06 maggio 2010

L`insolvenza della Grecia e la trappola del debito pubblico



Il debito pubblico è la diga piena d’acqua. Se crolla, si allaga tutto, gli Stati vanno in tilt e la gente viene travolta.
Ora, l’equivalente del terremoto è il tasso di indebitamento dei privati. Quando i privati si indebitano troppo, il debito pubblico esplode.
Qual è il legame?
Il legame è di due tipi: fiduciario e consumistico.
Nel caso fiduciario, il problema lo vediamo bene in Portogallo e Spagna. Il debito portoghese è attorno al 70%, ma il paese è vicino al collasso. Del resto la cosa non è nuova, perché il debito argentino era ancora più basso, quando ci fu il crack.
Quello che succede è che l’investitore perde la fiducia nel paese, dal momento che non è possibile per l’economia di risollevarsi. Qualsiasi politica fiscale il governo usasse per migliorare il debito, infatti, sarebbe insostenibile: il cittadino indebitato è, anche se ha uno stile di vita apparentemente occidentale, un cittadino povero. Quando il vostro paese ha più debiti che Pil, comunque vadano le cose il governo non potrà pagare i debiti, dato che li pagherebbe con tasse che il cittadino ha sempre meno la possibilità di pagare.
Nessuno crederà mai ad un paese nel quale i cittadini vivono a credito.

Le pratiche incriminate sono: il credito al consumo troppo facile, automobili, elettronica, vestiti, vacanze comprate a rate.
Il fido aziendale troppo facile rispetto al capitale sociale. Le Pmi e i professionisti chiedono fido portando come contropartita il fatturato, e non il capitale sociale.
Il mutuo casa facile. La gente compra casa senza possedere una lira, spesso facendosi finanziare più del valore della casa.
Le carte di credito si comportano come isolette, concedendo fidi ed effettuando prestiti de facto. Potete avere un’Amex con lo scoperto e una Visa con lo scoperto, e i due circuiti non si parlano per capire se non stiate moltiplicando il vostro conto, e come se non bastasse spesso non parlano con la banca per sapere quale sia la situazione del vostro conto.

Poi c’è un problema di forecast. Supponiamo di avere cittadini risparmiatori, e di iniziare una trasformazione della spesa pubblica. Inevitabilmente le trasformazioni della spesa pubblica producono un periodo di austerity.
Cosa fa il cittadino? Se ha dei risparmi, come ha di solito il ceto medio (negozianti, professionisti), compenseranno il calo di affari pescando dai risparmi. Quando finirà l’austerity, torneranno a risparmiare.
Così, se il governo italiano calasse del 10% la spesa pubblica per un anno, le Pmi che si vedrebbero ridurre gli appalti del 10% di cosa vivrebbero, visto che non hanno risparmi? E i professionisti? E il relativo calo dei consumi, come sarebbe vissuto dai negozianti?
Se tutte queste categorie avessero dei risparmi, ovviamente pescherebbero dai risparmi per un anno: il governo ristrutturerebbe la spesa pubblica e poi tornerebbe il sereno. Ma cosa succede se non ci sono risparmi?
Succede che ristrutturando la spesa pubblica, cioè ridimensionando gli appalti, le aziende soffriranno. Ma non hanno un cuscinetto su cui contare, quindi licenzieranno. I licenziati caleranno le spese, perché non hanno risparmi. E non compreranno dai negozianti. I quali non hanno riserve, e caleranno le scorte di magazzino. E così via.

Che cosa succede se il cittadino, oltre a non avere risparmi, è anche indebitato? Cosa succede se lo stato taglia spesa pubblica? Succede che le aziende appaltatrici e subappaltatrici, che usavano il giro di cassa per pagare gli interessi sui debiti, falliscono.
Il fallimento produce messa in vendita di immobili, bloccando il mercato immobiliare. Le persone sul lastrico non comprano, facendo fallire i negozianti, altrettanto indebitati. Questo sbatte sul mercato sia gli immobili commerciali che gli stock, e costringe le banche a non fare più credito per via dei rischi. I professionisti a loro volta falliscono, e i cittadini non possono comprare i servizi privati che prendono il posto di quelli prima offerti dallo stato.
Vi sembra apocalittico? E’ quello che sta per succedere in Grecia.
Così, quando il cittadino è molto indebitato, per il debito pubblico non c’è speranza. Il debito dei privati è, nelle sue conseguenze, la vera e propria dichiarazione di default dei conti pubblici.
Ha senso, a questo punto, agire sul debito pubblico?

No, non ha senso alcuno. Le cure di Fmi e Ue sono miopi, perché non prendono in considerazione l’idea che, anche se riducessero il debito sino al 60%, i cittadini greci sono esausti e non potrebbero sostenere il minore livello di servizi legato ai tagli. Manderanno al disastro l’economia, e la Grecia fallirà con un debito inferiore tra un paio di anni. Niente di più.
Guardiamo il Portogallo. Perché è a rischio pur avendo un debito attorno al 70% del Pil, 40 punti meno di noi? Perché le famiglie si sono indebitate, cioè hanno avuto un accesso indiscriminato ad alcuni strumenti finanziari di debito. L’indebitamento privato, e specialmente quello familiare, ha raggiunto il 236% del Pil; ed è questo il fattore principale che rende il Portogallo così a rischio, più del debito pubblico.
Che tutti avessero questo accesso al credito non era, di fatto, una cosa così bella. Che tutti giocassero in borsa, che tutti trafficassero in pacchetti di azioni (bilanciati o meno) non era una cosa bella.

Quello che va fatto in occidente, nessuno escluso, è di ristrutturare il debito ai privati. Per le aziende, costringendole a ristrutturare i propri debiti con le banche. Per i privati cittadini, innanzitutto ponendo dei limiti vincolanti tra erogazione delle carte di credito e ammontare del conto in banca. Inoltre, con una stretta del credito al consumo: solo su cauzione e comunque non del 100% del bene. I mutui casa non possono superare il 50% dell’immobile. Gente che compra la casa senza una lira in tasca deve smettere di esistere. Se non hai i soldi per una casa, non comperi una casa e stai in affitto.
Una volta ridotto il debito dei privati, allora e solo allora si potrà stabilizzare il debito pubblico.
Ovviamente tutto quanto sopra è altamente impopolare: il che significa politicamente infattibile.
Se diciamo che il governo deve dimagrire, chi sogna funzionari pubblici che vivano in maniera monastica sarà felicissimo. Tutti continueranno a vivere facendo debiti, ma pretenderanno che lo Stato sia virtuoso.
Invece, se diciamo che lo stato può finire in fallimento anche col 20% di rapporto deficit/Pil se i cittadini sono enormemente indebitati, allora non va più bene. In qualche modo si è sancito di fatto il diritto ai debiti. Il diritto ad uno stile di vita al di sopra delle proprie possibilità. Si è sancito il diritto alla vita vanziniana per chiunque abbia un’impresa.
Di conseguenza no, il problema non si risolverà ed esploderà nuovamente. E, con buona pace della signora Merkel, se i suoi cittadini continuano ad indebitarsi a questo ritmo, potrebbe toccare anche alla Germania entro 3/4 anni.
Un’altra lezione che non vogliamo imparare è smettere di manipolare i mercati usando i mass media e gli effetti psicologici. I mercati trattano valore, non allucinazioni.
E’ inutile scrivere sui giornali che “è inaccettabile l’idea di un default greco”. Balle. Il default greco è avvenuto per bocca del primo ministro, quando ha detto semplicemente che “la Grecia non può più accedere ai mercati”. Questa è una dichiarazione di bancarotta: “non siamo in grado di onorare i prestiti”.
A quel punto, interviene un prestito europeo. Prestito? Ma che dicono? La Grecia ha appena detto che non può restituire alcun prestito. Si tratta, e sarebbe ora di dirlo, di un regalo. Quei soldi non verranno mai restituiti. Punto.
La Grecia è già insolvente.
Il disastro greco è già avvenuto.

Nessuno dei preziosi analisti che parla di debito nomina l’enorme problema dei debiti privati e il terribile impatto che hanno. Tutti sembrano basarsi solo sul debito pubblico, quando si sa che il botto nasce dal debito dei privati.
Tutto questo serve a nutrire di illusioni l’opinione pubblica: dicono al cittadino “chi deve cambiare vita è il governo, sono magari i grandi manager della finanza, i tuoi debiti e il tuo reddito invece sono una questione privata”.
No, signori, i debiti che il cittadino ha (auto a rate, mutui, credito al consumo, fidi per aziende senza capitale sociale) sono un problema grande quanto (e forse di più) del debito pubblico. Il cittadino deve cambiare stile di vita, ridimensionare i consumi e ridurre i debiti molto più degli Stati. Anzi, se lo Stato può avere un debito pubblico, il cittadino per essere in linea con dei requisiti di sicurezza economica deve addirittura avere dei risparmi, cioè l’opposto del debito.
Ma i giornali non lo dicono, perchè non piace ai lettori e perchè le banche che li finanziano non hanno piacere a chiudere il credito al consumo e tutto il business del debito. I governi non lo dicono perchè hanno paura di perdere le elezioni.
Guardate la Grecia: sono in default, il che significa che non hanno accesso ai mercati. Non lo avranno più neanche dopo il prestito Ue, perché sono falliti.
Il loro governo dovrà tenere un rapporto deficit/pil di 0%. Inoltre, dovrà ristrutturare i conti, dimagrendo. Il che significa un calo della spesa pubblica enorme. La spesa pubblica, in Grecia, è una delle principali fonti di Pil. L’economia greca, quindi, sarà in pesante recessione. E le famiglie non hanno riserve per reggere questa cura.

Morale della storia: o il problema del debito dei privati viene affrontato, piaccia o meno, o il problema del debito dei privati arriverà sui denti dei privati con una forza tremenda.
La scelta è, molto semplicemente, tra una cura dolorosa e la morte per malattia. Non c’è modo di fuggire.
Il pasto gratis non esiste, neanche per chi ha una carta di credito con lo scoperto.
by Uriel

La moneta dal nulla, tra signoraggio e truffa legalizzata





Mentre attendiamo di vivere da protagonisti le sciagure di un terremoto finanziario-monetario globale, probabilmente aggiungendoci alla lista degli epicentri che anticipano il botto finale, si moltiplicano le diatribe sull’interpretazione qualitativa e quantitativa di uno degli aspetti genomici della nostra moneta, sospettato di essere concausa del cancro che la divora, il signoraggio bancario.

Perciò vorrei chiarire una volta per tutte almeno due punti cardine della questione, che non è fondata solo su fatti accertabili in modo più o meno comprovato oltre ogni ragionevole dubbio, ma ha un suo solidissimo fondamento logico di ben più elevata inconfutabilità, come il paradigma della geometria euclidea per i costruttori edili.



Primo punto la costruzione e la gestione della cartamoneta, delle banconote che tutti utilizzano e credono di conoscere. Tralascio tutte le interessanti peculiarità tecniche sull’argomento, dando invece per scontato che si sappia che esse rappresentano circa il 5% del denaro “circolante”, secondo il gergo bancario, e che vengono emesse in esclusiva dalla BCE pro-quota fissa dei suoi azionisti, le Banche centrali dei paesi fondatori dell’euro, dopo essersene trattenuto l’8% del totale.

Alla nostra Banca d’Italia compete così un volume di emissione attorno ai dieci miliardi di euri l’anno (più o meno un ottavo della torta), come comprovato dalla pubblicazione dei suoi bilanci alla voce “banconote in circolazione” nello Stato Patrimoniale, che di anno in anno cresce appunto di tale ordine di grandezza. Ma qual è la “logica” d’emissione di queste banconote nel circuito economico? Non c’è discussione alcuna sul fatto che non siano più “note di banco”, ricevute di un pari controvalore depositato in custodia presso l’emittente, quindi nascono semplicemente come carta stampata, che nonostante un pregio tecnologico congruo all’uso successivo ha un costo di produzione di pochi centesimi, irrisorio rispetto al valore che rappresenta, stampato in bella evidenza per facilitare l’utente, dai 5 ai 500 euri a seconda dei tagli.

Il termine “emissione” della banconota si riferisce al varo di questo esile ma robusto vascello, destinato a “circolare” senza limiti di tempo e spazio, senza scadenza, nel mare magnum dell’economia fisica, quella vera delle persone che producono e consumano ricchezze. Si sa che passando di mano in mano, non sempre mani attente alla sua miglior conservazione, si usurano fino a diventare indegne del loro nobile compito. In tal caso tramite circuito bancario rientrano alla BC che provvede alla loro sostituzione gratuita con pezzi equivalenti freschi di stampa, che ovviamente non entrano nel conteggio di quella decina di miliardi di nuova emissione.

Questo non per tediare il lettore con dettagli tecnici superflui, ma per sottolineare l’eternità giuridica del valore facciale della banconota, che è il punto cruciale dell’ipotesi di signoraggio integrale, ovvero di lucro dell’emittente pari all’importo stampato sulla banconota emessa. Di fatto l’emissione si configura come acquisto di merce tramite denaro in forma di banconota, il primo di una catena potenzialmente infinita di acquisti successivi di altrettanti possessori temporanei di tale oggetto mistico, la banconota. La merce acquistata dall’emittente è un titolo di debito pubblico, garantito dallo Stato, con tanto di scadenza e interessi.

La liquidità sul mercato di tali titoli li rende equivalenti al denaro, tant’è che vengono conteggiati nella grande massa del “circolante” in senso esteso, all’estremo opposto della gamma rispetto alla banconota, la più “liquida” di tutti, in una scala di liquidità che va da M0 a M3, sempre nel gergo dei banchieri (tutto da ridiscutere, ma questa è un’altra storia). Quindi l’emissione della banconota da parte del suo creatore si configura come acquisto di denaro tramite denaro, ovvero un riciclo di denaro di un tipo, esente da interesse, in denaro di un altro tipo, gravato d’interesse a carico del contribuente. Ma il grosso di questo signoraggio immediato non è l’interesse, come vorrebbero far credere i banchieri che pure lo ammettono, ma l’appropriazione di ricchezza pari al valore facciale, come affermano i cosiddetti “signoraggisti”, così chiamati in senso dispregiativo dai “negazionisti”.

Che l’appropriazione indebita coincida con l’emissione è un fatto evidente di per sé, non può essere diversamente per quanti tecnicismi si vogliano frapporre per giustificarne il contrario. Uno però vale la pena ricordarlo, per la ricorrenza e l’ambiguità con le quali viene brandito dai negazionisti: l’emittente non scambia definitivamente la sua cartamoneta fresca di stampa con titoli di Stato, ma semplicemente la presta, come fosse un automobile che la Hertz consegna ai suoi clienti. La Hertz però non ha un parco di autovetture che cresce di numero perpetuamente di dieci miliardi l’anno.

Se poi pensiamo ai biglietti verdi stampati dalla FED negli ultimi 50 anni, all’interno di un analogo paradigma fondativo, si capisce tutta la monumentale bugia che sta dietro questa teoria del prestito. Un prestito non è “per sempre”, altrimenti si chiama regalo, a fondo perduto. Che è esattamente ciò che fa l’utente della banconota, rappresentato dallo Stato, nel momento in cui avviene l’emissione. La legge stessa lo comprova, la banconota non è più “esigibile”, guai a chi volesse riconsegnarla alla BC pretendendo pari controvalore di altra natura in cambio.

Ora il problema non è tanto negare il “fatto”, quanto giudicare se sia doloso, se il lucro gratuito dell’emittente sia o no devoluto alla comunità degli utenti, ad esempio allo Stato. La BC conserva a titolo di garanzia del sistema euro un pari controvalore di tutto il circolante in banconote accumulato negli anni? Certamente NO!

La BC versa allo Stato un pari controvalore delle banconote emesse? Certamente NO!

La BC siamo noi, cioè la BC rappresenta un alter ego dello Stato? NI.

Perfino in Italia, dove l’azionariato di Banca d’Italia è al 95% costituito da banche e assicurazioni private, controllori e controllate al contempo, la giurisprudenza definisce la BC come Istituto di Diritto Pubblico.

Però i conti del Tesoro sono ben separati da quelli delle BC e del sistema bancario che esse esprimono, anche negli altri paesi dell’euro. E mentre il debito pubblico ingigantisce, il credito privato dei grandi proprietari fa altrettanto e ancor di più, per cifre ovviamente ben superiori alle banconote emesse, ma ci deve comunque essere una qualche relazione. Anche se il debito pubblico complessivo è molto superiore, è fuor di dubbio che ad ogni banconota in circolazione, priva d’interesse, corrisponde pari frazione di debito pubblico gravato d’interesse. E non si capisce proprio perché le banconote necessarie alla vita economica di tutti, forzosamente imposte dallo Stato come mezzo di pagamento, anziché essere nostre ce le dobbiamo far prestare da estranei, in base a trattati distrattamente ratificati dai parlamenti nazionali nonostante il parere contrario della popolazione, come dimostrano le pochissime volte che la materia è stata indirettamente oggetto di referendum (mai in Italia).

Ma tant’è, questo paradosso del prestito delle banconote fa parte del sistema, così oltre al danno ci procura anche la beffa dei negazionisti del signoraggio, convinti nonostante l’evidenza dei numeri a bilancio che le banconote “prestate” tornino quasi tutte da mamma BC.



E’ a dir poco avvilente che in questi drammatici frangenti, nell’attesa che ineluttabilmente il sistema monetario collassi dopo aver distrutto lo stesso tessuto economico lungamente parassitato, l’intelligenza individuale non riesca a livello di massa ad emanciparsi dalla fumosa confusione che avvolge i paradossi fondativi della moneta che ci portiamo in tasca, neppure nei casi più semplici, basilari. Non per niente i banchieri e i loro amici economisti descrivono M0 come “base monetaria”.



Secondo punto la costruzione e la gestione del credito, ovvero il grosso della moneta in circolazione, sotto forma di annotazioni contabili.

Il Presidente di Banca Popolare di Milano ha pubblicamente spiegato perché hanno sottoscritto un prestito di Stato in forma di Tremonti-bond, che le grandi banche rifiutarono, visto il tasso d’interesse elevato (circa 8%). Motivo semplicissimo, con quei soldi ottenuti dallo Stato la banca erogava mutui per 15 volte tanto alla propria clientela, in un momento di scarsità del credito ai “piccoli”, così il costo di quel denaro è come se fosse stato 8/15 di punti percentuali, praticamente mezzo punto, nulla in confronto agli interessi attivi praticati alla clientela. Questa verità sbandierata pubblicamente su una TV in chiaro, è la conseguenza degli accordi vigenti di Basilea 2, che fissano la riserva frazionaria obbligatoria tra il 2% e il 12% del prestito erogato.

Tramite riflusso bancario ed altri tecnicismi, questo implica la possibilità di erogare prestiti per 50 o 8 volte la liquidità (di altri clienti) posseduta (custodita) in quel momento. E’ un fatto sconvolgente, prestare a usura (pardon, a interesse) denaro inventato dal nulla, creato a costo zero solo perché un cliente ne ha assoluto bisogno. E questa dell’esempio è indubbiamente una delle banche più oneste e virtuose del sistema. In un paio di decenni tutte le onestissime banche commerciali (onestissime in confronto alle banche d’affari) si fanno gratis un capitale pari a tutti i loro mutui in essere, solo con gli interessi. Si capisce bene che se poi falliscono per inadempienza, detta volgarmente bancarotta, chissenefrega! Il malloppo è già al sicuro da un pezzo, nei paradisi della finanza globale. Rotta una banca privata se ne fa un’altra, e i cocci sono dello Stato.



La riserva frazionaria è un vecchio trucco già praticato all’epoca del gold standard, quando ancora si fingeva di credere alla convertibilità in oro della banconota. In quest’epoca di moneta definitivamente ed esclusivamente virtuale, fondata esclusivamente sul patto sociale, la riserva frazionaria implica necessariamente l’organizzazione sistemica in banche centrali, controllori e garanti della truffa con la complicità degli Stati ex-sovrani in tema di politica monetaria, ma ben responsabili come prestatori di ultima istanza sulle spalle del contribuente attuale e futuro. E’ un crimine sistemico, che sta per presentarci il conto finale, salatissimo. Cosa aspettiamo a scendere in piazza coi forconi per dire basta all’imbroglio?

Per il terzo livello della grande truffa, quella finanziaria ben esemplificata da Goldman Sachs, ci vuole un trattato di criminologia a parte, e non basta, manca ancora tutto il lato oscuro della politica.
di Alberto Conti

05 maggio 2010

Soldi e case a politici e prelati (il 10% del tutto)

Case in Tunisia, ma anche a Roma, Milano, Parigi. Appartamenti acquistati da Angelo Balducci e Diego Anemone che si occupava pure di ristrutturare le dimore di politici, alti prelati, funzionari di Stato. Il filone di indagine avviato dai pubblici ministeri di Perugia continua a puntare sulle compravendite immobiliari. Ma anche su tangenti in denaro pari al 10 per cento dell’importo dei lavori, che sarebbero stati versati a esponenti di governo. L’unico nome contenuto nelle carte processuali messe a disposizione delle parti è quello di Pietro Lunardi, ex titolare delle Infrastrutture. Ma altri potrebbero essere coinvolti al termine dei riscontri affidati alla Guardia di Finanza e ai carabinieri del Ros. A rivelarne i retroscena dell’attività della «cricca» che gestiva gli appalti dei Grandi Eventi è il tunisino Laid Ben Fathi Hidri nel suo interrogatorio del 25 marzo scorso. L’uomo che aveva svelato di aver «ricevuto la delega a operare sui conti di Anemone» e aver consegnato «buste dal contenuto misterioso a vari soggetti, compresi ministri », aggiunge clamorosi dettagli. E racconta: «Balducci era in contatto con registi famosi ai quali faceva regali costosi. Questi rapporti credo fossero finalizzati a favorire la carriera di attore del figlio Lorenzo. Andavo io a ritirare questi regali presso il negozio Spada e Anatriello».

Le ville a Cartagine
L’esistenza dell’autista tunisino era stata rivelata da due lettere anonime recapitate alla procura di Firenze poco dopo gli arresti disposti a febbraio. L’autore sosteneva di essere un suo amico, ma i magistrati non escludono che possa essere stato lui stesso a inviare gli scritti per vedere le reazioni, forse nel timore di non essere creduto. E ora le missive sono state allegate al fascicolo, visto che i primi accertamenti hanno mostrato l’attendibilità del testimone. «Su indicazione di Anemone - dichiara Fathi a verbale - ho consegnato circa una ventina di volte denaro contante all’architetto Zampolini che faceva le operazioni immobiliari. Ho conosciuto anche don Evaldo e in più occasioni gli ho portato delle buste su incarico di Diego. Credo si trattasse di buste contenenti denaro, ma non posso dirlo con certezza. In altri casi ho ritirato buste da don Evaldo che ho consegnato a Diego. Balducci si è recato più volte in Tunisia, anche insieme a me oppure con Diego Anemone. Non so quali interessi abbiano i due in Tunisia». In realtà il motivo è ben descritto nella lettera spedita ai magistrati: «Con i soldi delle tangenti, per anni Balducci ha comprato ville in Tunisia e precisamente a Cartagine, intestandole a Fathi per due, tre anni e poi rivenderle per riprendere denaro pulito». Il sospetto è che non tutte quelle case siano state cedute e alcune possano essere state in realtà offerte da Anemone come merce di scambio a chi lo aiutava negli affari.

Case a politici e prelati
Fathi racconta di aver conosciuto Balducci quando lavorava in un’agenzia immobiliare di Roma «e lui si è affezionato a me, riponendo in me fiducia, tanto che ho abbandonato l’agenzia e ho iniziato a lavorare per lui come autista tuttofare. All’epoca lui lavorava al provveditorato alle opere pubbliche. Successivamente ho avuto degli incarichi da società che avevano ricevuto appalti dal provveditorato. Per quello che ho compreso le società mi assumevano e mi pagavano e io ero a disposizione degli ingegneri in orario di lavoro e di Balducci fuori dall’orario di lavoro. Ricordo che una di queste società era la "Medil srl", con sede a Napoli. Intorno al 2000 Balducci mi ha fatto conoscere Diego Anemone, tutti i componenti della famiglia Anemone e i più stretti collaboratori di Diego, tra cui Alida Lucci e l’autista Molinelli. Poiché Balducci mi ha indicato come persona di sua fiducia e ho cominciato a lavorare per Anemone che si fidava così tanto di me che mi ha autorizzato a operare su conti correnti riferibili ad alcune sue società. Sono a conoscenza che Balducci possedeva un appartamento a Parigi in quanto in un’occasione, su incarico di Anemone, mi sono recato in tale città per pagare una tassa di poche centinaia di euro che mi furono dati dallo stesso Diego». Poi parla dell’ex ministro Pietro Lunardi, dice che lui e Balducci «avevano rapporti molto stretti ». E aggiunge: «Ho portato a Lunardi progetti, mi pare di ricordare predisposti dalla società Medea. Ho capito che Lunardi li vistava e li restituiva. Io ritiravo la documentazione in questione, che portavo a Balducci». La lettera contiene circostanze più precise: «Lunardi approvava e mandava a Balducci che a sua volta dava il lavoro a Diego... Per ogni lavoro la tangente era del 10 per cento. Il denaro ricavato Balducci lo portava alla figlia di Lunardi la quale prendeva soldi in contanti in banconote di piccolo taglio. Una parte ancora andava a vari politici di turno, inoltre le imprese di Diego facevano ristrutturazioni di appartamenti di prelati e politici»..

Segretarie e sacerdoti
Gli investigatori si concentrano sull’analisi dei conti bancari che il costruttore aveva intestato a prestanome e utilizzava, secondo l’accusa, per distribuire tangenti a chi lo favoriva nell’aggiudicazione degli appalti pubblici. Scoprono che alcuni depositi esteri sarebbero stati chiusi dopo aver fatto rientrare i capitali in Italia grazie allo scudo fiscale. E individuano altri sacerdoti che avrebbero aiutato don Evaldo Biasini a gestire la cassaforte di Anemone. È proprio lui a raccontare nel suo verbale il sistema messo in piedi da Anemone per avere sempre la certezza di poter avere contanti disponibili: un deposito fiduciario dove venivano versati i soldi che il costruttore avrebbe dovuto percepire per i lavori effettuati per la Congregazione del preziosissimo sangue. Spiega che «alla data del primo gennaio 2007 il conto a scalare di Anemone presenta un saldo debitore da parte della Congregazione di 128.510 euro». Le movimentazioni vengono effettuate soprattutto da Alida Lucci, la segretaria che a sua volta è tuttora intestataria di 30 conti, dei quali 23 ancora aperti. Dichiara don Evaldo dopo aver consegnato copia dei documenti bancari: «Al 31 dicembre 2009 il saldo debitore della Congregazione nei confronti dell’impresa Anemone è di 475.410 euro ».

I lavori al Viminale
Tra le persone indagate per aver beneficiato di fatture per redditi inesistenti c’è l’architetto Caterina Pofi. È lei stessa a raccontare di aver ricevuto numerosi incarichi da Balducci: «Il primo fu per alcuni lavori da effettuare al Viminale nel 2003». La donna viene poi affiancata a Mauro Della Giovampaola e nel 2007 viene ingaggiata per le celebrazioni per l’Unità d’Italia. Poi, l’anno successivo diventa «coordinatore per la sicurezza nei cantieri de La Maddalena in vista del G8. Per l’incarico ho ricevuto 720.000 euro circa, importo da cui vanno sottratti 200.000 euro che diedi a Della Giovampaola. L’importo era lordo e mi feci fare una proiezione delle tasse che avrei dovuto pagare dal mio commercialista. Mi sembrava una cifra spropositata e Della Giovampaola ne parlò con il suo commercialista Stefano Gazzani che suggerì come escamotage una consulenza fittizia affidata alla società Mida. Gazzani mi diede 16 assegni da 12.499 euro ciascuno intestato a Annika Sanna, persona di cui non conosco neanche l’effettiva esistenza. Non li ho mai incassati perché mi sembrava una situazione strana e poi sono stati sequestrati al momento della perquisizione che ho subito e da me consegnati ai pubblici ministeri di Firenze». L’architetto è adesso sotto indagine. Decine di assegni con la stessa intestazione sono stati sequestrati nella cassaforte di don Evaldo.

Fiorenza Sarzanini

06 maggio 2010

L`insolvenza della Grecia e la trappola del debito pubblico



Il debito pubblico è la diga piena d’acqua. Se crolla, si allaga tutto, gli Stati vanno in tilt e la gente viene travolta.
Ora, l’equivalente del terremoto è il tasso di indebitamento dei privati. Quando i privati si indebitano troppo, il debito pubblico esplode.
Qual è il legame?
Il legame è di due tipi: fiduciario e consumistico.
Nel caso fiduciario, il problema lo vediamo bene in Portogallo e Spagna. Il debito portoghese è attorno al 70%, ma il paese è vicino al collasso. Del resto la cosa non è nuova, perché il debito argentino era ancora più basso, quando ci fu il crack.
Quello che succede è che l’investitore perde la fiducia nel paese, dal momento che non è possibile per l’economia di risollevarsi. Qualsiasi politica fiscale il governo usasse per migliorare il debito, infatti, sarebbe insostenibile: il cittadino indebitato è, anche se ha uno stile di vita apparentemente occidentale, un cittadino povero. Quando il vostro paese ha più debiti che Pil, comunque vadano le cose il governo non potrà pagare i debiti, dato che li pagherebbe con tasse che il cittadino ha sempre meno la possibilità di pagare.
Nessuno crederà mai ad un paese nel quale i cittadini vivono a credito.

Le pratiche incriminate sono: il credito al consumo troppo facile, automobili, elettronica, vestiti, vacanze comprate a rate.
Il fido aziendale troppo facile rispetto al capitale sociale. Le Pmi e i professionisti chiedono fido portando come contropartita il fatturato, e non il capitale sociale.
Il mutuo casa facile. La gente compra casa senza possedere una lira, spesso facendosi finanziare più del valore della casa.
Le carte di credito si comportano come isolette, concedendo fidi ed effettuando prestiti de facto. Potete avere un’Amex con lo scoperto e una Visa con lo scoperto, e i due circuiti non si parlano per capire se non stiate moltiplicando il vostro conto, e come se non bastasse spesso non parlano con la banca per sapere quale sia la situazione del vostro conto.

Poi c’è un problema di forecast. Supponiamo di avere cittadini risparmiatori, e di iniziare una trasformazione della spesa pubblica. Inevitabilmente le trasformazioni della spesa pubblica producono un periodo di austerity.
Cosa fa il cittadino? Se ha dei risparmi, come ha di solito il ceto medio (negozianti, professionisti), compenseranno il calo di affari pescando dai risparmi. Quando finirà l’austerity, torneranno a risparmiare.
Così, se il governo italiano calasse del 10% la spesa pubblica per un anno, le Pmi che si vedrebbero ridurre gli appalti del 10% di cosa vivrebbero, visto che non hanno risparmi? E i professionisti? E il relativo calo dei consumi, come sarebbe vissuto dai negozianti?
Se tutte queste categorie avessero dei risparmi, ovviamente pescherebbero dai risparmi per un anno: il governo ristrutturerebbe la spesa pubblica e poi tornerebbe il sereno. Ma cosa succede se non ci sono risparmi?
Succede che ristrutturando la spesa pubblica, cioè ridimensionando gli appalti, le aziende soffriranno. Ma non hanno un cuscinetto su cui contare, quindi licenzieranno. I licenziati caleranno le spese, perché non hanno risparmi. E non compreranno dai negozianti. I quali non hanno riserve, e caleranno le scorte di magazzino. E così via.

Che cosa succede se il cittadino, oltre a non avere risparmi, è anche indebitato? Cosa succede se lo stato taglia spesa pubblica? Succede che le aziende appaltatrici e subappaltatrici, che usavano il giro di cassa per pagare gli interessi sui debiti, falliscono.
Il fallimento produce messa in vendita di immobili, bloccando il mercato immobiliare. Le persone sul lastrico non comprano, facendo fallire i negozianti, altrettanto indebitati. Questo sbatte sul mercato sia gli immobili commerciali che gli stock, e costringe le banche a non fare più credito per via dei rischi. I professionisti a loro volta falliscono, e i cittadini non possono comprare i servizi privati che prendono il posto di quelli prima offerti dallo stato.
Vi sembra apocalittico? E’ quello che sta per succedere in Grecia.
Così, quando il cittadino è molto indebitato, per il debito pubblico non c’è speranza. Il debito dei privati è, nelle sue conseguenze, la vera e propria dichiarazione di default dei conti pubblici.
Ha senso, a questo punto, agire sul debito pubblico?

No, non ha senso alcuno. Le cure di Fmi e Ue sono miopi, perché non prendono in considerazione l’idea che, anche se riducessero il debito sino al 60%, i cittadini greci sono esausti e non potrebbero sostenere il minore livello di servizi legato ai tagli. Manderanno al disastro l’economia, e la Grecia fallirà con un debito inferiore tra un paio di anni. Niente di più.
Guardiamo il Portogallo. Perché è a rischio pur avendo un debito attorno al 70% del Pil, 40 punti meno di noi? Perché le famiglie si sono indebitate, cioè hanno avuto un accesso indiscriminato ad alcuni strumenti finanziari di debito. L’indebitamento privato, e specialmente quello familiare, ha raggiunto il 236% del Pil; ed è questo il fattore principale che rende il Portogallo così a rischio, più del debito pubblico.
Che tutti avessero questo accesso al credito non era, di fatto, una cosa così bella. Che tutti giocassero in borsa, che tutti trafficassero in pacchetti di azioni (bilanciati o meno) non era una cosa bella.

Quello che va fatto in occidente, nessuno escluso, è di ristrutturare il debito ai privati. Per le aziende, costringendole a ristrutturare i propri debiti con le banche. Per i privati cittadini, innanzitutto ponendo dei limiti vincolanti tra erogazione delle carte di credito e ammontare del conto in banca. Inoltre, con una stretta del credito al consumo: solo su cauzione e comunque non del 100% del bene. I mutui casa non possono superare il 50% dell’immobile. Gente che compra la casa senza una lira in tasca deve smettere di esistere. Se non hai i soldi per una casa, non comperi una casa e stai in affitto.
Una volta ridotto il debito dei privati, allora e solo allora si potrà stabilizzare il debito pubblico.
Ovviamente tutto quanto sopra è altamente impopolare: il che significa politicamente infattibile.
Se diciamo che il governo deve dimagrire, chi sogna funzionari pubblici che vivano in maniera monastica sarà felicissimo. Tutti continueranno a vivere facendo debiti, ma pretenderanno che lo Stato sia virtuoso.
Invece, se diciamo che lo stato può finire in fallimento anche col 20% di rapporto deficit/Pil se i cittadini sono enormemente indebitati, allora non va più bene. In qualche modo si è sancito di fatto il diritto ai debiti. Il diritto ad uno stile di vita al di sopra delle proprie possibilità. Si è sancito il diritto alla vita vanziniana per chiunque abbia un’impresa.
Di conseguenza no, il problema non si risolverà ed esploderà nuovamente. E, con buona pace della signora Merkel, se i suoi cittadini continuano ad indebitarsi a questo ritmo, potrebbe toccare anche alla Germania entro 3/4 anni.
Un’altra lezione che non vogliamo imparare è smettere di manipolare i mercati usando i mass media e gli effetti psicologici. I mercati trattano valore, non allucinazioni.
E’ inutile scrivere sui giornali che “è inaccettabile l’idea di un default greco”. Balle. Il default greco è avvenuto per bocca del primo ministro, quando ha detto semplicemente che “la Grecia non può più accedere ai mercati”. Questa è una dichiarazione di bancarotta: “non siamo in grado di onorare i prestiti”.
A quel punto, interviene un prestito europeo. Prestito? Ma che dicono? La Grecia ha appena detto che non può restituire alcun prestito. Si tratta, e sarebbe ora di dirlo, di un regalo. Quei soldi non verranno mai restituiti. Punto.
La Grecia è già insolvente.
Il disastro greco è già avvenuto.

Nessuno dei preziosi analisti che parla di debito nomina l’enorme problema dei debiti privati e il terribile impatto che hanno. Tutti sembrano basarsi solo sul debito pubblico, quando si sa che il botto nasce dal debito dei privati.
Tutto questo serve a nutrire di illusioni l’opinione pubblica: dicono al cittadino “chi deve cambiare vita è il governo, sono magari i grandi manager della finanza, i tuoi debiti e il tuo reddito invece sono una questione privata”.
No, signori, i debiti che il cittadino ha (auto a rate, mutui, credito al consumo, fidi per aziende senza capitale sociale) sono un problema grande quanto (e forse di più) del debito pubblico. Il cittadino deve cambiare stile di vita, ridimensionare i consumi e ridurre i debiti molto più degli Stati. Anzi, se lo Stato può avere un debito pubblico, il cittadino per essere in linea con dei requisiti di sicurezza economica deve addirittura avere dei risparmi, cioè l’opposto del debito.
Ma i giornali non lo dicono, perchè non piace ai lettori e perchè le banche che li finanziano non hanno piacere a chiudere il credito al consumo e tutto il business del debito. I governi non lo dicono perchè hanno paura di perdere le elezioni.
Guardate la Grecia: sono in default, il che significa che non hanno accesso ai mercati. Non lo avranno più neanche dopo il prestito Ue, perché sono falliti.
Il loro governo dovrà tenere un rapporto deficit/pil di 0%. Inoltre, dovrà ristrutturare i conti, dimagrendo. Il che significa un calo della spesa pubblica enorme. La spesa pubblica, in Grecia, è una delle principali fonti di Pil. L’economia greca, quindi, sarà in pesante recessione. E le famiglie non hanno riserve per reggere questa cura.

Morale della storia: o il problema del debito dei privati viene affrontato, piaccia o meno, o il problema del debito dei privati arriverà sui denti dei privati con una forza tremenda.
La scelta è, molto semplicemente, tra una cura dolorosa e la morte per malattia. Non c’è modo di fuggire.
Il pasto gratis non esiste, neanche per chi ha una carta di credito con lo scoperto.
by Uriel

La moneta dal nulla, tra signoraggio e truffa legalizzata





Mentre attendiamo di vivere da protagonisti le sciagure di un terremoto finanziario-monetario globale, probabilmente aggiungendoci alla lista degli epicentri che anticipano il botto finale, si moltiplicano le diatribe sull’interpretazione qualitativa e quantitativa di uno degli aspetti genomici della nostra moneta, sospettato di essere concausa del cancro che la divora, il signoraggio bancario.

Perciò vorrei chiarire una volta per tutte almeno due punti cardine della questione, che non è fondata solo su fatti accertabili in modo più o meno comprovato oltre ogni ragionevole dubbio, ma ha un suo solidissimo fondamento logico di ben più elevata inconfutabilità, come il paradigma della geometria euclidea per i costruttori edili.



Primo punto la costruzione e la gestione della cartamoneta, delle banconote che tutti utilizzano e credono di conoscere. Tralascio tutte le interessanti peculiarità tecniche sull’argomento, dando invece per scontato che si sappia che esse rappresentano circa il 5% del denaro “circolante”, secondo il gergo bancario, e che vengono emesse in esclusiva dalla BCE pro-quota fissa dei suoi azionisti, le Banche centrali dei paesi fondatori dell’euro, dopo essersene trattenuto l’8% del totale.

Alla nostra Banca d’Italia compete così un volume di emissione attorno ai dieci miliardi di euri l’anno (più o meno un ottavo della torta), come comprovato dalla pubblicazione dei suoi bilanci alla voce “banconote in circolazione” nello Stato Patrimoniale, che di anno in anno cresce appunto di tale ordine di grandezza. Ma qual è la “logica” d’emissione di queste banconote nel circuito economico? Non c’è discussione alcuna sul fatto che non siano più “note di banco”, ricevute di un pari controvalore depositato in custodia presso l’emittente, quindi nascono semplicemente come carta stampata, che nonostante un pregio tecnologico congruo all’uso successivo ha un costo di produzione di pochi centesimi, irrisorio rispetto al valore che rappresenta, stampato in bella evidenza per facilitare l’utente, dai 5 ai 500 euri a seconda dei tagli.

Il termine “emissione” della banconota si riferisce al varo di questo esile ma robusto vascello, destinato a “circolare” senza limiti di tempo e spazio, senza scadenza, nel mare magnum dell’economia fisica, quella vera delle persone che producono e consumano ricchezze. Si sa che passando di mano in mano, non sempre mani attente alla sua miglior conservazione, si usurano fino a diventare indegne del loro nobile compito. In tal caso tramite circuito bancario rientrano alla BC che provvede alla loro sostituzione gratuita con pezzi equivalenti freschi di stampa, che ovviamente non entrano nel conteggio di quella decina di miliardi di nuova emissione.

Questo non per tediare il lettore con dettagli tecnici superflui, ma per sottolineare l’eternità giuridica del valore facciale della banconota, che è il punto cruciale dell’ipotesi di signoraggio integrale, ovvero di lucro dell’emittente pari all’importo stampato sulla banconota emessa. Di fatto l’emissione si configura come acquisto di merce tramite denaro in forma di banconota, il primo di una catena potenzialmente infinita di acquisti successivi di altrettanti possessori temporanei di tale oggetto mistico, la banconota. La merce acquistata dall’emittente è un titolo di debito pubblico, garantito dallo Stato, con tanto di scadenza e interessi.

La liquidità sul mercato di tali titoli li rende equivalenti al denaro, tant’è che vengono conteggiati nella grande massa del “circolante” in senso esteso, all’estremo opposto della gamma rispetto alla banconota, la più “liquida” di tutti, in una scala di liquidità che va da M0 a M3, sempre nel gergo dei banchieri (tutto da ridiscutere, ma questa è un’altra storia). Quindi l’emissione della banconota da parte del suo creatore si configura come acquisto di denaro tramite denaro, ovvero un riciclo di denaro di un tipo, esente da interesse, in denaro di un altro tipo, gravato d’interesse a carico del contribuente. Ma il grosso di questo signoraggio immediato non è l’interesse, come vorrebbero far credere i banchieri che pure lo ammettono, ma l’appropriazione di ricchezza pari al valore facciale, come affermano i cosiddetti “signoraggisti”, così chiamati in senso dispregiativo dai “negazionisti”.

Che l’appropriazione indebita coincida con l’emissione è un fatto evidente di per sé, non può essere diversamente per quanti tecnicismi si vogliano frapporre per giustificarne il contrario. Uno però vale la pena ricordarlo, per la ricorrenza e l’ambiguità con le quali viene brandito dai negazionisti: l’emittente non scambia definitivamente la sua cartamoneta fresca di stampa con titoli di Stato, ma semplicemente la presta, come fosse un automobile che la Hertz consegna ai suoi clienti. La Hertz però non ha un parco di autovetture che cresce di numero perpetuamente di dieci miliardi l’anno.

Se poi pensiamo ai biglietti verdi stampati dalla FED negli ultimi 50 anni, all’interno di un analogo paradigma fondativo, si capisce tutta la monumentale bugia che sta dietro questa teoria del prestito. Un prestito non è “per sempre”, altrimenti si chiama regalo, a fondo perduto. Che è esattamente ciò che fa l’utente della banconota, rappresentato dallo Stato, nel momento in cui avviene l’emissione. La legge stessa lo comprova, la banconota non è più “esigibile”, guai a chi volesse riconsegnarla alla BC pretendendo pari controvalore di altra natura in cambio.

Ora il problema non è tanto negare il “fatto”, quanto giudicare se sia doloso, se il lucro gratuito dell’emittente sia o no devoluto alla comunità degli utenti, ad esempio allo Stato. La BC conserva a titolo di garanzia del sistema euro un pari controvalore di tutto il circolante in banconote accumulato negli anni? Certamente NO!

La BC versa allo Stato un pari controvalore delle banconote emesse? Certamente NO!

La BC siamo noi, cioè la BC rappresenta un alter ego dello Stato? NI.

Perfino in Italia, dove l’azionariato di Banca d’Italia è al 95% costituito da banche e assicurazioni private, controllori e controllate al contempo, la giurisprudenza definisce la BC come Istituto di Diritto Pubblico.

Però i conti del Tesoro sono ben separati da quelli delle BC e del sistema bancario che esse esprimono, anche negli altri paesi dell’euro. E mentre il debito pubblico ingigantisce, il credito privato dei grandi proprietari fa altrettanto e ancor di più, per cifre ovviamente ben superiori alle banconote emesse, ma ci deve comunque essere una qualche relazione. Anche se il debito pubblico complessivo è molto superiore, è fuor di dubbio che ad ogni banconota in circolazione, priva d’interesse, corrisponde pari frazione di debito pubblico gravato d’interesse. E non si capisce proprio perché le banconote necessarie alla vita economica di tutti, forzosamente imposte dallo Stato come mezzo di pagamento, anziché essere nostre ce le dobbiamo far prestare da estranei, in base a trattati distrattamente ratificati dai parlamenti nazionali nonostante il parere contrario della popolazione, come dimostrano le pochissime volte che la materia è stata indirettamente oggetto di referendum (mai in Italia).

Ma tant’è, questo paradosso del prestito delle banconote fa parte del sistema, così oltre al danno ci procura anche la beffa dei negazionisti del signoraggio, convinti nonostante l’evidenza dei numeri a bilancio che le banconote “prestate” tornino quasi tutte da mamma BC.



E’ a dir poco avvilente che in questi drammatici frangenti, nell’attesa che ineluttabilmente il sistema monetario collassi dopo aver distrutto lo stesso tessuto economico lungamente parassitato, l’intelligenza individuale non riesca a livello di massa ad emanciparsi dalla fumosa confusione che avvolge i paradossi fondativi della moneta che ci portiamo in tasca, neppure nei casi più semplici, basilari. Non per niente i banchieri e i loro amici economisti descrivono M0 come “base monetaria”.



Secondo punto la costruzione e la gestione del credito, ovvero il grosso della moneta in circolazione, sotto forma di annotazioni contabili.

Il Presidente di Banca Popolare di Milano ha pubblicamente spiegato perché hanno sottoscritto un prestito di Stato in forma di Tremonti-bond, che le grandi banche rifiutarono, visto il tasso d’interesse elevato (circa 8%). Motivo semplicissimo, con quei soldi ottenuti dallo Stato la banca erogava mutui per 15 volte tanto alla propria clientela, in un momento di scarsità del credito ai “piccoli”, così il costo di quel denaro è come se fosse stato 8/15 di punti percentuali, praticamente mezzo punto, nulla in confronto agli interessi attivi praticati alla clientela. Questa verità sbandierata pubblicamente su una TV in chiaro, è la conseguenza degli accordi vigenti di Basilea 2, che fissano la riserva frazionaria obbligatoria tra il 2% e il 12% del prestito erogato.

Tramite riflusso bancario ed altri tecnicismi, questo implica la possibilità di erogare prestiti per 50 o 8 volte la liquidità (di altri clienti) posseduta (custodita) in quel momento. E’ un fatto sconvolgente, prestare a usura (pardon, a interesse) denaro inventato dal nulla, creato a costo zero solo perché un cliente ne ha assoluto bisogno. E questa dell’esempio è indubbiamente una delle banche più oneste e virtuose del sistema. In un paio di decenni tutte le onestissime banche commerciali (onestissime in confronto alle banche d’affari) si fanno gratis un capitale pari a tutti i loro mutui in essere, solo con gli interessi. Si capisce bene che se poi falliscono per inadempienza, detta volgarmente bancarotta, chissenefrega! Il malloppo è già al sicuro da un pezzo, nei paradisi della finanza globale. Rotta una banca privata se ne fa un’altra, e i cocci sono dello Stato.



La riserva frazionaria è un vecchio trucco già praticato all’epoca del gold standard, quando ancora si fingeva di credere alla convertibilità in oro della banconota. In quest’epoca di moneta definitivamente ed esclusivamente virtuale, fondata esclusivamente sul patto sociale, la riserva frazionaria implica necessariamente l’organizzazione sistemica in banche centrali, controllori e garanti della truffa con la complicità degli Stati ex-sovrani in tema di politica monetaria, ma ben responsabili come prestatori di ultima istanza sulle spalle del contribuente attuale e futuro. E’ un crimine sistemico, che sta per presentarci il conto finale, salatissimo. Cosa aspettiamo a scendere in piazza coi forconi per dire basta all’imbroglio?

Per il terzo livello della grande truffa, quella finanziaria ben esemplificata da Goldman Sachs, ci vuole un trattato di criminologia a parte, e non basta, manca ancora tutto il lato oscuro della politica.
di Alberto Conti

05 maggio 2010

Soldi e case a politici e prelati (il 10% del tutto)

Case in Tunisia, ma anche a Roma, Milano, Parigi. Appartamenti acquistati da Angelo Balducci e Diego Anemone che si occupava pure di ristrutturare le dimore di politici, alti prelati, funzionari di Stato. Il filone di indagine avviato dai pubblici ministeri di Perugia continua a puntare sulle compravendite immobiliari. Ma anche su tangenti in denaro pari al 10 per cento dell’importo dei lavori, che sarebbero stati versati a esponenti di governo. L’unico nome contenuto nelle carte processuali messe a disposizione delle parti è quello di Pietro Lunardi, ex titolare delle Infrastrutture. Ma altri potrebbero essere coinvolti al termine dei riscontri affidati alla Guardia di Finanza e ai carabinieri del Ros. A rivelarne i retroscena dell’attività della «cricca» che gestiva gli appalti dei Grandi Eventi è il tunisino Laid Ben Fathi Hidri nel suo interrogatorio del 25 marzo scorso. L’uomo che aveva svelato di aver «ricevuto la delega a operare sui conti di Anemone» e aver consegnato «buste dal contenuto misterioso a vari soggetti, compresi ministri », aggiunge clamorosi dettagli. E racconta: «Balducci era in contatto con registi famosi ai quali faceva regali costosi. Questi rapporti credo fossero finalizzati a favorire la carriera di attore del figlio Lorenzo. Andavo io a ritirare questi regali presso il negozio Spada e Anatriello».

Le ville a Cartagine
L’esistenza dell’autista tunisino era stata rivelata da due lettere anonime recapitate alla procura di Firenze poco dopo gli arresti disposti a febbraio. L’autore sosteneva di essere un suo amico, ma i magistrati non escludono che possa essere stato lui stesso a inviare gli scritti per vedere le reazioni, forse nel timore di non essere creduto. E ora le missive sono state allegate al fascicolo, visto che i primi accertamenti hanno mostrato l’attendibilità del testimone. «Su indicazione di Anemone - dichiara Fathi a verbale - ho consegnato circa una ventina di volte denaro contante all’architetto Zampolini che faceva le operazioni immobiliari. Ho conosciuto anche don Evaldo e in più occasioni gli ho portato delle buste su incarico di Diego. Credo si trattasse di buste contenenti denaro, ma non posso dirlo con certezza. In altri casi ho ritirato buste da don Evaldo che ho consegnato a Diego. Balducci si è recato più volte in Tunisia, anche insieme a me oppure con Diego Anemone. Non so quali interessi abbiano i due in Tunisia». In realtà il motivo è ben descritto nella lettera spedita ai magistrati: «Con i soldi delle tangenti, per anni Balducci ha comprato ville in Tunisia e precisamente a Cartagine, intestandole a Fathi per due, tre anni e poi rivenderle per riprendere denaro pulito». Il sospetto è che non tutte quelle case siano state cedute e alcune possano essere state in realtà offerte da Anemone come merce di scambio a chi lo aiutava negli affari.

Case a politici e prelati
Fathi racconta di aver conosciuto Balducci quando lavorava in un’agenzia immobiliare di Roma «e lui si è affezionato a me, riponendo in me fiducia, tanto che ho abbandonato l’agenzia e ho iniziato a lavorare per lui come autista tuttofare. All’epoca lui lavorava al provveditorato alle opere pubbliche. Successivamente ho avuto degli incarichi da società che avevano ricevuto appalti dal provveditorato. Per quello che ho compreso le società mi assumevano e mi pagavano e io ero a disposizione degli ingegneri in orario di lavoro e di Balducci fuori dall’orario di lavoro. Ricordo che una di queste società era la "Medil srl", con sede a Napoli. Intorno al 2000 Balducci mi ha fatto conoscere Diego Anemone, tutti i componenti della famiglia Anemone e i più stretti collaboratori di Diego, tra cui Alida Lucci e l’autista Molinelli. Poiché Balducci mi ha indicato come persona di sua fiducia e ho cominciato a lavorare per Anemone che si fidava così tanto di me che mi ha autorizzato a operare su conti correnti riferibili ad alcune sue società. Sono a conoscenza che Balducci possedeva un appartamento a Parigi in quanto in un’occasione, su incarico di Anemone, mi sono recato in tale città per pagare una tassa di poche centinaia di euro che mi furono dati dallo stesso Diego». Poi parla dell’ex ministro Pietro Lunardi, dice che lui e Balducci «avevano rapporti molto stretti ». E aggiunge: «Ho portato a Lunardi progetti, mi pare di ricordare predisposti dalla società Medea. Ho capito che Lunardi li vistava e li restituiva. Io ritiravo la documentazione in questione, che portavo a Balducci». La lettera contiene circostanze più precise: «Lunardi approvava e mandava a Balducci che a sua volta dava il lavoro a Diego... Per ogni lavoro la tangente era del 10 per cento. Il denaro ricavato Balducci lo portava alla figlia di Lunardi la quale prendeva soldi in contanti in banconote di piccolo taglio. Una parte ancora andava a vari politici di turno, inoltre le imprese di Diego facevano ristrutturazioni di appartamenti di prelati e politici»..

Segretarie e sacerdoti
Gli investigatori si concentrano sull’analisi dei conti bancari che il costruttore aveva intestato a prestanome e utilizzava, secondo l’accusa, per distribuire tangenti a chi lo favoriva nell’aggiudicazione degli appalti pubblici. Scoprono che alcuni depositi esteri sarebbero stati chiusi dopo aver fatto rientrare i capitali in Italia grazie allo scudo fiscale. E individuano altri sacerdoti che avrebbero aiutato don Evaldo Biasini a gestire la cassaforte di Anemone. È proprio lui a raccontare nel suo verbale il sistema messo in piedi da Anemone per avere sempre la certezza di poter avere contanti disponibili: un deposito fiduciario dove venivano versati i soldi che il costruttore avrebbe dovuto percepire per i lavori effettuati per la Congregazione del preziosissimo sangue. Spiega che «alla data del primo gennaio 2007 il conto a scalare di Anemone presenta un saldo debitore da parte della Congregazione di 128.510 euro». Le movimentazioni vengono effettuate soprattutto da Alida Lucci, la segretaria che a sua volta è tuttora intestataria di 30 conti, dei quali 23 ancora aperti. Dichiara don Evaldo dopo aver consegnato copia dei documenti bancari: «Al 31 dicembre 2009 il saldo debitore della Congregazione nei confronti dell’impresa Anemone è di 475.410 euro ».

I lavori al Viminale
Tra le persone indagate per aver beneficiato di fatture per redditi inesistenti c’è l’architetto Caterina Pofi. È lei stessa a raccontare di aver ricevuto numerosi incarichi da Balducci: «Il primo fu per alcuni lavori da effettuare al Viminale nel 2003». La donna viene poi affiancata a Mauro Della Giovampaola e nel 2007 viene ingaggiata per le celebrazioni per l’Unità d’Italia. Poi, l’anno successivo diventa «coordinatore per la sicurezza nei cantieri de La Maddalena in vista del G8. Per l’incarico ho ricevuto 720.000 euro circa, importo da cui vanno sottratti 200.000 euro che diedi a Della Giovampaola. L’importo era lordo e mi feci fare una proiezione delle tasse che avrei dovuto pagare dal mio commercialista. Mi sembrava una cifra spropositata e Della Giovampaola ne parlò con il suo commercialista Stefano Gazzani che suggerì come escamotage una consulenza fittizia affidata alla società Mida. Gazzani mi diede 16 assegni da 12.499 euro ciascuno intestato a Annika Sanna, persona di cui non conosco neanche l’effettiva esistenza. Non li ho mai incassati perché mi sembrava una situazione strana e poi sono stati sequestrati al momento della perquisizione che ho subito e da me consegnati ai pubblici ministeri di Firenze». L’architetto è adesso sotto indagine. Decine di assegni con la stessa intestazione sono stati sequestrati nella cassaforte di don Evaldo.

Fiorenza Sarzanini