21 novembre 2009

La gestione privata dell’acqua pubblica è legge

privatizzazione acqua
Il decreto legge che privatizza l'acqua, dopo aver incassato la fiducia al Senato, passa anche alla Camera e a votare in aula c'era anche Berlusconi
Il decreto legge che privatizza l'acqua, dopo aver incassato la fiducia al Senato, passa anche alla Camera con 302 sì e 263 no, in aula a votare, e a dimostrare quanto il governo tenga a questo decreto, anche Silvio Berlusconi.

Nato per rispondere a quelli che vengono definiti obblighi comunitari, nel decreto è stato infilato di tutto e di più tra cui anche l'articolo 15 che tratta la privatizzazione dell'acqua e che per questa segna una data precisa: il 31 Dicembre 2011. Il countdown è quindi cominciato, entro quella data tutte le società di gestione del servizio idrico "in House" le cosiddette "municipalizzate" dovranno trasformarsi in società a capitale misto pubblico-privato (in cui il privato abbia almeno il 40% delle azioni) oppure totalmente private.

L'approvazione del provvedimento ha suscitato le proteste dell'opposizione (l'Idv ha alzato cartelli di protesta) e del Forum dei Movimenti per l'Acqua, i cui rappresentanti si sono incatenati alle transenne antistanti Montecitorio recitando lo slogan: "Se voti la privatizzazione dell'acqua non lo fai in mio nome".

Così mentre le proteste contro una scelta più che discutibile - visto il valore intrinseco del bene acqua - si fanno sempre più consistenti al punto che già si parla di referendum abrogativo, l'onorevole Ronchi, da cui prende il nome il decreto stesso, nega tutto: "L'acqua è un bene pubblico e il decreto non ne prevede la privatizzazione. Nel provvedimento” - ha aggiunto Ronchi – “viene rafforzata la concezione che l'acqua è un bene pubblico, indispensabile. Si vogliono combattere i monopoli, le distorsioni, le inefficienze con l'obiettivo di garantire ai cittadini una qualità migliore e prezzi minori".

E' la solita storia, dai un servizio pubblico che funziona male in mano al privato e il privato lo farà funzionare bene, ma non solo, visto che di privati ce ne saranno tanti anche i prezzi scenderanno in nome della concorrenza. Peccato che la realtà abbia già dimostrato più volte come questa bella storia sia in realtà una favola valida solo per le lezioni di economia del primo anno di università, o forse neanche più per quelle.

La realtà, sia delle esperienze italiane di AcquaLatina che di quelle internazionali e più estreme di Cochabamba, ma non solo, insegnano che la privatizzazione del servizio idrico porta ad aumenti di prezzo stimabili tra il 30 e 40% senza apprezzabili e corrispondenti miglioramenti del servizio. Ma non basta, anche la moderna Parigi dopo oltre vent'anni è tornata all'acqua pubblica a dimostrazione che pubblico ed efficienza non sono per forza un ossimoro.

Si spiegano così le accuse di chi dice che con questo provvedimento il governo stia facendo un regalo ai privati, cosa che tra l'altro pare già rivelarsi realtà visto che solo ieri Acque Potabili e Mediterranea Acque (due leader del settore privato dell'acqua pubblica....ecco l'ossimoro!) hanno registrato un vero e proprio aumento record del valore delle proprie azioni .

Lo stato quindi si arrende e alza bandiera bianca. Su 100 litri d'acqua 40 vengono sprecati nel sistema idrico italiano. Le ragioni sono molte e non tutte di semplice soluzione, di certo c'è che qualche risultato soprattutto in Puglia dove gli sprechi sono diminuiti del 38% si stava ottenendo. Ora però, con decreto Ronchi, si riparte da zero e si demanda la soluzione di uno dei problemi storici del paese ad un privato che dovrebbe spendere (per migliore il servizio)per guadagnare e che probabilmente, invece, farà spendere di più noi, per guadagnare lui. Ma questo come si diceva è il libero mercato.

di Andrea Boretti

11 novembre 2009

Informazione fazio-sa


Il modus operandi dell'autorità in relazione alla cosiddetta pandemia è emblematico. Il vice-ministro delle malattie, Strazio, ed i suoi portavoce alternano, nei loro discorsi, blandizie e dichiarazioni spaventose. Chi non ha ancora compreso la vera natura del potere è frastornato ed è incline a ritenere che le istituzioni stiano dimostrando inefficienza, riandando con la mente alle celebri pagine dei Promessi sposi, in cui Manzoni stigmatizza con amara ironia l'insipienza del governo milanese di fronte all'epidemia di peste, prima pervicacemente negata, poi ridimensionata, poi obliquamente ammessa con l'ambigua dicitura di "febbri pestilenziali".

La situazione attuale è molto diversa. Il potere sta usando tutte le strategie più raffinate per conseguire i suoi scopi criminali: sfoltire la popolazione e ridurre in servaggio i sopravvissuti, senza che i cittadini si accorgano del baratro verso cui essi, spesso volontariamente, si stanno dirigendo. Non sorprendano le affermazioni all'apparenza contraddittorie sul fantomatico virus A/H1N1. Bisogna evitare che i sudditi siano presi dal timor panico che causerebbe un collasso del sistema, ma occorre pure instillare senza tregua una sottile inquietudine. Questa incertezza deve tenere sulla corda l'opinione pubblica, spingendola ad accettare i vaccini, anzi ad esigerli. E' una forma di istigazione al suicidio, ma abilmente camuffata.

Si assiste ad una politica del bastone (il virus è aggressivo e potrebbe mutare) e della carota (il numero dei morti causati da questa forma influenzale è inferiore a quello provocato dall'influenza stagionale). Non è schizofrenia del potere, ma scaltro dosaggio di un veleno che viene inoculato in vittime che vengono prima cloroformizzate.

Basterebbe osservare il volto del demoniaco Strazio per capire quale scellerato progetto stiano perseguendo le élites: qui Manzoni viene a taglio, con la descrizione del vecchio mal vissuto, con la sua "canizie vituperosa". Il cipiglio di Strazio, gli occhi luciferini, la voce dall'inflessione suadente, ma arrugginita sono lì a testimoniare propositi innominabili. Né si può sottacere del cinismo che colui non riesce in nessun modo a dissimulare, allorquando cita i morti "fatti" dall'inesistente pandemia. L'uso del crudo e statistico verbo "fare" tradisce più che l'indifferenza, il compiacimento per i letali risultati conseguiti, con la gente che inconsapevolmente si getta nelle grinfie dei suoi aguzzini... e costui è un medico!

Decenni di televisione e di propaganda hanno trasformato gli uomini in pecore di un gregge atterrito e docile. Le reazioni appunto sono gregarie: l'informazione indipendente ha apppena incrinato l'ottusa e cieca fiducia nel potere. Basterebbe riflettere per un istante: per quale misterioso motivo uno stato che scortica i cittadini con i tributi più esosi, che considera i giovani come carne da cannone, gli anziani come pesi inutili, uno stato che deliberatamente avvelena l'ambiente, il cibo, l'acqua, uno stato che massacra nelle carceri detenuti inermi e spesso innocenti, dovrebbe ex abrupto diventare tanto sollecito da distribuire gratuitamente dosi di vaccino ad ognuno di noi? E' possibile che non si fiuti l'inganno?

Hanno scelto dei bersagli precisi: bambini, adolescenti, infermi ed anziani. Costoro possono essere falcidiati. La strage degli innocenti è condicio sine qua non per perpetuare il controllo mentale e della percezione che sarà suggellato forse nel 2012, anno dell'instaurazione del superstato mondiale.

Qualche anno fa, grazie ad un lapsus freudiano, l'attuale ministro delle casse vuote, Tremostri, intervistato da un giornalista sui problemi di bilancio che attanagliano il sistema previdenziale, rispose con diabolico candore: "Tanto prima o poi i pensionati morranno". E' questa la totale insensibilità dei "politici" che considerano la vita umana alla stregua di un fastidioso ciottolo sul sentiero. Come si può credere che costoro siano interessati a preservare la nazione dall'epidemia? Nonostante ciò, quanto più l’incubo diviene angosciante, tanto più si rafforza nel popolino la visione di uno stato-padre-madre, severo ma amorevole, nel cui seno trovare rifugio.

Vero è che questo deplorevole cinismo non di rado alligna tra la gentucola che, invece di combattere e delegittimare le élites sataniste, invoca "un'igiene del mondo" che colpisca gli sventurati al fine di risolvere il "problema" dell'incremento demografico. Non sarà poi così irrazionale la storia, qualora dovesse agire di conseguenza, estirpando il loglio.

E' dunque assurdo, paradossale che le istituzioni si prodighino tanto per salvare e proteggere: questa sarebbe la vera incoerenza di un sistema che, invece, sa quel che vuole e come ottenerlo, benché la massa istupidita stenti, per ora, ad orientarsi.

E' la medesima massa che, con lucida cecità, intravede la meta finale: il mattatoio.

09 novembre 2009

Benvenuti nel 2025






Scrutando nella sua sfera di cristallo analitica in una relazione intitolata Global Trends 2025, ha predetto che la preminenza globale dell’America scomparirà gradualmente nei prossimi 15 anni -- in congiunzione con l’emergenza di nuove potenze globali, specialmente la Cina e l’India, nota Michael T. Klare.

La preminenza dell’America scompare quindici anni in anticipo

Un memo per la CIA: potreste non essere pronti per il viaggio nel tempo, ma eccovi comunque nel 2025! Le vostre stanze potrebbero essere un po’ piccole, la vostra abilità di esigere alloggi migliori potrebbe essersi volatilizzata, e i comfort potrebbero non essere di vostro gradimento, ma dovete farci l’abitudine. Da adesso in poi sarà la vostra realtà.



Okay, adesso arriviamo alla versione seria di quanto sopradetto: nel novembre del 2008 il National Intelligence Council, un affiliato della Central Intelligence Agency ha pubblicato la più recente di una serie di pubblicazioni futuristiche mirate a guidare la nuova amministrazione Obama. Scrutando nella sua sfera di cristallo analitica in una relazione intitolata Global Trends 2025, ha predetto che la preminenza globale dell’America scomparirà gradualmente nei prossimi 15 anni -- in congiunzione con l’emergenza di nuove potenze globali, specialmente la Cina e l’India, nota Michael T. Klare. La relazione ha esaminato le molte sfaccettature del futuro ambiente strategico, ma la sua conclusione più sbalorditiva e che fa notizia, riguardava la proiezione nel lungo termine dell’erosione del predominio dell’America e dell’emergenza di nuovi competitori globali. “Sebbene gli Stati Uniti rimarranno probabilmente il singolo attore più potente [nel 2025]”, afferma definitivamente, la “forza relativa del paese -- anche nella sfera militare -- sarà in declino e il potere degli USA sarà più ridotto”.

Quello, certo, era allora, questo -- circa 11 mesi nel futuro -- è il presente e come le cose sono cambiate. Le predizioni futuristiche dovranno solo adeguarsi alle realtà estremamente mutevoli del presente momento. Seppure fosse stata pubblicata dopo l’inizio del crollo economico globale, la relazione è stata scritta prima che la crisi raggiungesse le sue massime dimensioni ed ha dunque enfatizzato che il declino del potere americano sarebbe stato graduale, estendendolo sull’orizzonte dei 15 anni della valutazione. Ma la crisi economica e gli eventi ad essa connessi hanno sovvertito radicalmente quella tempistica. A seguito di enormi perdite economiche subite dagli Stati Uniti durante lo scorso anno e dello strabiliante recupero economico della Cina, lo spostamento del potere globale previsto dalla relazione è stato accelerato. A tutti gli effetti, il 2025 è già qui.

Molte delle generali predizioni fatte via dicendo nella relazione Global Trends 2025 sono in effetti, già superate. Il Brasile, la Russia, l’India e la Cina -- complessivamente conosciuti come i paesi BRIC -- hanno già ruoli ben più assertivi negli affari economici globali, mentre la relazione aveva previsto che sarebbe successo forse tra una decina d’anni circa. Al tempo stesso, il ruolo dominante globale un tempo monopolizzato dagli Stati Uniti con l’aiuto dei maggiori poteri industriali dell’Occidente -- conosciuti collettivamente come il Gruppo dei 7 (G-7) -- è già sfumato con notevole rapidità. Paesi che un tempo facevano riferimento agli Stati Uniti per la guida sulle maggiori questioni internazionali ignorano il parere di Washington e stanno creando al contrario le proprie reti di politica autonome. Gli Stati Uniti stanno diventando sempre meno inclini all’uso delle proprie forze militari all’estero mentre i poteri rivali aumentano le loro capacità e gli attori non-statali fanno affidamento sui mezzi di attacco “asimmetrici” per superare il vantaggio degli USA nella potenza di fuoco.

Nessuno sembra ammetterlo -- ancora -- ma diciamocelo chiaro e tondo: in meno di un anno del periodo di 15 anni [previsto] di Global Trends 2025, i giorni dell’indiscusso predominio globale dell’America sono giunti al termine. Ci potranno volere una, due (o tre) decadi prima che gli storici potranno guardarsi indietro e dire con sicurezza, “quello è stato il momento in cui gli Stati Uniti hanno smesso di essere il potere predominante del pianeta e sono stati costretti a comportarsi come ogni altro grande giocatore in un mondo fatto di molti grandi poteri in competizione tra loro”. Le indicazioni di questa grande transizione, tuttavia, sono lì solo per chi le vuole vedere.

Sei tappe sulla strada per diventare una nazione ordinaria

Ecco il mio elenco dei sei recenti sviluppi che indicano che stiamo entrando nel “2025” oggi. Tutti e sei erano sui giornali nelle ultime settimane, anche se non erano tutte raccolte sulla stessa pagina. Rappresentano (insieme ad altri eventi affini) uno schema: la forma, in effetti, di una nuova era che si sta formando. 1. Al summit globale sull’economia di Pittsburg del 24 e 25 settembre scorsi, i leader dei maggiori poteri industriali, i G-7 (G-8 comprendendo la Russia) hanno concordato di dare la responsabilità per la sorveglianza dell’economia mondiale al gruppo più ampio ed inclusivo dei G-20, aggiungendo la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia ed altre nazioni in via di sviluppo. E se sono stati espressi dei dubbi sulla capacità di un tale gruppo più ampio di esercitare la leadership globale effettiva, non c’è dubbio che la mossa in sé ha segnalato uno spostamento del luogo del potere economico mondiale dall’Occidente all’Est e al Sud globale -- e con tale spostamento è stato registrato un declino sismico del predominio economico dell’America.

Jeffrey Sachs della Columbia University ha scritto sul Financial Times che “il vero significato dei G-20 non consiste nel passaggio della staffetta da parte dei G-7/G-8, ma da parte del G-1, gli Stati Uniti”. “Persino durante i 33 anni del forum economico dei G-7, gli USA prendevano le decisioni economiche importanti”. Sachs ha inoltre notato che il declino della leadership americana nel corso delle ultime decadi è stato oscurato dal crollo dell’Unione Sovietica e da un’iniziale vantaggio dell’America nella tecnologia dell’informazione, ma è impossibile ora non constatare lo spostamento del potere economico dagli Stati Uniti alla Cina e ad altre potenze economiche nascenti.

2. Stando alle notizie, i rivali economici dell’America starebbero conducendo riunioni segrete (e non poi così segrete) per esplorare un ruolo diminuito per il dollaro americano -- che sta rapidamente perdendo il suo valore -- nel commercio internazionale. Fino ad ora l’uso del dollaro come mezzo internazionale di scambio ha dato agli Stati Uniti un notevole vantaggio economico: possono semplicemente stampare dollari per adempiere ai propri obblighi internazionali mentre le altre nazioni devono convertire le proprie valute in dollari, sovente con grossi costi aggiuntivi. Tuttavia adesso molti dei maggiori paesi commerciali -- tra cui la Cina, la Russia, il Giappone, il Brasile e i paesi petroliferi del Golfo Persico -- stanno considerando l’uso dell’euro, o di un “canestro” di valute come nuovo mezzo di scambio. Se tale piano venisse adottato accelererebbe la caduta precipitosa del valore del dollaro ed eroderebbe ulteriormente l’influenza americana negli affari economici internazionali.

Una discussione simile avrebbe avuto luogo, secondo quanto riportato, l’estate scorsa durante un summit dei paesi del BRIC. Appena un concetto fino ad un anno fa, quando l’idea stessa del BRIC è stata architettata da un capo economista della Goldman Sachs, il consorzio BRIC è diventato realtà in carne ed ossa il giugno scorso quando i leader dei quattro paesi hanno tenuto un convegno inaugurale a Yekaterinburg, in Russia.

Il fatto stesso che Brasile, Russia, India e Cina abbiano scelto di incontrarsi come gruppo è stato considerato significativo, dato che possiedono insieme circa il 43% della popolazione mondiale e si stima che rappresenteranno il 33% del prodotto interno lordo mondiale entro il 2030 -- circa quanto gli Stati Uniti e l’Europa occidentale in quel periodo. Seppure i leader del BRIC abbiano deciso di non formare un corpo permanente come i G-7 per il momento, hanno concordato di coordinare gli sforzi per sviluppare alternative al dollaro e riformare il Fondo Monetario Internazionale in modo tale da dare più voce in capitolo ai paesi non occidentali.

3. Sul fronte diplomatico, Washington è stata respinta sia dalla Russia che dalla Cina nel suo sforzo di garantire sostegno per accrescere la pressione internazionale sull’Iran affinché cessi il suo programma di arricchimento nucleare. Un mese dopo che il presidente Obama ha cancellato i piani di dispiegare un sistema di missili antiballistici nell’Europa dell’est, un’evidente offerta per assicurarsi l’appoggio della Russia per la linea dura nei confronti di Tehran, i massimi capi russi stanno chiaramente indicando di non avere alcuna intenzione di approvare forti nuove sanzioni sull’Iran. “Le minacce, le sanzioni e le minacce di pressioni nella situazione attuale, ne siamo convinti, sarebbero controproducenti” ha dichiarato il ministro degli esteri russo Sergey V. Lavrov, a seguito di un incontro con il segretario di stato americano Hillary Clinton tenutosi a Mosca lo scorso 13 ottobre. Il giorno seguente, il primo ministro russo Vladimir Putin ha detto che la minaccia di sanzioni era “prematura”. Dati i rischi politici che ha corso Obama cancellando il programma missilistico -- una mossa ampiamente condannata dai repubblicani a Washington -- lo sbrigativo rifiuto all’appello americano per la cooperazione sulla questione dell’arricchimento dell’Iran può solo essere interpretato come un ulteriore segno dell’indebolimento dell’influenza americana.

4. Si può inferire esattamente lo stesso da un incontro ad alto livello tenutosi a Beijing lo scorso 15 ottobre tra il primo ministro cinese Wen Jiabao e il primo vice presidente dell’Iran Mohammed Reza Rahimi. “La relazione sino-iraniana ha testimoniato un rapido sviluppo, dato che i leader dei due paesi hanno avuto frequenti scambi, e la collaborazione per il commercio e per l’energia si è allargata ed approfondita”, ha detto Wen Jiabao nella Grande Sala del Popolo. In un momento in cui gli Stati Uniti sono impegnati in un vigoroso sforzo diplomatico per persuadere, insieme ad altri paesi, la Cina e la Russia a ridurre i loro legami commerciali con l’Iran come un preludio a sanzioni più dure, la dichiarazione della Cina può essere solo considerata come un palese rifiuto di Washington.

5. Dal punto di vista di Washington, gli sforzi per assicurare il sostegno internazionale per la guerra in Afghanistan sono stati anche accolti con una risposta marcatamente deludente. In quello che può essere solo considerato un triviale e riluttante voto di sostegno per lo sforzo bellico guidato dagli USA, il primo ministro britannico Gordon Brown ha annunciato lo scorso 14 ottobre che la Gran Bretagna aggiungerà altre truppe al contingente britannico in Afghanistan -- ma non più di 500, e solo se anche le altre nazioni europee aumenteranno il loro coinvolgimento militare, cosa che indubbiamente sa di essere molto improbabile. Finora questo piccolo contingente provvisorio rappresenta la somma totale delle truppe aggiuntive che l’amministrazione di Obama è riuscita a strappare agli alleati europei dell’America, nonostante il sostenuto sforzo diplomatico per rafforzare le forze combinate della NATO in Afghanistan. In altre parole, persino l’alleato europeo dell’America più leale ed ossequioso non pare più disposto a portare il fardello di ciò che è ampiamente considerato come l’ennesima costosa e debilitante avventura militare americana nel grande Medio Oriente.

6. Infine, in una mossa di straordinaria importanza simbolica, il comitato olimpico internazionale (COI) ha scartato Chicago (oltre che Madrid e Tokyo) scegliendo Rio de Janeiro per ospitare le Olimpiadi estive del 2016, la prima volta che una nazione sudamericana viene prescelta per questo onore. Finché la votazione non ha avuto luogo Chicago era considerata una forte candidata, specialmente da quando Barack Obama, precedentemente residente a Chicago, è comparso a Copenhagen per fare pressioni sul comitato. Ciononostante, in uno sviluppo che ha scioccato il mondo intero, Chicago non solo ha perso, ma è stata la prima città ad essere eliminata durante proprio la prima votazione.

“Il Brasile è passato da paese di seconda classe a paese di prima classe, ed oggi abbiamo iniziato a ricevere il rispetto che meritiamo” ha detto il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva durante i festeggiamenti per la vittoria a Copenhagen dopo la votazione. “Potrei morire in questo istante e ne sarebbe già valsa la pena”. In pochi l’hanno detto, ma nel corso del processo per la decisione sulle olimpiadi, gli USA sono stati sommariamente e palesemente surclassati in un attimo da unico superpotere a mero partecipante, un momento simbolico su un pianeta che entra in una nuova era.

Essere un paese ordinario

Questi sono solo alcuni esempi dei recenti sviluppi che indicano, all’autore, che i giorni del predominio globale dell’America sono già giunti al termine, con anni di anticipo rispetto alle aspettative della comunità dell’ intelligence americana. È sempre più chiaro che gli altri poteri -- persino i nostri più vicini alleati -- stanno perseguendo in misura sempre maggiore politiche estere indipendenti, senza tener conto di quali pressioni possa cercare di fare Washington.

Certo, niente di tutto questo significa che per ancora un po’ di tempo a venire gli USA non manterranno la più grande economia mondiale e, in termini di pura distruttività, la più potente forza militare.
Tuttavia, non vi è dubbio che l’ambiente strategico in cui i leader americani devono prendere le decisioni critiche, quando si tratta di interessi nazionali vitali, è cambiato radicalmente dall’inizio della crisi economica globale.

Ancor più importante, il presidente Obama e i suoi esperti consiglieri stanno, così sembra, iniziando con riluttanza a modificare la politica estera americana con in mente questa nuova realtà globale. Questo appare evidente, ad esempio, nella decisione dell’amministrazione di rivisitare la strategia americana sull’Afghanistan.

Dopotutto era solo marzo quando il presidente abbracciava una nuova strategia orientata sulla controinsurrezione in Afghanistan, che coinvolgeva l’aumento dei soldati americani sul territorio e l’impegno di sforzi protratti per conquistare i cuori e le menti dei villaggi afgani dove i Talebani avevano riguadagnato terreno. È stato su questa base che ha licenziato il comandante in carica delle forze americane in Afghanistan, generale David D. McKiernan, sostituendolo con il generale Stanley A. McChrystal, considerato un più vigoroso fautore della controinsurrezione. Tuttavia quando McChrystal ha presentato ad Obama il conto per l’attuazione di questa strategia -- da 40 000 a 80 000 truppe in più (oltre le circa 20 000 extra truppe solo recentemente impegnate nel conflitto) -- in molti nel ristretto circolo del presidente si sono evidentemente sbiancati.

Non solo un così grande schieramento costerà centinaia di bilioni di dollari al Ministero del Tesoro americano, che può a stento permetterselo, ma gli sforzi a cui saranno sottoposti i corpi dell’esercito e della marina saranno molto probabilmente al limite della sopportabilità, dopo anni di viaggi multipli e di stress in Irak. Questo prezzo sarebbe certo più tollerabile se gli alleati dell’America si facessero maggiormente carico dell’onere, ma sono sempre meno pronti a farlo.

Senza dubbio, i leader della Russia e della Cina non sono del tutto scontenti di vedere gli Stati Uniti esaurire le proprie risorse economiche e militari in Afghanistan. In questi frangenti, non ci sorprende che il vice presidente Joe Biden, insieme ad altri, chieda una svolta nella politica americana, rinunciando all’approccio della controinsurrezione ed optando invece per una strategia meno costosa “antiterroristica”, finalizzata in parte a schiacciare Al Quaeda nel Pakistan -- utilizzando aeromobili radiocomandati e forze speciali, piuttosto che un gran numero di truppe americane (e lasciando relativamente invariati i livelli delle truppe in Afghanistan).

È troppo presto per prevedere come si svolgerà la revisione del presidente della strategia americana in Afghanistan, ma il fatto stesso che non abbia accettato immediatamente il piano McChrystal e che abbia lasciato a Biden così tanto spazio per perorare la sua causa, suggerisce che potrebbe finire col riconoscere la follia dell’espansione delle imprese militari americane all’estero in un momento in cui la sua egemonia globale sta calando.

Si avverte la cautela di Obama in altre sue mosse recenti. Sebbene continui ad insistere che l’acquisizione di armi nucleari da parte dell’Iran sia inammissibile e che l’uso della forza per prevenirlo rimane un’opzione, si è chiaramente mosso in modo da minimizzare la possibilità che tale opzione -- che sarebbe inoltre intralciata dai recalcitranti “alleati”-- sarà mai impiegata.

Il risvolto della medaglia è che ha dato nuova linfa alla diplomazia americana, cercando rapporti migliori con Mosca ed approvando i contatti diplomatici rinnovati con quelli che in precedenza erano stati paria come il Burma, il Sudan, e la Siria. Anche questo riflette la realtà del nostro mondo che cambia: che l’atteggiamento di bullismo, “io sono meglio di te” adottato dall’amministrazione Bush nei confronti di questi ed altri paesi per quasi otto anni ha ottenuto ben poco. Pensiamola come una tacita conferma che l’America adesso sta discendendo dal suo status di “unico superpotere” globale fino allo status di ordinario paese. Questo, dopotutto, è quello che fanno i paesi ordinari; coinvolgono gli altri paesi nel discorso diplomatico, che gli piaccia o meno il loro attuale governo.

Allora, benvenuti nel mondo del 2025. Non assomiglia al mondo del nostro passato recente, quando gli Stati Uniti sovrastavano tutte le altre nazioni, e non si armonizza bene con le fantasie di potere globale di Washington dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Ma è la realtà.

Per molti Americani la perdita di tale egemonia può essere fonte di disagio, o persino di disperazione. D’altra parte, non dimentichiamoci i vantaggi di essere un paese ordinario come ogni altro: nessuno si aspetta che il Canada, la Francia o l’Italia mandino altre 40 000 truppe in Afghanistan, in aggiunta alle 68 000 che sono già lì e alle 120 000 ancora in Irak. E nessuno pretende neanche che questi paesi spendano $925 bilioni di dollari dei contribuenti per farlo -- l'attuale stima del costo di entrambi i conflitti secondo il National Priorities Project.

Rimane il quesito: per quanto tempo ancora Washington penserà che gli Americani possono permettersi di finanziare un ruolo globale che prevede il presidio di gran parte del pianeta e di combattere guerre lontane nel nome della sicurezza mondiale, quando l’economia americana sta perdendo così tanto terreno a vantaggio dei suoi competitori? Questo è il dilemma che dovranno affrontare il presidente Obama e i suoi consiglieri nel mondo alterato del 2025.

Michael T. Klare è professore di studi per la pace e per la sicurezza mondiale presso l’Hampshire College, ed è l’autore di Rising Powers, Shrinking Planet: The New Geopolitics of Energy (Owl Books). Il suo precedente libro “Blood and Oil” è disponibile in versione film documentario dalla Media Education Foundation, al sito Bloodandoilmovie.com.

Fonte: www.middle-east-online.com

21 novembre 2009

La gestione privata dell’acqua pubblica è legge

privatizzazione acqua
Il decreto legge che privatizza l'acqua, dopo aver incassato la fiducia al Senato, passa anche alla Camera e a votare in aula c'era anche Berlusconi
Il decreto legge che privatizza l'acqua, dopo aver incassato la fiducia al Senato, passa anche alla Camera con 302 sì e 263 no, in aula a votare, e a dimostrare quanto il governo tenga a questo decreto, anche Silvio Berlusconi.

Nato per rispondere a quelli che vengono definiti obblighi comunitari, nel decreto è stato infilato di tutto e di più tra cui anche l'articolo 15 che tratta la privatizzazione dell'acqua e che per questa segna una data precisa: il 31 Dicembre 2011. Il countdown è quindi cominciato, entro quella data tutte le società di gestione del servizio idrico "in House" le cosiddette "municipalizzate" dovranno trasformarsi in società a capitale misto pubblico-privato (in cui il privato abbia almeno il 40% delle azioni) oppure totalmente private.

L'approvazione del provvedimento ha suscitato le proteste dell'opposizione (l'Idv ha alzato cartelli di protesta) e del Forum dei Movimenti per l'Acqua, i cui rappresentanti si sono incatenati alle transenne antistanti Montecitorio recitando lo slogan: "Se voti la privatizzazione dell'acqua non lo fai in mio nome".

Così mentre le proteste contro una scelta più che discutibile - visto il valore intrinseco del bene acqua - si fanno sempre più consistenti al punto che già si parla di referendum abrogativo, l'onorevole Ronchi, da cui prende il nome il decreto stesso, nega tutto: "L'acqua è un bene pubblico e il decreto non ne prevede la privatizzazione. Nel provvedimento” - ha aggiunto Ronchi – “viene rafforzata la concezione che l'acqua è un bene pubblico, indispensabile. Si vogliono combattere i monopoli, le distorsioni, le inefficienze con l'obiettivo di garantire ai cittadini una qualità migliore e prezzi minori".

E' la solita storia, dai un servizio pubblico che funziona male in mano al privato e il privato lo farà funzionare bene, ma non solo, visto che di privati ce ne saranno tanti anche i prezzi scenderanno in nome della concorrenza. Peccato che la realtà abbia già dimostrato più volte come questa bella storia sia in realtà una favola valida solo per le lezioni di economia del primo anno di università, o forse neanche più per quelle.

La realtà, sia delle esperienze italiane di AcquaLatina che di quelle internazionali e più estreme di Cochabamba, ma non solo, insegnano che la privatizzazione del servizio idrico porta ad aumenti di prezzo stimabili tra il 30 e 40% senza apprezzabili e corrispondenti miglioramenti del servizio. Ma non basta, anche la moderna Parigi dopo oltre vent'anni è tornata all'acqua pubblica a dimostrazione che pubblico ed efficienza non sono per forza un ossimoro.

Si spiegano così le accuse di chi dice che con questo provvedimento il governo stia facendo un regalo ai privati, cosa che tra l'altro pare già rivelarsi realtà visto che solo ieri Acque Potabili e Mediterranea Acque (due leader del settore privato dell'acqua pubblica....ecco l'ossimoro!) hanno registrato un vero e proprio aumento record del valore delle proprie azioni .

Lo stato quindi si arrende e alza bandiera bianca. Su 100 litri d'acqua 40 vengono sprecati nel sistema idrico italiano. Le ragioni sono molte e non tutte di semplice soluzione, di certo c'è che qualche risultato soprattutto in Puglia dove gli sprechi sono diminuiti del 38% si stava ottenendo. Ora però, con decreto Ronchi, si riparte da zero e si demanda la soluzione di uno dei problemi storici del paese ad un privato che dovrebbe spendere (per migliore il servizio)per guadagnare e che probabilmente, invece, farà spendere di più noi, per guadagnare lui. Ma questo come si diceva è il libero mercato.

di Andrea Boretti

11 novembre 2009

Informazione fazio-sa


Il modus operandi dell'autorità in relazione alla cosiddetta pandemia è emblematico. Il vice-ministro delle malattie, Strazio, ed i suoi portavoce alternano, nei loro discorsi, blandizie e dichiarazioni spaventose. Chi non ha ancora compreso la vera natura del potere è frastornato ed è incline a ritenere che le istituzioni stiano dimostrando inefficienza, riandando con la mente alle celebri pagine dei Promessi sposi, in cui Manzoni stigmatizza con amara ironia l'insipienza del governo milanese di fronte all'epidemia di peste, prima pervicacemente negata, poi ridimensionata, poi obliquamente ammessa con l'ambigua dicitura di "febbri pestilenziali".

La situazione attuale è molto diversa. Il potere sta usando tutte le strategie più raffinate per conseguire i suoi scopi criminali: sfoltire la popolazione e ridurre in servaggio i sopravvissuti, senza che i cittadini si accorgano del baratro verso cui essi, spesso volontariamente, si stanno dirigendo. Non sorprendano le affermazioni all'apparenza contraddittorie sul fantomatico virus A/H1N1. Bisogna evitare che i sudditi siano presi dal timor panico che causerebbe un collasso del sistema, ma occorre pure instillare senza tregua una sottile inquietudine. Questa incertezza deve tenere sulla corda l'opinione pubblica, spingendola ad accettare i vaccini, anzi ad esigerli. E' una forma di istigazione al suicidio, ma abilmente camuffata.

Si assiste ad una politica del bastone (il virus è aggressivo e potrebbe mutare) e della carota (il numero dei morti causati da questa forma influenzale è inferiore a quello provocato dall'influenza stagionale). Non è schizofrenia del potere, ma scaltro dosaggio di un veleno che viene inoculato in vittime che vengono prima cloroformizzate.

Basterebbe osservare il volto del demoniaco Strazio per capire quale scellerato progetto stiano perseguendo le élites: qui Manzoni viene a taglio, con la descrizione del vecchio mal vissuto, con la sua "canizie vituperosa". Il cipiglio di Strazio, gli occhi luciferini, la voce dall'inflessione suadente, ma arrugginita sono lì a testimoniare propositi innominabili. Né si può sottacere del cinismo che colui non riesce in nessun modo a dissimulare, allorquando cita i morti "fatti" dall'inesistente pandemia. L'uso del crudo e statistico verbo "fare" tradisce più che l'indifferenza, il compiacimento per i letali risultati conseguiti, con la gente che inconsapevolmente si getta nelle grinfie dei suoi aguzzini... e costui è un medico!

Decenni di televisione e di propaganda hanno trasformato gli uomini in pecore di un gregge atterrito e docile. Le reazioni appunto sono gregarie: l'informazione indipendente ha apppena incrinato l'ottusa e cieca fiducia nel potere. Basterebbe riflettere per un istante: per quale misterioso motivo uno stato che scortica i cittadini con i tributi più esosi, che considera i giovani come carne da cannone, gli anziani come pesi inutili, uno stato che deliberatamente avvelena l'ambiente, il cibo, l'acqua, uno stato che massacra nelle carceri detenuti inermi e spesso innocenti, dovrebbe ex abrupto diventare tanto sollecito da distribuire gratuitamente dosi di vaccino ad ognuno di noi? E' possibile che non si fiuti l'inganno?

Hanno scelto dei bersagli precisi: bambini, adolescenti, infermi ed anziani. Costoro possono essere falcidiati. La strage degli innocenti è condicio sine qua non per perpetuare il controllo mentale e della percezione che sarà suggellato forse nel 2012, anno dell'instaurazione del superstato mondiale.

Qualche anno fa, grazie ad un lapsus freudiano, l'attuale ministro delle casse vuote, Tremostri, intervistato da un giornalista sui problemi di bilancio che attanagliano il sistema previdenziale, rispose con diabolico candore: "Tanto prima o poi i pensionati morranno". E' questa la totale insensibilità dei "politici" che considerano la vita umana alla stregua di un fastidioso ciottolo sul sentiero. Come si può credere che costoro siano interessati a preservare la nazione dall'epidemia? Nonostante ciò, quanto più l’incubo diviene angosciante, tanto più si rafforza nel popolino la visione di uno stato-padre-madre, severo ma amorevole, nel cui seno trovare rifugio.

Vero è che questo deplorevole cinismo non di rado alligna tra la gentucola che, invece di combattere e delegittimare le élites sataniste, invoca "un'igiene del mondo" che colpisca gli sventurati al fine di risolvere il "problema" dell'incremento demografico. Non sarà poi così irrazionale la storia, qualora dovesse agire di conseguenza, estirpando il loglio.

E' dunque assurdo, paradossale che le istituzioni si prodighino tanto per salvare e proteggere: questa sarebbe la vera incoerenza di un sistema che, invece, sa quel che vuole e come ottenerlo, benché la massa istupidita stenti, per ora, ad orientarsi.

E' la medesima massa che, con lucida cecità, intravede la meta finale: il mattatoio.

09 novembre 2009

Benvenuti nel 2025






Scrutando nella sua sfera di cristallo analitica in una relazione intitolata Global Trends 2025, ha predetto che la preminenza globale dell’America scomparirà gradualmente nei prossimi 15 anni -- in congiunzione con l’emergenza di nuove potenze globali, specialmente la Cina e l’India, nota Michael T. Klare.

La preminenza dell’America scompare quindici anni in anticipo

Un memo per la CIA: potreste non essere pronti per il viaggio nel tempo, ma eccovi comunque nel 2025! Le vostre stanze potrebbero essere un po’ piccole, la vostra abilità di esigere alloggi migliori potrebbe essersi volatilizzata, e i comfort potrebbero non essere di vostro gradimento, ma dovete farci l’abitudine. Da adesso in poi sarà la vostra realtà.



Okay, adesso arriviamo alla versione seria di quanto sopradetto: nel novembre del 2008 il National Intelligence Council, un affiliato della Central Intelligence Agency ha pubblicato la più recente di una serie di pubblicazioni futuristiche mirate a guidare la nuova amministrazione Obama. Scrutando nella sua sfera di cristallo analitica in una relazione intitolata Global Trends 2025, ha predetto che la preminenza globale dell’America scomparirà gradualmente nei prossimi 15 anni -- in congiunzione con l’emergenza di nuove potenze globali, specialmente la Cina e l’India, nota Michael T. Klare. La relazione ha esaminato le molte sfaccettature del futuro ambiente strategico, ma la sua conclusione più sbalorditiva e che fa notizia, riguardava la proiezione nel lungo termine dell’erosione del predominio dell’America e dell’emergenza di nuovi competitori globali. “Sebbene gli Stati Uniti rimarranno probabilmente il singolo attore più potente [nel 2025]”, afferma definitivamente, la “forza relativa del paese -- anche nella sfera militare -- sarà in declino e il potere degli USA sarà più ridotto”.

Quello, certo, era allora, questo -- circa 11 mesi nel futuro -- è il presente e come le cose sono cambiate. Le predizioni futuristiche dovranno solo adeguarsi alle realtà estremamente mutevoli del presente momento. Seppure fosse stata pubblicata dopo l’inizio del crollo economico globale, la relazione è stata scritta prima che la crisi raggiungesse le sue massime dimensioni ed ha dunque enfatizzato che il declino del potere americano sarebbe stato graduale, estendendolo sull’orizzonte dei 15 anni della valutazione. Ma la crisi economica e gli eventi ad essa connessi hanno sovvertito radicalmente quella tempistica. A seguito di enormi perdite economiche subite dagli Stati Uniti durante lo scorso anno e dello strabiliante recupero economico della Cina, lo spostamento del potere globale previsto dalla relazione è stato accelerato. A tutti gli effetti, il 2025 è già qui.

Molte delle generali predizioni fatte via dicendo nella relazione Global Trends 2025 sono in effetti, già superate. Il Brasile, la Russia, l’India e la Cina -- complessivamente conosciuti come i paesi BRIC -- hanno già ruoli ben più assertivi negli affari economici globali, mentre la relazione aveva previsto che sarebbe successo forse tra una decina d’anni circa. Al tempo stesso, il ruolo dominante globale un tempo monopolizzato dagli Stati Uniti con l’aiuto dei maggiori poteri industriali dell’Occidente -- conosciuti collettivamente come il Gruppo dei 7 (G-7) -- è già sfumato con notevole rapidità. Paesi che un tempo facevano riferimento agli Stati Uniti per la guida sulle maggiori questioni internazionali ignorano il parere di Washington e stanno creando al contrario le proprie reti di politica autonome. Gli Stati Uniti stanno diventando sempre meno inclini all’uso delle proprie forze militari all’estero mentre i poteri rivali aumentano le loro capacità e gli attori non-statali fanno affidamento sui mezzi di attacco “asimmetrici” per superare il vantaggio degli USA nella potenza di fuoco.

Nessuno sembra ammetterlo -- ancora -- ma diciamocelo chiaro e tondo: in meno di un anno del periodo di 15 anni [previsto] di Global Trends 2025, i giorni dell’indiscusso predominio globale dell’America sono giunti al termine. Ci potranno volere una, due (o tre) decadi prima che gli storici potranno guardarsi indietro e dire con sicurezza, “quello è stato il momento in cui gli Stati Uniti hanno smesso di essere il potere predominante del pianeta e sono stati costretti a comportarsi come ogni altro grande giocatore in un mondo fatto di molti grandi poteri in competizione tra loro”. Le indicazioni di questa grande transizione, tuttavia, sono lì solo per chi le vuole vedere.

Sei tappe sulla strada per diventare una nazione ordinaria

Ecco il mio elenco dei sei recenti sviluppi che indicano che stiamo entrando nel “2025” oggi. Tutti e sei erano sui giornali nelle ultime settimane, anche se non erano tutte raccolte sulla stessa pagina. Rappresentano (insieme ad altri eventi affini) uno schema: la forma, in effetti, di una nuova era che si sta formando. 1. Al summit globale sull’economia di Pittsburg del 24 e 25 settembre scorsi, i leader dei maggiori poteri industriali, i G-7 (G-8 comprendendo la Russia) hanno concordato di dare la responsabilità per la sorveglianza dell’economia mondiale al gruppo più ampio ed inclusivo dei G-20, aggiungendo la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia ed altre nazioni in via di sviluppo. E se sono stati espressi dei dubbi sulla capacità di un tale gruppo più ampio di esercitare la leadership globale effettiva, non c’è dubbio che la mossa in sé ha segnalato uno spostamento del luogo del potere economico mondiale dall’Occidente all’Est e al Sud globale -- e con tale spostamento è stato registrato un declino sismico del predominio economico dell’America.

Jeffrey Sachs della Columbia University ha scritto sul Financial Times che “il vero significato dei G-20 non consiste nel passaggio della staffetta da parte dei G-7/G-8, ma da parte del G-1, gli Stati Uniti”. “Persino durante i 33 anni del forum economico dei G-7, gli USA prendevano le decisioni economiche importanti”. Sachs ha inoltre notato che il declino della leadership americana nel corso delle ultime decadi è stato oscurato dal crollo dell’Unione Sovietica e da un’iniziale vantaggio dell’America nella tecnologia dell’informazione, ma è impossibile ora non constatare lo spostamento del potere economico dagli Stati Uniti alla Cina e ad altre potenze economiche nascenti.

2. Stando alle notizie, i rivali economici dell’America starebbero conducendo riunioni segrete (e non poi così segrete) per esplorare un ruolo diminuito per il dollaro americano -- che sta rapidamente perdendo il suo valore -- nel commercio internazionale. Fino ad ora l’uso del dollaro come mezzo internazionale di scambio ha dato agli Stati Uniti un notevole vantaggio economico: possono semplicemente stampare dollari per adempiere ai propri obblighi internazionali mentre le altre nazioni devono convertire le proprie valute in dollari, sovente con grossi costi aggiuntivi. Tuttavia adesso molti dei maggiori paesi commerciali -- tra cui la Cina, la Russia, il Giappone, il Brasile e i paesi petroliferi del Golfo Persico -- stanno considerando l’uso dell’euro, o di un “canestro” di valute come nuovo mezzo di scambio. Se tale piano venisse adottato accelererebbe la caduta precipitosa del valore del dollaro ed eroderebbe ulteriormente l’influenza americana negli affari economici internazionali.

Una discussione simile avrebbe avuto luogo, secondo quanto riportato, l’estate scorsa durante un summit dei paesi del BRIC. Appena un concetto fino ad un anno fa, quando l’idea stessa del BRIC è stata architettata da un capo economista della Goldman Sachs, il consorzio BRIC è diventato realtà in carne ed ossa il giugno scorso quando i leader dei quattro paesi hanno tenuto un convegno inaugurale a Yekaterinburg, in Russia.

Il fatto stesso che Brasile, Russia, India e Cina abbiano scelto di incontrarsi come gruppo è stato considerato significativo, dato che possiedono insieme circa il 43% della popolazione mondiale e si stima che rappresenteranno il 33% del prodotto interno lordo mondiale entro il 2030 -- circa quanto gli Stati Uniti e l’Europa occidentale in quel periodo. Seppure i leader del BRIC abbiano deciso di non formare un corpo permanente come i G-7 per il momento, hanno concordato di coordinare gli sforzi per sviluppare alternative al dollaro e riformare il Fondo Monetario Internazionale in modo tale da dare più voce in capitolo ai paesi non occidentali.

3. Sul fronte diplomatico, Washington è stata respinta sia dalla Russia che dalla Cina nel suo sforzo di garantire sostegno per accrescere la pressione internazionale sull’Iran affinché cessi il suo programma di arricchimento nucleare. Un mese dopo che il presidente Obama ha cancellato i piani di dispiegare un sistema di missili antiballistici nell’Europa dell’est, un’evidente offerta per assicurarsi l’appoggio della Russia per la linea dura nei confronti di Tehran, i massimi capi russi stanno chiaramente indicando di non avere alcuna intenzione di approvare forti nuove sanzioni sull’Iran. “Le minacce, le sanzioni e le minacce di pressioni nella situazione attuale, ne siamo convinti, sarebbero controproducenti” ha dichiarato il ministro degli esteri russo Sergey V. Lavrov, a seguito di un incontro con il segretario di stato americano Hillary Clinton tenutosi a Mosca lo scorso 13 ottobre. Il giorno seguente, il primo ministro russo Vladimir Putin ha detto che la minaccia di sanzioni era “prematura”. Dati i rischi politici che ha corso Obama cancellando il programma missilistico -- una mossa ampiamente condannata dai repubblicani a Washington -- lo sbrigativo rifiuto all’appello americano per la cooperazione sulla questione dell’arricchimento dell’Iran può solo essere interpretato come un ulteriore segno dell’indebolimento dell’influenza americana.

4. Si può inferire esattamente lo stesso da un incontro ad alto livello tenutosi a Beijing lo scorso 15 ottobre tra il primo ministro cinese Wen Jiabao e il primo vice presidente dell’Iran Mohammed Reza Rahimi. “La relazione sino-iraniana ha testimoniato un rapido sviluppo, dato che i leader dei due paesi hanno avuto frequenti scambi, e la collaborazione per il commercio e per l’energia si è allargata ed approfondita”, ha detto Wen Jiabao nella Grande Sala del Popolo. In un momento in cui gli Stati Uniti sono impegnati in un vigoroso sforzo diplomatico per persuadere, insieme ad altri paesi, la Cina e la Russia a ridurre i loro legami commerciali con l’Iran come un preludio a sanzioni più dure, la dichiarazione della Cina può essere solo considerata come un palese rifiuto di Washington.

5. Dal punto di vista di Washington, gli sforzi per assicurare il sostegno internazionale per la guerra in Afghanistan sono stati anche accolti con una risposta marcatamente deludente. In quello che può essere solo considerato un triviale e riluttante voto di sostegno per lo sforzo bellico guidato dagli USA, il primo ministro britannico Gordon Brown ha annunciato lo scorso 14 ottobre che la Gran Bretagna aggiungerà altre truppe al contingente britannico in Afghanistan -- ma non più di 500, e solo se anche le altre nazioni europee aumenteranno il loro coinvolgimento militare, cosa che indubbiamente sa di essere molto improbabile. Finora questo piccolo contingente provvisorio rappresenta la somma totale delle truppe aggiuntive che l’amministrazione di Obama è riuscita a strappare agli alleati europei dell’America, nonostante il sostenuto sforzo diplomatico per rafforzare le forze combinate della NATO in Afghanistan. In altre parole, persino l’alleato europeo dell’America più leale ed ossequioso non pare più disposto a portare il fardello di ciò che è ampiamente considerato come l’ennesima costosa e debilitante avventura militare americana nel grande Medio Oriente.

6. Infine, in una mossa di straordinaria importanza simbolica, il comitato olimpico internazionale (COI) ha scartato Chicago (oltre che Madrid e Tokyo) scegliendo Rio de Janeiro per ospitare le Olimpiadi estive del 2016, la prima volta che una nazione sudamericana viene prescelta per questo onore. Finché la votazione non ha avuto luogo Chicago era considerata una forte candidata, specialmente da quando Barack Obama, precedentemente residente a Chicago, è comparso a Copenhagen per fare pressioni sul comitato. Ciononostante, in uno sviluppo che ha scioccato il mondo intero, Chicago non solo ha perso, ma è stata la prima città ad essere eliminata durante proprio la prima votazione.

“Il Brasile è passato da paese di seconda classe a paese di prima classe, ed oggi abbiamo iniziato a ricevere il rispetto che meritiamo” ha detto il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva durante i festeggiamenti per la vittoria a Copenhagen dopo la votazione. “Potrei morire in questo istante e ne sarebbe già valsa la pena”. In pochi l’hanno detto, ma nel corso del processo per la decisione sulle olimpiadi, gli USA sono stati sommariamente e palesemente surclassati in un attimo da unico superpotere a mero partecipante, un momento simbolico su un pianeta che entra in una nuova era.

Essere un paese ordinario

Questi sono solo alcuni esempi dei recenti sviluppi che indicano, all’autore, che i giorni del predominio globale dell’America sono già giunti al termine, con anni di anticipo rispetto alle aspettative della comunità dell’ intelligence americana. È sempre più chiaro che gli altri poteri -- persino i nostri più vicini alleati -- stanno perseguendo in misura sempre maggiore politiche estere indipendenti, senza tener conto di quali pressioni possa cercare di fare Washington.

Certo, niente di tutto questo significa che per ancora un po’ di tempo a venire gli USA non manterranno la più grande economia mondiale e, in termini di pura distruttività, la più potente forza militare.
Tuttavia, non vi è dubbio che l’ambiente strategico in cui i leader americani devono prendere le decisioni critiche, quando si tratta di interessi nazionali vitali, è cambiato radicalmente dall’inizio della crisi economica globale.

Ancor più importante, il presidente Obama e i suoi esperti consiglieri stanno, così sembra, iniziando con riluttanza a modificare la politica estera americana con in mente questa nuova realtà globale. Questo appare evidente, ad esempio, nella decisione dell’amministrazione di rivisitare la strategia americana sull’Afghanistan.

Dopotutto era solo marzo quando il presidente abbracciava una nuova strategia orientata sulla controinsurrezione in Afghanistan, che coinvolgeva l’aumento dei soldati americani sul territorio e l’impegno di sforzi protratti per conquistare i cuori e le menti dei villaggi afgani dove i Talebani avevano riguadagnato terreno. È stato su questa base che ha licenziato il comandante in carica delle forze americane in Afghanistan, generale David D. McKiernan, sostituendolo con il generale Stanley A. McChrystal, considerato un più vigoroso fautore della controinsurrezione. Tuttavia quando McChrystal ha presentato ad Obama il conto per l’attuazione di questa strategia -- da 40 000 a 80 000 truppe in più (oltre le circa 20 000 extra truppe solo recentemente impegnate nel conflitto) -- in molti nel ristretto circolo del presidente si sono evidentemente sbiancati.

Non solo un così grande schieramento costerà centinaia di bilioni di dollari al Ministero del Tesoro americano, che può a stento permetterselo, ma gli sforzi a cui saranno sottoposti i corpi dell’esercito e della marina saranno molto probabilmente al limite della sopportabilità, dopo anni di viaggi multipli e di stress in Irak. Questo prezzo sarebbe certo più tollerabile se gli alleati dell’America si facessero maggiormente carico dell’onere, ma sono sempre meno pronti a farlo.

Senza dubbio, i leader della Russia e della Cina non sono del tutto scontenti di vedere gli Stati Uniti esaurire le proprie risorse economiche e militari in Afghanistan. In questi frangenti, non ci sorprende che il vice presidente Joe Biden, insieme ad altri, chieda una svolta nella politica americana, rinunciando all’approccio della controinsurrezione ed optando invece per una strategia meno costosa “antiterroristica”, finalizzata in parte a schiacciare Al Quaeda nel Pakistan -- utilizzando aeromobili radiocomandati e forze speciali, piuttosto che un gran numero di truppe americane (e lasciando relativamente invariati i livelli delle truppe in Afghanistan).

È troppo presto per prevedere come si svolgerà la revisione del presidente della strategia americana in Afghanistan, ma il fatto stesso che non abbia accettato immediatamente il piano McChrystal e che abbia lasciato a Biden così tanto spazio per perorare la sua causa, suggerisce che potrebbe finire col riconoscere la follia dell’espansione delle imprese militari americane all’estero in un momento in cui la sua egemonia globale sta calando.

Si avverte la cautela di Obama in altre sue mosse recenti. Sebbene continui ad insistere che l’acquisizione di armi nucleari da parte dell’Iran sia inammissibile e che l’uso della forza per prevenirlo rimane un’opzione, si è chiaramente mosso in modo da minimizzare la possibilità che tale opzione -- che sarebbe inoltre intralciata dai recalcitranti “alleati”-- sarà mai impiegata.

Il risvolto della medaglia è che ha dato nuova linfa alla diplomazia americana, cercando rapporti migliori con Mosca ed approvando i contatti diplomatici rinnovati con quelli che in precedenza erano stati paria come il Burma, il Sudan, e la Siria. Anche questo riflette la realtà del nostro mondo che cambia: che l’atteggiamento di bullismo, “io sono meglio di te” adottato dall’amministrazione Bush nei confronti di questi ed altri paesi per quasi otto anni ha ottenuto ben poco. Pensiamola come una tacita conferma che l’America adesso sta discendendo dal suo status di “unico superpotere” globale fino allo status di ordinario paese. Questo, dopotutto, è quello che fanno i paesi ordinari; coinvolgono gli altri paesi nel discorso diplomatico, che gli piaccia o meno il loro attuale governo.

Allora, benvenuti nel mondo del 2025. Non assomiglia al mondo del nostro passato recente, quando gli Stati Uniti sovrastavano tutte le altre nazioni, e non si armonizza bene con le fantasie di potere globale di Washington dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Ma è la realtà.

Per molti Americani la perdita di tale egemonia può essere fonte di disagio, o persino di disperazione. D’altra parte, non dimentichiamoci i vantaggi di essere un paese ordinario come ogni altro: nessuno si aspetta che il Canada, la Francia o l’Italia mandino altre 40 000 truppe in Afghanistan, in aggiunta alle 68 000 che sono già lì e alle 120 000 ancora in Irak. E nessuno pretende neanche che questi paesi spendano $925 bilioni di dollari dei contribuenti per farlo -- l'attuale stima del costo di entrambi i conflitti secondo il National Priorities Project.

Rimane il quesito: per quanto tempo ancora Washington penserà che gli Americani possono permettersi di finanziare un ruolo globale che prevede il presidio di gran parte del pianeta e di combattere guerre lontane nel nome della sicurezza mondiale, quando l’economia americana sta perdendo così tanto terreno a vantaggio dei suoi competitori? Questo è il dilemma che dovranno affrontare il presidente Obama e i suoi consiglieri nel mondo alterato del 2025.

Michael T. Klare è professore di studi per la pace e per la sicurezza mondiale presso l’Hampshire College, ed è l’autore di Rising Powers, Shrinking Planet: The New Geopolitics of Energy (Owl Books). Il suo precedente libro “Blood and Oil” è disponibile in versione film documentario dalla Media Education Foundation, al sito Bloodandoilmovie.com.

Fonte: www.middle-east-online.com