06 maggio 2009

Barclays: mordere la mano che nutre

Interrogando Google si scopre che all’esotico nome di valiha corrisponde uno strumento musicale tipico del Madagascar ricavato da due canne di bambù, simile ad una cetra: se sono pochi a saperlo, ancora meno sono quelli che sanno (e capiscono) cosa si nasconda realmente dietro all’omonimo “schema” strutturato dalla banca britannica Barclays. Secondo un esperto fiscale, si tratta di un “meccanismo elusivo ad alta precisione”, consistente in un “interest rate swap” (derivato di tasso d’interesse) stipulato tra Barclays e Credit Suisse con modalità particolari. Quali? Queste: si è riuscito a far sparire i profitti dai conti di Barclays e a farli ricomparire magicamente (ed esentasse) su quelli di Credit Suisse (non c’è da meravigliarsi se gli accordi prevedevano che alla banca britannica spettasse il 70% del cosiddetto risparmio fiscale derivante dall’operazione).

Accanto a Valiha al mondo è stato dato fare la conoscenza con almeno altre sei strutture, tutte identificate con nomi tanto suggestivi quanto misteriosi, tutti partoriti dalla fervida mente di qualche genio bancario di Barclays. E poiché di misteri si parla, esaminiamo Knight, ovvero “Cavaliere”: niente tavola rotonda, però, né singolar tenzoni, ma, assai meno nobilmente, un dispositivo geniale, messo a punto con l’unico scopo di “aggirare le norme fiscali sulle controllate estere” con un utile previsto di poco più di 60 milioni di euro in minori pagamenti di imposte.

Non male anche il progetto Berry, ovvero “bacca”: un frutto di bosco che per il Fisco britannico deve avere certamente un sapore aspro, essendo perfino ai suoi esperti impossibile districarsi tra i vari giri cui sono sottoposte le Index Linked Gilts (obbligazioni indicizzate) che ne costituiscono la “materia prima”: secondo un esperto di fiscalità sentito dal Guardian “è probabile che nemmeno alla FSA (Financial Services Authority, cioè la Consob britannica) sarebbero riusciti a capire se questi titoli siano stati posseduti in forza di un prestito o se invece siano in proprietà.

Il progetto Brontos (da brontosauro?) rischia di diventare un caso anche in Italia, visto che “compagni di merende” di Barclays sono Unicredit ed Intesa Sanpaolo: una struttura molto complessa, che comporta l’emissione e la negoziazione di profit-participation certificate (speciali titoli trasferibili) denominati in sterline inglesi o in lire turche (!) con annesse (eventuali) coperture del rischio tasso e cambio. Al di là degli aspetti tecnici, con questa “idea” si possono “caricare” perdite fiscali (deducibili) in paese con tassi di prelievo fiscale relativamente elevato (come Italia e Gran Bretagna). A chi si domandasse che cosa c’entrino le lire turche in tutto questo, anche senza aver approfondito i documenti “riservati” di Barclays, possiamo provare a spiegare che quella divisa ha tassi base attorno al 20%, con effetti intuibili sulla quantità di denaro che si può defalcare come interessi passivi dall’utile fiscale. Del resto, tutti i giri che vengono fatti fare agli strumenti finanziari attraverso una serie di scatole vuote lussemburghesi, non hanno altro fine se non produrre artificialmente utili fiscali per circa 60 milioni di euro.

Su una materia così scabrosa (ma anche così profittevole), le banche tendono a mantenere un elevato livello di riservatezza e ad impiegare eufemismi piuttosto ipocriti: ad esempio, i dipartimenti che, all’interno dei loro organigrammi, si occupano di strutturare questi prodotti non si chiamano - per dire - Ufficio Elusioni Fiscali, ma Ufficio Structured Capital Markets o SCM (qualcosa come Strutturazione sui Mercati dei Capitali). Quanto alla riservatezza, si può scommettere che essa non sarebbe mai stata compromessa se non fosse stato per una “gola profonda” di Barclays che a metà marzo ha avuto la cattiva idea di trasmettere ben sette memorandum interni della SCM di Barclays a Vince Cable, vicesegretario dei Liberaldemocratici ed ex economista per la multinazionale petrolifera Shell; in qualche modo essi sono finiti anche al quotidiano Guardian, che li ha pubblicati sul suo sito web.

Che la banca non avrebbe tollerato di vedere i suoi panni sporchi sciorinati di fronte a milioni di concittadini, specialmente in una contingenza storica pervasa dalla giusta rabbia sociale contro i banchieri, visti come i principali responsabili di una crisi che sta mordendo anche molto lontano dalla City, era poco ma sicuro. Gli avvocati di Barclays (lo studio Freshfields) si sono messi immediatamente al lavoro per costringere il Guardian a rimuovere dal sito i documenti, usando il pretesto che essi erano coperti da un accordo di riservatezza e che pertanto chiunque li ha diffusi lo ha fatto illegalmente. Per capire quale fosse l’urgenza di Barclays, basti ricordare che il legale del Guardian, Geraldine Proudler, è stata svegliata alle due della notte successiva alla pubblicazione da un giudice, per discutere il caso al telefono. Alle 2:31 è arrivato un ordine esecutivo di rimozione dal sito dei documenti interessati.

Fortunatamente, però, quando qualcosa viene reso disponibile su Internet, anche solo per qualche minuto, resta di dominio pubblico o quasi, anche dopo che l’originale è stato rimosso (si pensi ad esempio al caso dell’ultimo disco degli U2, pubblicato erroneamente da un sito di commercio elettronico in anticipo di settimane rispetto al lancio ufficiale, ed immediatamente divenuto una hit “clandestina”). A dispetto della censura cui è stato sottoposto il Guardian, chiunque, smanettando un po’ sul web, può trovare e leggere tutti e sette i memorandum della vergogna. Essi sono certamente imbarazzanti per la banca inglese, che, pur non avendo dovuto far ricorso ad aiuti di stato, avendo chiuso il 2008 con circa 7 miliardi di euro di profitti, sta discutendo in questi giorni con il Tesoro la sua adesione ad un fondo di protezione dei suoi asset.

La “bomba” giornalistica, insomma, non poteva cadere in momento più propizio; tanto tempismo appare addirittura sospetto: i politici europei, infatti, stanno serrando i ranghi contro l’evasione fiscale, non tanto (o non solo) per motivi etici, quanto per tenere assieme bilanci pubblici, fortemente provati dai salvataggi e dalle altre forme di sostegno a banche e ad industrie. Non occorre essere teorici della cospirazione per ipotizzare che questo episodio sia un segnale lanciato dal governo a tutti i “furbi” che fino a ieri aveva tranquillamente tollerato.

D’altra parte una flebile eco di quei documenti esplosivi è arrivata anche in Italia, dove essi hanno innescato una piccola mina sotto le poltrone del top management di Intesa Sanpaolo e di Unicredit: dal documento su Brontos risulta in modo inequivocabile (con buona pace delle smentite o mezze ammissioni ufficiali) che controparti della operazione elusiva architettata dagli “strateghi” dello SCM di Barclays, sono Unicredit e Intesa Sanpaolo, ovvero due tra le banche che per prime hanno dichiarato di voler ricorrere ai cosiddetti “Tremonti Bond”, uno strumento estremamente economico e vantaggioso per rafforzare la propria solidità patrimoniale a spese dello Stato.

Per riassumere brutalmente: le stesse banche che bussano alla porta del governo sono quelle che gli sfilano sotto il naso i denari che potrebbero essere più utilmente impiegati per costruire o ristrutturare scuole ed ospedali (sempre che ci si riesca). In un Paese solo poco meno narcotizzato questa notizia avrebbe conquistato qualche prima pagina; in Italia, fatta la meritevole eccezione del quotidiano finanziario Il Sole 24 Ore, no.

di Mario Braconi

05 maggio 2009

Caso derivati: banche sotto sequestro

1

Fossero dotati di humour, adesso in Procura potrebbero parodiare una delle proverbiali intercettazioni cap­tate anni fa in tutt’altre indagi­ni economiche: «Abbiamo una banca!». Perché da ieri, in sen­so quasi letterale, la Procura di Milano ha davvero una banca (il 25% della spa italiana della tedesca Deutsche Bank), e an­che la sede di una banca (quel­la dell’americana Jp Morgan nel Palazzo Hoepli), e cespiti di una banca (conti per 8 milioni nella tedesca Depfa Bank, altre attività nella svizzera Ubs). Tut­ti beni che il giudice Giuseppe Vanore ha autorizzato il pm Al­fredo Robledo a sequestrare, per la prima volta in Italia, fino a un tetto di 92 milioni di euro per Jp Morgan e Depfa Bank, di 84 per Deutsche Bank, di 75 per Ubs: istituti indagati per truffa aggravata ai danni del Co­mune di Milano nella rinegozia­zione del debito di Palazzo Ma­rino con prodotti finanziari «derivati», cioè contratti per ge­stire il rischio di tasso d’interes­se.

Il sequestro preventivo, che raccoglie il lavoro del Nucleo di polizia tributaria della Gdf, poggia su una novità che, se reggerà al Tribunale del Riesa­me, potrebbe essere replicata in tutta Italia indipendente­mente dall’aleatorio andamen­to del mercato di questi prodot­ti finanziari piazzati a iosa dalle banche (per 35 miliardi di eu­ro) a 18 Regioni, 44 Province e 447 Comuni, con passività per lo Stato in 2 miliardi. L’idea di fondo, infatti, è che il primo raggiro delle banche al Comu­ne sia avvenuto quando, nella veste di consulenti, avrebbero violato la legge 448 del 2001 che subordina queste operazio­ni alla riduzione del valore fi­nanziario delle passività totali a carico dell’ente: al contrario, le banche avrebbero rinegozia­to il debito tacendo l’esistenza di un «derivato» stipulato dal Comune nel 2002 con Unicredi­to, che non poteva essere igno­rato perché onerosamente col­legato a mutui rinegoziati.

A ruota, le banche avrebbero praticato un secondo raggiro, stavolta nella struttura scelta per ammortare il debito del Co­mune sia nel 2005 (giunta Al­bertini) sia nel contratto dell’ot­tobre 2007 (già sotto la giunta Moratti). La regola è che, quan­do due parti stipulano un con­tratto derivato, devono essere nelle medesime condizioni e dunque il valore delle presta­zioni deve essere pari a zero; se così non è, chi è in vantaggio deve ricostituire in partenza l’equilibrio dando a chi è in svantaggio un pagamento pari alla differenza. Invece, nel rap­porto banche-Comune la strut­tura del contratto — secondo quanto calcolato dal consulen­te del pm, Gianluca Fusai — de­terminava già in partenza uno squilibrio tra i due contraenti, e cioè 52 milioni di euro di per­dita finanziaria a carico del Co­mune, dovuta a condizioni con­trattuali che avvantaggiavano già in partenza le banche: esat­tamente il contrario del vantag­gio di 55 milioni di euro che le banche rappresentavano inve­ce al Comune. E qui c’è la base del sequestro: la Procura assu­me infatti che questa perdita del Comune costituisca di per sé e subito un profitto per le banche talmente concreto e at­tuale che gli istituti lo iscrivo­no a bilancio come valore effet­tivo, lo possono vendere e com­prare, lo pongono a base di mu­tui.

Alle banche è addebitato un terzo raggiro: aver violato i doveri di correttezza imposti lo­ro proprio dalla legge inglese «Fsa» che esse avevano voluto regolasse i contratti con il Co­mune, e in particolare aver ma­novrato per spingerlo a rinun­ciare (senza che se ne avvedes­se) a tutta una serie di preziose protezioni contrattuali di cui avrebbe in teoria dovuto e po­tuto godere nella sua veste di ente pubblico territoriale.

Il Comune è parte lesa, ma le 4 banche e i loro 12 manager già da mesi sotto inchiesta so­no indagati in concorso con due ex manager comunali: il di­rettore generale nell’era Alberti­ni, Giorgio Porta, al quale sono sequestrate (fino a teorici 81 milioni) una casa a Milano e una a Courmayeur, e l’allora componente della Commissio­ne tecnica Mauro Mauri, che ve­de sotto sigilli (per teorici 52 milioni) la sua quota di una ca­sa in Lomellina.

Luigi Ferrarella

Gli USA abbandonano Israele sull’Iran?

MIDEAST ISRAEL OBAMA
Le minacce di guerra israeliane contro l'Iran incontrano l'opposizione rigida degli Stati Uniti, e la nuova amministrazione pensa all'imposizione di sanzioni a Tel Aviv. Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e la segretaria di stato Hillary Clinton stanno pensando a un programma per l’applicazione di sanzioni contro Israele, se il governo di destra di Benjamin Netanyahu attua la sua politica, a lungo desiderata, di rispondere alle attività nucleari dell’Iran prendendo provvedimenti militari contro il paese.

Secondo un rapporto di RIA Novosti, la Casa Bianca di Obama è in rotta di collisione con i datati programmi israeliani per lanciare un attacco militare all'infrastruttura nucleare iraniana. Washington favorisce le misure diplomatiche - almeno finché l’amministrazione Obama crede che ci sia lo spazio per il perseguimento dei suoi piani per ‘agganciare diplomaticamente’ l'Iran sul suo programma nucleare.

Il presidente Obama sta compiendo degli sforzi per mettere in pratica l’idea che l'America dovrebbe comunicare con i suoi avversari, come l'Iran, la Siria, la Korea di Nord ed il Venezuela. Tuttavia, da quando il duro Primo Ministro Netanyahu è salito in carica, in Israele si diffondono le voci di un possibile attacco alle centrali nucleari dell’Iran, se gli Stati Uniti non riescono a realizzare dei progressi nei colloqui con l'Iran.

Mercoledì mattina, il comando del fronte interno d’Israele ha annunciato i programmi per mobilitare l'esercito israeliano, così come il pubblico, per tenere il 2 giugno la più grande esercitazione militare della sua storia. Il capo del reparto per la popolazione del comando del fronte interno d’Israele, colonnello Hilik Sofer, ha detto che tenere le esercitazioni militari per una settimana "trasformerà la popolazione d’Israele da passiva ad attiva… Vogliamo che i cittadini capiscano che la guerra può esplodere domani mattina."

All’inizio di marzo, il Primo Ministro israeliano di estrema destra, Netanyahu, ha dato l'allarme circa un grande conflitto militare per i prossimi mesi. Secondo Debka, che si crede sia collegato molto strettamente con l'agenzia spionistica israeliana Mossad: "E’ sua opinione che Israele potrebbe essere coinvolto in un grande confronto militare, nei prossimi mesi, con l'Iran, Hamas o Hezbollah - o tutte tre assieme."

Le minacce esplicite di guerra all’Iran di Netanyahu, sono componenti della sua politica di massima priorità: "l’arresto del programma nucleare dell’Iran, e di ciò che vede come la sua ambizione a dominare la regione", e sono in contrasto radicale con i metodi del più potente alleato d’Israele - gli Stati Uniti.

Nel tentativo di convincere Israele sulla nuova politica degli Stati Uniti verso l’Iran, la segretaria di stato ha detto, questa settimana, che l’amministrazione Bush ha fallito negli otto anni di tentativi d’isolare totalmente l'Iran. "La politica di Bush non ha ostacolato l'Iran nella sua ambizione ad acquisire armi nucleari ed a sostenere le organizzazioni terroristiche Hezbollah e Hamas", ha detto la Clinton.

La nuova mossa degli Stati Uniti contro le minacce israeliane di guerra all'Iran, avviene dopo che il vice-presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha avvertito il governo di Netanyahu, in Israele, che una qualsiasi azione militare per provare a colpire gli impianti nucleari dell’Iran, sarebbe "incauta".

Il segretario della difesa degli Stati Uniti Robert Gates, da parte sua, ha avvertito che qualsiasi attacco israeliano all'Iran avrebbe conseguenze pericolose. Un attacco all'Iran "cementerà la sua determinazione ad avere un programma nucleare ed, inoltre, rafforzerà nell'intero paese un odio eterno contro chiunque lo colpisca", ha ammonito Gates.
by erasia

06 maggio 2009

Barclays: mordere la mano che nutre

Interrogando Google si scopre che all’esotico nome di valiha corrisponde uno strumento musicale tipico del Madagascar ricavato da due canne di bambù, simile ad una cetra: se sono pochi a saperlo, ancora meno sono quelli che sanno (e capiscono) cosa si nasconda realmente dietro all’omonimo “schema” strutturato dalla banca britannica Barclays. Secondo un esperto fiscale, si tratta di un “meccanismo elusivo ad alta precisione”, consistente in un “interest rate swap” (derivato di tasso d’interesse) stipulato tra Barclays e Credit Suisse con modalità particolari. Quali? Queste: si è riuscito a far sparire i profitti dai conti di Barclays e a farli ricomparire magicamente (ed esentasse) su quelli di Credit Suisse (non c’è da meravigliarsi se gli accordi prevedevano che alla banca britannica spettasse il 70% del cosiddetto risparmio fiscale derivante dall’operazione).

Accanto a Valiha al mondo è stato dato fare la conoscenza con almeno altre sei strutture, tutte identificate con nomi tanto suggestivi quanto misteriosi, tutti partoriti dalla fervida mente di qualche genio bancario di Barclays. E poiché di misteri si parla, esaminiamo Knight, ovvero “Cavaliere”: niente tavola rotonda, però, né singolar tenzoni, ma, assai meno nobilmente, un dispositivo geniale, messo a punto con l’unico scopo di “aggirare le norme fiscali sulle controllate estere” con un utile previsto di poco più di 60 milioni di euro in minori pagamenti di imposte.

Non male anche il progetto Berry, ovvero “bacca”: un frutto di bosco che per il Fisco britannico deve avere certamente un sapore aspro, essendo perfino ai suoi esperti impossibile districarsi tra i vari giri cui sono sottoposte le Index Linked Gilts (obbligazioni indicizzate) che ne costituiscono la “materia prima”: secondo un esperto di fiscalità sentito dal Guardian “è probabile che nemmeno alla FSA (Financial Services Authority, cioè la Consob britannica) sarebbero riusciti a capire se questi titoli siano stati posseduti in forza di un prestito o se invece siano in proprietà.

Il progetto Brontos (da brontosauro?) rischia di diventare un caso anche in Italia, visto che “compagni di merende” di Barclays sono Unicredit ed Intesa Sanpaolo: una struttura molto complessa, che comporta l’emissione e la negoziazione di profit-participation certificate (speciali titoli trasferibili) denominati in sterline inglesi o in lire turche (!) con annesse (eventuali) coperture del rischio tasso e cambio. Al di là degli aspetti tecnici, con questa “idea” si possono “caricare” perdite fiscali (deducibili) in paese con tassi di prelievo fiscale relativamente elevato (come Italia e Gran Bretagna). A chi si domandasse che cosa c’entrino le lire turche in tutto questo, anche senza aver approfondito i documenti “riservati” di Barclays, possiamo provare a spiegare che quella divisa ha tassi base attorno al 20%, con effetti intuibili sulla quantità di denaro che si può defalcare come interessi passivi dall’utile fiscale. Del resto, tutti i giri che vengono fatti fare agli strumenti finanziari attraverso una serie di scatole vuote lussemburghesi, non hanno altro fine se non produrre artificialmente utili fiscali per circa 60 milioni di euro.

Su una materia così scabrosa (ma anche così profittevole), le banche tendono a mantenere un elevato livello di riservatezza e ad impiegare eufemismi piuttosto ipocriti: ad esempio, i dipartimenti che, all’interno dei loro organigrammi, si occupano di strutturare questi prodotti non si chiamano - per dire - Ufficio Elusioni Fiscali, ma Ufficio Structured Capital Markets o SCM (qualcosa come Strutturazione sui Mercati dei Capitali). Quanto alla riservatezza, si può scommettere che essa non sarebbe mai stata compromessa se non fosse stato per una “gola profonda” di Barclays che a metà marzo ha avuto la cattiva idea di trasmettere ben sette memorandum interni della SCM di Barclays a Vince Cable, vicesegretario dei Liberaldemocratici ed ex economista per la multinazionale petrolifera Shell; in qualche modo essi sono finiti anche al quotidiano Guardian, che li ha pubblicati sul suo sito web.

Che la banca non avrebbe tollerato di vedere i suoi panni sporchi sciorinati di fronte a milioni di concittadini, specialmente in una contingenza storica pervasa dalla giusta rabbia sociale contro i banchieri, visti come i principali responsabili di una crisi che sta mordendo anche molto lontano dalla City, era poco ma sicuro. Gli avvocati di Barclays (lo studio Freshfields) si sono messi immediatamente al lavoro per costringere il Guardian a rimuovere dal sito i documenti, usando il pretesto che essi erano coperti da un accordo di riservatezza e che pertanto chiunque li ha diffusi lo ha fatto illegalmente. Per capire quale fosse l’urgenza di Barclays, basti ricordare che il legale del Guardian, Geraldine Proudler, è stata svegliata alle due della notte successiva alla pubblicazione da un giudice, per discutere il caso al telefono. Alle 2:31 è arrivato un ordine esecutivo di rimozione dal sito dei documenti interessati.

Fortunatamente, però, quando qualcosa viene reso disponibile su Internet, anche solo per qualche minuto, resta di dominio pubblico o quasi, anche dopo che l’originale è stato rimosso (si pensi ad esempio al caso dell’ultimo disco degli U2, pubblicato erroneamente da un sito di commercio elettronico in anticipo di settimane rispetto al lancio ufficiale, ed immediatamente divenuto una hit “clandestina”). A dispetto della censura cui è stato sottoposto il Guardian, chiunque, smanettando un po’ sul web, può trovare e leggere tutti e sette i memorandum della vergogna. Essi sono certamente imbarazzanti per la banca inglese, che, pur non avendo dovuto far ricorso ad aiuti di stato, avendo chiuso il 2008 con circa 7 miliardi di euro di profitti, sta discutendo in questi giorni con il Tesoro la sua adesione ad un fondo di protezione dei suoi asset.

La “bomba” giornalistica, insomma, non poteva cadere in momento più propizio; tanto tempismo appare addirittura sospetto: i politici europei, infatti, stanno serrando i ranghi contro l’evasione fiscale, non tanto (o non solo) per motivi etici, quanto per tenere assieme bilanci pubblici, fortemente provati dai salvataggi e dalle altre forme di sostegno a banche e ad industrie. Non occorre essere teorici della cospirazione per ipotizzare che questo episodio sia un segnale lanciato dal governo a tutti i “furbi” che fino a ieri aveva tranquillamente tollerato.

D’altra parte una flebile eco di quei documenti esplosivi è arrivata anche in Italia, dove essi hanno innescato una piccola mina sotto le poltrone del top management di Intesa Sanpaolo e di Unicredit: dal documento su Brontos risulta in modo inequivocabile (con buona pace delle smentite o mezze ammissioni ufficiali) che controparti della operazione elusiva architettata dagli “strateghi” dello SCM di Barclays, sono Unicredit e Intesa Sanpaolo, ovvero due tra le banche che per prime hanno dichiarato di voler ricorrere ai cosiddetti “Tremonti Bond”, uno strumento estremamente economico e vantaggioso per rafforzare la propria solidità patrimoniale a spese dello Stato.

Per riassumere brutalmente: le stesse banche che bussano alla porta del governo sono quelle che gli sfilano sotto il naso i denari che potrebbero essere più utilmente impiegati per costruire o ristrutturare scuole ed ospedali (sempre che ci si riesca). In un Paese solo poco meno narcotizzato questa notizia avrebbe conquistato qualche prima pagina; in Italia, fatta la meritevole eccezione del quotidiano finanziario Il Sole 24 Ore, no.

di Mario Braconi

05 maggio 2009

Caso derivati: banche sotto sequestro

1

Fossero dotati di humour, adesso in Procura potrebbero parodiare una delle proverbiali intercettazioni cap­tate anni fa in tutt’altre indagi­ni economiche: «Abbiamo una banca!». Perché da ieri, in sen­so quasi letterale, la Procura di Milano ha davvero una banca (il 25% della spa italiana della tedesca Deutsche Bank), e an­che la sede di una banca (quel­la dell’americana Jp Morgan nel Palazzo Hoepli), e cespiti di una banca (conti per 8 milioni nella tedesca Depfa Bank, altre attività nella svizzera Ubs). Tut­ti beni che il giudice Giuseppe Vanore ha autorizzato il pm Al­fredo Robledo a sequestrare, per la prima volta in Italia, fino a un tetto di 92 milioni di euro per Jp Morgan e Depfa Bank, di 84 per Deutsche Bank, di 75 per Ubs: istituti indagati per truffa aggravata ai danni del Co­mune di Milano nella rinegozia­zione del debito di Palazzo Ma­rino con prodotti finanziari «derivati», cioè contratti per ge­stire il rischio di tasso d’interes­se.

Il sequestro preventivo, che raccoglie il lavoro del Nucleo di polizia tributaria della Gdf, poggia su una novità che, se reggerà al Tribunale del Riesa­me, potrebbe essere replicata in tutta Italia indipendente­mente dall’aleatorio andamen­to del mercato di questi prodot­ti finanziari piazzati a iosa dalle banche (per 35 miliardi di eu­ro) a 18 Regioni, 44 Province e 447 Comuni, con passività per lo Stato in 2 miliardi. L’idea di fondo, infatti, è che il primo raggiro delle banche al Comu­ne sia avvenuto quando, nella veste di consulenti, avrebbero violato la legge 448 del 2001 che subordina queste operazio­ni alla riduzione del valore fi­nanziario delle passività totali a carico dell’ente: al contrario, le banche avrebbero rinegozia­to il debito tacendo l’esistenza di un «derivato» stipulato dal Comune nel 2002 con Unicredi­to, che non poteva essere igno­rato perché onerosamente col­legato a mutui rinegoziati.

A ruota, le banche avrebbero praticato un secondo raggiro, stavolta nella struttura scelta per ammortare il debito del Co­mune sia nel 2005 (giunta Al­bertini) sia nel contratto dell’ot­tobre 2007 (già sotto la giunta Moratti). La regola è che, quan­do due parti stipulano un con­tratto derivato, devono essere nelle medesime condizioni e dunque il valore delle presta­zioni deve essere pari a zero; se così non è, chi è in vantaggio deve ricostituire in partenza l’equilibrio dando a chi è in svantaggio un pagamento pari alla differenza. Invece, nel rap­porto banche-Comune la strut­tura del contratto — secondo quanto calcolato dal consulen­te del pm, Gianluca Fusai — de­terminava già in partenza uno squilibrio tra i due contraenti, e cioè 52 milioni di euro di per­dita finanziaria a carico del Co­mune, dovuta a condizioni con­trattuali che avvantaggiavano già in partenza le banche: esat­tamente il contrario del vantag­gio di 55 milioni di euro che le banche rappresentavano inve­ce al Comune. E qui c’è la base del sequestro: la Procura assu­me infatti che questa perdita del Comune costituisca di per sé e subito un profitto per le banche talmente concreto e at­tuale che gli istituti lo iscrivo­no a bilancio come valore effet­tivo, lo possono vendere e com­prare, lo pongono a base di mu­tui.

Alle banche è addebitato un terzo raggiro: aver violato i doveri di correttezza imposti lo­ro proprio dalla legge inglese «Fsa» che esse avevano voluto regolasse i contratti con il Co­mune, e in particolare aver ma­novrato per spingerlo a rinun­ciare (senza che se ne avvedes­se) a tutta una serie di preziose protezioni contrattuali di cui avrebbe in teoria dovuto e po­tuto godere nella sua veste di ente pubblico territoriale.

Il Comune è parte lesa, ma le 4 banche e i loro 12 manager già da mesi sotto inchiesta so­no indagati in concorso con due ex manager comunali: il di­rettore generale nell’era Alberti­ni, Giorgio Porta, al quale sono sequestrate (fino a teorici 81 milioni) una casa a Milano e una a Courmayeur, e l’allora componente della Commissio­ne tecnica Mauro Mauri, che ve­de sotto sigilli (per teorici 52 milioni) la sua quota di una ca­sa in Lomellina.

Luigi Ferrarella

Gli USA abbandonano Israele sull’Iran?

MIDEAST ISRAEL OBAMA
Le minacce di guerra israeliane contro l'Iran incontrano l'opposizione rigida degli Stati Uniti, e la nuova amministrazione pensa all'imposizione di sanzioni a Tel Aviv. Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e la segretaria di stato Hillary Clinton stanno pensando a un programma per l’applicazione di sanzioni contro Israele, se il governo di destra di Benjamin Netanyahu attua la sua politica, a lungo desiderata, di rispondere alle attività nucleari dell’Iran prendendo provvedimenti militari contro il paese.

Secondo un rapporto di RIA Novosti, la Casa Bianca di Obama è in rotta di collisione con i datati programmi israeliani per lanciare un attacco militare all'infrastruttura nucleare iraniana. Washington favorisce le misure diplomatiche - almeno finché l’amministrazione Obama crede che ci sia lo spazio per il perseguimento dei suoi piani per ‘agganciare diplomaticamente’ l'Iran sul suo programma nucleare.

Il presidente Obama sta compiendo degli sforzi per mettere in pratica l’idea che l'America dovrebbe comunicare con i suoi avversari, come l'Iran, la Siria, la Korea di Nord ed il Venezuela. Tuttavia, da quando il duro Primo Ministro Netanyahu è salito in carica, in Israele si diffondono le voci di un possibile attacco alle centrali nucleari dell’Iran, se gli Stati Uniti non riescono a realizzare dei progressi nei colloqui con l'Iran.

Mercoledì mattina, il comando del fronte interno d’Israele ha annunciato i programmi per mobilitare l'esercito israeliano, così come il pubblico, per tenere il 2 giugno la più grande esercitazione militare della sua storia. Il capo del reparto per la popolazione del comando del fronte interno d’Israele, colonnello Hilik Sofer, ha detto che tenere le esercitazioni militari per una settimana "trasformerà la popolazione d’Israele da passiva ad attiva… Vogliamo che i cittadini capiscano che la guerra può esplodere domani mattina."

All’inizio di marzo, il Primo Ministro israeliano di estrema destra, Netanyahu, ha dato l'allarme circa un grande conflitto militare per i prossimi mesi. Secondo Debka, che si crede sia collegato molto strettamente con l'agenzia spionistica israeliana Mossad: "E’ sua opinione che Israele potrebbe essere coinvolto in un grande confronto militare, nei prossimi mesi, con l'Iran, Hamas o Hezbollah - o tutte tre assieme."

Le minacce esplicite di guerra all’Iran di Netanyahu, sono componenti della sua politica di massima priorità: "l’arresto del programma nucleare dell’Iran, e di ciò che vede come la sua ambizione a dominare la regione", e sono in contrasto radicale con i metodi del più potente alleato d’Israele - gli Stati Uniti.

Nel tentativo di convincere Israele sulla nuova politica degli Stati Uniti verso l’Iran, la segretaria di stato ha detto, questa settimana, che l’amministrazione Bush ha fallito negli otto anni di tentativi d’isolare totalmente l'Iran. "La politica di Bush non ha ostacolato l'Iran nella sua ambizione ad acquisire armi nucleari ed a sostenere le organizzazioni terroristiche Hezbollah e Hamas", ha detto la Clinton.

La nuova mossa degli Stati Uniti contro le minacce israeliane di guerra all'Iran, avviene dopo che il vice-presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha avvertito il governo di Netanyahu, in Israele, che una qualsiasi azione militare per provare a colpire gli impianti nucleari dell’Iran, sarebbe "incauta".

Il segretario della difesa degli Stati Uniti Robert Gates, da parte sua, ha avvertito che qualsiasi attacco israeliano all'Iran avrebbe conseguenze pericolose. Un attacco all'Iran "cementerà la sua determinazione ad avere un programma nucleare ed, inoltre, rafforzerà nell'intero paese un odio eterno contro chiunque lo colpisca", ha ammonito Gates.
by erasia