09 marzo 2010

Sta per saltare il tappo


Nel Granducato di Curlandia stan succedendo delle cose assai curiose. Dei veri misteri gaudiosi. Ha cominciato un paio di mesi fa Pier Ferdinando Casini, politico di lungo corso, vecchia volpe, il quale, prendendo spunto dalla richiesta di arresto del sottosegretario Cosentino, poi puntualmente negata dalla Camera, aveva affermato: "La Prima Repubblica non è stata uccisa dai giudici di Mani Pulite, era già morta molto prima, quando si era chiusa in una difesa cieca della propria classe politica. Nel clima tempestoso di questi giorni una difesa assoluta e corporativa di tutto e di tutti ci metterà, prima o poi, in una situazione insostenibile nei confronti dell’opinione pubblica”.

Era un improvviso dietro front perché fino ad allora, da parte di tutto il centrodestra, le inchieste di Mani Pulite erano state considerate l’infamia delle infamie, colpevoli di "aver abbattuto, per via giudiziaria, un’intera classe politica" cui lo stesso Casini apparteneva. E Berlusconi, seguito da tutti i suoi, aveva addirittura dichiarato che Mani Pulite era stata "una guerra civile".
Adesso invece si ammette, da parte di Casini, che quelle inchieste avevano scoperchiato un marciume che ad un certo punto era diventato intollerabile per i cittadini. Pochi giorni fa il mellifluo Paolo Mieli ha dichiarato ad Annozero: "Come alla vigilia del 1992 sta per saltare il tappo".

Giuseppe Pisanu (Pdl), presidente dell’Antimafia ha detto: "La corruzione è dilagante, l’Italia può restarne schiacciata". Su Il Giornale Marcello Veneziani in un editoriale intitolato "Questione morale: pazienza (quasi) finita" scrive: "Ultima chiamata prima del baratro". E persino il vilissimo Vespa nella trasmissione di lunedì dedicata all’inchiesta di Firenze è stato un po’, solo un pochino, meno paraculo col Potere del suo solito.

Le più impressionanti sono le conversioni a U di Paolo Mieli e di Marcello Veneziani, due intellettuali che in questi quindici anni hanno avvallato tutte le Cirielli, le Cirami, le leggi “ad personam” e “ad personas”, i lodi Schifani e Alfani, il dimezzamento della prescrizione, per i reati di “lorsignori”, proprio mentre la durata dei processi, grazie anche alle leggi cosiddette “garantiste”, si allungavano e sono stati protagonisti di quella quotidiana, capillare, costante e devastante delegittimazione della magistratura italiana che ha finito per togliere ai rappresentanti della nostra classe dirigente, politica, amministrativa, imprenditoriale, quel poco di senso della legalità che gli era rimasto.

Tanto sapevano che, grazie ai vari marchingegni, non avrebbero mai pagato pegno, né penale né sociale. Mieli è stato complice attraverso i suoi editorialisti di punta, Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia, Piero Ostellino, scatenati contro i magistrati, "l’uso politico della giustizia", il "giustizialismo" (termine che, come il suo contraltare, il "garantismo", non ha alcun senso se riferito a un magistrato: il quale non può applicare la legge né in senso giustizialista né garantista, semplicemente la applica e se non lo fa, per dolo o colpa grave, va denunciato alla Procura della Repubblica competente).

Panebianco è arrivato a scrivere sul Corriere diretto da Mieli: "La legalità, semplicemente non è, e non può essere, un valore in sé" (Corriere, 16/3/95). Marcello Veneziani è stato protagonista in prima persona militando nel Pdl per designazione del quale, e non certo per le sue preclare virtù, ha acchiappato un posto di consigliere di amministrazione della Rai, per cui è grottesco che adesso faccia le lagne sui meriti mortificati, sulle affiliazioni partitiche, sul clientelismo. Chi sperano, costoro, di prendere per il culo? Tuttavia i contorsionismi di Mieli, di Veneziani e degli altri sono estremamente significativi.

Vuol dire che si stan rendendo conto che la gente che va in ufficio o in fabbrica o alza la claire della bottega alle sette del mattino e torna a casa la sera, più o meno alla stessa ora, stanca e scazzata, non ne può più, quale che sia il suo credo politico e ammesso che ce l’abbia (perché c’è un buon 30% di italiani che non si sente rappresentato da nessuno) comincia a non poterne più della corruzione, delle ruberie, dei soprusi, degli abusi, degli arbitri, della sistematica grassazione del denaro della collettività ad opera del sistema dei partiti, di destra e di sinistra, con i loro addentellati amministrativi e imprenditoriali proprio mentre la crisi economica la costringe a stringere la cinghia.

Non ne può più di vedere costoro che piazzano figli, nipoti e cognati in impieghi remunerativi mentre i loro figli fanno una fatica boia a trovarne uno a bassissimo reddito o non ce l’hanno. Ed è anche esasperata dalla pretesa di immunità che questa classe dirigente, Berlusconi in testa ma non solo, avanza per sé e che vuole rafforzare con la reintroduzione dell’immunità parlamentare, il divieto delle intercettazioni telefoniche, la truffa del "processo breve", i "legittimi impedimenti". Quindi i vari Mieli, Veneziani and company cercano di smarcarsi per tempo o, forse, fuori tempo massimo. Anche coloro che, soprattutto nel Pdl, affermano che non è una “nuova Tangentopoli” dimostrano di avere paura che ci sia, come nel 1992-94, una nuova esplosione del furore popolare. Naturalmente mentre qualcuno cerca di defilarsi e di mettere le mani avanti, altri non rinunciano ai soliti espedienti.

Berlusconi, dopo aver affermato che i magistrati di Firenze “dovrebbero vergognarsi”, ha definito “birbanti” gli inquisiti e gli arrestati di questa mandata (che è l’equivalente del “mariuolo” affibbiato da Craxi a Mario Chiesa, per dar ad intendere che si trattava di una mela marcia in un cesto di mele sanissime). Altri ancora parlano di singoli episodi mentre il professor Ernesto Galli della Loggia, nell’ennesimo tentativo di salvare i partiti, ha scritto su Il Corriere: “Non crederemo davvero che la corruzione italiana si riduce a quella dei politici? La verità è che è l’Italia la causa della corruzione”.

È il collaudato trucco del “tutti colpevoli, quindi nessun colpevole”. In ogni caso la corruzione non sale dalla società verso i partiti, come sostiene il Galli della Loggia, ma è vero il contrario. In una democrazia corrotta i partiti comprano il consenso. E per comprarlo hanno bisogno di soldi, di corruzione, di tangenti, dell’uso a tappeto del clientelismo e dell’affiliazione paramafiosa. È così che la corruzione, discendendo giù per i rami, arriva alla società e la inquina. Il Galli della Loggia scova le radici della corruzione italiana "nella nostra storia profonda" e, dopo aver vissuto per settant’anni sulla luna e senza aver mai mosso un dito per contrastare l’andazzo, scopre "che cosa è diventato questo paese".

Per la verità senza andare a pescare nelle “radici della nostra storia profonda”, io ricordo, non dovendo andare poi troppo lontano, anche un’altra Italia che dovrebbe essere nota anche al Galli della Loggia che è più anziano di me. Nell’Italia dei Cinquanta e dei Sessanta l’onestà era un valore per tutti. Per la borghesia se non altro perché dava credito. Per il mondo contadino dove la classica stretta di mano valeva più di un contratto. E per il proletariato. E chi violava questi codici veniva inesorabilmente emarginato dalla propria comunità. E comunque se l’Italia si è ridotta come si è ridotta è anche grazie al professor Ernesto Galli della Loggia e a tutti gli intellettuali azzeccagarbugli che invece di cercare di chiarire le idee alla gente gliele confondono. La classe dirigente di questo paese sta ballando sull’orlo di un vulcano. E qualcuno se ne sta rendendo conto.

Non so se, alla fine, il vulcano erutterà. Non so nemmeno se augurarmelo. Perché ho il fondato sospetto che se ci fosse una nuova “rivoluzione italiana” finirebbe, come dopo Mani Pulite, che a coglierne i frutti non sarebbero coloro che si sono battuti per realizzarla, ma gli eterni Mieli, Veneziani, Galli della Loggia, Pisanu, Cicchitto, Casini o i loro discendenti politici, intellettuali o carnali. E come adesso ci tocca gridare, per disperazione, “aridatece Forlani”, allora saremo costretti a gridare, sempre per disperazione “aridatece Berlusconi”. Che almeno ci metteva la faccia e ogni tanto trovava anche qualcuno che gliela spaccava.
di Massimo Fini

08 marzo 2010

Il carry trade brasiliano, i Rothschild e il BRIC

- Negli scorsi anni, il Brasile ha sviluppato un enorme carry trade che ha consentito a molte banche europee di darsi un'aura di solvibilità. Oltre alle implicazioni finanziarie, questo sistema ha una dimensione geopolitica significativa che interessa la Russia, la Cina e l'India, e cioè quei paesi che LaRouche ha designato, assieme agli Stati Uniti, quali potenziali alleati in una combinazione di potere forte abbastanza da poter imporre una sostituzione dell'attuale sistema finanziario della globalizzazione.

L'impero (britannico) della globalizzazione ha cercato di sabotare questo approccio promovendo un blocco alternativo chiamato BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) basato sulla illusoria promessa che una volta crollato completamente il sistema americano, prevarrà quello britannico con l'aiuto, appunto, del carry trade brasiliano (cfr. Strategic Alert 6/10).

Un elemento chiave dietro questa operazione è, non sorprendentemente, il principale banchiere dell'Impero Britannico nei secoli: la famiglia Rothschild. I rapporti tra i Rothschild e il Brasile sono così profondi che il sito web dell'Archivio Rothschild contiene una pagina speciale sul Brasile, l'unica nazione a ricevere queste attenzioni particolari. Vi si legge che "i legami tra NM Rothschild & Sons e la nazione brasiliana risalgono ai tempi del fondatore della banca", nel primo decennio del XIX secolo.

Oggi colui che Lord Jacob Rothschild chiama "il mio quarto figlio", e cioè il finanziere di Sao Paolo Mario Garnero, ha una forte influenza sul governo di Lula da Silva assieme al Banco Santander, istituto nominalmente spagnolo ma in realtà britannico. Quando si verificò una fuga di capitali dal Brasile durante la campagna elettorale del 2002, motivata dai timori che un governo Lula avrebbe portato al caos o ad azioni contro le banche, Santander decise di rinnovare le sue linee di credito al Brasile, mentre Garnero organizzò un viaggio in USA per i consiglieri di Lula, facendoli incontrare con esponenti di Wall Street e della Casa Bianca.

Garnero opera dal 1975 tramite il gruppo che ha fondato e guida ancor oggi, Brasilinvest. Esso ha funto da battistrada per la privatizzazione e la globalizzazione dell'economia brasiliana. Descrivendosi come la prima banca d'affari brasiliana, Brasilinvest poggia su alleanze con la tradizionale finanza anglo-veneziana, ben rappresentata nel suo consiglio d'amministrazione: da Nat Rothschild al Banco Santander, da Hong Kong and Shanghai Banking Corporation al Monte dei Paschi di Siena, da Carlo de Benedetti alla Societé Generale.

Garnero è finito nell'inchiesta Cirio, per cui si sta celebrando il processo di bancarotta fraudolenta. Ricordiamo che le banche che avevano usato la Cirio per fare il loro "carry trade", hanno venduto i bonds ai risparmiatori sapendo che la Cirio era insolvente.

Nel 2004, il Consiglio Internazionale di Brasilinvest tenne la sua riunione annuale a Londra. Tra i partecipanti vi erano due finanzieri chiave per l'operazione BRIC: il re russo dell'alluminio Oleg Deripaska e l'immobiliarista cinese David Tang (DWC Tang Development). Garnero non solo presentò a Lula Deripaska, ma anche il capo del fondo di investimento cinese CITIC.

Lyndon LaRouche ha ripetutamente ammonito i dirigenti russi, cinesi e indiani contro questa truffa che sembra venire dal Brasile, ma è in realtà made in London. Nel giugno 2002, quattro mesi prima dell'elezione di Lula, LaRouche fu invitato in Brasile a discutere con rappresentanti politici, economici e militari, mentre infuriava il dibattito sulla globalizzazione. L'economista statunitense invitò i brasiliani a non cadere nel tranello ma di battersi per sviluppare il potenziale scientifico, tecnologico ed economico del paese. Lula scelse la via opposta, quella di trasformare il Brasile in una pedina degli interessi finanziari centrati a Londra.
by MoviSOl

03 marzo 2010

La tragedia greca di Goldman

Esistono due tipi di nazioni: quelle che controllano le loro finanze e quelle che “sono finanziate”. (Ezra Pound)


C’è bisogno di una sana ammissione da parte delle persone di buona volontà, di quei lavoratori che formano l’ossatura di una nazione con il loro sudore e con il loro risparmio, ed ammettere che siamo stati irrimediabilmente fregati. Ammettiamolo, perché è l’unico passo per una nuova economia, una nuova società, un nuovo corso degli eventi. La dimensione della truffa alla quale tutti noi siamo stati spettatori partecipi ed entusiasti, marionette da applausi comandati, si sta svelando poco a poco, cadendo sotto il peso della grande bugia che regge la nostra società: il debito inservibile.

Se ne è reso conto anche il New York Times (1), è quindi ora che ci sia una presa di coscienza collettiva. Sempre che il livello di anestesia generale non sia già arrivato allo stato comatoso vegetativo: allora saremmo già sconfitti e non avrebbero senso queste parole. La potente lobby finanziaria, capitanata da Goldman Sachs, ha aiutato Grecia, Italia e probabilmente anche la Francia, a truccare i propri bilanci per poter entrare nell’Unione Europea, attraverso un divertente giochino finanziario, chiamato Swap (2), che risultava invisibile nel bilancio presentato all’Unione Europea. Semplice vero? Immaginate se questo avvenisse con il vostro mutuo o la vostra rata dell’auto. Un giorno andate in banca e chiedete di rendere invisibile le vostre rate del mutuo.

Nella realtà sarebbe impossibile ma non nel fantastico mondo della finanza: l’importante è sapere a quali santi affidarsi e quale di essi è capace di fare i miracoli (rendere invisibili i debiti) ed il gioco è fatto. In questo modo i paesi caratterizzati da un alto deficit nell’Unione europea sono stati ammessi alla zona Euro e sono rientrati miracolosamente nei rigorosi standard di Maastricht (3% debito-Pil). Questo gioco non solo conveniva ai paesi con alto deficit, ma anche alla Germania, che oggi si lamenta e non vorrebbe salvare la Grecia, che ha cosi potuto imporre la sua moneta (l’euro è il marco europeo) favorendo le sue esportazioni in Europa.

In questo modo tutti hanno usufruito dei bassi tassi di interessi offerti dalla zona euro, che sono stati usati per indebitarsi fino all’insostenibile. La cosa più vergognosa di questa storia è la commistione fra interessi finanziari e politici che ha portato alla rovina dell’economia mondiale. I dirigenti della grandi banche, (JP Morgan, Goldman, Citigroup) hanno sempre una poltrona calda che li aspetta una volta che finiscono il loro mandato nelle enormi banche finanziarie. Non ci credete? I segretari del tesoro degli Usa degli ultimi anni provengono da Goldman Sachs: Rubin ha servito l’azienda per 26 anni, passando anche come dirigente di Citigroup per poi approdare al Tesoro USA nel 1995 e Paulson, il penultimo segretario del Tesoro era un uomo Goldman dal 1974. Il nostro intoccabile Mario Draghi, alla guida del Tesoro nel 1996, divenne Vice Direttore di Goldman nel 2002 (3) ed insieme a Prodi (altro consulente Goldman e poi scelto, guarda caso, alla guida della Commissione Europea) hanno fatto sparire i debiti grazie all’appoggio di Goldman proprio nel 1996. Poi a Draghi venne offerta la poltrona della Banca d’Italia nel 2006, dopo lo scandalo di Fabio Fazio. Altra casualità. Assistiamo impotenti allo spettacolo delle porte girevoli che collegano finanza e politica, che per anni sono state fatte girare sotto i nostri occhi, consumando il grande inganno pubblico con la speranza di ricchezza per tutti, benessere e profitto semplice per l’umanità. L’economia ha perso completamente il contatto con la realtà, e la finanza ha spolpato poco a poco i settori dell’agire umano: risparmi, immobili, pensioni, potere d’acquisto, tutto è stato cannibalizzato da questi signori delle porte girevoli. Ci aspettano tempi duri: Soros consiglia ancora più controllo ed assistenza istituzionale per salvare il mercato (4). Tradotto significa più potere alle burocrazie non elette e ai centri di potere invisibili. Il miliardario ungherese mette in dubbio anche il futuro dell’euro: memore delle sue battaglie contro la lira e la sterlina che riuscì a crollare in due giorni, starà già pensando a quello che succederà. In un caso o nell’altro può dormire sonni tranquilli: tanto se la Grecia riceverà gli aiuti sperati tanto se fallirà lui guadagnerà grazie ai CDS (Credit Default Swap) che lo coprono in caso di ripudio del debito ellenico. Però questo si, l’importante è che ci sia un governo mondiale, un organismo che vigili, più “controllo ed assistenza istituzionale”. Le care vecchie raccomandazioni del nonno buono.

Pochi giorni fa è uscito anche l’ultimo numero del Leap 2020 (5), gli analisti francesi che fino a questo momento non hanno sbagliato un colpo nell’anticipare le tappe della crisi. Ritengono che il caso greco, altro non sia che “l’albero che cerca di nascondere il bosco”, ovvero che il caso del debito greco offre l’opportunità per distogliere l’attenzione dagli altri due debiti sovrani (USA e Inghilterra) che sono ben più ingenti e voluminosi. Inoltre in questo modo si riesce a debilitare l’Eurozona in un momento in cui attrarre i capitali sul mercato è sempre più difficile e pieno di competizione. Si profila una guerra economica, senza esclusione di colpi bassi tra gli Stati per poter ottenere l’ossigeno, ovvero i capitali, che permettono mantenere la testa nascosta sotto le montagne di debiti che sovrastano gli Stati Nazionali. Un piccolo aumento, seppur impercettibile, del tasso di interesse può provocare una reazione a catena di insolvenze statali, obbligando i grandi debitori ad uscire allo scoperto. Oggi la Grecia, domani il Portogallo, poi Spagna, Italia, Francia e cosi via. Assistiamo impotenti al crollo del grande inganno, perpetrato da banchieri e governi in combutta.

Il nuovo ordine che nascerà da queste macerie non sarà affatto indolore.
by SED CONFIDITE

09 marzo 2010

Sta per saltare il tappo


Nel Granducato di Curlandia stan succedendo delle cose assai curiose. Dei veri misteri gaudiosi. Ha cominciato un paio di mesi fa Pier Ferdinando Casini, politico di lungo corso, vecchia volpe, il quale, prendendo spunto dalla richiesta di arresto del sottosegretario Cosentino, poi puntualmente negata dalla Camera, aveva affermato: "La Prima Repubblica non è stata uccisa dai giudici di Mani Pulite, era già morta molto prima, quando si era chiusa in una difesa cieca della propria classe politica. Nel clima tempestoso di questi giorni una difesa assoluta e corporativa di tutto e di tutti ci metterà, prima o poi, in una situazione insostenibile nei confronti dell’opinione pubblica”.

Era un improvviso dietro front perché fino ad allora, da parte di tutto il centrodestra, le inchieste di Mani Pulite erano state considerate l’infamia delle infamie, colpevoli di "aver abbattuto, per via giudiziaria, un’intera classe politica" cui lo stesso Casini apparteneva. E Berlusconi, seguito da tutti i suoi, aveva addirittura dichiarato che Mani Pulite era stata "una guerra civile".
Adesso invece si ammette, da parte di Casini, che quelle inchieste avevano scoperchiato un marciume che ad un certo punto era diventato intollerabile per i cittadini. Pochi giorni fa il mellifluo Paolo Mieli ha dichiarato ad Annozero: "Come alla vigilia del 1992 sta per saltare il tappo".

Giuseppe Pisanu (Pdl), presidente dell’Antimafia ha detto: "La corruzione è dilagante, l’Italia può restarne schiacciata". Su Il Giornale Marcello Veneziani in un editoriale intitolato "Questione morale: pazienza (quasi) finita" scrive: "Ultima chiamata prima del baratro". E persino il vilissimo Vespa nella trasmissione di lunedì dedicata all’inchiesta di Firenze è stato un po’, solo un pochino, meno paraculo col Potere del suo solito.

Le più impressionanti sono le conversioni a U di Paolo Mieli e di Marcello Veneziani, due intellettuali che in questi quindici anni hanno avvallato tutte le Cirielli, le Cirami, le leggi “ad personam” e “ad personas”, i lodi Schifani e Alfani, il dimezzamento della prescrizione, per i reati di “lorsignori”, proprio mentre la durata dei processi, grazie anche alle leggi cosiddette “garantiste”, si allungavano e sono stati protagonisti di quella quotidiana, capillare, costante e devastante delegittimazione della magistratura italiana che ha finito per togliere ai rappresentanti della nostra classe dirigente, politica, amministrativa, imprenditoriale, quel poco di senso della legalità che gli era rimasto.

Tanto sapevano che, grazie ai vari marchingegni, non avrebbero mai pagato pegno, né penale né sociale. Mieli è stato complice attraverso i suoi editorialisti di punta, Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia, Piero Ostellino, scatenati contro i magistrati, "l’uso politico della giustizia", il "giustizialismo" (termine che, come il suo contraltare, il "garantismo", non ha alcun senso se riferito a un magistrato: il quale non può applicare la legge né in senso giustizialista né garantista, semplicemente la applica e se non lo fa, per dolo o colpa grave, va denunciato alla Procura della Repubblica competente).

Panebianco è arrivato a scrivere sul Corriere diretto da Mieli: "La legalità, semplicemente non è, e non può essere, un valore in sé" (Corriere, 16/3/95). Marcello Veneziani è stato protagonista in prima persona militando nel Pdl per designazione del quale, e non certo per le sue preclare virtù, ha acchiappato un posto di consigliere di amministrazione della Rai, per cui è grottesco che adesso faccia le lagne sui meriti mortificati, sulle affiliazioni partitiche, sul clientelismo. Chi sperano, costoro, di prendere per il culo? Tuttavia i contorsionismi di Mieli, di Veneziani e degli altri sono estremamente significativi.

Vuol dire che si stan rendendo conto che la gente che va in ufficio o in fabbrica o alza la claire della bottega alle sette del mattino e torna a casa la sera, più o meno alla stessa ora, stanca e scazzata, non ne può più, quale che sia il suo credo politico e ammesso che ce l’abbia (perché c’è un buon 30% di italiani che non si sente rappresentato da nessuno) comincia a non poterne più della corruzione, delle ruberie, dei soprusi, degli abusi, degli arbitri, della sistematica grassazione del denaro della collettività ad opera del sistema dei partiti, di destra e di sinistra, con i loro addentellati amministrativi e imprenditoriali proprio mentre la crisi economica la costringe a stringere la cinghia.

Non ne può più di vedere costoro che piazzano figli, nipoti e cognati in impieghi remunerativi mentre i loro figli fanno una fatica boia a trovarne uno a bassissimo reddito o non ce l’hanno. Ed è anche esasperata dalla pretesa di immunità che questa classe dirigente, Berlusconi in testa ma non solo, avanza per sé e che vuole rafforzare con la reintroduzione dell’immunità parlamentare, il divieto delle intercettazioni telefoniche, la truffa del "processo breve", i "legittimi impedimenti". Quindi i vari Mieli, Veneziani and company cercano di smarcarsi per tempo o, forse, fuori tempo massimo. Anche coloro che, soprattutto nel Pdl, affermano che non è una “nuova Tangentopoli” dimostrano di avere paura che ci sia, come nel 1992-94, una nuova esplosione del furore popolare. Naturalmente mentre qualcuno cerca di defilarsi e di mettere le mani avanti, altri non rinunciano ai soliti espedienti.

Berlusconi, dopo aver affermato che i magistrati di Firenze “dovrebbero vergognarsi”, ha definito “birbanti” gli inquisiti e gli arrestati di questa mandata (che è l’equivalente del “mariuolo” affibbiato da Craxi a Mario Chiesa, per dar ad intendere che si trattava di una mela marcia in un cesto di mele sanissime). Altri ancora parlano di singoli episodi mentre il professor Ernesto Galli della Loggia, nell’ennesimo tentativo di salvare i partiti, ha scritto su Il Corriere: “Non crederemo davvero che la corruzione italiana si riduce a quella dei politici? La verità è che è l’Italia la causa della corruzione”.

È il collaudato trucco del “tutti colpevoli, quindi nessun colpevole”. In ogni caso la corruzione non sale dalla società verso i partiti, come sostiene il Galli della Loggia, ma è vero il contrario. In una democrazia corrotta i partiti comprano il consenso. E per comprarlo hanno bisogno di soldi, di corruzione, di tangenti, dell’uso a tappeto del clientelismo e dell’affiliazione paramafiosa. È così che la corruzione, discendendo giù per i rami, arriva alla società e la inquina. Il Galli della Loggia scova le radici della corruzione italiana "nella nostra storia profonda" e, dopo aver vissuto per settant’anni sulla luna e senza aver mai mosso un dito per contrastare l’andazzo, scopre "che cosa è diventato questo paese".

Per la verità senza andare a pescare nelle “radici della nostra storia profonda”, io ricordo, non dovendo andare poi troppo lontano, anche un’altra Italia che dovrebbe essere nota anche al Galli della Loggia che è più anziano di me. Nell’Italia dei Cinquanta e dei Sessanta l’onestà era un valore per tutti. Per la borghesia se non altro perché dava credito. Per il mondo contadino dove la classica stretta di mano valeva più di un contratto. E per il proletariato. E chi violava questi codici veniva inesorabilmente emarginato dalla propria comunità. E comunque se l’Italia si è ridotta come si è ridotta è anche grazie al professor Ernesto Galli della Loggia e a tutti gli intellettuali azzeccagarbugli che invece di cercare di chiarire le idee alla gente gliele confondono. La classe dirigente di questo paese sta ballando sull’orlo di un vulcano. E qualcuno se ne sta rendendo conto.

Non so se, alla fine, il vulcano erutterà. Non so nemmeno se augurarmelo. Perché ho il fondato sospetto che se ci fosse una nuova “rivoluzione italiana” finirebbe, come dopo Mani Pulite, che a coglierne i frutti non sarebbero coloro che si sono battuti per realizzarla, ma gli eterni Mieli, Veneziani, Galli della Loggia, Pisanu, Cicchitto, Casini o i loro discendenti politici, intellettuali o carnali. E come adesso ci tocca gridare, per disperazione, “aridatece Forlani”, allora saremo costretti a gridare, sempre per disperazione “aridatece Berlusconi”. Che almeno ci metteva la faccia e ogni tanto trovava anche qualcuno che gliela spaccava.
di Massimo Fini

08 marzo 2010

Il carry trade brasiliano, i Rothschild e il BRIC

- Negli scorsi anni, il Brasile ha sviluppato un enorme carry trade che ha consentito a molte banche europee di darsi un'aura di solvibilità. Oltre alle implicazioni finanziarie, questo sistema ha una dimensione geopolitica significativa che interessa la Russia, la Cina e l'India, e cioè quei paesi che LaRouche ha designato, assieme agli Stati Uniti, quali potenziali alleati in una combinazione di potere forte abbastanza da poter imporre una sostituzione dell'attuale sistema finanziario della globalizzazione.

L'impero (britannico) della globalizzazione ha cercato di sabotare questo approccio promovendo un blocco alternativo chiamato BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) basato sulla illusoria promessa che una volta crollato completamente il sistema americano, prevarrà quello britannico con l'aiuto, appunto, del carry trade brasiliano (cfr. Strategic Alert 6/10).

Un elemento chiave dietro questa operazione è, non sorprendentemente, il principale banchiere dell'Impero Britannico nei secoli: la famiglia Rothschild. I rapporti tra i Rothschild e il Brasile sono così profondi che il sito web dell'Archivio Rothschild contiene una pagina speciale sul Brasile, l'unica nazione a ricevere queste attenzioni particolari. Vi si legge che "i legami tra NM Rothschild & Sons e la nazione brasiliana risalgono ai tempi del fondatore della banca", nel primo decennio del XIX secolo.

Oggi colui che Lord Jacob Rothschild chiama "il mio quarto figlio", e cioè il finanziere di Sao Paolo Mario Garnero, ha una forte influenza sul governo di Lula da Silva assieme al Banco Santander, istituto nominalmente spagnolo ma in realtà britannico. Quando si verificò una fuga di capitali dal Brasile durante la campagna elettorale del 2002, motivata dai timori che un governo Lula avrebbe portato al caos o ad azioni contro le banche, Santander decise di rinnovare le sue linee di credito al Brasile, mentre Garnero organizzò un viaggio in USA per i consiglieri di Lula, facendoli incontrare con esponenti di Wall Street e della Casa Bianca.

Garnero opera dal 1975 tramite il gruppo che ha fondato e guida ancor oggi, Brasilinvest. Esso ha funto da battistrada per la privatizzazione e la globalizzazione dell'economia brasiliana. Descrivendosi come la prima banca d'affari brasiliana, Brasilinvest poggia su alleanze con la tradizionale finanza anglo-veneziana, ben rappresentata nel suo consiglio d'amministrazione: da Nat Rothschild al Banco Santander, da Hong Kong and Shanghai Banking Corporation al Monte dei Paschi di Siena, da Carlo de Benedetti alla Societé Generale.

Garnero è finito nell'inchiesta Cirio, per cui si sta celebrando il processo di bancarotta fraudolenta. Ricordiamo che le banche che avevano usato la Cirio per fare il loro "carry trade", hanno venduto i bonds ai risparmiatori sapendo che la Cirio era insolvente.

Nel 2004, il Consiglio Internazionale di Brasilinvest tenne la sua riunione annuale a Londra. Tra i partecipanti vi erano due finanzieri chiave per l'operazione BRIC: il re russo dell'alluminio Oleg Deripaska e l'immobiliarista cinese David Tang (DWC Tang Development). Garnero non solo presentò a Lula Deripaska, ma anche il capo del fondo di investimento cinese CITIC.

Lyndon LaRouche ha ripetutamente ammonito i dirigenti russi, cinesi e indiani contro questa truffa che sembra venire dal Brasile, ma è in realtà made in London. Nel giugno 2002, quattro mesi prima dell'elezione di Lula, LaRouche fu invitato in Brasile a discutere con rappresentanti politici, economici e militari, mentre infuriava il dibattito sulla globalizzazione. L'economista statunitense invitò i brasiliani a non cadere nel tranello ma di battersi per sviluppare il potenziale scientifico, tecnologico ed economico del paese. Lula scelse la via opposta, quella di trasformare il Brasile in una pedina degli interessi finanziari centrati a Londra.
by MoviSOl

03 marzo 2010

La tragedia greca di Goldman

Esistono due tipi di nazioni: quelle che controllano le loro finanze e quelle che “sono finanziate”. (Ezra Pound)


C’è bisogno di una sana ammissione da parte delle persone di buona volontà, di quei lavoratori che formano l’ossatura di una nazione con il loro sudore e con il loro risparmio, ed ammettere che siamo stati irrimediabilmente fregati. Ammettiamolo, perché è l’unico passo per una nuova economia, una nuova società, un nuovo corso degli eventi. La dimensione della truffa alla quale tutti noi siamo stati spettatori partecipi ed entusiasti, marionette da applausi comandati, si sta svelando poco a poco, cadendo sotto il peso della grande bugia che regge la nostra società: il debito inservibile.

Se ne è reso conto anche il New York Times (1), è quindi ora che ci sia una presa di coscienza collettiva. Sempre che il livello di anestesia generale non sia già arrivato allo stato comatoso vegetativo: allora saremmo già sconfitti e non avrebbero senso queste parole. La potente lobby finanziaria, capitanata da Goldman Sachs, ha aiutato Grecia, Italia e probabilmente anche la Francia, a truccare i propri bilanci per poter entrare nell’Unione Europea, attraverso un divertente giochino finanziario, chiamato Swap (2), che risultava invisibile nel bilancio presentato all’Unione Europea. Semplice vero? Immaginate se questo avvenisse con il vostro mutuo o la vostra rata dell’auto. Un giorno andate in banca e chiedete di rendere invisibile le vostre rate del mutuo.

Nella realtà sarebbe impossibile ma non nel fantastico mondo della finanza: l’importante è sapere a quali santi affidarsi e quale di essi è capace di fare i miracoli (rendere invisibili i debiti) ed il gioco è fatto. In questo modo i paesi caratterizzati da un alto deficit nell’Unione europea sono stati ammessi alla zona Euro e sono rientrati miracolosamente nei rigorosi standard di Maastricht (3% debito-Pil). Questo gioco non solo conveniva ai paesi con alto deficit, ma anche alla Germania, che oggi si lamenta e non vorrebbe salvare la Grecia, che ha cosi potuto imporre la sua moneta (l’euro è il marco europeo) favorendo le sue esportazioni in Europa.

In questo modo tutti hanno usufruito dei bassi tassi di interessi offerti dalla zona euro, che sono stati usati per indebitarsi fino all’insostenibile. La cosa più vergognosa di questa storia è la commistione fra interessi finanziari e politici che ha portato alla rovina dell’economia mondiale. I dirigenti della grandi banche, (JP Morgan, Goldman, Citigroup) hanno sempre una poltrona calda che li aspetta una volta che finiscono il loro mandato nelle enormi banche finanziarie. Non ci credete? I segretari del tesoro degli Usa degli ultimi anni provengono da Goldman Sachs: Rubin ha servito l’azienda per 26 anni, passando anche come dirigente di Citigroup per poi approdare al Tesoro USA nel 1995 e Paulson, il penultimo segretario del Tesoro era un uomo Goldman dal 1974. Il nostro intoccabile Mario Draghi, alla guida del Tesoro nel 1996, divenne Vice Direttore di Goldman nel 2002 (3) ed insieme a Prodi (altro consulente Goldman e poi scelto, guarda caso, alla guida della Commissione Europea) hanno fatto sparire i debiti grazie all’appoggio di Goldman proprio nel 1996. Poi a Draghi venne offerta la poltrona della Banca d’Italia nel 2006, dopo lo scandalo di Fabio Fazio. Altra casualità. Assistiamo impotenti allo spettacolo delle porte girevoli che collegano finanza e politica, che per anni sono state fatte girare sotto i nostri occhi, consumando il grande inganno pubblico con la speranza di ricchezza per tutti, benessere e profitto semplice per l’umanità. L’economia ha perso completamente il contatto con la realtà, e la finanza ha spolpato poco a poco i settori dell’agire umano: risparmi, immobili, pensioni, potere d’acquisto, tutto è stato cannibalizzato da questi signori delle porte girevoli. Ci aspettano tempi duri: Soros consiglia ancora più controllo ed assistenza istituzionale per salvare il mercato (4). Tradotto significa più potere alle burocrazie non elette e ai centri di potere invisibili. Il miliardario ungherese mette in dubbio anche il futuro dell’euro: memore delle sue battaglie contro la lira e la sterlina che riuscì a crollare in due giorni, starà già pensando a quello che succederà. In un caso o nell’altro può dormire sonni tranquilli: tanto se la Grecia riceverà gli aiuti sperati tanto se fallirà lui guadagnerà grazie ai CDS (Credit Default Swap) che lo coprono in caso di ripudio del debito ellenico. Però questo si, l’importante è che ci sia un governo mondiale, un organismo che vigili, più “controllo ed assistenza istituzionale”. Le care vecchie raccomandazioni del nonno buono.

Pochi giorni fa è uscito anche l’ultimo numero del Leap 2020 (5), gli analisti francesi che fino a questo momento non hanno sbagliato un colpo nell’anticipare le tappe della crisi. Ritengono che il caso greco, altro non sia che “l’albero che cerca di nascondere il bosco”, ovvero che il caso del debito greco offre l’opportunità per distogliere l’attenzione dagli altri due debiti sovrani (USA e Inghilterra) che sono ben più ingenti e voluminosi. Inoltre in questo modo si riesce a debilitare l’Eurozona in un momento in cui attrarre i capitali sul mercato è sempre più difficile e pieno di competizione. Si profila una guerra economica, senza esclusione di colpi bassi tra gli Stati per poter ottenere l’ossigeno, ovvero i capitali, che permettono mantenere la testa nascosta sotto le montagne di debiti che sovrastano gli Stati Nazionali. Un piccolo aumento, seppur impercettibile, del tasso di interesse può provocare una reazione a catena di insolvenze statali, obbligando i grandi debitori ad uscire allo scoperto. Oggi la Grecia, domani il Portogallo, poi Spagna, Italia, Francia e cosi via. Assistiamo impotenti al crollo del grande inganno, perpetrato da banchieri e governi in combutta.

Il nuovo ordine che nascerà da queste macerie non sarà affatto indolore.
by SED CONFIDITE