29 giugno 2009
Il tempo dell'energia rinnovabile
Dopo anni di lotta o di ridicolizzazione dell'energia rinnovabile, le enormi imprese petrolifere usano un nuovo approccio.
Una recente campagna pubblicitaria di ExxonMobil iniziava così: "Petrolio, gas, carbone, biodiesel, nucleare, vento, solare ... per alimentare il futuro ci servono tutte loro".
Non è la manovra inattesa dell'impresa della energia fossile padrona di Washington che ricevette sussidi e sgravi fiscali per decenni.
Quello che è sfortunato è che questo è l'esatto tipo di livello energetico che viene dalla Presidenza Obama e dalla maggioranza dei Democratici del Congresso.
In realtà è davvero fuori dalla retorica elettorale del 2008 di Obama dello scorso anno.
L'allora Sen. Obama dette a ogni risorsa energetica il suo dovuto, ma trascorse troppo tempo a spingere sul miraggio del "carbone pulito" e a riproporre il tema del nucleare.
Il problema è che tutte le fonti di energia non sono state create uguali per gli scopi dell'efficienza e del benessere dei consumatori, dei lavoratori, dello sviluppo e dei posteri.
Senza considerare la loro produzione di "BTU", tipi diversi di energia producono livelli diversi di danni e benefici, a breve e a lungo termine.
Pensate all'energia atomica.
I finanzieri di Wall Street sono stati inflessibili per anni nel chiedere miliardi di $ per costruire un impianto nucleare singolo che avesse il 100% di garanzia del prestito del governo.
Una garanzia al 90% fatta dai contribuenti era rifiutata dagli operatori di Wall Street.
Vogliono una garanzia al 100% sull'impianto.
Il fisico ben noto e ambientalista Amory Lovins dibatte contro l'energia nucleare proprio sul terreno economico. Dice di non aver mai dovuto usare le questioni della sicurezza per raccomandarne il rifiuto. Non conosco nessun prominente dall'altra parte che voglia dibattere con lui. Se voi si, fatemelo sapere.
Ma le questioni sulla sicurezza intorno all'opzione nucleare non andranno via.
Neanche l'irrisolto magazzinaggio permanente delle scorie radioattive mortali, non i problemi della sicurezza nazionale, non il rischio di una fusione di classe 9 che contaminerebbe secondo la vecchia Atomic Energy Agency (del governo USA) un'area pari alla Pennsylvania che scomparirebbe.
Quindi, certo, c'è "la fonte" di energia mancante della pubblicità Exxon.
Questa è l'efficienza energetica.
Che riduce lo spreco.
Un migliaio di mega watt che non sprecate è un migliaio di mega watt che non dovete produrre.
Ciò vale per il non dover sprecare la benzina nel gozzoviglio di gas dei veicoli a motore.
Nulla compete con i saggi di resa della conservazione energetica che include il progetto e la costruzione di un motore e l'uso.
Ancora una volta e ancora non è in cima alla lista o in molte liste in molti casi.
Subito dopo ci sono le rinnovabili - vento, geotermico, acqua e tutte le meravigliose varietà del solare.
Pochi giorni fa, la Sustainable Energy Coalition ebbe il suo 12° Congresso annuale sulle energie rinnovabili e l'EXPO + Forum sull'efficienza energetica alla Cannon House Office Building della Camera dei Rappresentanti USA.
L'EXPO di quest'anno portò 50 affaristi, associazioni di commercio, agenzie governative e organizzazioni politiche no profit ad udire alcuni membri del Congresso a gratificarli e a conversare con i visitatori.
Io reputo gli oggetti e i loro espositori come specifici, esaurienti e apparentemente convinti del fatto che le rinnovabile sono finalmente, dopo vari inizi falliti, sulla strada irreversibile del mercato azionario più grande.
Non dipese solo dalle tecniche moderne e dai crediti fiscali che nutrirono il loro ottimismo.
Le rinnovabili sono estese in molti modi che le portano più vicine al livello del terreno di gioco dei "competitori" nucleari e dell'energia fossile viziati e molto sussidiati.
Più capitale di rischio, migliori crediti fiscali, sconti e varie proposte statali e locali esistono per facilitare i finanziamenti per gli utenti. Un incentivo esteso viene dal mio stato del Connecticut che offre un piano di leasing ad energia solare speciale ai proprietari di case.
I diritti del Nutmeg State portano "al contributo iniziale nazionale ai sostenitori dell'affitto del programma per l'energia solare residenziale".
Troverete i dettagli visitando ctsolarlease.com o telefonando a 888-232-3477.
L'oggetto di questo editoriale è di chiedere la discriminazione seria dei nostri legislatori fra i differenti tipi di energia. Alcune sono chiaramente migliori di altre.
Dal governo federale o sotto a livello statale e locale, un approccio discriminatorio è un dovere se la conversione alle rinnovabili e alla conservazione dell'energia dai fossili e dal nucleare sta per accelerare.
Le lobbies della vecchia energia sono molto ostinate e hanno i loro ganci in troppi politici declamanti la linea del partito dell'ExxonMobil.
Ci sono molti più lavori nell'economia della nuova energia con molta più salute, efficienza, e benefici della sicurezza rispetto allo stare con gli idrocarburi e gli atomi radioattivi.
di Ralph Nader
19 giugno 2009
La sinistra e, le televisioni di sinistra
Continuando con la serie “le mie opinioni politiche”, cosi’ imparate a non scagazzarmi la minchia con la politica in privato, ho deciso di scrivere cosa io pensi del problema del conflitto di interessi televisivo. Anche questa mia opinione NON piacera’ ai farlocchi.Prima devo fare una precisazione che mi preme: a Marzabotto ha perso la lista che ha il PD e l’ IDV nel simbolo, crollata attorno al 30%. Non ha vinto una lista esplicitamente di destra, ma una lista in polemica con quei due partiti, che ha raccolto il 60% dei voti (circa) presentandosi SENZA i simboli dei due partiti: l’ allergia della gente ai due simboli e’ il dato che mi preme e che mi premeva di sottolineare. Non ci saranno saluti fascisti nel sacrario, insomma: la gente ha sul culo il PD, ma non e’ diventata fascista. Semplicemente il PD non rappresenta piu’ la sinistra, ok? Adesso passiamo al resto.
Per prima cosa, occorre smontare l’assunto dominante, ovvero che vi sia una gigantesca anomalia nella proprieta’ di Fininvest. L’anomalia c’e', ma non sta in fininvest. Vediamo il perche’.
Supponiamo di fare una legge contro il conflitto di interessi che vieti al premier in carica di ripresentarsi. Presto ci pensera’ la natura umana, vista la sua eta’, ma tant’e’. Di fatto, pensate che Mediaset diventera’ una copia di RAI3? Assolutamente no: in qualsiasi modo si ponga, si porra’ comunque a favorire il candidato di destra.
Cosi’, se supponiamo (anche se non credo) che il successore di Berlusconi sia Fini, avremo che Fini sara’ supportato dalle TV come Berlusconi, ma NON sara’ proprietario di Fininvest. Dunque, in teoria il conflitto di interessi dorebbe cedere. In realta’, si tratterebbe del medesimo rapporto clientelare: il partito ha compra propaganda e vende favori legislativi, l’azienda vende propaganda e compra favori legislativi.
Allora voi direte: ma tre TV sono troppe, bisogna spezzettare il monopolio mediaset. Bene. Dividiamo pure Mediaset in tre TV. Tutte e tre le TV saranno ancora di destra, e sosterranno ancora Fini. Il che modifichera’ di molto la situazione sul piano formale, ma non la cambiera’ sul piano sostanziale.
Allora voi direte: si’, ma sara’ sempre ingiusto perche’ la sinistra NON possiede TV, e in un mondo ideale le TV di stato sono neutrali ed equidistanti. Dunque, anche rendendo RAI neutrale ed equidistante, la destra avrebbe il vantaggio di tre TV che la sinistra non ha.
Bravi.
Avete indovinato il problema: il vero problema non e’ che tre TV siano di destra. Il problema e’ che zero TV siano di sinistra.
Puo’ sembrare un problema fittizio, ma non lo e’. La sinistra veniva da una vera e propria egemonia culturale, il che significa che godeva di una sovrabbondanza di contenuti, almeno per tutti gli anni ‘70, e buona parte degli anni ‘80, almeno sino alla prima meta’. Quindi, la prima anomalia e’: come e’ stato possibile che tale abbondanza di contenuti NON abbia occupato il media emergente di fine secolo, ovvero la TV? Perche’ la sinistra italiana ha perso il treno della TV?
La prima risposta e’ che le prime TV commerciali furono snobbate dagli intellettuali di sinistra. Esse venivano viste come una tv “bassa”, mentre la RAI , occupata dai partiti, era la TV “alta”, dove si decidevano i destini del paese. Berlusconi, cui una legge proibiva di trasmettere su scala nazionale , e doveva spedire via corriere delle videocassette da ripetere , regione per regione, era visto come un canale “commerciale”, come “sporco business”, da una sinistra per la quale tali parole erano ancora un marchio d’infamia.
Un’altra ragione e’ che i partiti pensavano (o si illudevano) che il loro possesso di RAI fosse inespugnabile, e che possedere RAI lottizzandola fosse sufficiente a competere. Il malcostume con il quale la RAI veniva regolarmente spartita (e il PCI partecipava regolarmente al banchetto, altro che questione morale) veniva vissuto come una garanzia: che cosa volete che sia questo newbie, pensavano, quando noi abbiamo la corazzata RAI con tutti gli assi di briscola e tutti (all’epoca, i soli) i giornalisti professionalmente preparati?
Il primo gigantesco errore della sinistra e’ stato, quindi, di sottovalutare la tv commerciale, con il solito snobismo. Essi non si aspettavano che, semplicemente offrendo piu’ soldi, Berlusconi avrebbe potuto togliere loro i professionisti. Quando Emilio Fede fu ostracizzato dalla TV di stato per via del suo vizio del gioco e i suoi debiti(1), si pensava che fosse finito. Berlusconi intui’ l’occasione, e pago’ i debiti a Fede e gli diede la possibilita’ di continuare. Ovviamente oggi Emilio Fede deve la vita, o quasi, a Silvio Berlusconi, e chi ha letto il De Bello Civico sa quanto un legame di gratitudine possa essere efficace in politica. Questa fu l’erosione che Mediaset pratico’ nei confronti delle professionalita’ di RAI quando passo’ da “Antenna Nord” ai primi network nazionali: Mediaset raccolse essenzialmente gli esclusi, gli ostracizzati e coloro che non avevano sufficienti raccomandazioni per entrare nel sistema partitico della RAI. In seguito, fu sufficiente il potere dei soldi per strappare persone a RAI. Ma tutto questo fu possibile perche’ nessuno aveva intuito le potenzialita’ della TV commerciale. (Tranne Berlusconi, si intende). A questo errore si aggiunse la presunzione di controllare l’informazione televisiva semplicemente lottizzando la RAI.
La domanda pero’ rimane aperta: acquisito che esista (o che sia esistita) una cultura di sinistra, e acquisito che il popolo della sinistra ammonti ad un bel po’ di milioni di persone, come mai c’e’ domanda per contenuti televisivi di sinistra, c’e' offerta di contenuti “culturali” (la ex egemonia) ma non esiste una TV di sinistra?
I problemi sono diversi.
Il primo e’ che la cultura di sinistra e’ arrivata obsoleta agli anni ‘80. Essa era ancora tarata per un mondo nel quale la cultura si propaga nei libri, nelle scuole, nei giornali, al cinema, e con un certo successo (e questa fu l’unica novita’ che la sinistra seppe cavalcare) nella musica. La TV era vista come una versione catodica dei giornali, cioe’ un veicolo per la propaganda esplicita dei contenuti. Un semplice megafono: essa era vista semplicemente come sistema di broadcasting, e non come media.La visione che la sinistra aveva (ed ha tutt’ora) dei media e’ quella del primo novecento: un puro sistema di broadcasting.
Bisogna fare attenzione alla differenza: un sistema di broacasting e’ semplicemente un sistema che trasporta un messaggio. Nello stack ISO/OSI, saremmo al massimo a livello di trasporto. Un mass media e’ qualcosa che , nella semplice modalita’ con la quale propaga il messaggio, entra a far parte del contenuto. Prendere quanto ho scritto sull’ unita’ e farlo leggere a Bianca Berlinguer e’ broadcasting, ovvero usare la TV come stupido megafono in un comizio. Prendere il messaggio, trasformarlo in una trasmissione televisiva, abbellire la trasmissione con un format (che a sua volta e’ contenuto) , diventa media. Se io prendessi il messaggio del “Grande Fratello ” e lo scrivessi su un giornale, dovrei scrivere delle cose come “la gente piscia, mangia, caga, si fa la doccia , e scopa un sacco. Essere delle belle fighe paga, essere dei bei ragazzi paga, il resto e’ perdente. E’ bello farsi i cazzi altrui”. Creando il format, un simile contenuto (di per se’ inesistente sul piano dei media novecenteschi) diventa un programma intero.
La semplice verita’ e’ che la sinistra continua a dividere la cultura in contenuto e veicolo, e considera “veicolo” tutto cio’ che non e’ strettamente un contenuto. Dimenticando la struttura, detta anche format, ovvero cio’ che divide un sistema di trasporto dei dati da un layer semantico. Ed il punto e’ proprio questo: la cultura di sinistra in italia NON e’ riuscita a diventare televisiva perche’ era costruita per un sistema di media tipico del primo novecento.
Essa si adattava benissimo ai libri, ai giornali, al cinema, per certi versi alla radio, e ad ogni sistema di broadcasting “puro”. Ma la TV era qualcosa di troppo nuovo, e la cultura di sinistra non riusciva a trasformarsi. La necessita’ di passare dalla comunicazione basata sulla sintassi ad una comunicazione basata sull’espressione non fu percepita.
In altri paesi, pero’, questo e’ successo: nel caso inglese o americano, per dire, la trasformazione ebbe successo. Il motivo che impedi’ alla sinistra ialiana, che pure aveva i contenuti e aveva anche la domanda, di veicolarli verso la TV fu di ordine politico.
Il primo problema fu la lentezza con la quale la novita’ si propagava dentro il mondo di sinistra. Il mondo di sinistra accetta la novita’ solo quando e’ vecchia. Di primo acchito, esso teme la perturbazione degli equilibri esistenti, e si limita ad ignorarla o snobbarla. In secondo acchito, quando la novita’ viene usata dagli avversari, tende ad impossessarsene. E solo quando arriva una ulteriore novita’, la precedente novita’ diviene “digerita”, diviene “il nuovo” (ma sempre un passo indietro, cosi’ e’ un nuovo con l’estetica del retro’) . Con la TV questo lungo tempo di digestione non fu possibile, e la sinistra inizio’ a “comprendere” le potenzialita’ espressive del mezzo solo quando qualcuno altro aveva ormai riscritto il linguaggio della TV italiana in una lingua incapace di esprimere la cultura di sinistra.
Qui fu la prima pesante sconfitta della sinistra: quando decise di occuparsi seriamente della TV, con anni di ritardo, il linguaggio televisivo italiano era stato riscritto completamente. Non esistono, nel dizionario televisivo italiano, gli atomi sintattici necessari a veicolare un messaggio di sinistra: il linguaggio ,scritto da Berlusconi mentre i genii andavano a teatro, ne e’ privo. Niente come “diritti” o “sociale” e’ trasportabile dal linguaggio televisivo dominante, almeno non come messaggio dominante.
Il massimo che la sinistra possa utilizzare per trasportare i propri messaggi e’ il linguaggio del telegiornale , troppo sincopato e sintetico, e il messaggio della trasmissione di approfondimento, che non e’ sintetica ma viene limitata dalle esigenze di palinsesto e dalle interruzioni pubblicitarie.
Cosi’, il ritardo dovuto alla lentezza che la sinistra oppone alla novita’ fece si’ che la sinistra NON partecipo’ alla creazione del linguaggio televisivo italiano. E il risultato fu che oggi il linguaggio televisivo non contiene la grammatica ne’ il dizionario per propagare contenuti “di sinistra” che non siano telegiornali, dall’aspetto spesso obsoleto e dai toni risalenti agli anni ‘60, e qualche format di inchiesta, i cui obiettivi sono noti a priori al punto da far dubitare della veridicita’ delle fonti.
Il secondo problema che la sinistra ebbe nel produrre format televisivi e nel trasportare la propria cultura nelle TV fu la spaventosa mediocrita’ dei suoi “creativi”. All’interno del partito i creativi erano visti di cattivo occhio, considerati poco controllabili e relegati in un limbo disegnato dal mero ambito professionale: sei un regista figo e vengo ad applaudirti quando presenti un film, i tuoi film sono bellissimi nella misura in cui stanno sulla mia libreria, ma non ti concedero’ mai il diritto di inventare dei contenuti: solo di propagarli.
Il risultato e’ che i pochissimi registi di sinistra italiani non creano contenuti, ma si limitano a fare da ripetitori: il partito decide cosa dire, loro decidono come dirlo. Il risultato di tutto questo e’ una mediocrita’ assoluta, che appiattisce la cultura di sinistra alla cultura dei partiti di sinistra, ovvero la confina ai messaggi politici, e al massimo alle componenti sociologiche del messaggio politico. Il messaggio culturale in se’ non esiste piu’: cantautori, registi, e oggi anche gli scrittori si limitano a fare da tramite fra i messaggi del partito e l’utente, limitandosi a scegliere il linguaggio.
Poiche’ il messaggio televisivo puo’ avere effetti politici ma non puo’ avere contenuti esplicitamente partitici , e’ chiaro che la mera traduzione non funziona: ai “creativi” di sinistra viene chiesto di tradurre un messaggio che la TV non puo’ veicolare, ed e’ considerato fallimento dei creativi, ridotti a meri tecnici, se tale messaggio non trova spazio.Non ‘ loro consentito di creare, perche’ il partito non tollera iniziative fuori controllo.La competizione interna, peraltro, fa si’ che non solo il creativo sarebbe un pericolo se non si allinea al partito, ma diventa un pericolo se e’ in quota ad un funzionario E un altro funzionario, concorrente, teme la sua ascesa.
Il problema non e’ quello di trovare dei finanziatori, e neanche di trovare lo share: un 30% di elettori di sinistra desidera ascoltare contenuti di sinistra. Si tratterebbe di un mercato sicuro. Ma e’ la stuttura medesima della sinistra e della sua cultura ad impedire che una pazzesca domanda di contenuti si concretizzi in un canale che veicola contenuti.
Facciamo un esempio: se io voglio veicolare sui libri un messaggio, che so io antirazzista, devo solo scrivere un libro con un messaggio piu’ o meno evidente, e posso scrivere un libro come Radici. Se voglio farlo in TV, devo produrre qualcosa come Star Trek. Qual’e’ la differenza? La differenza sta nel fatto che “Radici” contiene una precisa e puntuale accusa al sistema del razzismo, e richiede esplicitamente una riflessione sul tema: leggere Radici permette , per via dei tempi della lettura, queste riflessioni. Portando Radici in TV , otterro’ al massimo un polpettone che risultera’ interessante all’inizio, quando mostra l’ Africa, e diventera’ noiosissimo da meta’ in poi. Diventera’ noiosissimo perche’ cambia il protagonista (Non piu’ Kunta Kinte), e questo in TV e’ MALE. Diventa noioso perche’ cambia troppo il contesto, e anche questo in TV e’ male. Diventa noioso perche’ il messaggio risulta ripetitivo ed esplicito, ed anche questo e’ male.
Diversa e’ la situazione di Star Trek (mi riferisco alla serie classica): un russo, un cinese, un americano, una donna africana , un alieno, uno scozzese, un irlandese, sono tutti insieme e lavorano normalmente. Punto. In TV la parte piu’ consistente del messaggio e’ lo sfondo: il messaggio politico passa come messaggio di fondo, oppure il programma diviene troppo didascalico e letterario.
Cosi’, supponiamo che io voglia creare una TV di sinistra in Italia, e che io abbia i soldi. Cosa mi condurrebbe al fallimento? vediamo.
1. Per prima cosa, diversi politici avanzerebbero precise richieste di inserire precisi messaggi. Non potrei semplicemente mandare in onda un telefilm come i Jefferson, per attenuare il fastidio del leghista verso le persone di colore. No: arriverebbe il politichetto della situazione, che pretenderebbe che la coppia attraversi un certo numero di episodi razzisti, in modo che ogni puntata sia emblematica. Il politico ha un messaggio politico, e pretende che esso sia veicolato esattamente con quelle parole, e che sia esplicito. Un telefilm che mostra semplicemente dei neri, un parvenue della lavanderia, una coppia mista di vicini di casa, una colf altrettanto di colore, sono un messaggio di sinistra. Ma non per il politico.La TV funziona mostrando le cose, e non spiegandole. In tutta la serie “I Jefferson” c’e’ solo UNA puntata ove il vicino porta George ad una riunione del KKK, il resto non riguarda temi razziali. Ma il telefilm in se’ e’ antirazzista: semplicemente, la TV mostra e non spiega. Il politico di sinistra, legato ad un modello obsoleto di media, che non capisce questa distinzione, mi chiederebbe di passare un messaggio puntuale: i miei personaggi dovrebbero passare il tempo a lottare contro il razzismo e le discriminazioni, in maniera esplicita, e al massimo dovrei fare una cosa come “Indovina chi viene a cena”. Ma non riuscirei a farci palinsesto perche’ quel film e’ UN film. Per accontentare i politici sarei costretto a produrre una fiction puntuale con contenuti dettagliati ed espliciti. Il polpettone che ne risulterebbe sarebbe didascalico, troppo didattico, pedante e in definitiva inguardabile. Non “sbagliato”: inadatto alla TV come media.
2. Il principio del mostrare anziche’ spiegare (come fanno libri e giornali) porrebbe immediatamente il problema della mediocrita’ dei “creativi”. Faccio un esempio: Berlusconi non ha mai dovuto proporre se’ medesimo come centro esplicito della propaganda culturale del suo partito. Egli ha semplicemente mostrato come esempio positivo persone appartenenti ad una classe che ha Berlusconi come estremo superiore, come massimo esponente, e non ha mai spiegato perche’ queste persone siano belle. In TV il solo fatto di essere attore protagonista e’ buono, non c’e’ bisogno di un apparato semantico complesso. Basta fare film come i polpettoni natalizi per creare un gretto e volgare riccone come messaggio positivo: non c’e’ bisogno di nient’altro. Il solo fatto di essere attori protagonisti li rende positivi. Ma il mediocre “creativo” di sinistra non e’ abituato a mostrare: anzi, la sua funzione e’ di spiegare il partito alla base. Poiche’ questa necessita’ uccide la creativita’, la sinistra ha evoluto una serie di “creativi” la cui creativita’ consiste nel trovare nuovi modi per dire quel che pensa il capo, dei traduttori, il cui compito era di spiegare. Cosi’, essi sono finiti nella mediocrita’ assoluta degli stereotipi e delle iperboli: un film come “Il diavolo veste prada” e’ un’immagine sin troppo eloquente dei mali della luxury economy. Ma se lo facessi in Italia in una TV di sinistra, dovrei trasformare la ragazza in una precaria, sottolineare che sia una precaria, usare un capo maschio e sessista, metterci dentro un politico malvagio, infilarci qualche modella anoressica che rischia la vita, e tutti gli stereotipi che necessitano al mediocre di sinistra per credersi originale ed incisivo. E ancora una volta avrei un film pedante, didascalico, eccessivo e troppo didattico.
3. Il controllo. Perche’ la mia TV sia considerata di sinistra, dovrei assumere le persone che la sinistra chiede: mentre Mediaset, con poche eccezioni, tende a fagocitare qualsiasi cosa (da Fazio ad Antonio Ricci, le Iene) inseguendo lo share, i politici di centrosinistra sono ossessionati dal controllo dei contenuti. Mentre una trasmissione come Striscia la Notizia non avrebbe alcuna possibilita’ di comparire , solo a proporre Le Iene otterrei il panico. Essi verrebbero classificati come “incontrollabili”, perche’ (come nel caso del test antidroga ai parlamentari) non sono prevedibili. Nemmeno Luttazzi, che spesso critica anche la sinistra, verrebbe tollerato: non per quello che dice, ma perche’ rifiuta accordi che prevedano il controllo su quello che dice. Berlusconi ha capito una cosa incredibile: il capo non deve apparire solo dominante, ma anche aperto alle critiche. Cosi’, se su Striscia la Notizia appare un servizio contro una giunta di centrodestra, per Berlusconi e’ valore aggiunto, perche’ attira sulla trasmissione anche share di centrosinistra. Una TV schierata politicamente ha DUE payoff: quando porta un messaggio politico “giusto”, essa guadagna in propaganda politica; quando trasporta un messaggio politicamente “contrario”, semplicemente guadagna share. Cosi’, l’uomo di sinistra guardera’ Striscia non appena ci sara’ qualcosa di compromettente contro una giunta di centrodestra, o contro un politico di centrodestra, e la TV guadagnera’ in share, oppure guadagnera’ in propaganda se si trasmette roba contro la sinistra. Il concetto e’ che si tratta di un equilibrio da raggiungere, mentre il politico di sinistra si aspetta che una TV di sinistra sia al 100% di sinistra, ed e’ terrorizzato di trovarsi nel mirino di gente come Greggio & co. Sono ancora abituati alla propaganda e la propaganda ha un solo colore.
4. La sinistra propaga idee tipiche degli anni ‘70. Non esiste una cultura di sinistra degli anni ‘80, ‘90, e cosi’ via, per la semplice ragione che i loro intellettuali sono icone, e come tutte le icone sono immobili. Essi continuano a fare e a dire le stesse cose che dicevano 40 anni fa, convinti che il significato di “cultura” sia costante nel tempo, ovvero che esista il punto assoluto della cultura. Ma nel mondo reale la cultura ha una storia, ovvero si modifica in continuazione, e richiede il requisito dell’attualita’. Se aprissi una TV di sinistra oggi, mi troverei con decine di “creativi” che inventerebbero “originalissimi” contenuti risalenti agli anni ‘70, cioe’ a 40 anni fa. Se nel mondo della cultura “classica” mezzo secolo e’ la differenza tra primo romanticismo e decadentismo, con l’accelerazione mediatica attuale sono un’era geologica. Che Guevara ha, mediaticamente, la stessa eta’ di Lucrezia Borgia: e’ un personaggio storico, come Giovanni delle Bande Nere o Muzio Scevola. Proporlo in TV e’ una catastrofe, a meno che non si faccia un film storico. Non che non possa avere dei fan, anche Ben Hur li ebbe. In una situazione simile mi troverei con gente come Moretti, che ripete da 40 anni la stessa solfa, senza rendersi conto che in 40 anni non solo e’ cambiata la cultura, ma e’ cambiata anche l’accezione del termine cultura, il che significa che la cultura di 40 anni fa e’ l’ignoranza di oggi. Una tale massa di creativi obsoleti, di innovatori che ripetono le stesse cose da 40 anni, non farebbe altro che produrre un ammasso di luoghi comuni stantii e stereotipi fuori moda, affossando lo share.
Quello che voglio dire e’ che non sara’ mai possibile, in Italia, uscire dalla attuale enpasse, perche’ se anche c’e’ spazio (o ci fosse) per una Tv schierata a sinistra, il massimo che potrei ottenere sarebbe una RAI3, cioe’ poco piu’ di una pravda passata per via di un tubo catodico, distante anni luce da una vera TV: se chiedete ad una persona di sinistra che cosa intenda per “cultura in TV” egli vi rispondera’ che vorrebbe piu’ documentari, piu’ servizi sul mondo, piu’ informazione, ma molto stranamente non riuscirebbe ad individuare qualcosa che veicoli messaggi di sinistra. Il fatto che Star Trek sia un telefilm essenzialmente di sinistra, o che lo siano “I Jefferson” per esempio, e’ completamente ignoto (o quasi) , per la semplice ragione che non veicola un preciso ed esplicito messaggio politico. Si limita a mostrare una societa’ multietnica, come Star Trek, o si limita a mostrare i neri aricchiti che vengono dal ghetto, come fanno i Jefferson, o i negri “upper class” come fanno i crosby, ma non contiene messaggi espliciti. Eppure, si tratta sicuramente di veicoli di un’idea di societa’ “color-agnostic”, cioe’ di sinistra. Ma questo e’ sullo sfondo, e nel mondo della propaganda lo sfondo e’ poco importante. In TV e’ il contrario.
Il fatto che la TV possa veicolare messaggi semplicemente mostrando e non sia obbligata a spiegare e’ il primo e principale messaggio incomprensibile per una cultura che pretende di essere didattica, educativa, anziche’ capire che la societa’ si puo’ trasformare agendo sulla normalita’ anziche’ sul cambiamento. Il goal principale della cultura veicolata dalla TV e’ quello di propagare una diversa idea di normalita’, anziche’ propagare l’idea di cambiamento. Se chiedete ad un individuo di sinistra che genere di messaggi la TV dovrebbe veicolare, nella stragrande maggioranza dei casi egli rispondera’ che deve parlare di cambiamento, per cambiare la societa’; chiunque si occupi di TV vi dira’ che il cambiamento non e’ un messaggio efficace quanto una diversa normalita’. Sul piano logico, la distinzione tra cambiamento e “diversa normalita’” ovviamente e’ nulla, ma non diviene nulla quando si trasporta nei media: una diversa normalita’ e’ lo sfondo dell’azione televisiva, mentre il cambiamento e’ l’oggetto della trasmissione.
Una trasmissione che parla di cambiamento puo’ essere solo una trasmissione incentrata sul cambiamento, che spiega il cambiamento. Una trasmissione basata su una diversa normalita’ usera’ un mondo diverso (cambiato) come sfondo, ma sopra ci potra’ mettere il contenuto che “buca il monitor”, sia esso comico, erotico, romantico, qualsiasi cosa. E questo ne aumenta l’efficacia.
Questo concetto pero’ e’ ignoto a partiti che vengono da una cultura rivoluzionaria: essi continuano, specialmente nelle ali estreme, a parlare di colpire il conformismo e la situazione attuale, ma in termini televisivi il conformismo e la situazione attuale sono lo sfondo di qualsiasi trasmissione, sono la scenografia, sono l’ambientazione. Non puoi colpirla o distruggerla. E queste ultime cose, cioe’ l’ambientazione e la scenografia, devono essere “invisibili” , altrimenti si ottiene un effetto estraneante: non possono essere protagoniste. Ma l’esigenza di tensione ideale richiesta dai partiti ideologici non puo’ tollerare una “diversa normalita’”, perche’ tale politica richiede una spinta rivoluzionaria, e quindi non tollera la normalita’ in quanto tale.
Eppure, mostrare una diversa normalita’ sullo sfondo di una trasmissione o di un film e’ l’ UNICO modo di veicolare l’idea di cambiamento usando la TV. Il cambiamento puo’ funzionare solo se la trasmissione parla di cambiamento per tutto il tempo, ma non puoi fare un palinsesto fatto solo di questo. Ci puoi fare un film, ma non una serie.
Le trasmissioni britanniche pro-gay non parlano di lotte per i diritti, e neanche di messaggi politici: si limitano ad essere delle commedie, o altro, che partono dall’assunto che esistano le coppie gay. Non hanno bisogno di spiegare perche’, ne’ di mostrare come: si limitano a mostrare la cosa come diversa normalita’, e non come cambiamento. E ovviamente, sopra ci costruiscono il divertimento, ovvero il prodotto fruibile che attira il consumatore. Sic et simpliciter. Ma questo sarebbe impossibile per un mondo gay come quello italiano, che rifiuta l’idea di normalita’ e si pone come antagonista insistendo sul cambiamento e sullo scontro con le convenzioni: un telefilm che mostri le convenzioni gia’ cambiate e ci faccia una commedia divertente sarebbe considerato “troppo leggero”, “poco impegnato”, e magari anche poco educativo. Stranamente, pero’, il side effect e’ esattamente la trasformazione della societa’ che si cerca.
La vecchia propaganda riteneva di ottenere come risultato , di cambiare la societa’, a seconda di quello che era il messaggio esplicito della propaganda. Al contrario, la TV trasforma la societa’ usando il contenuto implicito, cioe’ l’ambientazione: la componente importante del messaggio televisivo non e’ costituita dall’oggetto o dal protagonista, che sono una moda momentanea, ma dall’ambientazione che viene imitata dalla societa’ con delle modifiche che DIVENGONO DEFINITIVE.
La TV domina la moda del momento mediante i protagonisti, ma trasforma la societa’ mediante l’ambientazione, lo sfondo, ovvero modifica l’idea di normalita’.
In TV ogni cosa e’ esattamente cio’ che e’: di conseguenza, lo sfondo di una trasmissione tende a diventare lo sfondo della societa’, e l’idea di cambiamento diventera’ l’idea di cambiamento. Con il risultato che se vogliamo usare la TV per cambiare la normalita’ non dobbiamo agire sul protagonista del programma, ma sull’ambientazione, sulla coreografia. Ma per un partito che viene dal mondo della propaganda, ove succede esattamente il contrario, capire questo semplice concetto e’ impossibile.
Tutte queste incapacita’ e questi vecchi rituali spiegano quale sia il vero problema di Berlusconi: anche dopo la sua uscita di scena, se le sue TV rimanessero di destra, anche venendo divise in tre parti, il problema rimarrebbe invariato, e cioe’ che una cultura obsoleta risalente ai primi del novecento impedisce alla sinistra italiana di arrivare in TV con un messaggio globale. E’ possibile veicolare alcuni messaggi politici, ma non una visione dell’umanita’ o della societa’, perche’ non appena ci provano l’intento didattico rende inguardabili le trasmissioni.
Il problema non sono tre tv di destra, ma zero tv di sinistra.
Se anche tutte tre le TV della rai venissero colonizzate dalla sinistra, esse non potrebbero compensare le tre Tv di destra, anche dopo berlusconi, per la semplice ragione che la cultura di sinistra e’ inadatta al mezzo, e lo e’ perche’ essenzialmente una cultura adatta alla TV terrorizzerebbe i vertici, della sinistra, e perche’ andrebbe oltre le mediocri menti dei “ceativi” della sinistra, troppo abituati a fare da traduttori e maestri per essere inventivi, disabituati a creare il messaggio perche’ il messaggio lo creava il partito: otterrebbe al massimo dei polpettoni didattici e inguardabili.
E la prova sperimentale e’ che RAI3, anche nei periodi “migliori” della lottizzazione rossa, non ha MAI avuto share paragonabili alla dimensione del popolo di sinistra. Eppure, a rigor di logica, la domanda di contenuti di sinistra dovrebbe assomigliare alla quantita’ di elettori di sinistra, come succede negli altri paesi. Questo non e’ dovuto al fatto che RAI3 abbia fallito come contenuti: e’ semplicemente che fallisce come TV.
E quindi, non illudetevi: sinche’ i contenuti culturali della sinistra saranno espressi con questi fini pseudopedagogici, usando metodi e processi del secolo scorso, non sara’ possibile una TV di sinistra , per la semplice ragione che i metodi ed i processi di questa cultura la rendono inadatta al mezzo televisivo. E quindi ci sara’ un problema TV.
La cultura di sinistra, se non trova il modo di fare vero talent scouting, semplicemente non buca il monitor.
di Uriel
(1) Nel periodo piu’ democristiano un certo moralismo pervadeva la RAI. Frajese fu inviato a fare il corrispondente all’estero quando la moglie decise di darsi alla carriera di pornostar zoosex con il nome di Marina Lotar (divenne famosa per “Marina e la sua bestia”) , e lui (in quota alla DC) decise di divorziare. Se la testa del cavallo nel letto e’ un terrificante avvertimento mafioso, la minchia del cavallo va ben oltre. In ogni caso, questo fu sufficiente per provocarne il declassamento a inviato straniero, se non erro da Parigi.
18 giugno 2009
La vittoria del partito che non c'è
Che cosa sia successo alle Europee è piuttosto chiaro: il Pdl e il Pd sono andati male entrambi, ma mentre il Pdl è arretrato solo rispetto alle politiche del 2008 (mentre ha guadagnato qualcosa rispetto alle Europee del 2004, e sta vincendo le amministrative), il Pd è franato sia rispetto alle politiche dell’anno scorso, sia rispetto alle precedenti Europee (-5%). In compenso l’alleato principale del Pd (l’Italia dei valori di Di Pietro) è cresciuto di più dell’alleato principale del Pdl (la Lega di Bossi). E’ come se si fossero intrecciati due match: uno scontro Berlusconi-Franceschini vinto nettamente da Berlusconi, e uno scontro Bossi-Di Pietro vinto da Di Pietro.
Se sommiamo i risultati dei protagonisti principali, infine, il verdetto diventa più nitido: fatta 100 la forza dei tre principali partiti di centro-destra (Forza Italia, An, Lega), la coalizione rivale formata dal Pd, dai radicali e dall’Italia dei valori valeva 95 nel 2004, valeva 82 nel 2008 e vale 80 oggi. Il ritmo di caduta medio del consenso è del 3,3% all’anno, il che - tradotto in voti - significa che i partiti di centro-sinistra che si candidano a governare l’Italia perdono circa 400 mila elettori all’anno, quasi 1000 voti al giorno.
Fin qui la parte immediatamente visibile del voto di domenica. C’è anche una parte nascosta, tuttavia, e forse è la più interessante. Per riconoscerla dobbiamo dimenticare le percentuali di voti validi, su cui si appuntano tutti i commenti, e concentrarci sul corpo elettorale, formato da circa 50 milioni di elettori. Ebbene, se ragioniamo su questa base possiamo notare alcuni fatti.
Il primo è che, nonostante i tentativi di rendere bipartitico il sistema elettorale, Pd e Pdl attirano al più 1 elettore su 2 (per l’esattezza il 54,7% del corpo elettorale nel 2008, e il 38,2% oggi). In concreto questo vuol dire che alle ultime Europee poco più di 1 elettore su 3 si è scomodato per andare a votare uno dei due partitoni, Pdl e Pd, che ambiscono a contendersi il governo del Paese. Per rendersi conto di quanto poco il sistema stia evolvendo in senso bipartitico basti pensare che 5 anni fa, quando ancora non era nato il Pdl e Forza Italia correva ancora da sola, le due liste principali messe insieme - ossia Forza Italia stessa e Uniti nell’Ulivo - raccoglievano già allora il 35% del corpo elettorale: insomma, nonostante la nascita del Pdl, il bipartitismo non è decollato, perché la fusione fra An e Forza Italia è stata cancellata dall’implosione del Pd.
La creazione dei due super-partiti Pd e Pdl, in compenso, ha avuto un interessante effetto anestetico, o di occultamento. Grazie alla confluenza di An e Margherita nei due partiti maggiori, ossia in Forza Italia e nei Ds, oggi è difficile accorgersi di quanto il consenso verso i due partiti leader sia sceso in basso. Ho provato a stimare quanto avrebbero raccolto Forza Italia e Ds se non si fossero presentati con le stampelle di An e Margherita, e il risultato è drammatico. Forza Italia raccoglierebbe il 22-23% dei voti validi, i Ds il 14-15%: in breve, Forza Italia starebbe appena al di sopra del suo minimo storico (il 21,1% della «discesa in campo», 1994), mentre i Ds starebbero addirittura al di sotto dei due minimi storici toccati nel 1992, ai tempi di Occhetto (16,1%), e nel 2001, ai tempi di Veltroni (l6,6%). Se oggi Berlusconi e Franceschini possono arrampicarsi sugli specchi, minimizzando la severità del verdetto elettorale, è anche perché nessun segnale univoco li avverte che le due ammiraglie storiche della seconda Repubblica - Forza Italia e Ds - si sono incagliate nelle secche.
Ma nelle secche di che cosa?
Nelle secche del nostro scontento, è ovvio. E qui sta l’ultimo dato invisibile delle elezioni Europee. In queste elezioni il primo partito non è stato il Pd, non è stato il Pdl, ma è stato il partito che non c’è, il partito che potremmo definire del «non voto volontario». Un partito certo eterogeneo, fatto di persone deluse, arrabbiate, stanche, ma tutte accomunate dal fatto che hanno scelto di non votare un partito vero e proprio. Persone che non sono andate a votare non perché non potevano, ma perché non volevano. Una stima molto prudente del loro numero, basata su un classico lavoro di Mannheimer e Sani (Il mercato elettorale, Il Mulino 1987), che giustamente ci ricordano che fra gli astenuti ci sono anziani e persone che materialmente non possono recarsi alle urne, suggerisce che il «non voto per scelta» possa coinvolgere oggi circa il 30% del corpo elettorale, ossia 15 milioni di persone: un numero mai così alto nella storia repubblicana, e che nessun partito, nemmeno la Dc di De Gasperi nel 1948, nemmeno il Pci nel 1984 (dopo i funerali di Berlinguer), nemmeno Forza Italia nel 2001 (ai tempi del «Contratto con gli italiani»), è stato finora in grado di raggiungere.
Adesso mi aspetto che i colleghi politologi mi spieghino che quella che è nata non è una nuova stella del firmamento politico, che il non voto è fisiologico in tutte le democrazie più moderne (Usa, Regno Unito, Svezia), che il partito del non voto non è un vero partito, perché ha dentro di sé troppe anime: ci sono gli ostili e i lontani, il disgusto e l’indignazione, la passione e l’apatia, l’opzione voice (protesta) e l’opzione exit (defezione), per usare le fortunate categorie di Albert Hirschman. Tutto giusto, ma il punto è un altro. Nel nostro sistema politico c’è chi pensa di avere un consenso popolare così ampio da esimerlo in qualche modo dal dovere del confronto con il Parlamento, con le forze sociali, con la macchina della giustizia. Ebbene, i dati ci dicono che - su 100 italiani - 22 hanno votato Pdl, circa 14 avrebbero votato Forza Italia se si fosse presentata da sola, e meno di 6 (sei) hanno espresso un voto di preferenza per Berlusconi. Fino a ieri si poteva (forse) obiettare che gli italiani che hanno votato per l’opposizione sono ancora di meno. Da oggi, mi pare, chiunque vorrà autoattribuirsi un mandato popolare dovrà fare i conti con le crude cifre del partito che non c’è.
di Luca Ricolfi -
Se sommiamo i risultati dei protagonisti principali, infine, il verdetto diventa più nitido: fatta 100 la forza dei tre principali partiti di centro-destra (Forza Italia, An, Lega), la coalizione rivale formata dal Pd, dai radicali e dall’Italia dei valori valeva 95 nel 2004, valeva 82 nel 2008 e vale 80 oggi. Il ritmo di caduta medio del consenso è del 3,3% all’anno, il che - tradotto in voti - significa che i partiti di centro-sinistra che si candidano a governare l’Italia perdono circa 400 mila elettori all’anno, quasi 1000 voti al giorno.
Fin qui la parte immediatamente visibile del voto di domenica. C’è anche una parte nascosta, tuttavia, e forse è la più interessante. Per riconoscerla dobbiamo dimenticare le percentuali di voti validi, su cui si appuntano tutti i commenti, e concentrarci sul corpo elettorale, formato da circa 50 milioni di elettori. Ebbene, se ragioniamo su questa base possiamo notare alcuni fatti.
Il primo è che, nonostante i tentativi di rendere bipartitico il sistema elettorale, Pd e Pdl attirano al più 1 elettore su 2 (per l’esattezza il 54,7% del corpo elettorale nel 2008, e il 38,2% oggi). In concreto questo vuol dire che alle ultime Europee poco più di 1 elettore su 3 si è scomodato per andare a votare uno dei due partitoni, Pdl e Pd, che ambiscono a contendersi il governo del Paese. Per rendersi conto di quanto poco il sistema stia evolvendo in senso bipartitico basti pensare che 5 anni fa, quando ancora non era nato il Pdl e Forza Italia correva ancora da sola, le due liste principali messe insieme - ossia Forza Italia stessa e Uniti nell’Ulivo - raccoglievano già allora il 35% del corpo elettorale: insomma, nonostante la nascita del Pdl, il bipartitismo non è decollato, perché la fusione fra An e Forza Italia è stata cancellata dall’implosione del Pd.
La creazione dei due super-partiti Pd e Pdl, in compenso, ha avuto un interessante effetto anestetico, o di occultamento. Grazie alla confluenza di An e Margherita nei due partiti maggiori, ossia in Forza Italia e nei Ds, oggi è difficile accorgersi di quanto il consenso verso i due partiti leader sia sceso in basso. Ho provato a stimare quanto avrebbero raccolto Forza Italia e Ds se non si fossero presentati con le stampelle di An e Margherita, e il risultato è drammatico. Forza Italia raccoglierebbe il 22-23% dei voti validi, i Ds il 14-15%: in breve, Forza Italia starebbe appena al di sopra del suo minimo storico (il 21,1% della «discesa in campo», 1994), mentre i Ds starebbero addirittura al di sotto dei due minimi storici toccati nel 1992, ai tempi di Occhetto (16,1%), e nel 2001, ai tempi di Veltroni (l6,6%). Se oggi Berlusconi e Franceschini possono arrampicarsi sugli specchi, minimizzando la severità del verdetto elettorale, è anche perché nessun segnale univoco li avverte che le due ammiraglie storiche della seconda Repubblica - Forza Italia e Ds - si sono incagliate nelle secche.
Ma nelle secche di che cosa?
Nelle secche del nostro scontento, è ovvio. E qui sta l’ultimo dato invisibile delle elezioni Europee. In queste elezioni il primo partito non è stato il Pd, non è stato il Pdl, ma è stato il partito che non c’è, il partito che potremmo definire del «non voto volontario». Un partito certo eterogeneo, fatto di persone deluse, arrabbiate, stanche, ma tutte accomunate dal fatto che hanno scelto di non votare un partito vero e proprio. Persone che non sono andate a votare non perché non potevano, ma perché non volevano. Una stima molto prudente del loro numero, basata su un classico lavoro di Mannheimer e Sani (Il mercato elettorale, Il Mulino 1987), che giustamente ci ricordano che fra gli astenuti ci sono anziani e persone che materialmente non possono recarsi alle urne, suggerisce che il «non voto per scelta» possa coinvolgere oggi circa il 30% del corpo elettorale, ossia 15 milioni di persone: un numero mai così alto nella storia repubblicana, e che nessun partito, nemmeno la Dc di De Gasperi nel 1948, nemmeno il Pci nel 1984 (dopo i funerali di Berlinguer), nemmeno Forza Italia nel 2001 (ai tempi del «Contratto con gli italiani»), è stato finora in grado di raggiungere.
Adesso mi aspetto che i colleghi politologi mi spieghino che quella che è nata non è una nuova stella del firmamento politico, che il non voto è fisiologico in tutte le democrazie più moderne (Usa, Regno Unito, Svezia), che il partito del non voto non è un vero partito, perché ha dentro di sé troppe anime: ci sono gli ostili e i lontani, il disgusto e l’indignazione, la passione e l’apatia, l’opzione voice (protesta) e l’opzione exit (defezione), per usare le fortunate categorie di Albert Hirschman. Tutto giusto, ma il punto è un altro. Nel nostro sistema politico c’è chi pensa di avere un consenso popolare così ampio da esimerlo in qualche modo dal dovere del confronto con il Parlamento, con le forze sociali, con la macchina della giustizia. Ebbene, i dati ci dicono che - su 100 italiani - 22 hanno votato Pdl, circa 14 avrebbero votato Forza Italia se si fosse presentata da sola, e meno di 6 (sei) hanno espresso un voto di preferenza per Berlusconi. Fino a ieri si poteva (forse) obiettare che gli italiani che hanno votato per l’opposizione sono ancora di meno. Da oggi, mi pare, chiunque vorrà autoattribuirsi un mandato popolare dovrà fare i conti con le crude cifre del partito che non c’è.
di Luca Ricolfi -
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29 giugno 2009
Il tempo dell'energia rinnovabile
Dopo anni di lotta o di ridicolizzazione dell'energia rinnovabile, le enormi imprese petrolifere usano un nuovo approccio.
Una recente campagna pubblicitaria di ExxonMobil iniziava così: "Petrolio, gas, carbone, biodiesel, nucleare, vento, solare ... per alimentare il futuro ci servono tutte loro".
Non è la manovra inattesa dell'impresa della energia fossile padrona di Washington che ricevette sussidi e sgravi fiscali per decenni.
Quello che è sfortunato è che questo è l'esatto tipo di livello energetico che viene dalla Presidenza Obama e dalla maggioranza dei Democratici del Congresso.
In realtà è davvero fuori dalla retorica elettorale del 2008 di Obama dello scorso anno.
L'allora Sen. Obama dette a ogni risorsa energetica il suo dovuto, ma trascorse troppo tempo a spingere sul miraggio del "carbone pulito" e a riproporre il tema del nucleare.
Il problema è che tutte le fonti di energia non sono state create uguali per gli scopi dell'efficienza e del benessere dei consumatori, dei lavoratori, dello sviluppo e dei posteri.
Senza considerare la loro produzione di "BTU", tipi diversi di energia producono livelli diversi di danni e benefici, a breve e a lungo termine.
Pensate all'energia atomica.
I finanzieri di Wall Street sono stati inflessibili per anni nel chiedere miliardi di $ per costruire un impianto nucleare singolo che avesse il 100% di garanzia del prestito del governo.
Una garanzia al 90% fatta dai contribuenti era rifiutata dagli operatori di Wall Street.
Vogliono una garanzia al 100% sull'impianto.
Il fisico ben noto e ambientalista Amory Lovins dibatte contro l'energia nucleare proprio sul terreno economico. Dice di non aver mai dovuto usare le questioni della sicurezza per raccomandarne il rifiuto. Non conosco nessun prominente dall'altra parte che voglia dibattere con lui. Se voi si, fatemelo sapere.
Ma le questioni sulla sicurezza intorno all'opzione nucleare non andranno via.
Neanche l'irrisolto magazzinaggio permanente delle scorie radioattive mortali, non i problemi della sicurezza nazionale, non il rischio di una fusione di classe 9 che contaminerebbe secondo la vecchia Atomic Energy Agency (del governo USA) un'area pari alla Pennsylvania che scomparirebbe.
Quindi, certo, c'è "la fonte" di energia mancante della pubblicità Exxon.
Questa è l'efficienza energetica.
Che riduce lo spreco.
Un migliaio di mega watt che non sprecate è un migliaio di mega watt che non dovete produrre.
Ciò vale per il non dover sprecare la benzina nel gozzoviglio di gas dei veicoli a motore.
Nulla compete con i saggi di resa della conservazione energetica che include il progetto e la costruzione di un motore e l'uso.
Ancora una volta e ancora non è in cima alla lista o in molte liste in molti casi.
Subito dopo ci sono le rinnovabili - vento, geotermico, acqua e tutte le meravigliose varietà del solare.
Pochi giorni fa, la Sustainable Energy Coalition ebbe il suo 12° Congresso annuale sulle energie rinnovabili e l'EXPO + Forum sull'efficienza energetica alla Cannon House Office Building della Camera dei Rappresentanti USA.
L'EXPO di quest'anno portò 50 affaristi, associazioni di commercio, agenzie governative e organizzazioni politiche no profit ad udire alcuni membri del Congresso a gratificarli e a conversare con i visitatori.
Io reputo gli oggetti e i loro espositori come specifici, esaurienti e apparentemente convinti del fatto che le rinnovabile sono finalmente, dopo vari inizi falliti, sulla strada irreversibile del mercato azionario più grande.
Non dipese solo dalle tecniche moderne e dai crediti fiscali che nutrirono il loro ottimismo.
Le rinnovabili sono estese in molti modi che le portano più vicine al livello del terreno di gioco dei "competitori" nucleari e dell'energia fossile viziati e molto sussidiati.
Più capitale di rischio, migliori crediti fiscali, sconti e varie proposte statali e locali esistono per facilitare i finanziamenti per gli utenti. Un incentivo esteso viene dal mio stato del Connecticut che offre un piano di leasing ad energia solare speciale ai proprietari di case.
I diritti del Nutmeg State portano "al contributo iniziale nazionale ai sostenitori dell'affitto del programma per l'energia solare residenziale".
Troverete i dettagli visitando ctsolarlease.com o telefonando a 888-232-3477.
L'oggetto di questo editoriale è di chiedere la discriminazione seria dei nostri legislatori fra i differenti tipi di energia. Alcune sono chiaramente migliori di altre.
Dal governo federale o sotto a livello statale e locale, un approccio discriminatorio è un dovere se la conversione alle rinnovabili e alla conservazione dell'energia dai fossili e dal nucleare sta per accelerare.
Le lobbies della vecchia energia sono molto ostinate e hanno i loro ganci in troppi politici declamanti la linea del partito dell'ExxonMobil.
Ci sono molti più lavori nell'economia della nuova energia con molta più salute, efficienza, e benefici della sicurezza rispetto allo stare con gli idrocarburi e gli atomi radioattivi.
di Ralph Nader
19 giugno 2009
La sinistra e, le televisioni di sinistra
Continuando con la serie “le mie opinioni politiche”, cosi’ imparate a non scagazzarmi la minchia con la politica in privato, ho deciso di scrivere cosa io pensi del problema del conflitto di interessi televisivo. Anche questa mia opinione NON piacera’ ai farlocchi.Prima devo fare una precisazione che mi preme: a Marzabotto ha perso la lista che ha il PD e l’ IDV nel simbolo, crollata attorno al 30%. Non ha vinto una lista esplicitamente di destra, ma una lista in polemica con quei due partiti, che ha raccolto il 60% dei voti (circa) presentandosi SENZA i simboli dei due partiti: l’ allergia della gente ai due simboli e’ il dato che mi preme e che mi premeva di sottolineare. Non ci saranno saluti fascisti nel sacrario, insomma: la gente ha sul culo il PD, ma non e’ diventata fascista. Semplicemente il PD non rappresenta piu’ la sinistra, ok? Adesso passiamo al resto.
Per prima cosa, occorre smontare l’assunto dominante, ovvero che vi sia una gigantesca anomalia nella proprieta’ di Fininvest. L’anomalia c’e', ma non sta in fininvest. Vediamo il perche’.
Supponiamo di fare una legge contro il conflitto di interessi che vieti al premier in carica di ripresentarsi. Presto ci pensera’ la natura umana, vista la sua eta’, ma tant’e’. Di fatto, pensate che Mediaset diventera’ una copia di RAI3? Assolutamente no: in qualsiasi modo si ponga, si porra’ comunque a favorire il candidato di destra.
Cosi’, se supponiamo (anche se non credo) che il successore di Berlusconi sia Fini, avremo che Fini sara’ supportato dalle TV come Berlusconi, ma NON sara’ proprietario di Fininvest. Dunque, in teoria il conflitto di interessi dorebbe cedere. In realta’, si tratterebbe del medesimo rapporto clientelare: il partito ha compra propaganda e vende favori legislativi, l’azienda vende propaganda e compra favori legislativi.
Allora voi direte: ma tre TV sono troppe, bisogna spezzettare il monopolio mediaset. Bene. Dividiamo pure Mediaset in tre TV. Tutte e tre le TV saranno ancora di destra, e sosterranno ancora Fini. Il che modifichera’ di molto la situazione sul piano formale, ma non la cambiera’ sul piano sostanziale.
Allora voi direte: si’, ma sara’ sempre ingiusto perche’ la sinistra NON possiede TV, e in un mondo ideale le TV di stato sono neutrali ed equidistanti. Dunque, anche rendendo RAI neutrale ed equidistante, la destra avrebbe il vantaggio di tre TV che la sinistra non ha.
Bravi.
Avete indovinato il problema: il vero problema non e’ che tre TV siano di destra. Il problema e’ che zero TV siano di sinistra.
Puo’ sembrare un problema fittizio, ma non lo e’. La sinistra veniva da una vera e propria egemonia culturale, il che significa che godeva di una sovrabbondanza di contenuti, almeno per tutti gli anni ‘70, e buona parte degli anni ‘80, almeno sino alla prima meta’. Quindi, la prima anomalia e’: come e’ stato possibile che tale abbondanza di contenuti NON abbia occupato il media emergente di fine secolo, ovvero la TV? Perche’ la sinistra italiana ha perso il treno della TV?
La prima risposta e’ che le prime TV commerciali furono snobbate dagli intellettuali di sinistra. Esse venivano viste come una tv “bassa”, mentre la RAI , occupata dai partiti, era la TV “alta”, dove si decidevano i destini del paese. Berlusconi, cui una legge proibiva di trasmettere su scala nazionale , e doveva spedire via corriere delle videocassette da ripetere , regione per regione, era visto come un canale “commerciale”, come “sporco business”, da una sinistra per la quale tali parole erano ancora un marchio d’infamia.
Un’altra ragione e’ che i partiti pensavano (o si illudevano) che il loro possesso di RAI fosse inespugnabile, e che possedere RAI lottizzandola fosse sufficiente a competere. Il malcostume con il quale la RAI veniva regolarmente spartita (e il PCI partecipava regolarmente al banchetto, altro che questione morale) veniva vissuto come una garanzia: che cosa volete che sia questo newbie, pensavano, quando noi abbiamo la corazzata RAI con tutti gli assi di briscola e tutti (all’epoca, i soli) i giornalisti professionalmente preparati?
Il primo gigantesco errore della sinistra e’ stato, quindi, di sottovalutare la tv commerciale, con il solito snobismo. Essi non si aspettavano che, semplicemente offrendo piu’ soldi, Berlusconi avrebbe potuto togliere loro i professionisti. Quando Emilio Fede fu ostracizzato dalla TV di stato per via del suo vizio del gioco e i suoi debiti(1), si pensava che fosse finito. Berlusconi intui’ l’occasione, e pago’ i debiti a Fede e gli diede la possibilita’ di continuare. Ovviamente oggi Emilio Fede deve la vita, o quasi, a Silvio Berlusconi, e chi ha letto il De Bello Civico sa quanto un legame di gratitudine possa essere efficace in politica. Questa fu l’erosione che Mediaset pratico’ nei confronti delle professionalita’ di RAI quando passo’ da “Antenna Nord” ai primi network nazionali: Mediaset raccolse essenzialmente gli esclusi, gli ostracizzati e coloro che non avevano sufficienti raccomandazioni per entrare nel sistema partitico della RAI. In seguito, fu sufficiente il potere dei soldi per strappare persone a RAI. Ma tutto questo fu possibile perche’ nessuno aveva intuito le potenzialita’ della TV commerciale. (Tranne Berlusconi, si intende). A questo errore si aggiunse la presunzione di controllare l’informazione televisiva semplicemente lottizzando la RAI.
La domanda pero’ rimane aperta: acquisito che esista (o che sia esistita) una cultura di sinistra, e acquisito che il popolo della sinistra ammonti ad un bel po’ di milioni di persone, come mai c’e’ domanda per contenuti televisivi di sinistra, c’e' offerta di contenuti “culturali” (la ex egemonia) ma non esiste una TV di sinistra?
I problemi sono diversi.
Il primo e’ che la cultura di sinistra e’ arrivata obsoleta agli anni ‘80. Essa era ancora tarata per un mondo nel quale la cultura si propaga nei libri, nelle scuole, nei giornali, al cinema, e con un certo successo (e questa fu l’unica novita’ che la sinistra seppe cavalcare) nella musica. La TV era vista come una versione catodica dei giornali, cioe’ un veicolo per la propaganda esplicita dei contenuti. Un semplice megafono: essa era vista semplicemente come sistema di broadcasting, e non come media.La visione che la sinistra aveva (ed ha tutt’ora) dei media e’ quella del primo novecento: un puro sistema di broadcasting.
Bisogna fare attenzione alla differenza: un sistema di broacasting e’ semplicemente un sistema che trasporta un messaggio. Nello stack ISO/OSI, saremmo al massimo a livello di trasporto. Un mass media e’ qualcosa che , nella semplice modalita’ con la quale propaga il messaggio, entra a far parte del contenuto. Prendere quanto ho scritto sull’ unita’ e farlo leggere a Bianca Berlinguer e’ broadcasting, ovvero usare la TV come stupido megafono in un comizio. Prendere il messaggio, trasformarlo in una trasmissione televisiva, abbellire la trasmissione con un format (che a sua volta e’ contenuto) , diventa media. Se io prendessi il messaggio del “Grande Fratello ” e lo scrivessi su un giornale, dovrei scrivere delle cose come “la gente piscia, mangia, caga, si fa la doccia , e scopa un sacco. Essere delle belle fighe paga, essere dei bei ragazzi paga, il resto e’ perdente. E’ bello farsi i cazzi altrui”. Creando il format, un simile contenuto (di per se’ inesistente sul piano dei media novecenteschi) diventa un programma intero.
La semplice verita’ e’ che la sinistra continua a dividere la cultura in contenuto e veicolo, e considera “veicolo” tutto cio’ che non e’ strettamente un contenuto. Dimenticando la struttura, detta anche format, ovvero cio’ che divide un sistema di trasporto dei dati da un layer semantico. Ed il punto e’ proprio questo: la cultura di sinistra in italia NON e’ riuscita a diventare televisiva perche’ era costruita per un sistema di media tipico del primo novecento.
Essa si adattava benissimo ai libri, ai giornali, al cinema, per certi versi alla radio, e ad ogni sistema di broadcasting “puro”. Ma la TV era qualcosa di troppo nuovo, e la cultura di sinistra non riusciva a trasformarsi. La necessita’ di passare dalla comunicazione basata sulla sintassi ad una comunicazione basata sull’espressione non fu percepita.
In altri paesi, pero’, questo e’ successo: nel caso inglese o americano, per dire, la trasformazione ebbe successo. Il motivo che impedi’ alla sinistra ialiana, che pure aveva i contenuti e aveva anche la domanda, di veicolarli verso la TV fu di ordine politico.
Il primo problema fu la lentezza con la quale la novita’ si propagava dentro il mondo di sinistra. Il mondo di sinistra accetta la novita’ solo quando e’ vecchia. Di primo acchito, esso teme la perturbazione degli equilibri esistenti, e si limita ad ignorarla o snobbarla. In secondo acchito, quando la novita’ viene usata dagli avversari, tende ad impossessarsene. E solo quando arriva una ulteriore novita’, la precedente novita’ diviene “digerita”, diviene “il nuovo” (ma sempre un passo indietro, cosi’ e’ un nuovo con l’estetica del retro’) . Con la TV questo lungo tempo di digestione non fu possibile, e la sinistra inizio’ a “comprendere” le potenzialita’ espressive del mezzo solo quando qualcuno altro aveva ormai riscritto il linguaggio della TV italiana in una lingua incapace di esprimere la cultura di sinistra.
Qui fu la prima pesante sconfitta della sinistra: quando decise di occuparsi seriamente della TV, con anni di ritardo, il linguaggio televisivo italiano era stato riscritto completamente. Non esistono, nel dizionario televisivo italiano, gli atomi sintattici necessari a veicolare un messaggio di sinistra: il linguaggio ,scritto da Berlusconi mentre i genii andavano a teatro, ne e’ privo. Niente come “diritti” o “sociale” e’ trasportabile dal linguaggio televisivo dominante, almeno non come messaggio dominante.
Il massimo che la sinistra possa utilizzare per trasportare i propri messaggi e’ il linguaggio del telegiornale , troppo sincopato e sintetico, e il messaggio della trasmissione di approfondimento, che non e’ sintetica ma viene limitata dalle esigenze di palinsesto e dalle interruzioni pubblicitarie.
Cosi’, il ritardo dovuto alla lentezza che la sinistra oppone alla novita’ fece si’ che la sinistra NON partecipo’ alla creazione del linguaggio televisivo italiano. E il risultato fu che oggi il linguaggio televisivo non contiene la grammatica ne’ il dizionario per propagare contenuti “di sinistra” che non siano telegiornali, dall’aspetto spesso obsoleto e dai toni risalenti agli anni ‘60, e qualche format di inchiesta, i cui obiettivi sono noti a priori al punto da far dubitare della veridicita’ delle fonti.
Il secondo problema che la sinistra ebbe nel produrre format televisivi e nel trasportare la propria cultura nelle TV fu la spaventosa mediocrita’ dei suoi “creativi”. All’interno del partito i creativi erano visti di cattivo occhio, considerati poco controllabili e relegati in un limbo disegnato dal mero ambito professionale: sei un regista figo e vengo ad applaudirti quando presenti un film, i tuoi film sono bellissimi nella misura in cui stanno sulla mia libreria, ma non ti concedero’ mai il diritto di inventare dei contenuti: solo di propagarli.
Il risultato e’ che i pochissimi registi di sinistra italiani non creano contenuti, ma si limitano a fare da ripetitori: il partito decide cosa dire, loro decidono come dirlo. Il risultato di tutto questo e’ una mediocrita’ assoluta, che appiattisce la cultura di sinistra alla cultura dei partiti di sinistra, ovvero la confina ai messaggi politici, e al massimo alle componenti sociologiche del messaggio politico. Il messaggio culturale in se’ non esiste piu’: cantautori, registi, e oggi anche gli scrittori si limitano a fare da tramite fra i messaggi del partito e l’utente, limitandosi a scegliere il linguaggio.
Poiche’ il messaggio televisivo puo’ avere effetti politici ma non puo’ avere contenuti esplicitamente partitici , e’ chiaro che la mera traduzione non funziona: ai “creativi” di sinistra viene chiesto di tradurre un messaggio che la TV non puo’ veicolare, ed e’ considerato fallimento dei creativi, ridotti a meri tecnici, se tale messaggio non trova spazio.Non ‘ loro consentito di creare, perche’ il partito non tollera iniziative fuori controllo.La competizione interna, peraltro, fa si’ che non solo il creativo sarebbe un pericolo se non si allinea al partito, ma diventa un pericolo se e’ in quota ad un funzionario E un altro funzionario, concorrente, teme la sua ascesa.
Il problema non e’ quello di trovare dei finanziatori, e neanche di trovare lo share: un 30% di elettori di sinistra desidera ascoltare contenuti di sinistra. Si tratterebbe di un mercato sicuro. Ma e’ la stuttura medesima della sinistra e della sua cultura ad impedire che una pazzesca domanda di contenuti si concretizzi in un canale che veicola contenuti.
Facciamo un esempio: se io voglio veicolare sui libri un messaggio, che so io antirazzista, devo solo scrivere un libro con un messaggio piu’ o meno evidente, e posso scrivere un libro come Radici. Se voglio farlo in TV, devo produrre qualcosa come Star Trek. Qual’e’ la differenza? La differenza sta nel fatto che “Radici” contiene una precisa e puntuale accusa al sistema del razzismo, e richiede esplicitamente una riflessione sul tema: leggere Radici permette , per via dei tempi della lettura, queste riflessioni. Portando Radici in TV , otterro’ al massimo un polpettone che risultera’ interessante all’inizio, quando mostra l’ Africa, e diventera’ noiosissimo da meta’ in poi. Diventera’ noiosissimo perche’ cambia il protagonista (Non piu’ Kunta Kinte), e questo in TV e’ MALE. Diventa noioso perche’ cambia troppo il contesto, e anche questo in TV e’ male. Diventa noioso perche’ il messaggio risulta ripetitivo ed esplicito, ed anche questo e’ male.
Diversa e’ la situazione di Star Trek (mi riferisco alla serie classica): un russo, un cinese, un americano, una donna africana , un alieno, uno scozzese, un irlandese, sono tutti insieme e lavorano normalmente. Punto. In TV la parte piu’ consistente del messaggio e’ lo sfondo: il messaggio politico passa come messaggio di fondo, oppure il programma diviene troppo didascalico e letterario.
Cosi’, supponiamo che io voglia creare una TV di sinistra in Italia, e che io abbia i soldi. Cosa mi condurrebbe al fallimento? vediamo.
1. Per prima cosa, diversi politici avanzerebbero precise richieste di inserire precisi messaggi. Non potrei semplicemente mandare in onda un telefilm come i Jefferson, per attenuare il fastidio del leghista verso le persone di colore. No: arriverebbe il politichetto della situazione, che pretenderebbe che la coppia attraversi un certo numero di episodi razzisti, in modo che ogni puntata sia emblematica. Il politico ha un messaggio politico, e pretende che esso sia veicolato esattamente con quelle parole, e che sia esplicito. Un telefilm che mostra semplicemente dei neri, un parvenue della lavanderia, una coppia mista di vicini di casa, una colf altrettanto di colore, sono un messaggio di sinistra. Ma non per il politico.La TV funziona mostrando le cose, e non spiegandole. In tutta la serie “I Jefferson” c’e’ solo UNA puntata ove il vicino porta George ad una riunione del KKK, il resto non riguarda temi razziali. Ma il telefilm in se’ e’ antirazzista: semplicemente, la TV mostra e non spiega. Il politico di sinistra, legato ad un modello obsoleto di media, che non capisce questa distinzione, mi chiederebbe di passare un messaggio puntuale: i miei personaggi dovrebbero passare il tempo a lottare contro il razzismo e le discriminazioni, in maniera esplicita, e al massimo dovrei fare una cosa come “Indovina chi viene a cena”. Ma non riuscirei a farci palinsesto perche’ quel film e’ UN film. Per accontentare i politici sarei costretto a produrre una fiction puntuale con contenuti dettagliati ed espliciti. Il polpettone che ne risulterebbe sarebbe didascalico, troppo didattico, pedante e in definitiva inguardabile. Non “sbagliato”: inadatto alla TV come media.
2. Il principio del mostrare anziche’ spiegare (come fanno libri e giornali) porrebbe immediatamente il problema della mediocrita’ dei “creativi”. Faccio un esempio: Berlusconi non ha mai dovuto proporre se’ medesimo come centro esplicito della propaganda culturale del suo partito. Egli ha semplicemente mostrato come esempio positivo persone appartenenti ad una classe che ha Berlusconi come estremo superiore, come massimo esponente, e non ha mai spiegato perche’ queste persone siano belle. In TV il solo fatto di essere attore protagonista e’ buono, non c’e’ bisogno di un apparato semantico complesso. Basta fare film come i polpettoni natalizi per creare un gretto e volgare riccone come messaggio positivo: non c’e’ bisogno di nient’altro. Il solo fatto di essere attori protagonisti li rende positivi. Ma il mediocre “creativo” di sinistra non e’ abituato a mostrare: anzi, la sua funzione e’ di spiegare il partito alla base. Poiche’ questa necessita’ uccide la creativita’, la sinistra ha evoluto una serie di “creativi” la cui creativita’ consiste nel trovare nuovi modi per dire quel che pensa il capo, dei traduttori, il cui compito era di spiegare. Cosi’, essi sono finiti nella mediocrita’ assoluta degli stereotipi e delle iperboli: un film come “Il diavolo veste prada” e’ un’immagine sin troppo eloquente dei mali della luxury economy. Ma se lo facessi in Italia in una TV di sinistra, dovrei trasformare la ragazza in una precaria, sottolineare che sia una precaria, usare un capo maschio e sessista, metterci dentro un politico malvagio, infilarci qualche modella anoressica che rischia la vita, e tutti gli stereotipi che necessitano al mediocre di sinistra per credersi originale ed incisivo. E ancora una volta avrei un film pedante, didascalico, eccessivo e troppo didattico.
3. Il controllo. Perche’ la mia TV sia considerata di sinistra, dovrei assumere le persone che la sinistra chiede: mentre Mediaset, con poche eccezioni, tende a fagocitare qualsiasi cosa (da Fazio ad Antonio Ricci, le Iene) inseguendo lo share, i politici di centrosinistra sono ossessionati dal controllo dei contenuti. Mentre una trasmissione come Striscia la Notizia non avrebbe alcuna possibilita’ di comparire , solo a proporre Le Iene otterrei il panico. Essi verrebbero classificati come “incontrollabili”, perche’ (come nel caso del test antidroga ai parlamentari) non sono prevedibili. Nemmeno Luttazzi, che spesso critica anche la sinistra, verrebbe tollerato: non per quello che dice, ma perche’ rifiuta accordi che prevedano il controllo su quello che dice. Berlusconi ha capito una cosa incredibile: il capo non deve apparire solo dominante, ma anche aperto alle critiche. Cosi’, se su Striscia la Notizia appare un servizio contro una giunta di centrodestra, per Berlusconi e’ valore aggiunto, perche’ attira sulla trasmissione anche share di centrosinistra. Una TV schierata politicamente ha DUE payoff: quando porta un messaggio politico “giusto”, essa guadagna in propaganda politica; quando trasporta un messaggio politicamente “contrario”, semplicemente guadagna share. Cosi’, l’uomo di sinistra guardera’ Striscia non appena ci sara’ qualcosa di compromettente contro una giunta di centrodestra, o contro un politico di centrodestra, e la TV guadagnera’ in share, oppure guadagnera’ in propaganda se si trasmette roba contro la sinistra. Il concetto e’ che si tratta di un equilibrio da raggiungere, mentre il politico di sinistra si aspetta che una TV di sinistra sia al 100% di sinistra, ed e’ terrorizzato di trovarsi nel mirino di gente come Greggio & co. Sono ancora abituati alla propaganda e la propaganda ha un solo colore.
4. La sinistra propaga idee tipiche degli anni ‘70. Non esiste una cultura di sinistra degli anni ‘80, ‘90, e cosi’ via, per la semplice ragione che i loro intellettuali sono icone, e come tutte le icone sono immobili. Essi continuano a fare e a dire le stesse cose che dicevano 40 anni fa, convinti che il significato di “cultura” sia costante nel tempo, ovvero che esista il punto assoluto della cultura. Ma nel mondo reale la cultura ha una storia, ovvero si modifica in continuazione, e richiede il requisito dell’attualita’. Se aprissi una TV di sinistra oggi, mi troverei con decine di “creativi” che inventerebbero “originalissimi” contenuti risalenti agli anni ‘70, cioe’ a 40 anni fa. Se nel mondo della cultura “classica” mezzo secolo e’ la differenza tra primo romanticismo e decadentismo, con l’accelerazione mediatica attuale sono un’era geologica. Che Guevara ha, mediaticamente, la stessa eta’ di Lucrezia Borgia: e’ un personaggio storico, come Giovanni delle Bande Nere o Muzio Scevola. Proporlo in TV e’ una catastrofe, a meno che non si faccia un film storico. Non che non possa avere dei fan, anche Ben Hur li ebbe. In una situazione simile mi troverei con gente come Moretti, che ripete da 40 anni la stessa solfa, senza rendersi conto che in 40 anni non solo e’ cambiata la cultura, ma e’ cambiata anche l’accezione del termine cultura, il che significa che la cultura di 40 anni fa e’ l’ignoranza di oggi. Una tale massa di creativi obsoleti, di innovatori che ripetono le stesse cose da 40 anni, non farebbe altro che produrre un ammasso di luoghi comuni stantii e stereotipi fuori moda, affossando lo share.
Quello che voglio dire e’ che non sara’ mai possibile, in Italia, uscire dalla attuale enpasse, perche’ se anche c’e’ spazio (o ci fosse) per una Tv schierata a sinistra, il massimo che potrei ottenere sarebbe una RAI3, cioe’ poco piu’ di una pravda passata per via di un tubo catodico, distante anni luce da una vera TV: se chiedete ad una persona di sinistra che cosa intenda per “cultura in TV” egli vi rispondera’ che vorrebbe piu’ documentari, piu’ servizi sul mondo, piu’ informazione, ma molto stranamente non riuscirebbe ad individuare qualcosa che veicoli messaggi di sinistra. Il fatto che Star Trek sia un telefilm essenzialmente di sinistra, o che lo siano “I Jefferson” per esempio, e’ completamente ignoto (o quasi) , per la semplice ragione che non veicola un preciso ed esplicito messaggio politico. Si limita a mostrare una societa’ multietnica, come Star Trek, o si limita a mostrare i neri aricchiti che vengono dal ghetto, come fanno i Jefferson, o i negri “upper class” come fanno i crosby, ma non contiene messaggi espliciti. Eppure, si tratta sicuramente di veicoli di un’idea di societa’ “color-agnostic”, cioe’ di sinistra. Ma questo e’ sullo sfondo, e nel mondo della propaganda lo sfondo e’ poco importante. In TV e’ il contrario.
Il fatto che la TV possa veicolare messaggi semplicemente mostrando e non sia obbligata a spiegare e’ il primo e principale messaggio incomprensibile per una cultura che pretende di essere didattica, educativa, anziche’ capire che la societa’ si puo’ trasformare agendo sulla normalita’ anziche’ sul cambiamento. Il goal principale della cultura veicolata dalla TV e’ quello di propagare una diversa idea di normalita’, anziche’ propagare l’idea di cambiamento. Se chiedete ad un individuo di sinistra che genere di messaggi la TV dovrebbe veicolare, nella stragrande maggioranza dei casi egli rispondera’ che deve parlare di cambiamento, per cambiare la societa’; chiunque si occupi di TV vi dira’ che il cambiamento non e’ un messaggio efficace quanto una diversa normalita’. Sul piano logico, la distinzione tra cambiamento e “diversa normalita’” ovviamente e’ nulla, ma non diviene nulla quando si trasporta nei media: una diversa normalita’ e’ lo sfondo dell’azione televisiva, mentre il cambiamento e’ l’oggetto della trasmissione.
Una trasmissione che parla di cambiamento puo’ essere solo una trasmissione incentrata sul cambiamento, che spiega il cambiamento. Una trasmissione basata su una diversa normalita’ usera’ un mondo diverso (cambiato) come sfondo, ma sopra ci potra’ mettere il contenuto che “buca il monitor”, sia esso comico, erotico, romantico, qualsiasi cosa. E questo ne aumenta l’efficacia.
Questo concetto pero’ e’ ignoto a partiti che vengono da una cultura rivoluzionaria: essi continuano, specialmente nelle ali estreme, a parlare di colpire il conformismo e la situazione attuale, ma in termini televisivi il conformismo e la situazione attuale sono lo sfondo di qualsiasi trasmissione, sono la scenografia, sono l’ambientazione. Non puoi colpirla o distruggerla. E queste ultime cose, cioe’ l’ambientazione e la scenografia, devono essere “invisibili” , altrimenti si ottiene un effetto estraneante: non possono essere protagoniste. Ma l’esigenza di tensione ideale richiesta dai partiti ideologici non puo’ tollerare una “diversa normalita’”, perche’ tale politica richiede una spinta rivoluzionaria, e quindi non tollera la normalita’ in quanto tale.
Eppure, mostrare una diversa normalita’ sullo sfondo di una trasmissione o di un film e’ l’ UNICO modo di veicolare l’idea di cambiamento usando la TV. Il cambiamento puo’ funzionare solo se la trasmissione parla di cambiamento per tutto il tempo, ma non puoi fare un palinsesto fatto solo di questo. Ci puoi fare un film, ma non una serie.
Le trasmissioni britanniche pro-gay non parlano di lotte per i diritti, e neanche di messaggi politici: si limitano ad essere delle commedie, o altro, che partono dall’assunto che esistano le coppie gay. Non hanno bisogno di spiegare perche’, ne’ di mostrare come: si limitano a mostrare la cosa come diversa normalita’, e non come cambiamento. E ovviamente, sopra ci costruiscono il divertimento, ovvero il prodotto fruibile che attira il consumatore. Sic et simpliciter. Ma questo sarebbe impossibile per un mondo gay come quello italiano, che rifiuta l’idea di normalita’ e si pone come antagonista insistendo sul cambiamento e sullo scontro con le convenzioni: un telefilm che mostri le convenzioni gia’ cambiate e ci faccia una commedia divertente sarebbe considerato “troppo leggero”, “poco impegnato”, e magari anche poco educativo. Stranamente, pero’, il side effect e’ esattamente la trasformazione della societa’ che si cerca.
La vecchia propaganda riteneva di ottenere come risultato , di cambiare la societa’, a seconda di quello che era il messaggio esplicito della propaganda. Al contrario, la TV trasforma la societa’ usando il contenuto implicito, cioe’ l’ambientazione: la componente importante del messaggio televisivo non e’ costituita dall’oggetto o dal protagonista, che sono una moda momentanea, ma dall’ambientazione che viene imitata dalla societa’ con delle modifiche che DIVENGONO DEFINITIVE.
La TV domina la moda del momento mediante i protagonisti, ma trasforma la societa’ mediante l’ambientazione, lo sfondo, ovvero modifica l’idea di normalita’.
In TV ogni cosa e’ esattamente cio’ che e’: di conseguenza, lo sfondo di una trasmissione tende a diventare lo sfondo della societa’, e l’idea di cambiamento diventera’ l’idea di cambiamento. Con il risultato che se vogliamo usare la TV per cambiare la normalita’ non dobbiamo agire sul protagonista del programma, ma sull’ambientazione, sulla coreografia. Ma per un partito che viene dal mondo della propaganda, ove succede esattamente il contrario, capire questo semplice concetto e’ impossibile.
Tutte queste incapacita’ e questi vecchi rituali spiegano quale sia il vero problema di Berlusconi: anche dopo la sua uscita di scena, se le sue TV rimanessero di destra, anche venendo divise in tre parti, il problema rimarrebbe invariato, e cioe’ che una cultura obsoleta risalente ai primi del novecento impedisce alla sinistra italiana di arrivare in TV con un messaggio globale. E’ possibile veicolare alcuni messaggi politici, ma non una visione dell’umanita’ o della societa’, perche’ non appena ci provano l’intento didattico rende inguardabili le trasmissioni.
Il problema non sono tre tv di destra, ma zero tv di sinistra.
Se anche tutte tre le TV della rai venissero colonizzate dalla sinistra, esse non potrebbero compensare le tre Tv di destra, anche dopo berlusconi, per la semplice ragione che la cultura di sinistra e’ inadatta al mezzo, e lo e’ perche’ essenzialmente una cultura adatta alla TV terrorizzerebbe i vertici, della sinistra, e perche’ andrebbe oltre le mediocri menti dei “ceativi” della sinistra, troppo abituati a fare da traduttori e maestri per essere inventivi, disabituati a creare il messaggio perche’ il messaggio lo creava il partito: otterrebbe al massimo dei polpettoni didattici e inguardabili.
E la prova sperimentale e’ che RAI3, anche nei periodi “migliori” della lottizzazione rossa, non ha MAI avuto share paragonabili alla dimensione del popolo di sinistra. Eppure, a rigor di logica, la domanda di contenuti di sinistra dovrebbe assomigliare alla quantita’ di elettori di sinistra, come succede negli altri paesi. Questo non e’ dovuto al fatto che RAI3 abbia fallito come contenuti: e’ semplicemente che fallisce come TV.
E quindi, non illudetevi: sinche’ i contenuti culturali della sinistra saranno espressi con questi fini pseudopedagogici, usando metodi e processi del secolo scorso, non sara’ possibile una TV di sinistra , per la semplice ragione che i metodi ed i processi di questa cultura la rendono inadatta al mezzo televisivo. E quindi ci sara’ un problema TV.
La cultura di sinistra, se non trova il modo di fare vero talent scouting, semplicemente non buca il monitor.
di Uriel
(1) Nel periodo piu’ democristiano un certo moralismo pervadeva la RAI. Frajese fu inviato a fare il corrispondente all’estero quando la moglie decise di darsi alla carriera di pornostar zoosex con il nome di Marina Lotar (divenne famosa per “Marina e la sua bestia”) , e lui (in quota alla DC) decise di divorziare. Se la testa del cavallo nel letto e’ un terrificante avvertimento mafioso, la minchia del cavallo va ben oltre. In ogni caso, questo fu sufficiente per provocarne il declassamento a inviato straniero, se non erro da Parigi.
18 giugno 2009
La vittoria del partito che non c'è
Che cosa sia successo alle Europee è piuttosto chiaro: il Pdl e il Pd sono andati male entrambi, ma mentre il Pdl è arretrato solo rispetto alle politiche del 2008 (mentre ha guadagnato qualcosa rispetto alle Europee del 2004, e sta vincendo le amministrative), il Pd è franato sia rispetto alle politiche dell’anno scorso, sia rispetto alle precedenti Europee (-5%). In compenso l’alleato principale del Pd (l’Italia dei valori di Di Pietro) è cresciuto di più dell’alleato principale del Pdl (la Lega di Bossi). E’ come se si fossero intrecciati due match: uno scontro Berlusconi-Franceschini vinto nettamente da Berlusconi, e uno scontro Bossi-Di Pietro vinto da Di Pietro.
Se sommiamo i risultati dei protagonisti principali, infine, il verdetto diventa più nitido: fatta 100 la forza dei tre principali partiti di centro-destra (Forza Italia, An, Lega), la coalizione rivale formata dal Pd, dai radicali e dall’Italia dei valori valeva 95 nel 2004, valeva 82 nel 2008 e vale 80 oggi. Il ritmo di caduta medio del consenso è del 3,3% all’anno, il che - tradotto in voti - significa che i partiti di centro-sinistra che si candidano a governare l’Italia perdono circa 400 mila elettori all’anno, quasi 1000 voti al giorno.
Fin qui la parte immediatamente visibile del voto di domenica. C’è anche una parte nascosta, tuttavia, e forse è la più interessante. Per riconoscerla dobbiamo dimenticare le percentuali di voti validi, su cui si appuntano tutti i commenti, e concentrarci sul corpo elettorale, formato da circa 50 milioni di elettori. Ebbene, se ragioniamo su questa base possiamo notare alcuni fatti.
Il primo è che, nonostante i tentativi di rendere bipartitico il sistema elettorale, Pd e Pdl attirano al più 1 elettore su 2 (per l’esattezza il 54,7% del corpo elettorale nel 2008, e il 38,2% oggi). In concreto questo vuol dire che alle ultime Europee poco più di 1 elettore su 3 si è scomodato per andare a votare uno dei due partitoni, Pdl e Pd, che ambiscono a contendersi il governo del Paese. Per rendersi conto di quanto poco il sistema stia evolvendo in senso bipartitico basti pensare che 5 anni fa, quando ancora non era nato il Pdl e Forza Italia correva ancora da sola, le due liste principali messe insieme - ossia Forza Italia stessa e Uniti nell’Ulivo - raccoglievano già allora il 35% del corpo elettorale: insomma, nonostante la nascita del Pdl, il bipartitismo non è decollato, perché la fusione fra An e Forza Italia è stata cancellata dall’implosione del Pd.
La creazione dei due super-partiti Pd e Pdl, in compenso, ha avuto un interessante effetto anestetico, o di occultamento. Grazie alla confluenza di An e Margherita nei due partiti maggiori, ossia in Forza Italia e nei Ds, oggi è difficile accorgersi di quanto il consenso verso i due partiti leader sia sceso in basso. Ho provato a stimare quanto avrebbero raccolto Forza Italia e Ds se non si fossero presentati con le stampelle di An e Margherita, e il risultato è drammatico. Forza Italia raccoglierebbe il 22-23% dei voti validi, i Ds il 14-15%: in breve, Forza Italia starebbe appena al di sopra del suo minimo storico (il 21,1% della «discesa in campo», 1994), mentre i Ds starebbero addirittura al di sotto dei due minimi storici toccati nel 1992, ai tempi di Occhetto (16,1%), e nel 2001, ai tempi di Veltroni (l6,6%). Se oggi Berlusconi e Franceschini possono arrampicarsi sugli specchi, minimizzando la severità del verdetto elettorale, è anche perché nessun segnale univoco li avverte che le due ammiraglie storiche della seconda Repubblica - Forza Italia e Ds - si sono incagliate nelle secche.
Ma nelle secche di che cosa?
Nelle secche del nostro scontento, è ovvio. E qui sta l’ultimo dato invisibile delle elezioni Europee. In queste elezioni il primo partito non è stato il Pd, non è stato il Pdl, ma è stato il partito che non c’è, il partito che potremmo definire del «non voto volontario». Un partito certo eterogeneo, fatto di persone deluse, arrabbiate, stanche, ma tutte accomunate dal fatto che hanno scelto di non votare un partito vero e proprio. Persone che non sono andate a votare non perché non potevano, ma perché non volevano. Una stima molto prudente del loro numero, basata su un classico lavoro di Mannheimer e Sani (Il mercato elettorale, Il Mulino 1987), che giustamente ci ricordano che fra gli astenuti ci sono anziani e persone che materialmente non possono recarsi alle urne, suggerisce che il «non voto per scelta» possa coinvolgere oggi circa il 30% del corpo elettorale, ossia 15 milioni di persone: un numero mai così alto nella storia repubblicana, e che nessun partito, nemmeno la Dc di De Gasperi nel 1948, nemmeno il Pci nel 1984 (dopo i funerali di Berlinguer), nemmeno Forza Italia nel 2001 (ai tempi del «Contratto con gli italiani»), è stato finora in grado di raggiungere.
Adesso mi aspetto che i colleghi politologi mi spieghino che quella che è nata non è una nuova stella del firmamento politico, che il non voto è fisiologico in tutte le democrazie più moderne (Usa, Regno Unito, Svezia), che il partito del non voto non è un vero partito, perché ha dentro di sé troppe anime: ci sono gli ostili e i lontani, il disgusto e l’indignazione, la passione e l’apatia, l’opzione voice (protesta) e l’opzione exit (defezione), per usare le fortunate categorie di Albert Hirschman. Tutto giusto, ma il punto è un altro. Nel nostro sistema politico c’è chi pensa di avere un consenso popolare così ampio da esimerlo in qualche modo dal dovere del confronto con il Parlamento, con le forze sociali, con la macchina della giustizia. Ebbene, i dati ci dicono che - su 100 italiani - 22 hanno votato Pdl, circa 14 avrebbero votato Forza Italia se si fosse presentata da sola, e meno di 6 (sei) hanno espresso un voto di preferenza per Berlusconi. Fino a ieri si poteva (forse) obiettare che gli italiani che hanno votato per l’opposizione sono ancora di meno. Da oggi, mi pare, chiunque vorrà autoattribuirsi un mandato popolare dovrà fare i conti con le crude cifre del partito che non c’è.
di Luca Ricolfi -
Se sommiamo i risultati dei protagonisti principali, infine, il verdetto diventa più nitido: fatta 100 la forza dei tre principali partiti di centro-destra (Forza Italia, An, Lega), la coalizione rivale formata dal Pd, dai radicali e dall’Italia dei valori valeva 95 nel 2004, valeva 82 nel 2008 e vale 80 oggi. Il ritmo di caduta medio del consenso è del 3,3% all’anno, il che - tradotto in voti - significa che i partiti di centro-sinistra che si candidano a governare l’Italia perdono circa 400 mila elettori all’anno, quasi 1000 voti al giorno.
Fin qui la parte immediatamente visibile del voto di domenica. C’è anche una parte nascosta, tuttavia, e forse è la più interessante. Per riconoscerla dobbiamo dimenticare le percentuali di voti validi, su cui si appuntano tutti i commenti, e concentrarci sul corpo elettorale, formato da circa 50 milioni di elettori. Ebbene, se ragioniamo su questa base possiamo notare alcuni fatti.
Il primo è che, nonostante i tentativi di rendere bipartitico il sistema elettorale, Pd e Pdl attirano al più 1 elettore su 2 (per l’esattezza il 54,7% del corpo elettorale nel 2008, e il 38,2% oggi). In concreto questo vuol dire che alle ultime Europee poco più di 1 elettore su 3 si è scomodato per andare a votare uno dei due partitoni, Pdl e Pd, che ambiscono a contendersi il governo del Paese. Per rendersi conto di quanto poco il sistema stia evolvendo in senso bipartitico basti pensare che 5 anni fa, quando ancora non era nato il Pdl e Forza Italia correva ancora da sola, le due liste principali messe insieme - ossia Forza Italia stessa e Uniti nell’Ulivo - raccoglievano già allora il 35% del corpo elettorale: insomma, nonostante la nascita del Pdl, il bipartitismo non è decollato, perché la fusione fra An e Forza Italia è stata cancellata dall’implosione del Pd.
La creazione dei due super-partiti Pd e Pdl, in compenso, ha avuto un interessante effetto anestetico, o di occultamento. Grazie alla confluenza di An e Margherita nei due partiti maggiori, ossia in Forza Italia e nei Ds, oggi è difficile accorgersi di quanto il consenso verso i due partiti leader sia sceso in basso. Ho provato a stimare quanto avrebbero raccolto Forza Italia e Ds se non si fossero presentati con le stampelle di An e Margherita, e il risultato è drammatico. Forza Italia raccoglierebbe il 22-23% dei voti validi, i Ds il 14-15%: in breve, Forza Italia starebbe appena al di sopra del suo minimo storico (il 21,1% della «discesa in campo», 1994), mentre i Ds starebbero addirittura al di sotto dei due minimi storici toccati nel 1992, ai tempi di Occhetto (16,1%), e nel 2001, ai tempi di Veltroni (l6,6%). Se oggi Berlusconi e Franceschini possono arrampicarsi sugli specchi, minimizzando la severità del verdetto elettorale, è anche perché nessun segnale univoco li avverte che le due ammiraglie storiche della seconda Repubblica - Forza Italia e Ds - si sono incagliate nelle secche.
Ma nelle secche di che cosa?
Nelle secche del nostro scontento, è ovvio. E qui sta l’ultimo dato invisibile delle elezioni Europee. In queste elezioni il primo partito non è stato il Pd, non è stato il Pdl, ma è stato il partito che non c’è, il partito che potremmo definire del «non voto volontario». Un partito certo eterogeneo, fatto di persone deluse, arrabbiate, stanche, ma tutte accomunate dal fatto che hanno scelto di non votare un partito vero e proprio. Persone che non sono andate a votare non perché non potevano, ma perché non volevano. Una stima molto prudente del loro numero, basata su un classico lavoro di Mannheimer e Sani (Il mercato elettorale, Il Mulino 1987), che giustamente ci ricordano che fra gli astenuti ci sono anziani e persone che materialmente non possono recarsi alle urne, suggerisce che il «non voto per scelta» possa coinvolgere oggi circa il 30% del corpo elettorale, ossia 15 milioni di persone: un numero mai così alto nella storia repubblicana, e che nessun partito, nemmeno la Dc di De Gasperi nel 1948, nemmeno il Pci nel 1984 (dopo i funerali di Berlinguer), nemmeno Forza Italia nel 2001 (ai tempi del «Contratto con gli italiani»), è stato finora in grado di raggiungere.
Adesso mi aspetto che i colleghi politologi mi spieghino che quella che è nata non è una nuova stella del firmamento politico, che il non voto è fisiologico in tutte le democrazie più moderne (Usa, Regno Unito, Svezia), che il partito del non voto non è un vero partito, perché ha dentro di sé troppe anime: ci sono gli ostili e i lontani, il disgusto e l’indignazione, la passione e l’apatia, l’opzione voice (protesta) e l’opzione exit (defezione), per usare le fortunate categorie di Albert Hirschman. Tutto giusto, ma il punto è un altro. Nel nostro sistema politico c’è chi pensa di avere un consenso popolare così ampio da esimerlo in qualche modo dal dovere del confronto con il Parlamento, con le forze sociali, con la macchina della giustizia. Ebbene, i dati ci dicono che - su 100 italiani - 22 hanno votato Pdl, circa 14 avrebbero votato Forza Italia se si fosse presentata da sola, e meno di 6 (sei) hanno espresso un voto di preferenza per Berlusconi. Fino a ieri si poteva (forse) obiettare che gli italiani che hanno votato per l’opposizione sono ancora di meno. Da oggi, mi pare, chiunque vorrà autoattribuirsi un mandato popolare dovrà fare i conti con le crude cifre del partito che non c’è.
di Luca Ricolfi -
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