesto.
Le organizzazioni non governative palestinesi e internazionali - tra cui Amnesty international e Human rights watch - hanno raccolto indizi che accusano l'esercito di aver bombardato aree densamente popolate, utilizzato munizioni al fosforo bianco su zone abitate, impiegato palestinesi come scudi umani, aver effettuato esecuzioni extragiudiziali. Anche Hamas è stata accusata per il lancio di razzi in territorio israeliano e di aver utilizzato scudi umani.
Per le stesse accuse il procuratore della Corte penale internazionale (Icc) Luis Moreno Ocampo sta tuttora valutando se sussiste la possibilità di aprire un'indagine contro Tel Aviv in base alle denunce presentate da decine di ong.
Intanto continua l'opera di sdoganamento di Hamas, considerata «organizzazione terroristica» dalla Comunità internazionale ma con cui sempre più governi iniziano a intavolare trattative. Ieri il leader palestinese Khaled Meshaal, a capo dell'ufficio politico del movimento islamico in esilio, ha incontrato a Damasco una nuova delegazione parlamentare britannica, nel terzo meeting del genere nell'arco di un mese. In un comunicato, Hamas precisa che la delegazione guidata dall'onorevole Roger Godsiff ha incontrato Meshaal e altri rappresentanti di Hamas.

«È una visita che s'inserisce nel quadro degli sforzi europei per aprire canali di dialogo con Hamas al fine di comprendere nel profondo, attraverso un dialogo diretto col movimento, la nostra causa», si legge nel testo. Hamas figura dal 2003 nella lista dell'Unione europea delle organizzazioni terroristiche, eppure Meshaal aveva già incontrato a Damasco nel marzo scorso deputati europei. «I membri della delegazione britannica - prosegue il comunicato - hanno espresso la loro convinzione che nella regione non si può arrivare alla pace senza un dialogo con Hamas che si è conquistato la fiducia del popolo palestinese in modo democratico trasparente».


di Michelangelo Cocco

26 aprile 2009

Si delinea un confronto tra gli Stati Uniti ed Israele

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Si sta delineando un notevole confronto tra gli Stati Uniti ed Israele sulle scelte politiche che variano dalla Palestina all’Iran, secondo fonti dello State Department.

Il nuovo governo Likud / Yisrael Beiteinu d'Israele sta portando avanti un'agenda che va contro le politiche che gli Stati Uniti da lunga data stanno riservando al Medio Oriente. Il presidente del partito Yisrael Beiteinu, Avigdor Lieberman, nuovo Ministro degli Esteri israeliano, è considerato da una fonte dello State Department un “fascista est-europeo che pratica il razzismo”.

Le fonti dello State Department ora sono convinte che quello che a Washington è stato chiamato “Israel Lobby” presto si trasformerà in una “Likud / Lieberman Lobby”, ancor più problematica, che spingerà una politica pro-guerra e pro-coloni all'interno del Congresso e dell’Amministrazione di Barack Obama. Questa lobby, nuova e più aggressiva, userà il suo controllo soprattutto attraverso i deputati Steve Israele (Democratico-New York) e Mark Kirk (Repubblicano-Illinois), come anche attraverso il Senatore Charles Schumer (Democratico-New York), per assicurarsi che le nuove politiche d’Israele saranno trasmesse al Capo dello Staff della Casa Bianca, Rahm Emanuel ed al consulente capo di Obama, David Axelrod, e che loro agiranno di conseguenza.

Ci sono, in ogni modo, molti punti di potenziale rottura tra l'amministrazione Obama ed il nuovo governo israeliano, secondo le fonti dello State Department. Uno sarà l’interazione degli Stati Uniti con Hamas, il legittimo governo eletto della Palestina. Il termine del Presidente palestinese Mahmoud Abbas è scaduto ed attualmente il potere legittimo in Palestina appartiene a Hamas. Questo fatto politico significa che gli Stati Uniti hanno nessun’alternativa che parlare direttamente con Hamas.

C'è anche il fatto che Hamas è un partito che favorisce le urne elettorali e non i tradizionali modi medio-orientali di impossessarsi del potere, siano questi principi, generali, figure religiose, o semplici furfanti. Secondo fonti dello State Department, Hamas ha dato una lavata di capo anche agli Hezbollah del Libano, che in passato si erano opposti alla presa di potere attraverso elezioni nel Libano, affinché divenissero generalmente più democratici. Questo cambio si è realizzato, secondo le fonti, con Hezbollah ora completamente impegnato nel processo democratico.

La popolarità di Hamas, specialmente in seguito alla guerra genocida d'Israele contro Gaza, ha agitato i governi dell'Egitto, d’Arabia Saudita e, in minor modo, della Giordania, a causa del suo zelo a guadagnare il potere attraverso elezioni e non attraverso un colpo di stato. Fonti dello State Department dicono che se l'Egitto avesse oneste e democratiche elezioni, la Fratellanza Musulmana (Muslim Brotherhood), che dava vita a Hamas in Palestina, vincerebbe comodamente e la dittatura di Hosni Mubarak avrebbe presto fine. La stessa situazione esiste in Arabia Saudita, dove c’è nervosismo nella famiglia Saud a causa della popolarità di Hamas, che è vista come potenziale minaccia alla Casata dei Saud.

Il personale dello State Department, da osservazioni sul campo, è consapevole che il movimento Fatah di Abbas in Palestina è visto dalla maggioranza dei Palestinesi come corrotto e truffaldino, mentre Hamas è visto come pulito, vigoroso, ed attraente.

Un altro confronto che si mette in evidenza tra gli Stati Uniti e l'Israele riguarda le 200 testate nucleari di Israele. Con gli Stati Uniti occupati in trattative dirette sul nucleare con Iran ed Arabia Saudita, che richiedono un regime internazionale per l’approvvigionamento di combustibile per centrali nucleari, assieme alla tutela che tale tecnologia non può essere convertita per lo sviluppo di armi, c'è anche la probabilità che ci sarà una notevole spinta per creare nel Medio Oriente una zona libera dal nucleare. Se gli Stati Uniti investono in tale piano, vuol dire che l'Israele dovrà smantellare il suo arsenale nucleare. Dato il fatto, che funzionari dello State Department descrivono come “complesso suicida di Masada” d’Israele, tale piano sarà pressoché impossibile da realizzare, dato la svolta corrente d'Israele verso regole più teocratiche e di destra. Una fonte dello State Department lo mise così: "Noi non possiamo indirizzare il programma nucleare iraniano senza indirizzare il programma d’armamento nucleare israeliano."

Funzionari dei Servizi Segreti statunitensi sono anche preparati a smettere di considerare informazioni che arrivano alla CIA ed alle altre agenzie dal Mossad e dalle altre agenzie d’intelligenza israeliane. La nuova squadra che si sta insediando nel Directorate of National Intelligence e nella CIA è acutamente consapevole che gli israeliani hanno, come un membro lo mise, "una lunga storia di disseminazione ingannevole di disinformazione" a funzionari dei Servizi statunitensi, aggiungendo che mentre alcune fonti straniere hanno offerto "cattiva intelligenza distrattamente, Israele è stato intenzionalmente disonesto".

Ufficiali della Difesa statunitense fanno notare che Israele non può attaccare l'Iran senza collusione con gli Stati Uniti, che controllano lo spazio aereo sopra l’Iraq ed il Golfo Persico e qualsiasi aggressione aerea israeliana richiederebbe l’approvazione degli Stati Uniti. Sotto l'amministrazione presente questo scenario è improbabile, come viene riferito a WMR (Wayne Madsen Report).

"L'unico modo di Bibi Netanyahu per attaccare l'Iran è, se lui fosse rassicurato che l'Iran risponderà colpendo forze militari statunitensi nella regione, che costringerebbe gli Stati Uniti ad una risposta militare", disse un funzionario a WMR. Poi aggiunse, "Israele, da solo, non può intraprendere un attacco aereo sostenuto contro l'Iran".

Il Vicepresidente Joe Biden recentemente ha messo in guardia Israele dal condurre qualsiasi azione militare contro l'Iran.

Wayne Madsen