22 maggio 2009

Gli Stati Uniti si esercitano alla guerra economica



Per gli scettici che occorrerebbe ancora convincere, il mese di marzo 2009 vedrà l'applicazione concreta di un concetto che l'amministrazione Clinton aveva previsto fin dal 1992: la guerra economica. Il web non si è sbagliato, e la stampa lo ha subito rilanciato: il pentagono ha realizzato il 17 e il 18 marzo scorso “una simulazione di guerra economica„. L’obiettivo? Anticipare le modalità secondo le quali le potenze del mondo condurrebbero una guerra economica, ed eventualmente determinare un vincitore. Se i dettagli di quest'operazione che si è svolta nel laboratorio di fisica applicata dell'Università Johns Hopkins restano riservati, tuttavia, i partecipanti hanno spiegato che i capi di imprese, gli accademici e i gestori di fondi - i responsabili della difesa e di intelligence, civili come militari, hanno osservato le strategie di ciascun partecipante.Al di là delle preoccupazioni sulla guerra cibernetica rispetto alla quale i mass media fanno regolarmente da cassa di risonanza, è una guerra molto più reale quella alla quale si preparano, da qualche tempo, gli Stati Uniti. Ma i ruoli sembranoessersi invertiti: mentre all'inizio degli anni 90, quest'ultimi iniziavano una nuova era geopolitica in posizione di forza, gli anni 2000 hanno visto la potenza dominante avere una forte concorrenza. E ciò cambia profondamente la loro relazione col concetto di guerra economica. Il Presidente Clinton aveva inaugurato, con i suoi famosi Advocacy Center et war rooms, un periodo dove una sola potenza aveva vocazione egemonica con lo scopo di conservare la supremazia politica, economica e sociale. La guerra fredda - dove la possibilità di una guerra violenta e fisica non era stata mai allontanata, per quanto convogliata nei conflitti periferici -era stata portata a termine; la guerra economica era invece incominciata. La relazione “Japan 2000„ simbolizza questa svolta: elaborato dalla CIA, questo documento cambia il paradigma dei confronti geopolitici. Infatti, da geopolitica, la guerra si trasforma in economica; il confronto, innanzitutto considerato tra nemici chiaramente identificati, può ormai essere considerato tra due alleati, su un campo molto più tollerabile per le popolazioni, poiché meno visibile e meno doloroso.
Non è sorprendente che quest'esercizio di guerra economica sia stato condotto oltre Atlantico. La reattività ed il pragmatismo hanno sempre segnato le politiche americane in materia economica. Tuttavia, nel momento in cui la crisi economica scuote le basi della potenza degli Stati Uniti, già rimesse in discussione con una nuova ripartizione geopolitica resa manifesta dagli attentati dell'undici settembre 2001, è significativo notare che quest'iniziativa è stata pensata prima della contaminazione della crisi finanziaria sull'economia reale (nella primavera del 2008 secondo http://www.Politico.com). La messa in atto di tale esercizio richiede mesi di riflessione e di parametrazioni: ciò significa che gli strateghi americani prendono seriamente, da tempo, la guerra economica. Ciò non sembra sempre essere il caso della Francia, ed in misura maggiore dell’Europa. Eccetto, forse, per la Germania, che ha deciso di rompere la sua collaborazione con Areva nel gennaio 2009, e dal 2005 fa parte del consorzio NordStream che permette un approvvigionamento di gas più sicuro all'Europa del Nord. L'Europa è strutturalmente dipendente dal resto del mondo per il suo approvvigionamento energetico. Le conseguenze delle crisi tra Ucraina e Russia, sebbene eminentemente concrete per l'Europa, in particolare per i vecchi paesi dell'Europa centrale ed orientale, nel 2009 non hanno ancora dato luogo ad una qualunque avanzata per una indispensabile politica comunitaria finalizzata a garantire la sicurezza energetica a 380 milioni di persone. Ci può essere una spiegazione a questo stato di fatto: realizzata per costruire la pace in Europa, l'Unione Europea non contempla una guerra, qualunque essa sia: economica, e a maggior ragione militare. Questa spiegazione, legittima, non deve fungere da scusante per allontanare ogni riflessione sull'argomento: gli Stati Uniti non hanno nella loro Costituzione disposizioni che ne fanno una nazione bellicista per definizione, e tuttavia non sono stupidi. Chi vuole la pace prepara la guerra, o per riprendere lo slogan del Ministro della Difesa francese: “quando la difesa avanza, la pace progredisce„.
Ora, giustamente, sembra che la Francia non si preoccupi affatto della guerra economica, tanto in teoria, che in pratica. Se è una realtà per imprese che evolvono in contesti ultra-concorrenziali (Suez Environnement, Véolia, Air Francia-KLM…), attendiamo sempre che le autorità competenti conducano una riflessione comune,o realizzino una vera strategia per la Francia nella guerra economica. Perché no, un libro bianco, seguito da una politica pubblica. È responsabilità dei politici di iscrivere la Francia in una strategia, considerando il lungo termine. Si tratta di una questione di potenza.
Un punto interessante: è l’equipe che ha sostenuto il ruolo della Cina che ha vinto.
di Matthieu Viteau

21 maggio 2009

Il denaro come schiavitù psicologica

Nell’antica Grecia era chiamato l’Essere, nel Medioevo Dio, nel Rinascimento la Natura. Nell’Illuminismo è diventato l’Individuo e nel mondo moderno il Denaro. Ogni epoca ha avuto il suo massimo referente culturale. Ma, ad ogni tappa della storia, la civiltà è scesa di un gradino, personalizzando l’archetipo, abbassandolo a principio razionale, a soggetto tangibile, infine a semplice cosa. Ma il denaro è ben più di una semplice cosa, è un simbolo, è il centro di una deforme ma seducente metafisica. Intorno al denaro si è creato un invisibile impero mondiale, cui obbediscono la cultura, la politica, la scienza, le arti, la vita quotidiana di ognuno. Si tratta di qualcosa che racchiude un richiamo alla potenza. Giacché, attraverso di esso, in una società che fa coincidere la realizzazione sociale con la quantità di denaro posseduta, l’uomo ha il potere di ottenere ciò che vuole. Compreso il potere sulle coscienze. L’avere o il volere molto denaro va oltre la semplice disponibilità materiale. Va oltre anche il dato economico. Investe gli aspetti psicologici della personalità, li condiziona, spesso li padroneggia. In questo valore metafisico attribuito al denaro, già Nietzsche individuò l’elemento tipico di un’attitudine non economica, ma appunto psicologica, presente in un certo tipo d’uomo di bassa lega. In Aurora del 1887, leggiamo: «Quel che si faceva un tempo “per amore d’Iddio”, lo si fa oggi per amore del denaro, cioè per amore di ciò che oggi dà sentimento di potenza e buona coscienza al massimo grado».

La libidine di denaro è quella specie di invasamento che ha soppiantato le figure della trascendenza, pervenendo a una pervertita disposizione all’adorazione. Una vera mistica invertita di segno, ma egualmente in grado di possedere l’anima. La patologia del vitello d’oro, in cui si era ravvisata - dall’antichità fino all’avvento della borghesia - una tipologia umana di rango inferiore, divenne a un certo punto l’anima della civiltà, il suo credo interiore, il motivo del suo esistere. Si era appena agli inizi del moderno capitalismo, quando Marx - tra i primi e i più violenti - condannò la metamorfosi del denaro da mezzo per gli scambi a idolo divinizzato, scaricandone la responsabilità sugli ebrei: «Il denaro è il geloso dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere…Il dio degli ebrei si è mondanizzato, è divenuto un dio mondano. La cambiale è il dio reale dell’ebreo…». Tuttavia, l’avvento del denaro in qualità di dispotico regolatore dei destini non è stato il passaggio da un totem metafisico ad uno materiale. L’idolatria del denaro non è esattamente il culto per un oggetto: molto più sottilmente, nella società scaturita dal dominio liberaldemocratico, ciò che viene sottoposto ad adorazione non sono tanto i soldi, quanto il significato di potenza cui essi rimandano. Il potere dei soldi è soprattutto immateriale. Questo è il cuore della loro pericolosità.

simmel_fondo-magazineMai come oggi, queste vecchie intuizioni sono giuste: la presente dittatura mondiale della finanza, fondata sulla creazione dal nulla di denaro virtuale e sulla circolazione di ricchezza telematica, del tutto astratta dal lavoro, ne è la più schiacciante conferma. L’idea di accumulo, essenziale nella mentalità acquisitiva e utilitarista, è un’idea totalitaria. Guida gli atti e governa le menti. Di più: è come l’offerta sacrificale dell’animista, raccoglie e ammassa valore in lode di una onnipotenza. Verso la fine dell’Ottocento, il sociologo Georg Simmel [nella foto sopra] si occupò proprio di questi aspetti per così dire filosofici e trascendenti del denaro. Il mito della ricchezza crea stati d’animo, incide sugli immaginari, decide sui valori. Nel suo breve scritto risalente al 1889, La psicologia del denaro, recentemente ripubblicato dalle Edizioni di Ar, Simmel precisava le intuizioni di Marx e Nietzsche: il denaro, come un nuovo e degenere Dio assoluto, infonde pace e sicurezza nei suoi devoti, ricoprendo la stessa funzione di elemento supremo. Una divinità assolutista che non riconosce più le appartenenze storiche. Nessuna lega, associazione, classe, casta o nazione vale più di fronte all’irrompere del denaro. Principio democratico assoluto e assoluto livellatore delle differenze antropologiche, il denaro offre a ognuno, basta che lo voglia e lo sappia maneggiare, la possibilità di realizzare le proprie aspettative materiali e simboliche. Col denaro, ogni qualità umana si annulla: avendo denaro, chiunque può affermarsi, indipendentemente dal suo valore come uomo. Certo, perché si diffondesse la fede in questo mezzo di scambio elevato a idolo, c’era stato bisogno che diventasse egemone quel tipo bio-psichico particolare che è il borghese.

Alla festa del mercato riesce bene quel genere di uomo malato col cervello di bambino di cui parlava Sombart. Il capitalista come adolescente immaturo, che vuole i suoi balocchi sempre più grandi, sempre più numerosi…Una volta andato al potere questo sotto-tipo umano, la seduzione del denaro non ha trovato più ostacoli…ed oggi le figure egemoni sulla scena del capitalismo saranno altrettante controfigure dell’effimero e del fatuo, come effimeri sono i soldi e il mondo che promettono: il manager mondano, la starlette televisiva, l’intellettualino gay, i divi del pettegolezzo, lo speculatore filantropo…Simmel, già ai suoi tempi, realizzò che il denaro stava cambiando ruolo: da mezzo diventava fine, secondo un procedimento che definiva come «elevazione psicologica del mezzo alla dignità di scopo finale». Il mondo moderno è tutto giocato sull’attrezzatura psichica. Dalla cura psicanalitica somministrata alle masse borghesi per sostenerne la fragilità caratteriale fino alle manipolazioni propagandistiche del marketing, e fino ai ricatti psicologici che governano le leggi della Borsa, la psiche condizionata è oggi il luogo della decisione. La politica non esiste. Il mito comunitario è affossato. Si ha un intero sistema mondiale che si regge sulla virtualità del denaro finanziario e sulla finzione del possesso materiale ottenuto per via speculativa. E certo Simmel è stato acuto e precoce nell’osservare che l’omologazione capitalistica comprende l’azzeramento della diversità qualitativa dell’uomo, la sua riduzione a semplice oggetto casuale di possesso: «Il fatto che nel traffico monetario una persona abbia il medesimo valore di un’altra, si fonda su di una semplice circostanza: nessuna di loro vale, a valere è soltanto il denaro».

La sociologia tedesca tardo-ottocentesca è importante perché studiò la società moderna come esito del dominio. Si combinava bene con la scuola sociologica italiana, che vide nella lotta delle élites il segreto della leadership politica. Se Max Weber individuò il dominio nella dialettica verticale comando-obbedienza, Simmel studiò invece più che altro l’aspetto orizzontale dei rapporti sociali, quelli incentrati sull’interazione-scambio. E quindi assegnò al denaro, che domina l’idea di scambio, un’importanza centrale nella società liberale. Era una discesa di valore. Una perdita di qualità per l’uomo. Nel suo libro del 1908 su Il dominio, Simmel scrisse che la concezione tradizionale della supremazia sociale manteneva inalterato il valore per l’altro, sia pure subordinandolo: per dire, il feudatario proteggeva e rispettava il suo contadino, cui riconosceva il ruolo della controparte sociale. Il mercante, invece, e il capitalista finanziario di ultima generazione in specie, che riconosce importanza solo al denaro, è per eccellenza l’egoista individuale, colui che non riconosce per nulla l’altro, ma solo se stesso e la propria determinazione all’accumulo. In una conferenza del 1896 sul denaro nella cultura moderna, Simmel sostenne che i reticoli sociali delle società tradizionali, ad esempio le corporazioni, erano associazioni di mestiere che curavano i loro interessi, ma soprattutto erano comunità di vita nelle quali l’individuo riconosceva i propri valori di affinità, reciprocità, comunanza. Al contrario, la società capitalistica ha promosso associazionismi che, diceva Simmel, «pretendono dai loro membri soltanto contributi in denaro o che mirano a un mero interesse monetario». Basta pensare all’associazionismo paramassonico dei miliardari americani (e ai suoi omologhi transnazionali: i vari Lyon’s, Rotary…), nel quale si attua la classica doppia faccia della morale usuraria: la beneficenza. Al beneficato, tuttavia, mai si dava o si dà in mano il denaro…al declassato spettava - e ancora oggi, da parte delle onlus, si attua lo stesso principio discriminante…- soltanto la merce (il piatto di minestra, il vestito), oppure la struttura (l’ospizio, il ricovero). È noto come, per il puritanesimo e per lo stesso san Tommaso, l’uso del capitale usurario per beneficenza conduca diritto all’indulgenza plenaria dei peccati…su questa specie di indulto teologico, del resto, nacquero i primi Monti di Pietà, con tutto quello che è seguito in termini di acquisto in solido della buona coscienza, fino all’attuale degenerata industria dell’accoglienza

La smania di ricchezza, scrive Simmel in La psicologia del denaro, è sempre stata la via emancipatoria dei repressi (i liberti nell’antichità, gli ugonotti, gli ebrei…), ma secondo un processo storico che Francesco Ingravalle, nella sua postfazione, definisce di omologazione e di spersonalizzazione, tanto che può dirsi che sia il denaro a maneggiare l’uomo e non più l’uomo il denaro: «Il denaro emancipa l’individuo e, al culmine di tale processo di emancipazione, lo dissolve come individuo, speciale e irripetibile, esalta le qualità individuali in termini di “fantasia imprenditoriale” e poi le “standardizza”, le riduce a funzioni di un meccanismo globale e onnipervadente». Fino all’epoca moderna, la ricchezza era comunitaria. In Europa, la regola era che il contadino viveva sulla sua terra. Il demanio pubblico era a disposizione dei bisogni collettivi. Il raro latifondo era soggetto a una pletora di servitù e limitazioni. L’indebitamento del ceto contadino e l’espropriazione dei popoli data da quando il capitalista, padrone del grande mercato urbano e della decisione politica, ha trasformato il popolo prima in proletariato da soma, poi in borghesia universale sradicata. Karl Polany scrisse che in tal modo «una popolazione di dignitosi contadini veniva trasformata in una folla di mendicanti e di ladri». Su questa folla di precari allo sbando prospera il denaro dei pochissimi. Oggi è un denaro senza terra, senza lavoro né fabbrica, senza sacrificio, senza legami, senza origine, senza rapporto con la moneta e persino senza alcun reale valore.

di Luca Leonello Rimbotti

20 maggio 2009

Le trame e i segreti della corte imperiale





Le trame e i segreti della corte imperiale

Devo confessare che Scalfari non mi soddisfa come giornalista ma, quando vuole sa essere lucido e pungente. Un'analisi del momento politico in Italia anestetizzato dai media in modo imbarazzante. E gli altri? a razzolare nel cortile del Re Sole...






E' PASSATA poco più d'una settimana da quando la signora Veronica Lario in Berlusconi ha rotto il velo del "Mulino bianco" collocato tra le ville di Arcore e Macherio, scatenando una "tempesta perfetta" registrata con ampiezza dai giornali e dalle televisioni di tutto il mondo. Viene in mente il "Truman Show", quel libro e quel film di grande successo che raccontarono qualche anno fa di un giovane scelto fin dalla nascita da una grande catena televisiva, protagonista a sua insaputa di un "reality" seguito da un immenso pubblico fino a quando la barriera che chiudeva lo spazio del "set" venne varcata e il giovane acquistò coscienza ed entrò finalmente nel mondo reale.

Qui è accaduto e sta accadendo qualche cosa di analogo con la differenza, certo non di poco conto, che il "reality" non è immaginario ma reale, è reale il protagonista che è il capo del governo ed è reale lo spazio in cui l'azione si svolge, i comprimari che lo circondano, i cortigiani, i ministri, il popolo. Tutto è tremendamente reale, eppure è nello stesso tempo immaginario, mediatico, politico. In Italia va dunque in scena un "Truman Show" e tutti noi ne siamo gli attori. Non so se riderne o disperarsene. Scegliete voi cari lettori.

Attorno a questa situazione a dir poco anomala si sono accese molte discussioni e sono emersi molti temi distinti uno dall'altro e tuttavia interdipendenti. Uno di questi riguarda il modo d'essere e per conseguenza il modo di vivere di Silvio Berlusconi.

Non è certo la prima volta che questo tema sale al centro dell'attenzione pubblica ma mai come in questo caso che ha mescolato la politica e il "corpo del re" al gossip più pruriginoso che coinvolge i rapporti tra il pubblico e il privato.

Il secondo tema riguarda il corpo delle donne, il rispetto che gli si deve e le offese che gli si recano nonché i modi con i quali lo si usa. "Mode d'emploi".

Il terzo tema riguarda la sensibilità (o l'insensibilità) dei cattolici, dei loro pastori, della Chiesa su questo complesso di questioni etiche e al tempo stesso politiche.

C'è poi il tema concernente gli effetti o i mancati effetti di queste vicende sulla pubblica opinione e sulle intenzioni di voto che ne derivano. Questa discussione mette anche in causa il ruolo dei "media", la loro oggettività e la loro faziosità.

I vari temi sono da tempo sotto esame da parte dei giornali e delle televisioni ma è nell'ultima settimana che la temperatura è salita e la tensione ha raggiunto il massimo.

Il pubblico è abbastanza frastornato e le posizioni si vanno rapidamente radicalizzando. Ma è anche vero che per la prima volta si è aperta una crepa nel muro fin qui compatto del consenso berlusconiano. La crepa è visibile ma è ancora presto per stabilirne la profondità. Se riguarda soltanto l'intonaco non avrà conseguenze sulla solidità dell'edificio. Oppure si estenderà intaccando le fondamenta, i muri maestri e il tetto. I sondaggi già effettuati a ridosso dei fatti non hanno ancora l'attendibilità necessaria per far capire la natura delle lesioni che quell'edificio ha subìto.

* * *

Comincio con un'osservazione che riguarda i rapporti tra la sfera pubblica e quella privata. Sulla "Stampa" di mercoledì Barbara Spinelli ha approfondito questo tema ed ha scritto: "Sarebbe bello se gli uomini politici appendessero all'attaccapanni tutte le loro questioni private prima di entrare nell'agorà della politica" ed ha aggiunto: "Si vorrebbe non saper nulla dell'uomo politico se non quel che riguarda il bene comune, nulla delle sue notti o delle sue vacanze, nulla delle sue barche, delle sue tribù parentali, nulla neanche del suo credere o non credere in Dio. La cosa pubblica sarebbe bello che fosse un piccolo lembo di terra dove l'umanità fa politica".

Cara Barbara, sarebbe bello? Una volta tanto non concordo con te, se non altro perché non è mai accaduto, neppure nella polis di Pericle, di Socrate, di Alcibiade. Non è mai accaduto nella storia antica e tanto meno in quella moderna. Soprattutto non è mai accaduto quando il potere raggiunge livelli di spinto autoritarismo o addirittura diventa potere assoluto.

In tempi di democrazia una sottile distanza tra pubblico e privato può sussistere, ma in regimi autoritari o assoluti quella tenda divisoria cade del tutto.

L'esempio più eloquente si ha guardando alla Francia del re Sole che dette il tono per 150 anni a tutte le corti d'Europa. Lo Stato era il re, proprietà e patrimonio del re, e così l'esercizio della giustizia e dell'amministrazione, la pace e la guerra. Nulla era privato nella vita del re, ogni suo gesto, ogni sua frequentazione, ogni suo attimo si svolgeva al cospetto del pubblico, a cominciare dal suo risveglio, delle sue funzioni corporali, del suo più intimo "nettoyage" cui era adibito un ciambellano di nobile famiglia che aveva il privilegio di "pulire il re".

Le amanti del re abitavano a corte e apparivano al braccio del sovrano senza alcuna mistificazione.

In tempi moderni qualche ipocrisia in più ha attenuato queste esibizioni ma non molto. Mussolini si esibiva a dorso nudo tra i contadini e i muratori, ma nascondeva Claretta nonostante si vivesse in tempi di potere assoluto. Voglio qui ricordare la battuta recente di Alessandra sua nipote: a chi gli domandava quali fossero le differenze tra suo nonno e Berlusconi in tema di frequentazioni femminili, ha risposto: "Mio nonno non ha mai fatto ministro la Petacci". In effetti la differenza è notevole, anzi è una delle materie del contendere e la si trova esplicitamente indicata nella dichiarazione all'agenzia Ansa di Veronica Lario.

* * *

Nella trasmissione di Bruno Vespa dedicata a Berlusconi e alla sua rottura con la moglie il titolo che campeggiava sul telone di fondo era: "Oggi parlo io". Infatti così è stato per oltre due ore, ha parlato soltanto lui anche se, oltre al conduttore come sempre abilissimo, c'erano tre "figuranti" nelle persone del direttore del "Corriere della Sera", del direttore del "Messaggero" e dell'estroso Sansonetti, già direttore di "Liberazione".

Sono amico di Ferruccio De Bortoli e ho stima di lui sicché uso con disagio la parola "figurante" ma non ne trovo altre più appropriate. La loquela berlusconiana ha letteralmente sommerso i tre colleghi. Il direttore del "Corriere" ha avuto soltanto la possibilità di raccomandare al premier maggior sobrietà nell'esercizio delle sue pubbliche funzioni, ma si è preso un rimbrotto immediato perché il Protagonista ha rivendicato il suo modo d'essere come un irrinunciabile esempio di democrazia popolare. Lui è fatto così e va preso così, dicono i suoi amici e ricordano la canzone da lui preferita nel suo repertorio canoro: "Je suis comme je suis" di Juliette Gréco, che lui canta spesso con molta grazia.

Per il resto i tre colleghi hanno ascoltato silenti il suo lunghissimo monologo. Forse sarebbe stato meglio se avessero rinunciato ad una presenza alquanto umiliante.

E' andato così in scena un processo in contumacia contro la moglie Veronica di fronte a quattro milioni di spettatori. Lui ha negato tutti gli addebiti come a suo tempo fece Bill Clinton, fino a quando dovette smentirsi platealmente per evitare l'"impeachment".

Clinton aveva cominciato col negare qualsiasi rapporto sessuale con la stagista della Casa Bianca e continuò imperterrito a ripetere questa sua verità pur di fronte all'immenso clamore dei "media" di tutto il mondo. Il tambureggiamento dei giornali e delle televisioni durò a lungo; Clinton dovette ripetere le sue affermazioni di innocenza davanti ad un Grand Jury fino a quando Monica Lewinsky confidò la sua verità ad un'amica che vuotò il sacco con la stampa. A quel punto l'ipotesi d'un impeachment per aver mentito al congresso diventò incombente e Clinton confessò per evitare un giudizio che si sarebbe probabilmente risolto con la sua infamante rimozione dalla carica.

Confrontare le normative italiane in proposito con quelle americane sarebbe umiliante. Aggiungo soltanto che nella sua lettera all'Ansa la signora Berlusconi-Lario denuncia il clima di omertà che circonda e protegge le malefatte dell'"imperatore". Ne abbiamo avuto una prova eloquente durante la trasmissione di Santoro con la prestazione dell'avvocato e deputato Niccolò Ghedini. Non avevo mai visto un avvocato difensore comportarsi non come un professionista libero anche se impegnato a proteggere gli interessi del suo cliente, ma come un servitore addestrato a picchiare mettendosi sotto i piedi la logica oltre che la verità.

Il vero spettacolo di quella trasmissione è stato lui, Niccolò Ghedini; nella sua doppia qualifica di avvocato di un solo cliente e di rappresentante del popolo e legislatore molto si è detto e scritto ma non abbastanza. E' perfino peggio di Previti che nelle sue malefatte ostentava almeno una sua grandezza. Il suo più giovane collega sembra piuttosto un pretoriano, perfettamente appropriato all'aria di basso impero che circola con tutte le sue flatulenze nei palazzi del potere.

* * *

Un'altra osservazione che bisogna fare riguarda la ricattabilità: Berlusconi è una persona ricattabile perché nega alcune circostanze che sembrano evidenti e che sono a conoscenza diretta di altre persone. Queste persone sono state e saranno colmate di benefici, ma dei loro servizi egli non può disfarsi quand'anche lo volesse poiché sono al corrente di segreti piccoli o grandi che potrebbero offuscare o addirittura interrompere i suoi successi e il suo potere.

Spesso è accaduto che tra queste persone si verificassero contrasti e che la loro riservatezza fosse dunque a rischio. Finora il leader è riuscito a mediare, a conciliare, a tacitare, ma il rischio è ricorrente e spiega anche alcune vicende altrimenti incomprensibili.

Una di esse, la più recente, è l'amicizia tra il premier e Elio Letizia, padre di Noemi. Non si sa come sia nata quell'amicizia né quando, una spessa coltre di reticenza ne copre l'origine e la natura alla stregua di un vero e proprio segreto di Stato. Basta leggere o ascoltare le interviste del signor Letizia - personaggio con non lievi trascorsi penali - per rendersi conto di reticenze a dir poco inquietanti.

La stampa ha tra gli altri suoi compiti quello di controllare il potere e cercare la verità bucando il velo della reticenza. E' dunque comprensibile anche se abominevole che la stampa sia una delle principali preoccupazioni di chi detiene il potere. Preoccupazioni "pelose" che si esercitano sulle proprietà dei giornali, sui direttori, sui giornalisti con compiti di rilievo. Gli editti di persecuzione contro giornalisti scomodi servono a metterli fuorigioco, i premi servono invece a favorirne la conversione.

Sarebbe impietoso farne l'elenco ed anche non necessario: basta infatti seguirne i percorsi e le carriere determinate dal Palazzo e gli effetti "deontologici" che ne derivano per averne contezza.

* * *

Questa fitta rete di premi, benefici, ricatti potenziali, lotte di potere, è stata messa in crisi da una donna, da una moglie, dalla sua denuncia pubblica, dall'assunzione di un rischio altissimo e personale.

La denuncia riguarda vizi pubblici e vizi privati che tuttavia costituiscono, come già detto, un contesto unico e non scindibile. Tutta la discussione sulle cosiddette veline assume, nelle parole di Veronica Lario, un significato preciso: la selezione distorta della classe dirigente, ormai interamente rimessa alle scelte capricciose dell'"imperatore".

Lo scandalo non proviene dal reclutamento privilegiato nel mondo dello spettacolo né dall'età né dal sesso delle prescelte, ma dalla preparazione politica sulla quale purtroppo circolano idee improprie.

La politica come tutti la vorremmo ha come premessa una adeguata formazione culturale coltivata in famiglia, a scuola e con letture che contribuiscano a svegliare la fantasia e a far crescere coscienza, carattere e senso di responsabilità.

I giovani che acquisiscono questa preparazione culturale sentono talvolta dentro di loro una vocazione politica, il desiderio di occuparsi del bene comune e di rappresentare interessi legittimi e valori congeniali al loro modo di essere e di pensare. Il seguito è affidato alla capacità individuale, agli incontri, ai punti di riferimento che la società esprime e alla competitività individuale.

Questo è il solo modo adatto a selezionare i talenti politici. Va detto purtroppo che è caduto in disuso in un'epoca di portaborse e di "yes-men".

* * *

Resta da parlare dei cattolici, della Chiesa e delle reazioni che questa vicenda ha suscitato. Se fosse ancora tra noi Pietro Scoppola intervenire su questo tema gli spetterebbe di diritto: si tratta di etica, un valore che coinvolge in modi diversi ma egualmente intensi sia il pensiero laico sia il mondo cattolico, con in più per quest'ultimo che l'etica è strettamente intrecciata al sentimento religioso e quindi impedisce il cinismo dell'indifferenza o almeno così dovrebbe.

Per quel che emerge da alcuni segnali il mondo cattolico, o per esser più precisi il laicato cattolico, vive con molto disagio il paganesimo berlusconiano abbinato ad una "devozione" di natura commerciale agli interessi della Chiesa. Proprio perché questo disagio è forte ed esercita una pressione intensa nelle Comunità e negli Oratori, la Conferenza episcopale l'ha assunto come proprio e il suo giornale, l'"Avvenire", ne ha dato conto.

Le reazioni della Santa Sede, manifestate tre giorni fa dal Segretario di Stato vaticano al plenipotenziario berlusconiano Gianni Letta, sono state invece di ben diversa natura. Si è raccomandata prudenza, maggior riserbo, abbassamento dei toni, offrendo in contropartita il silenzio della Santa Sede su quanto è accaduto. Il tema del possibile divorzio riguarderebbe un matrimonio civile e quindi non interessa la Chiesa. Semmai e paradossalmente quel divorzio sanerebbe lo strappo del primo divorzio, invalido per il diritto canonico poiché scioglieva un matrimonio celebrato religiosamente.

Un paradosso che riduce l'etica cattolica ad una ripugnante casistica, spiegata e condivisa da Francesco Cossiga che si era recato a solidarizzare col premier e poi, interrogato dai giornalisti, ha così risposto: "Alla Chiesa importa molto dei comportamenti privati, ma tra un devoto monogamo che contesta certe sue direttive ed uno sciupafemmine che le dà invece una mano concreta, la Chiesa dice bravo allo sciupafemmine. Sant'Ambrogio disse non a caso "Ecclesia casta et meretrix"".

Se è per questo, Dante disse assai di peggio. Era ghibellino e non si faceva certo intimidire.


di EUGENIO SCALFARI


22 maggio 2009

Gli Stati Uniti si esercitano alla guerra economica



Per gli scettici che occorrerebbe ancora convincere, il mese di marzo 2009 vedrà l'applicazione concreta di un concetto che l'amministrazione Clinton aveva previsto fin dal 1992: la guerra economica. Il web non si è sbagliato, e la stampa lo ha subito rilanciato: il pentagono ha realizzato il 17 e il 18 marzo scorso “una simulazione di guerra economica„. L’obiettivo? Anticipare le modalità secondo le quali le potenze del mondo condurrebbero una guerra economica, ed eventualmente determinare un vincitore. Se i dettagli di quest'operazione che si è svolta nel laboratorio di fisica applicata dell'Università Johns Hopkins restano riservati, tuttavia, i partecipanti hanno spiegato che i capi di imprese, gli accademici e i gestori di fondi - i responsabili della difesa e di intelligence, civili come militari, hanno osservato le strategie di ciascun partecipante.Al di là delle preoccupazioni sulla guerra cibernetica rispetto alla quale i mass media fanno regolarmente da cassa di risonanza, è una guerra molto più reale quella alla quale si preparano, da qualche tempo, gli Stati Uniti. Ma i ruoli sembranoessersi invertiti: mentre all'inizio degli anni 90, quest'ultimi iniziavano una nuova era geopolitica in posizione di forza, gli anni 2000 hanno visto la potenza dominante avere una forte concorrenza. E ciò cambia profondamente la loro relazione col concetto di guerra economica. Il Presidente Clinton aveva inaugurato, con i suoi famosi Advocacy Center et war rooms, un periodo dove una sola potenza aveva vocazione egemonica con lo scopo di conservare la supremazia politica, economica e sociale. La guerra fredda - dove la possibilità di una guerra violenta e fisica non era stata mai allontanata, per quanto convogliata nei conflitti periferici -era stata portata a termine; la guerra economica era invece incominciata. La relazione “Japan 2000„ simbolizza questa svolta: elaborato dalla CIA, questo documento cambia il paradigma dei confronti geopolitici. Infatti, da geopolitica, la guerra si trasforma in economica; il confronto, innanzitutto considerato tra nemici chiaramente identificati, può ormai essere considerato tra due alleati, su un campo molto più tollerabile per le popolazioni, poiché meno visibile e meno doloroso.
Non è sorprendente che quest'esercizio di guerra economica sia stato condotto oltre Atlantico. La reattività ed il pragmatismo hanno sempre segnato le politiche americane in materia economica. Tuttavia, nel momento in cui la crisi economica scuote le basi della potenza degli Stati Uniti, già rimesse in discussione con una nuova ripartizione geopolitica resa manifesta dagli attentati dell'undici settembre 2001, è significativo notare che quest'iniziativa è stata pensata prima della contaminazione della crisi finanziaria sull'economia reale (nella primavera del 2008 secondo http://www.Politico.com). La messa in atto di tale esercizio richiede mesi di riflessione e di parametrazioni: ciò significa che gli strateghi americani prendono seriamente, da tempo, la guerra economica. Ciò non sembra sempre essere il caso della Francia, ed in misura maggiore dell’Europa. Eccetto, forse, per la Germania, che ha deciso di rompere la sua collaborazione con Areva nel gennaio 2009, e dal 2005 fa parte del consorzio NordStream che permette un approvvigionamento di gas più sicuro all'Europa del Nord. L'Europa è strutturalmente dipendente dal resto del mondo per il suo approvvigionamento energetico. Le conseguenze delle crisi tra Ucraina e Russia, sebbene eminentemente concrete per l'Europa, in particolare per i vecchi paesi dell'Europa centrale ed orientale, nel 2009 non hanno ancora dato luogo ad una qualunque avanzata per una indispensabile politica comunitaria finalizzata a garantire la sicurezza energetica a 380 milioni di persone. Ci può essere una spiegazione a questo stato di fatto: realizzata per costruire la pace in Europa, l'Unione Europea non contempla una guerra, qualunque essa sia: economica, e a maggior ragione militare. Questa spiegazione, legittima, non deve fungere da scusante per allontanare ogni riflessione sull'argomento: gli Stati Uniti non hanno nella loro Costituzione disposizioni che ne fanno una nazione bellicista per definizione, e tuttavia non sono stupidi. Chi vuole la pace prepara la guerra, o per riprendere lo slogan del Ministro della Difesa francese: “quando la difesa avanza, la pace progredisce„.
Ora, giustamente, sembra che la Francia non si preoccupi affatto della guerra economica, tanto in teoria, che in pratica. Se è una realtà per imprese che evolvono in contesti ultra-concorrenziali (Suez Environnement, Véolia, Air Francia-KLM…), attendiamo sempre che le autorità competenti conducano una riflessione comune,o realizzino una vera strategia per la Francia nella guerra economica. Perché no, un libro bianco, seguito da una politica pubblica. È responsabilità dei politici di iscrivere la Francia in una strategia, considerando il lungo termine. Si tratta di una questione di potenza.
Un punto interessante: è l’equipe che ha sostenuto il ruolo della Cina che ha vinto.
di Matthieu Viteau

21 maggio 2009

Il denaro come schiavitù psicologica

Nell’antica Grecia era chiamato l’Essere, nel Medioevo Dio, nel Rinascimento la Natura. Nell’Illuminismo è diventato l’Individuo e nel mondo moderno il Denaro. Ogni epoca ha avuto il suo massimo referente culturale. Ma, ad ogni tappa della storia, la civiltà è scesa di un gradino, personalizzando l’archetipo, abbassandolo a principio razionale, a soggetto tangibile, infine a semplice cosa. Ma il denaro è ben più di una semplice cosa, è un simbolo, è il centro di una deforme ma seducente metafisica. Intorno al denaro si è creato un invisibile impero mondiale, cui obbediscono la cultura, la politica, la scienza, le arti, la vita quotidiana di ognuno. Si tratta di qualcosa che racchiude un richiamo alla potenza. Giacché, attraverso di esso, in una società che fa coincidere la realizzazione sociale con la quantità di denaro posseduta, l’uomo ha il potere di ottenere ciò che vuole. Compreso il potere sulle coscienze. L’avere o il volere molto denaro va oltre la semplice disponibilità materiale. Va oltre anche il dato economico. Investe gli aspetti psicologici della personalità, li condiziona, spesso li padroneggia. In questo valore metafisico attribuito al denaro, già Nietzsche individuò l’elemento tipico di un’attitudine non economica, ma appunto psicologica, presente in un certo tipo d’uomo di bassa lega. In Aurora del 1887, leggiamo: «Quel che si faceva un tempo “per amore d’Iddio”, lo si fa oggi per amore del denaro, cioè per amore di ciò che oggi dà sentimento di potenza e buona coscienza al massimo grado».

La libidine di denaro è quella specie di invasamento che ha soppiantato le figure della trascendenza, pervenendo a una pervertita disposizione all’adorazione. Una vera mistica invertita di segno, ma egualmente in grado di possedere l’anima. La patologia del vitello d’oro, in cui si era ravvisata - dall’antichità fino all’avvento della borghesia - una tipologia umana di rango inferiore, divenne a un certo punto l’anima della civiltà, il suo credo interiore, il motivo del suo esistere. Si era appena agli inizi del moderno capitalismo, quando Marx - tra i primi e i più violenti - condannò la metamorfosi del denaro da mezzo per gli scambi a idolo divinizzato, scaricandone la responsabilità sugli ebrei: «Il denaro è il geloso dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere…Il dio degli ebrei si è mondanizzato, è divenuto un dio mondano. La cambiale è il dio reale dell’ebreo…». Tuttavia, l’avvento del denaro in qualità di dispotico regolatore dei destini non è stato il passaggio da un totem metafisico ad uno materiale. L’idolatria del denaro non è esattamente il culto per un oggetto: molto più sottilmente, nella società scaturita dal dominio liberaldemocratico, ciò che viene sottoposto ad adorazione non sono tanto i soldi, quanto il significato di potenza cui essi rimandano. Il potere dei soldi è soprattutto immateriale. Questo è il cuore della loro pericolosità.

simmel_fondo-magazineMai come oggi, queste vecchie intuizioni sono giuste: la presente dittatura mondiale della finanza, fondata sulla creazione dal nulla di denaro virtuale e sulla circolazione di ricchezza telematica, del tutto astratta dal lavoro, ne è la più schiacciante conferma. L’idea di accumulo, essenziale nella mentalità acquisitiva e utilitarista, è un’idea totalitaria. Guida gli atti e governa le menti. Di più: è come l’offerta sacrificale dell’animista, raccoglie e ammassa valore in lode di una onnipotenza. Verso la fine dell’Ottocento, il sociologo Georg Simmel [nella foto sopra] si occupò proprio di questi aspetti per così dire filosofici e trascendenti del denaro. Il mito della ricchezza crea stati d’animo, incide sugli immaginari, decide sui valori. Nel suo breve scritto risalente al 1889, La psicologia del denaro, recentemente ripubblicato dalle Edizioni di Ar, Simmel precisava le intuizioni di Marx e Nietzsche: il denaro, come un nuovo e degenere Dio assoluto, infonde pace e sicurezza nei suoi devoti, ricoprendo la stessa funzione di elemento supremo. Una divinità assolutista che non riconosce più le appartenenze storiche. Nessuna lega, associazione, classe, casta o nazione vale più di fronte all’irrompere del denaro. Principio democratico assoluto e assoluto livellatore delle differenze antropologiche, il denaro offre a ognuno, basta che lo voglia e lo sappia maneggiare, la possibilità di realizzare le proprie aspettative materiali e simboliche. Col denaro, ogni qualità umana si annulla: avendo denaro, chiunque può affermarsi, indipendentemente dal suo valore come uomo. Certo, perché si diffondesse la fede in questo mezzo di scambio elevato a idolo, c’era stato bisogno che diventasse egemone quel tipo bio-psichico particolare che è il borghese.

Alla festa del mercato riesce bene quel genere di uomo malato col cervello di bambino di cui parlava Sombart. Il capitalista come adolescente immaturo, che vuole i suoi balocchi sempre più grandi, sempre più numerosi…Una volta andato al potere questo sotto-tipo umano, la seduzione del denaro non ha trovato più ostacoli…ed oggi le figure egemoni sulla scena del capitalismo saranno altrettante controfigure dell’effimero e del fatuo, come effimeri sono i soldi e il mondo che promettono: il manager mondano, la starlette televisiva, l’intellettualino gay, i divi del pettegolezzo, lo speculatore filantropo…Simmel, già ai suoi tempi, realizzò che il denaro stava cambiando ruolo: da mezzo diventava fine, secondo un procedimento che definiva come «elevazione psicologica del mezzo alla dignità di scopo finale». Il mondo moderno è tutto giocato sull’attrezzatura psichica. Dalla cura psicanalitica somministrata alle masse borghesi per sostenerne la fragilità caratteriale fino alle manipolazioni propagandistiche del marketing, e fino ai ricatti psicologici che governano le leggi della Borsa, la psiche condizionata è oggi il luogo della decisione. La politica non esiste. Il mito comunitario è affossato. Si ha un intero sistema mondiale che si regge sulla virtualità del denaro finanziario e sulla finzione del possesso materiale ottenuto per via speculativa. E certo Simmel è stato acuto e precoce nell’osservare che l’omologazione capitalistica comprende l’azzeramento della diversità qualitativa dell’uomo, la sua riduzione a semplice oggetto casuale di possesso: «Il fatto che nel traffico monetario una persona abbia il medesimo valore di un’altra, si fonda su di una semplice circostanza: nessuna di loro vale, a valere è soltanto il denaro».

La sociologia tedesca tardo-ottocentesca è importante perché studiò la società moderna come esito del dominio. Si combinava bene con la scuola sociologica italiana, che vide nella lotta delle élites il segreto della leadership politica. Se Max Weber individuò il dominio nella dialettica verticale comando-obbedienza, Simmel studiò invece più che altro l’aspetto orizzontale dei rapporti sociali, quelli incentrati sull’interazione-scambio. E quindi assegnò al denaro, che domina l’idea di scambio, un’importanza centrale nella società liberale. Era una discesa di valore. Una perdita di qualità per l’uomo. Nel suo libro del 1908 su Il dominio, Simmel scrisse che la concezione tradizionale della supremazia sociale manteneva inalterato il valore per l’altro, sia pure subordinandolo: per dire, il feudatario proteggeva e rispettava il suo contadino, cui riconosceva il ruolo della controparte sociale. Il mercante, invece, e il capitalista finanziario di ultima generazione in specie, che riconosce importanza solo al denaro, è per eccellenza l’egoista individuale, colui che non riconosce per nulla l’altro, ma solo se stesso e la propria determinazione all’accumulo. In una conferenza del 1896 sul denaro nella cultura moderna, Simmel sostenne che i reticoli sociali delle società tradizionali, ad esempio le corporazioni, erano associazioni di mestiere che curavano i loro interessi, ma soprattutto erano comunità di vita nelle quali l’individuo riconosceva i propri valori di affinità, reciprocità, comunanza. Al contrario, la società capitalistica ha promosso associazionismi che, diceva Simmel, «pretendono dai loro membri soltanto contributi in denaro o che mirano a un mero interesse monetario». Basta pensare all’associazionismo paramassonico dei miliardari americani (e ai suoi omologhi transnazionali: i vari Lyon’s, Rotary…), nel quale si attua la classica doppia faccia della morale usuraria: la beneficenza. Al beneficato, tuttavia, mai si dava o si dà in mano il denaro…al declassato spettava - e ancora oggi, da parte delle onlus, si attua lo stesso principio discriminante…- soltanto la merce (il piatto di minestra, il vestito), oppure la struttura (l’ospizio, il ricovero). È noto come, per il puritanesimo e per lo stesso san Tommaso, l’uso del capitale usurario per beneficenza conduca diritto all’indulgenza plenaria dei peccati…su questa specie di indulto teologico, del resto, nacquero i primi Monti di Pietà, con tutto quello che è seguito in termini di acquisto in solido della buona coscienza, fino all’attuale degenerata industria dell’accoglienza

La smania di ricchezza, scrive Simmel in La psicologia del denaro, è sempre stata la via emancipatoria dei repressi (i liberti nell’antichità, gli ugonotti, gli ebrei…), ma secondo un processo storico che Francesco Ingravalle, nella sua postfazione, definisce di omologazione e di spersonalizzazione, tanto che può dirsi che sia il denaro a maneggiare l’uomo e non più l’uomo il denaro: «Il denaro emancipa l’individuo e, al culmine di tale processo di emancipazione, lo dissolve come individuo, speciale e irripetibile, esalta le qualità individuali in termini di “fantasia imprenditoriale” e poi le “standardizza”, le riduce a funzioni di un meccanismo globale e onnipervadente». Fino all’epoca moderna, la ricchezza era comunitaria. In Europa, la regola era che il contadino viveva sulla sua terra. Il demanio pubblico era a disposizione dei bisogni collettivi. Il raro latifondo era soggetto a una pletora di servitù e limitazioni. L’indebitamento del ceto contadino e l’espropriazione dei popoli data da quando il capitalista, padrone del grande mercato urbano e della decisione politica, ha trasformato il popolo prima in proletariato da soma, poi in borghesia universale sradicata. Karl Polany scrisse che in tal modo «una popolazione di dignitosi contadini veniva trasformata in una folla di mendicanti e di ladri». Su questa folla di precari allo sbando prospera il denaro dei pochissimi. Oggi è un denaro senza terra, senza lavoro né fabbrica, senza sacrificio, senza legami, senza origine, senza rapporto con la moneta e persino senza alcun reale valore.

di Luca Leonello Rimbotti

20 maggio 2009

Le trame e i segreti della corte imperiale





Le trame e i segreti della corte imperiale

Devo confessare che Scalfari non mi soddisfa come giornalista ma, quando vuole sa essere lucido e pungente. Un'analisi del momento politico in Italia anestetizzato dai media in modo imbarazzante. E gli altri? a razzolare nel cortile del Re Sole...






E' PASSATA poco più d'una settimana da quando la signora Veronica Lario in Berlusconi ha rotto il velo del "Mulino bianco" collocato tra le ville di Arcore e Macherio, scatenando una "tempesta perfetta" registrata con ampiezza dai giornali e dalle televisioni di tutto il mondo. Viene in mente il "Truman Show", quel libro e quel film di grande successo che raccontarono qualche anno fa di un giovane scelto fin dalla nascita da una grande catena televisiva, protagonista a sua insaputa di un "reality" seguito da un immenso pubblico fino a quando la barriera che chiudeva lo spazio del "set" venne varcata e il giovane acquistò coscienza ed entrò finalmente nel mondo reale.

Qui è accaduto e sta accadendo qualche cosa di analogo con la differenza, certo non di poco conto, che il "reality" non è immaginario ma reale, è reale il protagonista che è il capo del governo ed è reale lo spazio in cui l'azione si svolge, i comprimari che lo circondano, i cortigiani, i ministri, il popolo. Tutto è tremendamente reale, eppure è nello stesso tempo immaginario, mediatico, politico. In Italia va dunque in scena un "Truman Show" e tutti noi ne siamo gli attori. Non so se riderne o disperarsene. Scegliete voi cari lettori.

Attorno a questa situazione a dir poco anomala si sono accese molte discussioni e sono emersi molti temi distinti uno dall'altro e tuttavia interdipendenti. Uno di questi riguarda il modo d'essere e per conseguenza il modo di vivere di Silvio Berlusconi.

Non è certo la prima volta che questo tema sale al centro dell'attenzione pubblica ma mai come in questo caso che ha mescolato la politica e il "corpo del re" al gossip più pruriginoso che coinvolge i rapporti tra il pubblico e il privato.

Il secondo tema riguarda il corpo delle donne, il rispetto che gli si deve e le offese che gli si recano nonché i modi con i quali lo si usa. "Mode d'emploi".

Il terzo tema riguarda la sensibilità (o l'insensibilità) dei cattolici, dei loro pastori, della Chiesa su questo complesso di questioni etiche e al tempo stesso politiche.

C'è poi il tema concernente gli effetti o i mancati effetti di queste vicende sulla pubblica opinione e sulle intenzioni di voto che ne derivano. Questa discussione mette anche in causa il ruolo dei "media", la loro oggettività e la loro faziosità.

I vari temi sono da tempo sotto esame da parte dei giornali e delle televisioni ma è nell'ultima settimana che la temperatura è salita e la tensione ha raggiunto il massimo.

Il pubblico è abbastanza frastornato e le posizioni si vanno rapidamente radicalizzando. Ma è anche vero che per la prima volta si è aperta una crepa nel muro fin qui compatto del consenso berlusconiano. La crepa è visibile ma è ancora presto per stabilirne la profondità. Se riguarda soltanto l'intonaco non avrà conseguenze sulla solidità dell'edificio. Oppure si estenderà intaccando le fondamenta, i muri maestri e il tetto. I sondaggi già effettuati a ridosso dei fatti non hanno ancora l'attendibilità necessaria per far capire la natura delle lesioni che quell'edificio ha subìto.

* * *

Comincio con un'osservazione che riguarda i rapporti tra la sfera pubblica e quella privata. Sulla "Stampa" di mercoledì Barbara Spinelli ha approfondito questo tema ed ha scritto: "Sarebbe bello se gli uomini politici appendessero all'attaccapanni tutte le loro questioni private prima di entrare nell'agorà della politica" ed ha aggiunto: "Si vorrebbe non saper nulla dell'uomo politico se non quel che riguarda il bene comune, nulla delle sue notti o delle sue vacanze, nulla delle sue barche, delle sue tribù parentali, nulla neanche del suo credere o non credere in Dio. La cosa pubblica sarebbe bello che fosse un piccolo lembo di terra dove l'umanità fa politica".

Cara Barbara, sarebbe bello? Una volta tanto non concordo con te, se non altro perché non è mai accaduto, neppure nella polis di Pericle, di Socrate, di Alcibiade. Non è mai accaduto nella storia antica e tanto meno in quella moderna. Soprattutto non è mai accaduto quando il potere raggiunge livelli di spinto autoritarismo o addirittura diventa potere assoluto.

In tempi di democrazia una sottile distanza tra pubblico e privato può sussistere, ma in regimi autoritari o assoluti quella tenda divisoria cade del tutto.

L'esempio più eloquente si ha guardando alla Francia del re Sole che dette il tono per 150 anni a tutte le corti d'Europa. Lo Stato era il re, proprietà e patrimonio del re, e così l'esercizio della giustizia e dell'amministrazione, la pace e la guerra. Nulla era privato nella vita del re, ogni suo gesto, ogni sua frequentazione, ogni suo attimo si svolgeva al cospetto del pubblico, a cominciare dal suo risveglio, delle sue funzioni corporali, del suo più intimo "nettoyage" cui era adibito un ciambellano di nobile famiglia che aveva il privilegio di "pulire il re".

Le amanti del re abitavano a corte e apparivano al braccio del sovrano senza alcuna mistificazione.

In tempi moderni qualche ipocrisia in più ha attenuato queste esibizioni ma non molto. Mussolini si esibiva a dorso nudo tra i contadini e i muratori, ma nascondeva Claretta nonostante si vivesse in tempi di potere assoluto. Voglio qui ricordare la battuta recente di Alessandra sua nipote: a chi gli domandava quali fossero le differenze tra suo nonno e Berlusconi in tema di frequentazioni femminili, ha risposto: "Mio nonno non ha mai fatto ministro la Petacci". In effetti la differenza è notevole, anzi è una delle materie del contendere e la si trova esplicitamente indicata nella dichiarazione all'agenzia Ansa di Veronica Lario.

* * *

Nella trasmissione di Bruno Vespa dedicata a Berlusconi e alla sua rottura con la moglie il titolo che campeggiava sul telone di fondo era: "Oggi parlo io". Infatti così è stato per oltre due ore, ha parlato soltanto lui anche se, oltre al conduttore come sempre abilissimo, c'erano tre "figuranti" nelle persone del direttore del "Corriere della Sera", del direttore del "Messaggero" e dell'estroso Sansonetti, già direttore di "Liberazione".

Sono amico di Ferruccio De Bortoli e ho stima di lui sicché uso con disagio la parola "figurante" ma non ne trovo altre più appropriate. La loquela berlusconiana ha letteralmente sommerso i tre colleghi. Il direttore del "Corriere" ha avuto soltanto la possibilità di raccomandare al premier maggior sobrietà nell'esercizio delle sue pubbliche funzioni, ma si è preso un rimbrotto immediato perché il Protagonista ha rivendicato il suo modo d'essere come un irrinunciabile esempio di democrazia popolare. Lui è fatto così e va preso così, dicono i suoi amici e ricordano la canzone da lui preferita nel suo repertorio canoro: "Je suis comme je suis" di Juliette Gréco, che lui canta spesso con molta grazia.

Per il resto i tre colleghi hanno ascoltato silenti il suo lunghissimo monologo. Forse sarebbe stato meglio se avessero rinunciato ad una presenza alquanto umiliante.

E' andato così in scena un processo in contumacia contro la moglie Veronica di fronte a quattro milioni di spettatori. Lui ha negato tutti gli addebiti come a suo tempo fece Bill Clinton, fino a quando dovette smentirsi platealmente per evitare l'"impeachment".

Clinton aveva cominciato col negare qualsiasi rapporto sessuale con la stagista della Casa Bianca e continuò imperterrito a ripetere questa sua verità pur di fronte all'immenso clamore dei "media" di tutto il mondo. Il tambureggiamento dei giornali e delle televisioni durò a lungo; Clinton dovette ripetere le sue affermazioni di innocenza davanti ad un Grand Jury fino a quando Monica Lewinsky confidò la sua verità ad un'amica che vuotò il sacco con la stampa. A quel punto l'ipotesi d'un impeachment per aver mentito al congresso diventò incombente e Clinton confessò per evitare un giudizio che si sarebbe probabilmente risolto con la sua infamante rimozione dalla carica.

Confrontare le normative italiane in proposito con quelle americane sarebbe umiliante. Aggiungo soltanto che nella sua lettera all'Ansa la signora Berlusconi-Lario denuncia il clima di omertà che circonda e protegge le malefatte dell'"imperatore". Ne abbiamo avuto una prova eloquente durante la trasmissione di Santoro con la prestazione dell'avvocato e deputato Niccolò Ghedini. Non avevo mai visto un avvocato difensore comportarsi non come un professionista libero anche se impegnato a proteggere gli interessi del suo cliente, ma come un servitore addestrato a picchiare mettendosi sotto i piedi la logica oltre che la verità.

Il vero spettacolo di quella trasmissione è stato lui, Niccolò Ghedini; nella sua doppia qualifica di avvocato di un solo cliente e di rappresentante del popolo e legislatore molto si è detto e scritto ma non abbastanza. E' perfino peggio di Previti che nelle sue malefatte ostentava almeno una sua grandezza. Il suo più giovane collega sembra piuttosto un pretoriano, perfettamente appropriato all'aria di basso impero che circola con tutte le sue flatulenze nei palazzi del potere.

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Un'altra osservazione che bisogna fare riguarda la ricattabilità: Berlusconi è una persona ricattabile perché nega alcune circostanze che sembrano evidenti e che sono a conoscenza diretta di altre persone. Queste persone sono state e saranno colmate di benefici, ma dei loro servizi egli non può disfarsi quand'anche lo volesse poiché sono al corrente di segreti piccoli o grandi che potrebbero offuscare o addirittura interrompere i suoi successi e il suo potere.

Spesso è accaduto che tra queste persone si verificassero contrasti e che la loro riservatezza fosse dunque a rischio. Finora il leader è riuscito a mediare, a conciliare, a tacitare, ma il rischio è ricorrente e spiega anche alcune vicende altrimenti incomprensibili.

Una di esse, la più recente, è l'amicizia tra il premier e Elio Letizia, padre di Noemi. Non si sa come sia nata quell'amicizia né quando, una spessa coltre di reticenza ne copre l'origine e la natura alla stregua di un vero e proprio segreto di Stato. Basta leggere o ascoltare le interviste del signor Letizia - personaggio con non lievi trascorsi penali - per rendersi conto di reticenze a dir poco inquietanti.

La stampa ha tra gli altri suoi compiti quello di controllare il potere e cercare la verità bucando il velo della reticenza. E' dunque comprensibile anche se abominevole che la stampa sia una delle principali preoccupazioni di chi detiene il potere. Preoccupazioni "pelose" che si esercitano sulle proprietà dei giornali, sui direttori, sui giornalisti con compiti di rilievo. Gli editti di persecuzione contro giornalisti scomodi servono a metterli fuorigioco, i premi servono invece a favorirne la conversione.

Sarebbe impietoso farne l'elenco ed anche non necessario: basta infatti seguirne i percorsi e le carriere determinate dal Palazzo e gli effetti "deontologici" che ne derivano per averne contezza.

* * *

Questa fitta rete di premi, benefici, ricatti potenziali, lotte di potere, è stata messa in crisi da una donna, da una moglie, dalla sua denuncia pubblica, dall'assunzione di un rischio altissimo e personale.

La denuncia riguarda vizi pubblici e vizi privati che tuttavia costituiscono, come già detto, un contesto unico e non scindibile. Tutta la discussione sulle cosiddette veline assume, nelle parole di Veronica Lario, un significato preciso: la selezione distorta della classe dirigente, ormai interamente rimessa alle scelte capricciose dell'"imperatore".

Lo scandalo non proviene dal reclutamento privilegiato nel mondo dello spettacolo né dall'età né dal sesso delle prescelte, ma dalla preparazione politica sulla quale purtroppo circolano idee improprie.

La politica come tutti la vorremmo ha come premessa una adeguata formazione culturale coltivata in famiglia, a scuola e con letture che contribuiscano a svegliare la fantasia e a far crescere coscienza, carattere e senso di responsabilità.

I giovani che acquisiscono questa preparazione culturale sentono talvolta dentro di loro una vocazione politica, il desiderio di occuparsi del bene comune e di rappresentare interessi legittimi e valori congeniali al loro modo di essere e di pensare. Il seguito è affidato alla capacità individuale, agli incontri, ai punti di riferimento che la società esprime e alla competitività individuale.

Questo è il solo modo adatto a selezionare i talenti politici. Va detto purtroppo che è caduto in disuso in un'epoca di portaborse e di "yes-men".

* * *

Resta da parlare dei cattolici, della Chiesa e delle reazioni che questa vicenda ha suscitato. Se fosse ancora tra noi Pietro Scoppola intervenire su questo tema gli spetterebbe di diritto: si tratta di etica, un valore che coinvolge in modi diversi ma egualmente intensi sia il pensiero laico sia il mondo cattolico, con in più per quest'ultimo che l'etica è strettamente intrecciata al sentimento religioso e quindi impedisce il cinismo dell'indifferenza o almeno così dovrebbe.

Per quel che emerge da alcuni segnali il mondo cattolico, o per esser più precisi il laicato cattolico, vive con molto disagio il paganesimo berlusconiano abbinato ad una "devozione" di natura commerciale agli interessi della Chiesa. Proprio perché questo disagio è forte ed esercita una pressione intensa nelle Comunità e negli Oratori, la Conferenza episcopale l'ha assunto come proprio e il suo giornale, l'"Avvenire", ne ha dato conto.

Le reazioni della Santa Sede, manifestate tre giorni fa dal Segretario di Stato vaticano al plenipotenziario berlusconiano Gianni Letta, sono state invece di ben diversa natura. Si è raccomandata prudenza, maggior riserbo, abbassamento dei toni, offrendo in contropartita il silenzio della Santa Sede su quanto è accaduto. Il tema del possibile divorzio riguarderebbe un matrimonio civile e quindi non interessa la Chiesa. Semmai e paradossalmente quel divorzio sanerebbe lo strappo del primo divorzio, invalido per il diritto canonico poiché scioglieva un matrimonio celebrato religiosamente.

Un paradosso che riduce l'etica cattolica ad una ripugnante casistica, spiegata e condivisa da Francesco Cossiga che si era recato a solidarizzare col premier e poi, interrogato dai giornalisti, ha così risposto: "Alla Chiesa importa molto dei comportamenti privati, ma tra un devoto monogamo che contesta certe sue direttive ed uno sciupafemmine che le dà invece una mano concreta, la Chiesa dice bravo allo sciupafemmine. Sant'Ambrogio disse non a caso "Ecclesia casta et meretrix"".

Se è per questo, Dante disse assai di peggio. Era ghibellino e non si faceva certo intimidire.


di EUGENIO SCALFARI