19 aprile 2010

Banksters, un po` di fumo negli occhi

http://trendsupdates.com/wp-content/uploads/2009/02/goldman-sachs.jpg


Anche nella patria dei banksters qualcosa si muove.
La Goldman & Sachs, la potente banca d’affari protagonista di scempii sociali e finanziari e della bancarotta delle produzioni nazionali di mezzo mondo, è sotto accusa negli Stati Uniti per frode. Le sue azioni colano a picco perché la Sec, l’organo di controllo federale sulle borse Usa, ha accusato la Goldman di aver creato e venduto prodotti finanziari “collaterali” - detti “cdo” - fasulli e di più che dubbio rendimento agganciati a quei mutui subprime che nell’autunno 2008 hanno travoltoi e devastato le economie anglo-americane trascinando a ruota nel disastro mezzo Occidente.
Siamo tuttavia certi che dopo l’attuale clamore di “propaganda” farà seguito la consueta doccia fredda del prevedibile “nulla di fatto” e cioè del salvataggio della banca dei banksters (non a caso le famiglie Goldman-Sachs e Schapiro - Mary Schapiro è l’attuale governatrice della Sec, nominata qualche mese fa da Obama - sono strettamente collegate).
Tuttavia, a esclusivo beneficio dei nostri lettori, vogliamo ricordare qui brevemente, a futura memoria, tre o quattro eventi e alcuni protagonisti delle performances della Goldman & Sachs.
1869. Fondata da Marcus Goldman. 27 anni dopo, associato il genero Samuel Sachs viene quotata al New York Stock Exchange.
1929. La G%S è già una delle quattro cinque istituzioni finanziarie che governano Wall Street. Rischia il fallimento per aver piazzato “fondi di investimento” privi di rendita. L’anno dopo il socio partener Sydney Weinberg ristruttura l’istituto di lucro che indirizza le sue attenzioni alle aziende e ai servizi. Inventa obbligazioni (prestiti a usura) che intervengono, per fare profitti, sui bilanci e sulle casse dei Comuni Usa. La nuova “guida” degli anni ‘50, Gus Levy, crea il marchingegno della compravendita “serrata” di azioni diretta a rastrellare il risparmio di piccoli investitori priuvati. Negli anni ‘80 diventa la principale “consulente” per “aiutare” i processi di privatizzazioni delle aziende pubbliche nel mondo.
1992. “Gita” nel Britannia, il panfilo della Regina, al largo di Civitavecchia. Assieme all’anfitrione governatore d’Inghilterra e al proprio “agente” Georges Soros, ospiti gli Andreatta, i Draghi e gli altri nomi eccellenti della nascente “seconda repubblica italiana”, pianifica un mega-profitto sulla speculazione sulla lira, che verrà svalutata - misteriosamente troppo tardi - da Ciampi, e uscirà dallo Sme. Quindi avviene il sacco più totale delle grandi aziende strategiche italiane, dalle tlc ai trasporti, all’energia, tutte svendute e privatizzate al peggior offerente. Operazione che verrà pianificata anche in altre nazioni del mondo, in Europa (contro la sterlina) e nell’Asia del sud est (Soros verrà condannato a morte in Malesia per tali operazioni).
Qualche altro nome noto, della sua organizzazione.
Naturalmente Mario Draghi, l’attuale governatore di Bankitalia, vicepresidente di G&S; Romano Prodi, “consulente”; Mario Monti (già commissario Ue); Massimo Tononi (sottosegretario del governo Prodi); Gianni Letta (sottosegretario del governo di Berlusconi. E poi un elenco senza fine di governanti Usa: da Robert Rubin a Henry Paulson, daRobert Zoellich e William Dudley (Fed) e così via.
Ora i suoi titoli stanno andano a picco.
Peccato che, passata la tempesta, verrà salvata.

di Ugo Gaudenzi

16 aprile 2010

COMPETITIVAMENTE AL COLLASSO

Economia A CURA DEL CLUB ORLOV

Ci stiamo confrontando con un periodo di collasso economico, politico e sociale. Ogni giorno che passa ci avvicina sempre di più a questo collasso e non sappiamo nemmeno come fermarci, vero? Ma, quale parte della frase “più duramente ci si prova, più duramente si cade” non capiamo? Perché non siamo in grado di capire che ogni dollaro in più di debito ci porta sempre più velocemente, più duramente e più profondamente verso la bancarotta? Perché non riusciamo ad afferrare il concetto che ogni dollaro investito in spese militari mina la nostra sicurezza? Esiste per caso qualche sorta di debolezza mentale che ci impedisce di capire che ogni dollaro che finisce nell’industria medica ci rende solo più malati? Perché non riusciamo a vedere che ogni figlio messo al mondo in questa situazione insostenibile renderà solo la vita più difficile a tutti i bambini? In breve, quale diavolo è il nostro problema?

Perché non ci fermiamo? Possiamo dare la colpa all’evoluzione, che ha prodotto in noi degli istinti che ci obbligano ad ingozzarci quando il cibo è abbondante, a costruirci riserve di grasso per i periodi di magra. Questi istinti non ci sono utili quando ci si trova in uno di quei buffet sempre aperti.

Questi istinti non sono nemmeno del tutto nostri: anche altri animali non sanno quando fermarsi. Le farfalle banchettano con la frutta fermentata fino a quando non sono troppo ubriache per volare. I maiali continuano a mangiare ghiande fino a quando non sono troppo grassi per stare in piedi e sono costretti a carponare sulla pancia per, ovviamente, riuscire a mangiare altre ghiande. Gli americani che sono troppo grassi per camminare sono considerati come dei disabili e il governo li ha dotati di scooter motorizzati affinché non provino l’umiliazione di carponare sulle loro pance fino ad un buffet all-you-can-eat. Un progresso considerevole.

Oppure diamo colpa alla nostra educazione che mette il ragionamento matematico in cima al senso comune. La matematica fa uso dell’induzione – cioè l’idea che se uno più uno fa due quindi due più uno deve fare tre e così via fino all’infinito. Nel mondo reale, contando le ghiande, una ghianda più una ghianda non è lo stesso di un milione di ghiande più una – non se ci sono scoiattoli che ci girano attorno, soprattutto una volta scoperto che siete stati voi i primi a rubare le loro ghiande. Un milione di ghiande è semplicemente una quantità impossibile da portarsi via e voi siete concentrati invece a trovare il modo per aggiungerne ancora una alla pila mentre state combattendo contro gli scoiattoli facendo venir voglia ai bambini di iniziare a deridervi con nomi stupidi. La pila di ghiande cresce, ancora più di quanto previsto ma in questo modo non state facendo altro che commettere un errore sempre più grande dimostrando che 1.000.000 + 1 è effettivamente 1.000.001 - ∂, dove ∂ è il numero di ghiande di cui avete perso le tracce, chissà dove. Una volta che ∂ > 0, voi avete in realtà messo da parte qualcosa che è in diminuzione e una volta che ∂ > 1 avrete un vero e proprio risparmio negativo. Nella realtà dei fatti, per quanto pensiate possa questo essere un grande numero, nella realtà, si rivelerà sempre più piccolo. Come risultato può non essere soddisfacente e non ci sono teorie a supporto di questa tesi ma, in compenso, è qualcosa che si può osservare ovunque. Il fatto è che non siamo in grado di spiegare tutto ciò che succede usando solo il nostro cervellino da primate ma questo non rende i fenomeni meno reali.

Il concetto di risparmio decrescente è abbastanza semplice da comprendere e da osservare, eppure è notoriamente difficile da percepire dalle persone che stanno cercando di ottenerlo. Il punto centrale del risparmio decrescente effettivamente è difficile da individuare perché ci siamo allontanati talmente tanto da quel punto da non essere in grado di riconoscere niente. Se voi ora beveste un drink sapreste dirmi quando sarete al punto di ottenere un risparmio decrescente? Un altro drink vi renderebbe più felici e socievoli o non farebbe poi molta differenza? Oppure vi causerà un imbarazzante dopo-sbronza? O ancora, vi farà arrivare al pronto soccorso perché avete respirato il vostro vomito? Come regola generale, più di quanto possiate pensare, tutto dipende dalla difficoltà per voi di tracciare delle sottili distinzioni tra tutte queste cose. Questa regola non è legata solo al bere ma si può applicare a quasi tutti i comportamenti legati alla produzione di euforia o alla semplice soddisfazione dei bisogni. La maggior parte di noi è in grado di fermarsi prima di bere troppa acqua o mangiare troppo porridge o di accatastare troppe balle di fieno. Invece tendiamo a commettere degli errori con l’autocontrollo quando si parla di cose particolarmente piacevoli o che causano assuefazione come droghe, tabacco, alcol e cibi particolarmente gustosi. In più tendiamo a perdere completamente l’autocontrollo quando quest’iniezione di euforia riguarda aspetti sociali quasi intangibili come l’ingordigia, la ricerca di uno status, il potere e così via.

Questo è il meglio che siamo in grado di fare? Assolutamente no! La cultura umana è piena di esempi in cui le persone decidono di opporsi con successo a queste tendenze primitive. Gli antichi greci fecero della moderazione una virtù: il tempo di Apollo a Delfi porta l’iscrizione “Niente in eccesso”; la tradizione taoista si basa sull’idea di equilibrio tra lo ying e lo yang, forze apparentemente in contrasto ma che in realtà lavorano insieme per mantenere questo equilibrio. Anche nella moderna cultura dell'ingegneria esiste il motto “Il meglio è nemico del bene” (Voltaire) sebbene, sfortunatamente, gli ingegneri abbastanza bravi da rispettare questo motto siano una rarità. A livello microscopico il business che li circonda li forza perennemente ad ottenere il massimo (inteso come massima crescita, reddito e profitto) o un minimo poco intelligente (di costi, di ciclo di produzione e di manutenzione); sono costretti a fare questo a causa dell’influenza di un pernicioso concetto che si è insinuato in loro e in molti altri aspetti della cultura: il concetto di competizione.

Il concetto di competizione sembra essere stato il primo ad elevarsi allo status di culto al tempo dei giochi intesi come forma di sacrificio agli dei, in culture molto differenti come quella dell’antica Grecia o dei Maya, in cui gli eventi competitivi erano concepiti come mezzo per compiacere gli dei. Io preferisco decisamente la versione olimpica, in cui il principio ispiratore del gioco era l’ideale di perfezione umana sia nella forma che nella funzione, rispetto a quella dei Maya, in cui risultato dei giochi era il modo per decidere chi sarebbe stato sacrificato sull’altare di qualche particolare archetipo culturale, ma essendo abbastanza di mentalità aperta sono in grado di accettare anche questo principio come valido. È stato Aristotele a sottolineare che l’inseguimento del principio primo non è un’area in cui la moderazione non può essere d’aiuto, e chi sono io per contraddire Aristotele? Ma quando ci si sposta dal difendere un ideale o un principio alla vita mondana, pratica e utilitaristica, è l’idea stessa della competizione che dovrebbe essere vista come un’offerta buona, calda e gustosa sacrificata sull’altare del nostro buon senso.

Se il fine è conseguire un successo adeguato con uno sforzo minimo, perché due persone dovrebbero competere per uno stesso lavoro? E se esiste abbastanza lavoro per tutti e due perché questi non dovrebbero collaborare invece di sprecare energie nella competizione? Beh, forse ad entrambi è stato fatto il lavaggio del cervello che li ha portati a pensare di dover competere per avere successo, ma non è questo il punto. Il punto è che c’è una grande differenza tra il competere per rispondere ad un principio come quello della perfezione divina e il competere per il mero denaro. Non c’è niente di divino in una montagna di soldi e, proprio come per una montagna di ghiande, gli scoiattoli attratti saranno molti; infatti chi si trova seduto su una qualche pila di ghiande spesso sembra egli stesso uno scoiattolo. Mischiando un po’ di metafore si può dire che sembri una gallina che sta arrostendo sulla sua pila di ghiande non aspettando altro che quella si trasformi in più ghiande ancora; ma sia che siano scoiattoli o galline certamente non si tratta di divinità e le loro ghiande non valgono certo il nostro sacrificio.

Una volta dispensata l’idea che la competizione è qualcosa di necessario, o addirittura auspicabile, si aprono nuove scuole di pensiero. Quando si può dire di possedere abbastanza? Probabilmente è molto meno di quanto possediamo in questo momento. Quanto duramente bisogna lavorare per riuscire ad ottenere questo risultato? Probabilmente molto più duramente di quanto stiamo lavorando adesso. Cosa succede se non sentiamo di possedere abbastanza? Beh, probabilmente sarebbe il caso di metterci un po’ più di impegno, oppure forse è arrivato il momento di prendersi qualche ghianda da chi continua ad averne troppe. Dato che possedere troppo è un lavoraccio (maledetti scoiattoli!) noi dobbiamo prestare loro il nostro aiuto. Di certo non a diventare come loro, dato che noi sappiamo che quelle persone si stanno dirigendo verso un pittoresco, esclusivo, piccolo posto chiamato collasso. Quello che probabilmente potremmo fare è invece stabilire una specie di bilancia, in cui abbastanza è effettivamente abbastanza.

Titolo originale: "Collapse Competitively"

15 aprile 2010

Le prossime guerre europee del debito


Il debito governativo in Grecia è solamente la prima di una serie di bombe del debito europeo pronte ad esplodere. I mutui immobiliari nelle economie post-sovietiche e in Islanda sono ancor più esplosivi. Anche se questi paesi non si trovano nell’Eurozona, la maggior parte dei loro debiti è espressa in euro. All’incirca l’87% dei debiti della Lettonia è in euro o in altre valute straniere, e il paese è indebitato principalmente con banche svedesi, mentre Ungheria e Romania sono indebitate in euro soprattutto con banche austriache. Quindi i prestiti contratti dai membri non appartenenti all’euro sono serviti a sostenere i tassi di cambio per pagare questi debiti del settore privato alle banche straniere, non a finanziare i disavanzi di bilancio interni come in Grecia.



Tutti questi debiti sono insostenibilmente elevati perché la maggior parte di questi paesi sta avendo dei profondi disavanzi di bilancio e sta sprofondando nella depressione. Ora che i prezzi reali dell’immobiliare stanno diminuendo, i disavanzi commerciali non sono più finanziati da un flusso interno di prestiti sui mutui immobiliari e da acquisizioni immobiliari in valuta straniera. Non c’è alcun modo tangibile per stabilizzare le valute (ad esempio, economie in buona salute). Nell’ultimo anno questi paesi hanno sostenuto i loro tassi di cambio prendendo a prestito dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. I termini di questi prestiti sono politicamente insostenibili: forti tagli ai bilanci del settore pubblico, aliquote fiscali più alte per i lavoratori già tassati in modo eccessivo e piani di austerità che mandano a picco le economie e obbligano altri lavoratori ad emigrare.

I banchieri in Svezia, Austria, Germania e in Gran Bretagna scopriranno che l’estensione del credito a nazioni che non possono (o non potranno) pagare potrebbe essere un problema loro, e non dei loro debitori. Nessuno vuole accettare il fatto che i debiti che non possono essere pagati non verranno comunque pagati. Qualcuno si deve accollare i costi perché i debiti diventano insolventi o vengono svalutati, per essere pagati in valute fortemente svalutate, ma molti esperti legali trovano inapplicabili gli accordi sui debiti che debbano venire restituiti in euro. Ogni nazione sovrana ha il diritto di legiferare i propri termini sul debito e i prossimi riallineamenti valutari e le svalutazioni dei debiti saranno molto più che semplici “tosate”.

Non c’è alcun motivo per una svalutazione, a meno che ci si trovi in “eccesso” – vale a dire, quanto basta per cambiare veramente i modelli commerciali e i modelli di produzione. Fu questa la ragione per la quale Franklin Roosevelt svalutò il dollaro americano del 75% nei confronti dell’oro nel 1933, aumentandone il prezzo ufficiale da 20 a 35 dollari l’oncia. E per evitare di far aumentare in modo proporzionale il peso del debito degli Stati Uniti, Roosevelt annullò la “clausola aurifera” indicizzando il pagamento dei prestiti bancari al prezzo dell’oro. Questo è il terreno in cui si svolgerà oggi la battaglia politica – sul pagamento del debito in valute che sono svalutate.

Un altro effetto collaterale della Grande Depressione negli Stati Uniti e in Canada fu di esonerare i debitori di mutui immobiliari dalla responsabilità personale, rendendo possible la ripresa dalla bancarotta. Le banche pignoratrici possono entrare in possesso di immobiliari collaterali ma non possono avanzare alcuna ulteriore rivendicazione sui mutui. Questa pratica – fondata sulla Common Law – mostra come il Nordamerica si è liberato dal retaggio del potere del creditore in stile feudale e dalla pena della reclusione per i debitori che avevano reso così severe le precedenti leggi europee sul debito.

La domanda è: chi si accollerà le perdite? Mantenere i debiti espressi in euro porterebbe alla rovina la maggior parte delle attività locali e del mercato immobiliare. Al contrario, riesprimere questi debiti in valuta locale svalutata spazzerebbe via il capitale di molte banche con sede in Europa. Ma queste banche sono straniere, dopotutto – e alla fine, i governi devono rappresentato il proprio elettorato interno. Le banche straniere non votano.

I titolari stranieri di dollari hanno perso i 29/30 del valore in oro del loro patrimonio da quando gli Stati Uniti hanno cessato, nel 1971, di esprimere in oro i disavanzi della bilancia dei pagamenti. Ora essi ricevono meno di un trentesimo di questo valore poiché il prezzo è salito a 1.100 dollari l’oncia. Se il mondo riesce ad adattarsi, perché non dovrebbe adattarsi facilmente all’imminente svalutazione del debito europeo? Ma c’è una crescente accettazione del fatto che le economie post-sovietiche erano strutturate fin dall’inizio per favorire gli interessi stranieri e non le economie locali. Ad esempio, la manodopera lettone è tassata per oltre il 50% (lavoratori, datore di lavoro e tassa sociale) – così elevata da renderla non competitiva mentre le tasse sulla proprietà sono meno dell’1% rendendole un incentivo verso la speculazione più dilagante. Questo filosofia fiscale distorta ha reso le “tigri baltiche” e l’Europa centrale dei mercati di prestito primari per le banche svedesi e austriache, ma i loro lavoratori non riuscivano a trovare un impiego ben pagato in patria. Nessuno di questi aspetti (o le loro pessime leggi di protezione dei luoghi di lavoro) si trova nelle economie di Europa Occidentale, Nordamerica e Asia.

Sembra illogico e irrealistico attendersi che ampi settori della popolazione della Nuova Europa possano essere rese oggetto di trattenute sui salari per tutto il tempo della loro vita, riducendole ad un’esistenza di schiavitù dal debito. I rapporti futuri tra la Vecchia e la Nuova Europa dipenderanno dalla volontà dell’Eurozona di riprogettare le economie post-sovietiche su linee maggiormente solvibili – con un credito più produttivo e un sistema fiscale meno orientato a chi vive di rendita che favorisca l’occupazione piuttosto che l’inflazione sul prezzo dei beni, che porta solamente ad un’emigrazione dei lavoratori. Oltre al riallineamento della valuta per affrontare il debito insostenibile, la linea indicata per questi paesi è un imponente spostamento fiscale dalla manodopera alla terra, rendendoli più simili all’Europa occidentale. Non c’è altra alternativa. Altrimenti l’atavico conflitto di interessi tra creditori e debitori minaccia di separare l’Europa in due fronti politici contrapposti, con l’Islanda che fa da prova generale.

Finché questo problema del debito non verrà risolto – e l’unico modo per risolverlo è quello di negoziare una svalutazione del debito – l’espansione europea (l’assorbimento della Nuova Europa nella Vecchia Europa) sembra conclusa. Ma la transizione verso questa soluzione futura non sarà semplice. Gli interessi finanziari esercitano ancora un potere dominante sull’UE, e resisteranno all’inevitabile. Gordon Brown ha mostrato la sua vera natura nelle sue minacce contro l’Islanda secondo cui utilizzerebbe in modo illegale e scorretto il FMI come un addetto al recupero crediti per i debiti che l’Islanda legalmente non deve restituire, e per bocciare l’adesione islandese all’UE.

Messo di fronte alle prepotenze di Brown – e di quelle dei leccapiedi olandesi – il 97% degli elettori islandesi si è opposto all’accordo sul debito che Gran Bretagna e Olanda avevano cercato di far ingoiare ai membri del parlamento islandese il mese scorso. Un simile plebiscito non si vedeva dai tempi del periodo staliniano.

Questo è solamente un assaggio. La sceltà che l’Europa andrà a fare probabilmente porterà milioni di persone nelle strade. Muteranno le alleanze politiche ed economiche, si sbricioleranno le valute, cadranno i governi. L’Unione Europea e, sicuramente, anche il sistema finanziario internazionale cambieranno in strutture che ancora non abbiamo visto, specialmente se le nazioni adotteranno il modello dell’Argentina e si rifiuteranno di pagare se non verranno elargiti sconti generosi.

Il pagamento in euro – per i flussi immobiliari ed i redditi personali in equity negativo, dove i debiti superano il valore attuale dei flussi di reddito disponibili per pagare mutui o, anche, debiti personali – è impossibile per le nazioni che sperano di mantenere un briciolo di società civile. I “piani di austerità” in stile FMI e UE rappresentano in gergo asettico e tecnocratico la riduzione dell’aspettativa di vita e il micidiale sventramento dei redditi, dei servizi sociali, delle spese sanitarie negli ospedali, dell’istruzione e di altri bisogni primari, e la svendita delle infrastrutture pubbliche ad acquirenti che trasformano le nazioni in “economie a pedaggio” in cui ognuno è obbligato a pagare una quota d’ingresso per strade, istruzione, assistenza sanitaria e altri costi per vivere e avere attività commerciali che da tempo sono sovvenzionate dalla tassazione progressiva in Nordamerica e in Europa occidentale.

Le linee di battaglia sono state tracciate in merito a come debbano essere ripagati i debiti del settore privato e del settore pubblico. Per le nazioni che esitano a pagare in euro, le nazioni creditrici hanno sempre pronto in attesa il loro “protettore”: le agenzie di rating. Al primo segnale di una nazione che tentenna a pagare in valuta forte, o addirittura al primo dubbio sollevato sulla correttezza di un debito verso l’estero, le agenzie si muoveranno per ridurre la valutazione del credito di una nazione. Questo farà aumentare il costo dei prestiti e minaccerà di paralizzare l’economia che avrà un bisogno estremo di credito.

L’ultimo colpo in ordine di tempo è stato sparato il 6 aprile quando Moody’s ha declassato il debito dell’Islanda da stabile a negativo. “Moody’s ha ammesso che l’Islanda potrebbe ancora ricevere un trattamento migliore con un rinnovo dei negoziati ma ha detto che l’attuale incertezza stava danneggiando le prospettive economiche e finanziarie a breve termine del paese.” [1]

La battaglia è in corso. Dovrebbe essere un decennio interessante.

Michael Hudson

19 aprile 2010

Banksters, un po` di fumo negli occhi

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Anche nella patria dei banksters qualcosa si muove.
La Goldman & Sachs, la potente banca d’affari protagonista di scempii sociali e finanziari e della bancarotta delle produzioni nazionali di mezzo mondo, è sotto accusa negli Stati Uniti per frode. Le sue azioni colano a picco perché la Sec, l’organo di controllo federale sulle borse Usa, ha accusato la Goldman di aver creato e venduto prodotti finanziari “collaterali” - detti “cdo” - fasulli e di più che dubbio rendimento agganciati a quei mutui subprime che nell’autunno 2008 hanno travoltoi e devastato le economie anglo-americane trascinando a ruota nel disastro mezzo Occidente.
Siamo tuttavia certi che dopo l’attuale clamore di “propaganda” farà seguito la consueta doccia fredda del prevedibile “nulla di fatto” e cioè del salvataggio della banca dei banksters (non a caso le famiglie Goldman-Sachs e Schapiro - Mary Schapiro è l’attuale governatrice della Sec, nominata qualche mese fa da Obama - sono strettamente collegate).
Tuttavia, a esclusivo beneficio dei nostri lettori, vogliamo ricordare qui brevemente, a futura memoria, tre o quattro eventi e alcuni protagonisti delle performances della Goldman & Sachs.
1869. Fondata da Marcus Goldman. 27 anni dopo, associato il genero Samuel Sachs viene quotata al New York Stock Exchange.
1929. La G%S è già una delle quattro cinque istituzioni finanziarie che governano Wall Street. Rischia il fallimento per aver piazzato “fondi di investimento” privi di rendita. L’anno dopo il socio partener Sydney Weinberg ristruttura l’istituto di lucro che indirizza le sue attenzioni alle aziende e ai servizi. Inventa obbligazioni (prestiti a usura) che intervengono, per fare profitti, sui bilanci e sulle casse dei Comuni Usa. La nuova “guida” degli anni ‘50, Gus Levy, crea il marchingegno della compravendita “serrata” di azioni diretta a rastrellare il risparmio di piccoli investitori priuvati. Negli anni ‘80 diventa la principale “consulente” per “aiutare” i processi di privatizzazioni delle aziende pubbliche nel mondo.
1992. “Gita” nel Britannia, il panfilo della Regina, al largo di Civitavecchia. Assieme all’anfitrione governatore d’Inghilterra e al proprio “agente” Georges Soros, ospiti gli Andreatta, i Draghi e gli altri nomi eccellenti della nascente “seconda repubblica italiana”, pianifica un mega-profitto sulla speculazione sulla lira, che verrà svalutata - misteriosamente troppo tardi - da Ciampi, e uscirà dallo Sme. Quindi avviene il sacco più totale delle grandi aziende strategiche italiane, dalle tlc ai trasporti, all’energia, tutte svendute e privatizzate al peggior offerente. Operazione che verrà pianificata anche in altre nazioni del mondo, in Europa (contro la sterlina) e nell’Asia del sud est (Soros verrà condannato a morte in Malesia per tali operazioni).
Qualche altro nome noto, della sua organizzazione.
Naturalmente Mario Draghi, l’attuale governatore di Bankitalia, vicepresidente di G&S; Romano Prodi, “consulente”; Mario Monti (già commissario Ue); Massimo Tononi (sottosegretario del governo Prodi); Gianni Letta (sottosegretario del governo di Berlusconi. E poi un elenco senza fine di governanti Usa: da Robert Rubin a Henry Paulson, daRobert Zoellich e William Dudley (Fed) e così via.
Ora i suoi titoli stanno andano a picco.
Peccato che, passata la tempesta, verrà salvata.

di Ugo Gaudenzi

16 aprile 2010

COMPETITIVAMENTE AL COLLASSO

Economia A CURA DEL CLUB ORLOV

Ci stiamo confrontando con un periodo di collasso economico, politico e sociale. Ogni giorno che passa ci avvicina sempre di più a questo collasso e non sappiamo nemmeno come fermarci, vero? Ma, quale parte della frase “più duramente ci si prova, più duramente si cade” non capiamo? Perché non siamo in grado di capire che ogni dollaro in più di debito ci porta sempre più velocemente, più duramente e più profondamente verso la bancarotta? Perché non riusciamo ad afferrare il concetto che ogni dollaro investito in spese militari mina la nostra sicurezza? Esiste per caso qualche sorta di debolezza mentale che ci impedisce di capire che ogni dollaro che finisce nell’industria medica ci rende solo più malati? Perché non riusciamo a vedere che ogni figlio messo al mondo in questa situazione insostenibile renderà solo la vita più difficile a tutti i bambini? In breve, quale diavolo è il nostro problema?

Perché non ci fermiamo? Possiamo dare la colpa all’evoluzione, che ha prodotto in noi degli istinti che ci obbligano ad ingozzarci quando il cibo è abbondante, a costruirci riserve di grasso per i periodi di magra. Questi istinti non ci sono utili quando ci si trova in uno di quei buffet sempre aperti.

Questi istinti non sono nemmeno del tutto nostri: anche altri animali non sanno quando fermarsi. Le farfalle banchettano con la frutta fermentata fino a quando non sono troppo ubriache per volare. I maiali continuano a mangiare ghiande fino a quando non sono troppo grassi per stare in piedi e sono costretti a carponare sulla pancia per, ovviamente, riuscire a mangiare altre ghiande. Gli americani che sono troppo grassi per camminare sono considerati come dei disabili e il governo li ha dotati di scooter motorizzati affinché non provino l’umiliazione di carponare sulle loro pance fino ad un buffet all-you-can-eat. Un progresso considerevole.

Oppure diamo colpa alla nostra educazione che mette il ragionamento matematico in cima al senso comune. La matematica fa uso dell’induzione – cioè l’idea che se uno più uno fa due quindi due più uno deve fare tre e così via fino all’infinito. Nel mondo reale, contando le ghiande, una ghianda più una ghianda non è lo stesso di un milione di ghiande più una – non se ci sono scoiattoli che ci girano attorno, soprattutto una volta scoperto che siete stati voi i primi a rubare le loro ghiande. Un milione di ghiande è semplicemente una quantità impossibile da portarsi via e voi siete concentrati invece a trovare il modo per aggiungerne ancora una alla pila mentre state combattendo contro gli scoiattoli facendo venir voglia ai bambini di iniziare a deridervi con nomi stupidi. La pila di ghiande cresce, ancora più di quanto previsto ma in questo modo non state facendo altro che commettere un errore sempre più grande dimostrando che 1.000.000 + 1 è effettivamente 1.000.001 - ∂, dove ∂ è il numero di ghiande di cui avete perso le tracce, chissà dove. Una volta che ∂ > 0, voi avete in realtà messo da parte qualcosa che è in diminuzione e una volta che ∂ > 1 avrete un vero e proprio risparmio negativo. Nella realtà dei fatti, per quanto pensiate possa questo essere un grande numero, nella realtà, si rivelerà sempre più piccolo. Come risultato può non essere soddisfacente e non ci sono teorie a supporto di questa tesi ma, in compenso, è qualcosa che si può osservare ovunque. Il fatto è che non siamo in grado di spiegare tutto ciò che succede usando solo il nostro cervellino da primate ma questo non rende i fenomeni meno reali.

Il concetto di risparmio decrescente è abbastanza semplice da comprendere e da osservare, eppure è notoriamente difficile da percepire dalle persone che stanno cercando di ottenerlo. Il punto centrale del risparmio decrescente effettivamente è difficile da individuare perché ci siamo allontanati talmente tanto da quel punto da non essere in grado di riconoscere niente. Se voi ora beveste un drink sapreste dirmi quando sarete al punto di ottenere un risparmio decrescente? Un altro drink vi renderebbe più felici e socievoli o non farebbe poi molta differenza? Oppure vi causerà un imbarazzante dopo-sbronza? O ancora, vi farà arrivare al pronto soccorso perché avete respirato il vostro vomito? Come regola generale, più di quanto possiate pensare, tutto dipende dalla difficoltà per voi di tracciare delle sottili distinzioni tra tutte queste cose. Questa regola non è legata solo al bere ma si può applicare a quasi tutti i comportamenti legati alla produzione di euforia o alla semplice soddisfazione dei bisogni. La maggior parte di noi è in grado di fermarsi prima di bere troppa acqua o mangiare troppo porridge o di accatastare troppe balle di fieno. Invece tendiamo a commettere degli errori con l’autocontrollo quando si parla di cose particolarmente piacevoli o che causano assuefazione come droghe, tabacco, alcol e cibi particolarmente gustosi. In più tendiamo a perdere completamente l’autocontrollo quando quest’iniezione di euforia riguarda aspetti sociali quasi intangibili come l’ingordigia, la ricerca di uno status, il potere e così via.

Questo è il meglio che siamo in grado di fare? Assolutamente no! La cultura umana è piena di esempi in cui le persone decidono di opporsi con successo a queste tendenze primitive. Gli antichi greci fecero della moderazione una virtù: il tempo di Apollo a Delfi porta l’iscrizione “Niente in eccesso”; la tradizione taoista si basa sull’idea di equilibrio tra lo ying e lo yang, forze apparentemente in contrasto ma che in realtà lavorano insieme per mantenere questo equilibrio. Anche nella moderna cultura dell'ingegneria esiste il motto “Il meglio è nemico del bene” (Voltaire) sebbene, sfortunatamente, gli ingegneri abbastanza bravi da rispettare questo motto siano una rarità. A livello microscopico il business che li circonda li forza perennemente ad ottenere il massimo (inteso come massima crescita, reddito e profitto) o un minimo poco intelligente (di costi, di ciclo di produzione e di manutenzione); sono costretti a fare questo a causa dell’influenza di un pernicioso concetto che si è insinuato in loro e in molti altri aspetti della cultura: il concetto di competizione.

Il concetto di competizione sembra essere stato il primo ad elevarsi allo status di culto al tempo dei giochi intesi come forma di sacrificio agli dei, in culture molto differenti come quella dell’antica Grecia o dei Maya, in cui gli eventi competitivi erano concepiti come mezzo per compiacere gli dei. Io preferisco decisamente la versione olimpica, in cui il principio ispiratore del gioco era l’ideale di perfezione umana sia nella forma che nella funzione, rispetto a quella dei Maya, in cui risultato dei giochi era il modo per decidere chi sarebbe stato sacrificato sull’altare di qualche particolare archetipo culturale, ma essendo abbastanza di mentalità aperta sono in grado di accettare anche questo principio come valido. È stato Aristotele a sottolineare che l’inseguimento del principio primo non è un’area in cui la moderazione non può essere d’aiuto, e chi sono io per contraddire Aristotele? Ma quando ci si sposta dal difendere un ideale o un principio alla vita mondana, pratica e utilitaristica, è l’idea stessa della competizione che dovrebbe essere vista come un’offerta buona, calda e gustosa sacrificata sull’altare del nostro buon senso.

Se il fine è conseguire un successo adeguato con uno sforzo minimo, perché due persone dovrebbero competere per uno stesso lavoro? E se esiste abbastanza lavoro per tutti e due perché questi non dovrebbero collaborare invece di sprecare energie nella competizione? Beh, forse ad entrambi è stato fatto il lavaggio del cervello che li ha portati a pensare di dover competere per avere successo, ma non è questo il punto. Il punto è che c’è una grande differenza tra il competere per rispondere ad un principio come quello della perfezione divina e il competere per il mero denaro. Non c’è niente di divino in una montagna di soldi e, proprio come per una montagna di ghiande, gli scoiattoli attratti saranno molti; infatti chi si trova seduto su una qualche pila di ghiande spesso sembra egli stesso uno scoiattolo. Mischiando un po’ di metafore si può dire che sembri una gallina che sta arrostendo sulla sua pila di ghiande non aspettando altro che quella si trasformi in più ghiande ancora; ma sia che siano scoiattoli o galline certamente non si tratta di divinità e le loro ghiande non valgono certo il nostro sacrificio.

Una volta dispensata l’idea che la competizione è qualcosa di necessario, o addirittura auspicabile, si aprono nuove scuole di pensiero. Quando si può dire di possedere abbastanza? Probabilmente è molto meno di quanto possediamo in questo momento. Quanto duramente bisogna lavorare per riuscire ad ottenere questo risultato? Probabilmente molto più duramente di quanto stiamo lavorando adesso. Cosa succede se non sentiamo di possedere abbastanza? Beh, probabilmente sarebbe il caso di metterci un po’ più di impegno, oppure forse è arrivato il momento di prendersi qualche ghianda da chi continua ad averne troppe. Dato che possedere troppo è un lavoraccio (maledetti scoiattoli!) noi dobbiamo prestare loro il nostro aiuto. Di certo non a diventare come loro, dato che noi sappiamo che quelle persone si stanno dirigendo verso un pittoresco, esclusivo, piccolo posto chiamato collasso. Quello che probabilmente potremmo fare è invece stabilire una specie di bilancia, in cui abbastanza è effettivamente abbastanza.

Titolo originale: "Collapse Competitively"

15 aprile 2010

Le prossime guerre europee del debito


Il debito governativo in Grecia è solamente la prima di una serie di bombe del debito europeo pronte ad esplodere. I mutui immobiliari nelle economie post-sovietiche e in Islanda sono ancor più esplosivi. Anche se questi paesi non si trovano nell’Eurozona, la maggior parte dei loro debiti è espressa in euro. All’incirca l’87% dei debiti della Lettonia è in euro o in altre valute straniere, e il paese è indebitato principalmente con banche svedesi, mentre Ungheria e Romania sono indebitate in euro soprattutto con banche austriache. Quindi i prestiti contratti dai membri non appartenenti all’euro sono serviti a sostenere i tassi di cambio per pagare questi debiti del settore privato alle banche straniere, non a finanziare i disavanzi di bilancio interni come in Grecia.



Tutti questi debiti sono insostenibilmente elevati perché la maggior parte di questi paesi sta avendo dei profondi disavanzi di bilancio e sta sprofondando nella depressione. Ora che i prezzi reali dell’immobiliare stanno diminuendo, i disavanzi commerciali non sono più finanziati da un flusso interno di prestiti sui mutui immobiliari e da acquisizioni immobiliari in valuta straniera. Non c’è alcun modo tangibile per stabilizzare le valute (ad esempio, economie in buona salute). Nell’ultimo anno questi paesi hanno sostenuto i loro tassi di cambio prendendo a prestito dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. I termini di questi prestiti sono politicamente insostenibili: forti tagli ai bilanci del settore pubblico, aliquote fiscali più alte per i lavoratori già tassati in modo eccessivo e piani di austerità che mandano a picco le economie e obbligano altri lavoratori ad emigrare.

I banchieri in Svezia, Austria, Germania e in Gran Bretagna scopriranno che l’estensione del credito a nazioni che non possono (o non potranno) pagare potrebbe essere un problema loro, e non dei loro debitori. Nessuno vuole accettare il fatto che i debiti che non possono essere pagati non verranno comunque pagati. Qualcuno si deve accollare i costi perché i debiti diventano insolventi o vengono svalutati, per essere pagati in valute fortemente svalutate, ma molti esperti legali trovano inapplicabili gli accordi sui debiti che debbano venire restituiti in euro. Ogni nazione sovrana ha il diritto di legiferare i propri termini sul debito e i prossimi riallineamenti valutari e le svalutazioni dei debiti saranno molto più che semplici “tosate”.

Non c’è alcun motivo per una svalutazione, a meno che ci si trovi in “eccesso” – vale a dire, quanto basta per cambiare veramente i modelli commerciali e i modelli di produzione. Fu questa la ragione per la quale Franklin Roosevelt svalutò il dollaro americano del 75% nei confronti dell’oro nel 1933, aumentandone il prezzo ufficiale da 20 a 35 dollari l’oncia. E per evitare di far aumentare in modo proporzionale il peso del debito degli Stati Uniti, Roosevelt annullò la “clausola aurifera” indicizzando il pagamento dei prestiti bancari al prezzo dell’oro. Questo è il terreno in cui si svolgerà oggi la battaglia politica – sul pagamento del debito in valute che sono svalutate.

Un altro effetto collaterale della Grande Depressione negli Stati Uniti e in Canada fu di esonerare i debitori di mutui immobiliari dalla responsabilità personale, rendendo possible la ripresa dalla bancarotta. Le banche pignoratrici possono entrare in possesso di immobiliari collaterali ma non possono avanzare alcuna ulteriore rivendicazione sui mutui. Questa pratica – fondata sulla Common Law – mostra come il Nordamerica si è liberato dal retaggio del potere del creditore in stile feudale e dalla pena della reclusione per i debitori che avevano reso così severe le precedenti leggi europee sul debito.

La domanda è: chi si accollerà le perdite? Mantenere i debiti espressi in euro porterebbe alla rovina la maggior parte delle attività locali e del mercato immobiliare. Al contrario, riesprimere questi debiti in valuta locale svalutata spazzerebbe via il capitale di molte banche con sede in Europa. Ma queste banche sono straniere, dopotutto – e alla fine, i governi devono rappresentato il proprio elettorato interno. Le banche straniere non votano.

I titolari stranieri di dollari hanno perso i 29/30 del valore in oro del loro patrimonio da quando gli Stati Uniti hanno cessato, nel 1971, di esprimere in oro i disavanzi della bilancia dei pagamenti. Ora essi ricevono meno di un trentesimo di questo valore poiché il prezzo è salito a 1.100 dollari l’oncia. Se il mondo riesce ad adattarsi, perché non dovrebbe adattarsi facilmente all’imminente svalutazione del debito europeo? Ma c’è una crescente accettazione del fatto che le economie post-sovietiche erano strutturate fin dall’inizio per favorire gli interessi stranieri e non le economie locali. Ad esempio, la manodopera lettone è tassata per oltre il 50% (lavoratori, datore di lavoro e tassa sociale) – così elevata da renderla non competitiva mentre le tasse sulla proprietà sono meno dell’1% rendendole un incentivo verso la speculazione più dilagante. Questo filosofia fiscale distorta ha reso le “tigri baltiche” e l’Europa centrale dei mercati di prestito primari per le banche svedesi e austriache, ma i loro lavoratori non riuscivano a trovare un impiego ben pagato in patria. Nessuno di questi aspetti (o le loro pessime leggi di protezione dei luoghi di lavoro) si trova nelle economie di Europa Occidentale, Nordamerica e Asia.

Sembra illogico e irrealistico attendersi che ampi settori della popolazione della Nuova Europa possano essere rese oggetto di trattenute sui salari per tutto il tempo della loro vita, riducendole ad un’esistenza di schiavitù dal debito. I rapporti futuri tra la Vecchia e la Nuova Europa dipenderanno dalla volontà dell’Eurozona di riprogettare le economie post-sovietiche su linee maggiormente solvibili – con un credito più produttivo e un sistema fiscale meno orientato a chi vive di rendita che favorisca l’occupazione piuttosto che l’inflazione sul prezzo dei beni, che porta solamente ad un’emigrazione dei lavoratori. Oltre al riallineamento della valuta per affrontare il debito insostenibile, la linea indicata per questi paesi è un imponente spostamento fiscale dalla manodopera alla terra, rendendoli più simili all’Europa occidentale. Non c’è altra alternativa. Altrimenti l’atavico conflitto di interessi tra creditori e debitori minaccia di separare l’Europa in due fronti politici contrapposti, con l’Islanda che fa da prova generale.

Finché questo problema del debito non verrà risolto – e l’unico modo per risolverlo è quello di negoziare una svalutazione del debito – l’espansione europea (l’assorbimento della Nuova Europa nella Vecchia Europa) sembra conclusa. Ma la transizione verso questa soluzione futura non sarà semplice. Gli interessi finanziari esercitano ancora un potere dominante sull’UE, e resisteranno all’inevitabile. Gordon Brown ha mostrato la sua vera natura nelle sue minacce contro l’Islanda secondo cui utilizzerebbe in modo illegale e scorretto il FMI come un addetto al recupero crediti per i debiti che l’Islanda legalmente non deve restituire, e per bocciare l’adesione islandese all’UE.

Messo di fronte alle prepotenze di Brown – e di quelle dei leccapiedi olandesi – il 97% degli elettori islandesi si è opposto all’accordo sul debito che Gran Bretagna e Olanda avevano cercato di far ingoiare ai membri del parlamento islandese il mese scorso. Un simile plebiscito non si vedeva dai tempi del periodo staliniano.

Questo è solamente un assaggio. La sceltà che l’Europa andrà a fare probabilmente porterà milioni di persone nelle strade. Muteranno le alleanze politiche ed economiche, si sbricioleranno le valute, cadranno i governi. L’Unione Europea e, sicuramente, anche il sistema finanziario internazionale cambieranno in strutture che ancora non abbiamo visto, specialmente se le nazioni adotteranno il modello dell’Argentina e si rifiuteranno di pagare se non verranno elargiti sconti generosi.

Il pagamento in euro – per i flussi immobiliari ed i redditi personali in equity negativo, dove i debiti superano il valore attuale dei flussi di reddito disponibili per pagare mutui o, anche, debiti personali – è impossibile per le nazioni che sperano di mantenere un briciolo di società civile. I “piani di austerità” in stile FMI e UE rappresentano in gergo asettico e tecnocratico la riduzione dell’aspettativa di vita e il micidiale sventramento dei redditi, dei servizi sociali, delle spese sanitarie negli ospedali, dell’istruzione e di altri bisogni primari, e la svendita delle infrastrutture pubbliche ad acquirenti che trasformano le nazioni in “economie a pedaggio” in cui ognuno è obbligato a pagare una quota d’ingresso per strade, istruzione, assistenza sanitaria e altri costi per vivere e avere attività commerciali che da tempo sono sovvenzionate dalla tassazione progressiva in Nordamerica e in Europa occidentale.

Le linee di battaglia sono state tracciate in merito a come debbano essere ripagati i debiti del settore privato e del settore pubblico. Per le nazioni che esitano a pagare in euro, le nazioni creditrici hanno sempre pronto in attesa il loro “protettore”: le agenzie di rating. Al primo segnale di una nazione che tentenna a pagare in valuta forte, o addirittura al primo dubbio sollevato sulla correttezza di un debito verso l’estero, le agenzie si muoveranno per ridurre la valutazione del credito di una nazione. Questo farà aumentare il costo dei prestiti e minaccerà di paralizzare l’economia che avrà un bisogno estremo di credito.

L’ultimo colpo in ordine di tempo è stato sparato il 6 aprile quando Moody’s ha declassato il debito dell’Islanda da stabile a negativo. “Moody’s ha ammesso che l’Islanda potrebbe ancora ricevere un trattamento migliore con un rinnovo dei negoziati ma ha detto che l’attuale incertezza stava danneggiando le prospettive economiche e finanziarie a breve termine del paese.” [1]

La battaglia è in corso. Dovrebbe essere un decennio interessante.

Michael Hudson