14 maggio 2010
I supercomputer provocano il "crash automatico della borsa"
Le screditate “agenzie di valutazione del credito” - rappresentate dalla triade dell’oligopolio anglosassone Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch – hanno assestato in modo selettivo un colpo devastante alla Grecia e all’euro (senza sfiorare gli Stati Uniti né la Gran Bretagna, tecnicamente in una situazione peggiore), e questo ha accelerato la seconda ondata di caos finanziario globale.
L’afflitto cancelliere tedesco Angela Merkel, che pecca di ingenuità infinita e affronta una elezione cruciale nel Nord Reno-Westfalia, ha fustigato il “perfido (sic) mercato” sregolato delle banche, degli hedge funds (fondi di copertura di rischio), gli speculatori e le agenzie di valutazione di credito (Bloomberg, 6/5/10).
Con la ovvia eccezione dell’arcipelago britannico, nell’Europa continentale sono piovute critiche contro la sbilanciata prestazione della triade anglosassone delle “agenzie di valutazione di credito”, che godono di un potere inusuale che urge addomesticare.
Michael Mackenzie, del The Financial Times ( 7/5/10) commenta che l’istantaneo crollo del pomeriggio del giovedì 6 maggio nelle borse degli Stati Uniti per il valore di un miliardo di dollari – equivalente al Pil del Messico-, e che ha avuto conseguenze sul mondo intero, rimane “tuttora un mistero (sic)”.
Varie versioni si susseguono: dal “pollice” di un operatore di borsa che ha sbagliato tasto nel fare il suo ordine di compravendita, passando per “l’effetto greco”, fino all’eventualità di un “sabotaggio” ipotizzato da Obama (Sam Youngman, The Hill, 7/5/10).
A quale hacker cinese, russo, nordcoreano o iraniano pretendono attribuire la colpa dei guasti inerenti lo sregolato modello neoliberista?
A giudizio di Michael Mackenzie l’improvvisa caduta che si è avviata nell”Indice S&P 500” è stata esacerbata dai supercomputer che “servono per vincolare i mercati e il cui panico si è diffuso ai mercati delle divise e dei buoni”.
Contro tutte le leggi suppostamente immutabili del “libero (sic) mercato”, i “quattro grandi luoghi” delle quotazioni delle azioni di borsa degli Stati uniti – NYSE Euronext, Nasdaq, BATS e Direct Edge- hanno cancellato le loro operazioni durante 20 minuti.
Negli Stati Uniti “cadono i sistemi”, come continuamente accade, in modo più primitivo, nelle elezioni presidenziali in Messico.
Il crack della borsa di New York del 1987 era stato attribuito a “programmi” che avevano esacerbato le cadute improvvise.
Le quotazioni finite irrimediabilmente al suolo si sono trasformate in sostanza essendo state superate dagli scambi di borsa di “alta frequenza” dei supercomputer, che usano algoritmi specializzati (“algos”) e che si realizzano simultaneamente in altre piazze annesse alle sedi conosciute.
Per i fondamentalisti del neoliberismo il “commercio algoritmico” (gli “algos”) attraverso i supercomputer ha reso più “efficienti (sic)” e più “liquidi” i mercati grazie al progresso tecnologico.
Lo stesso errore degli algoritmi dei supercomputer era capitato tre anni fa nella borsa di New York NYSE con le operazioni di Crédit Suisse.
Questi algoritmi sono “programmi di software” che “decidono quando, come e dove negoziare certi strumenti finanziari senza il bisogno di alcun intervento umano” (“Il fantasma nelle macchine”, The Financial Times, 17/2/10).
Oggi i “mercati” praticamente automatizzati sono dominati dai “mercanti di alta frequenza” (intorno al 60% di tutte le operazioni), che sfruttano la congiunzione tecnologica e l’ultravelocità che sorpassa gli astanti, per non parlare degli scommettitori, nell’acquisto di affari in alcuni microsecondi. Uff!
Parallelamente, esiste una tecnologia separata che scrutina le notizie per dare agli algoritmi la sua “direzionalità” (il suo senso).
Jeremy Grant analizza i conseguimenti del “commercio algoritmico” di alta frequenza che ha perturbato ( e scombussolato, come è avvenuto l’infausto giovedì) gli scambi borsistici (The Financial Times, 7/5/10): “oggi i mercati borsistici sono diretti in modo schiacciante da algoritmi matematici programmati per entrare ed uscire dai mercati quasi alla velocità della luce, nella frenetica ricerca di affari che risultino in facili guadagni”.
A giudizio di Jeremy Grant, il “commercio algoritmico” serve “gli interessi dei mercanti a breve termine, che usano la più recente magia computazionale”.
Oggi più della metà degli affari di borsa negli Stati Uniti “coinvolge l’uso del commercio algoritmico” dato che le quotazioni non si realizzano unicamente nelle conosciute borse di New York e Nasdaq bensì “in altre piattaforme pletoriche (sic)”, che includono “zone oscure (sic)” – dark pools – e “sistemi operati dagli stessi mercanti”. Ora “meno del 35 per cento delle quotazioni si realizza nella borsa di New York” (NYSE, sigla in inglese), poiché “esistono sistemi che sono riusciti a fare transazioni in soli 16 microsecondi.
Si tratta di borse di valori tecnologiche senza umani o disumanizzate?
L’impressionante verità è che “la maggioranza delle azioni cambiano di proprietario nei centri con dati vasti”. Uno dei centri di dati, construito da NYSE Euronext a Basildon (Gran Bretagna) – “proprietario” della borsa di New York -, misura l’equivalente di tre campi di calcio.
Nonostante la sconcertante “rivoluzione tecnologica”, Jeremy Grant questiona “ gli esistenti sistemi di gestione di rischio per prevenire algoritmi fallaci”.
A quanto pare, il giovedì pomeriggio quei sistemi operati da macchine sono stati sul punto di portare il mondo ad una catastrofe borsistica.
Rimane assodato che la tecnologia guidata dai supercomputer ha trasformato il modo in cui si gestiscono i “mercati” che si trovano nelle mani di poche entità finanziarie globali, di per sè oligopolistiche, che dispongono dei nuovi strumenti di navigazione borsistica che hanno messo fuori gioco gli “investitori ordinari” ( leggasi: praticamente tutto il mondo, con l’eccezione della banca israelo-anglosassone).
Le catastrofi tanto deliberate quanto tecniche della sregolata globalizzazione finanziaria obbligano al ripensamento del dominio e gestione del denaro mondiale, così come de “l’arbitraggio” delle sue screditate “agenzie di valutazione del credito”, dalla plutocrazia della banca israelo-anglosassone che ha portato il suo controllo a livelli intollerabili per tutti gli abitanti del pianeta.
Oggi la vera liberazione del genere umano è anzitutto finanziaria.
Un primo passo per i paesi colpiti – ovvero la stragrande maggioranza meno tre, come è rimasto assodato dopo la deliberata balcanizzazione e vulcanizzazione dell’eurozona – consiste nello stabilire sistemi propri di emissione di moneta (che includano la puntellatura con materie prime strategiche) e di gestione del credito, con autonomia regolatoria nazionale (non trasnazionale), e nell’uscita il prima possibile – prima di rimanere passivamente annichiliti – dal perverso gioco finanziario delle piazze delle borse di New York e Londra (in realtà, dei suoi supercomputer e dei suoi “algos” controllati dalla banca israelo-anglosassone). Questa è la maggiore sfida che l’umanità affronta oggi.
di Alfredo Jalife-Rahme
Fonte: http://www.jornada.unam.mx/
13 maggio 2010
Un piano di 750 miliardi per difendere l’euro
L’Europa e il Fondo monetario internazionale si sono accordati per un piano di 750 miliardi di aiuti per “salvare l’euro dalla speculazione”. Ben 250 miliardi verranno dal Fmi mentre gli altri 500 dai Paesi europei. Di questi, 60 miliardi verranno stanziati dalla Commissione europea e gli altri 440 saranno costituiti da prestiti e garanzie fornite dai Paesi membri del sistema dell’euro. I ministri delle Finanze dei 27 Paesi membri, recita un comunicato, “hanno deciso un pacchetto comprensivo di misure per preservare la stabilità finanziaria in Europa, compreso un meccanismo di stabilizzazione finanziaria”.
La concessione di fondi ai Paesi che dovessero averne bisogno sarà associata a “condizioni rigorose” e con un sistema che è molto simile a quello stabilito per la Grecia. Mentre la Banca centrale europea e la Bundesbank si sono dette pronte ad acquistare titoli di Stato dei Paesi in difficoltà.
Trovare un accordo è stato molto faticoso sia perché si metterà in campo una cifra di risorse imponente sia per l’impegno che tutto questo comporterà in termini squisitamente finanziari ma anche politici. Basti pensare che il piano di aiuti triennali di 110 miliardi a favore della Grecia, da parte della UE e del FMI, con un impegno tedesco di oltre 22 miliardi, è costato al Cancelliere tedesco Angela Merkel (nella foto) la sconfitta nelle elezioni regionali nel Nord Reno-Westfalia. In una fase di crisi come questa, nella quale i governi e gli organismi finanziari internazionali invitano a fare sacrifici e a stringere la cinghia, nessun cittadino è infatti disposto a vedersi oberato di nuovi impegni, peraltro originati dai buchi di bilancio degli altri Paesi. Con tanti saluti alla solidarietà europea.
Nonostante la risposta più che positiva delle Borse, quello che comunque appare assurdo è che i governi europei si pongano l’obiettivo di porre in essere misure per vanificare gli effetti della speculazione e nessuno di essi vada al cuore del problema. Nessuno quindi che si ponga di eliminare la speculazione finanziaria in quanto tale sia in Europa che sugli altri mercati, ad incominciare da quello statunitense. Nessuno che si ponga il problema che è necessario stabilire regole internazionali che impongano che non si possono investire i soldi che non si hanno, che è poi il principio base della speculazione. Nessuno che chieda a Barack Hussein Obama, il maggiordomo dell’Alta Finanza Usa, di impedire ai gangster di Wall Street di agire indisturbati. Se l’euro è sotto pressione è perché criminali del calibro di George Soros e John Paulson, o i dirigenti di banche tipo la Goldman Sachs, possono continuare a raccogliere denaro virtuale sui mercati, cioè soldi che non possiedono, e poi puntarlo contro i titoli di Stato greci e domani su quelli italiani, per guadagnarci sul breve termine e per affossare il sistema dell’euro sul lungo termine.
L’altro assurdo è che la speculazione venga da un Paese, come gli Stati Uniti, che da decenni vive alle spalle degli altri Paesi in conseguenza del suo enorme deficit commerciale e dell’altrettanto enorme debito pubblico. Due peculiarità che fanno sì che il dollaro non sia altro che carta straccia. Da parte sua, Obama si è limitato ad incoraggiare per telefono la Merkel ad adottare azioni decise in difesa della stabilità finanziaria dell'Europa, perché si è reso conto che un'azione speculativa a largo spettro contro l'euro, organizzata dai suoi padroni, avrebbe rischiato di avere effetti dirompenti sulle esportazioni degli stessi Stati Uniti. La realtà è quindi che l’Europa è impotente nei confronti degli speculatori, dal ministro svedese Anders Borg definiti “sciacalli”, e che le uniche misure che è in grado di varare sono quelle di contenimento e di difesa. Siamo in grado di difendere l’euro dagli speculatori, ha garantito la Merkel. Ma non di impedirgli di speculare.
Londra va per conto suo
Un altro aspetto che è emerso dalla riunione dell’Ecofin di Bruxelles è stato il no di Londra al piano di difesa dell’euro. Un no che era prevedibile non fosse altro che la Gran Bretagna non fa parte dell’euro e continua ad essere tenacemente attaccata alla sterlina. Ma soprattutto perché la Gran Bretagna ha svolto un ruolo determinante nel fare scoppiare la crisi finanziaria a cavallo tra il 2007 e il 2008. La finanza britannica ha infatti una forte impronta speculativa ed è proprio sullo sviluppo della finanza che i governi laburisti di Blair e Brown hanno impostato la loro politica economica negli ultimi 15 anni e che ha comportato un enorme piano di aiuti per salvare le banche che avevano massicciamente speculato. Proporzionalmente, forse più delle stesse banche americane. Una politica economica che ha comportato una non indifferente deindustrializzazione del Paese e che ora la Gran Bretagna sta pagando pesantemente con una crisi economica devastante, con il disavanzo pubblico ad oltre il 12%, con una disoccupazione di massa e una povertà crescente e con il valore della sterlina in caduta libera.
Nuove regole in arrivo
Resta in ogni caso la realtà di un Europa che di fatto è nata intorno ad un progetto di mercato unico e con un disegno politico messo in secondo piano e al servizio di quello. E’ da questa impostazione di partenza, nella quale i governi e la politica hanno accettato di essere sovrastrutture dell’economia e della finanza, che nasce l’impotenza nei riguardi della speculazione con l’adozione di misure che sono palliativi perché non vanno alla radice del problema, Adesso le prossime tappe saranno l’adozione da parte dei Paesi più a rischio, come Spagna e Portogallo, di misure di contenimento della spesa pubblica con tutto ciò che questo comporterà in settori come le pensioni e l’assistenza sanitaria. Poi il prossimo 21 maggio ci sarà la prima riunione del comitato per la riforma del Patto di stabilità. Da parte sua, il presidente della Commissione Europea Jose Manuel Barroso, ha affermato che, dopo le decisioni prese domenica notte, ogni tentativo della speculazione di indebolire la stabilità delle economie dell'euro è destinato a fallire. Sulla stessa linea il ministro degli Esteri, Franco Frattini che ha affermato che dopo aver spento l'incendio che rischiava di propagarsi a tutta la casa comune europea, si deve riflettere sulle regole che governano l’economia e la finanza, e rivedere i meccanismi di allerta sugli squilibri in atto e il peso e il ruolo delle agenzie di rating.
S&P promuove il piano
Giudizi positivi, e questo dovrebbe essere preoccupante, sono arrivati proprio da una agenzia di rating Usa, come Standard&Poor’s, che ha sottolineato che il piano europeo di sostegno all’euro, rappresenta una soluzione positiva sul lungo periodo perché fornisce un sistema di difesa e di protezione sul lungo periodo nei confronti dei Paesi più vulnerabili al rischio contagio. Si tratta di un piano di grande portata, ha detto un dirigenti di S&P. Per alcune settimane, ha sostenuto, l'Europa è stata severamente criticata dai mercati per i ritardi nel fornire risposte e così il piano avrebbe approvato ha recepito queste perplessità. Dubbi che in realtà erano quelli delle stesse società di rating che stavano di fatto facendo il gioco degli speculatori declassando l’affidabilità dei titoli del debito pubblico di diversi Stati, come l’Italia, e di conseguenza affossando la stabilità dell’euro. Per S&P, in ogni caso non ci sarebbe alcuna ragione per temere che qualche Paese europeo sia obbligato a lasciare il sistema dell’euro.
La concessione di fondi ai Paesi che dovessero averne bisogno sarà associata a “condizioni rigorose” e con un sistema che è molto simile a quello stabilito per la Grecia. Mentre la Banca centrale europea e la Bundesbank si sono dette pronte ad acquistare titoli di Stato dei Paesi in difficoltà.
Trovare un accordo è stato molto faticoso sia perché si metterà in campo una cifra di risorse imponente sia per l’impegno che tutto questo comporterà in termini squisitamente finanziari ma anche politici. Basti pensare che il piano di aiuti triennali di 110 miliardi a favore della Grecia, da parte della UE e del FMI, con un impegno tedesco di oltre 22 miliardi, è costato al Cancelliere tedesco Angela Merkel (nella foto) la sconfitta nelle elezioni regionali nel Nord Reno-Westfalia. In una fase di crisi come questa, nella quale i governi e gli organismi finanziari internazionali invitano a fare sacrifici e a stringere la cinghia, nessun cittadino è infatti disposto a vedersi oberato di nuovi impegni, peraltro originati dai buchi di bilancio degli altri Paesi. Con tanti saluti alla solidarietà europea.
Nonostante la risposta più che positiva delle Borse, quello che comunque appare assurdo è che i governi europei si pongano l’obiettivo di porre in essere misure per vanificare gli effetti della speculazione e nessuno di essi vada al cuore del problema. Nessuno quindi che si ponga di eliminare la speculazione finanziaria in quanto tale sia in Europa che sugli altri mercati, ad incominciare da quello statunitense. Nessuno che si ponga il problema che è necessario stabilire regole internazionali che impongano che non si possono investire i soldi che non si hanno, che è poi il principio base della speculazione. Nessuno che chieda a Barack Hussein Obama, il maggiordomo dell’Alta Finanza Usa, di impedire ai gangster di Wall Street di agire indisturbati. Se l’euro è sotto pressione è perché criminali del calibro di George Soros e John Paulson, o i dirigenti di banche tipo la Goldman Sachs, possono continuare a raccogliere denaro virtuale sui mercati, cioè soldi che non possiedono, e poi puntarlo contro i titoli di Stato greci e domani su quelli italiani, per guadagnarci sul breve termine e per affossare il sistema dell’euro sul lungo termine.
L’altro assurdo è che la speculazione venga da un Paese, come gli Stati Uniti, che da decenni vive alle spalle degli altri Paesi in conseguenza del suo enorme deficit commerciale e dell’altrettanto enorme debito pubblico. Due peculiarità che fanno sì che il dollaro non sia altro che carta straccia. Da parte sua, Obama si è limitato ad incoraggiare per telefono la Merkel ad adottare azioni decise in difesa della stabilità finanziaria dell'Europa, perché si è reso conto che un'azione speculativa a largo spettro contro l'euro, organizzata dai suoi padroni, avrebbe rischiato di avere effetti dirompenti sulle esportazioni degli stessi Stati Uniti. La realtà è quindi che l’Europa è impotente nei confronti degli speculatori, dal ministro svedese Anders Borg definiti “sciacalli”, e che le uniche misure che è in grado di varare sono quelle di contenimento e di difesa. Siamo in grado di difendere l’euro dagli speculatori, ha garantito la Merkel. Ma non di impedirgli di speculare.
Londra va per conto suo
Un altro aspetto che è emerso dalla riunione dell’Ecofin di Bruxelles è stato il no di Londra al piano di difesa dell’euro. Un no che era prevedibile non fosse altro che la Gran Bretagna non fa parte dell’euro e continua ad essere tenacemente attaccata alla sterlina. Ma soprattutto perché la Gran Bretagna ha svolto un ruolo determinante nel fare scoppiare la crisi finanziaria a cavallo tra il 2007 e il 2008. La finanza britannica ha infatti una forte impronta speculativa ed è proprio sullo sviluppo della finanza che i governi laburisti di Blair e Brown hanno impostato la loro politica economica negli ultimi 15 anni e che ha comportato un enorme piano di aiuti per salvare le banche che avevano massicciamente speculato. Proporzionalmente, forse più delle stesse banche americane. Una politica economica che ha comportato una non indifferente deindustrializzazione del Paese e che ora la Gran Bretagna sta pagando pesantemente con una crisi economica devastante, con il disavanzo pubblico ad oltre il 12%, con una disoccupazione di massa e una povertà crescente e con il valore della sterlina in caduta libera.
Nuove regole in arrivo
Resta in ogni caso la realtà di un Europa che di fatto è nata intorno ad un progetto di mercato unico e con un disegno politico messo in secondo piano e al servizio di quello. E’ da questa impostazione di partenza, nella quale i governi e la politica hanno accettato di essere sovrastrutture dell’economia e della finanza, che nasce l’impotenza nei riguardi della speculazione con l’adozione di misure che sono palliativi perché non vanno alla radice del problema, Adesso le prossime tappe saranno l’adozione da parte dei Paesi più a rischio, come Spagna e Portogallo, di misure di contenimento della spesa pubblica con tutto ciò che questo comporterà in settori come le pensioni e l’assistenza sanitaria. Poi il prossimo 21 maggio ci sarà la prima riunione del comitato per la riforma del Patto di stabilità. Da parte sua, il presidente della Commissione Europea Jose Manuel Barroso, ha affermato che, dopo le decisioni prese domenica notte, ogni tentativo della speculazione di indebolire la stabilità delle economie dell'euro è destinato a fallire. Sulla stessa linea il ministro degli Esteri, Franco Frattini che ha affermato che dopo aver spento l'incendio che rischiava di propagarsi a tutta la casa comune europea, si deve riflettere sulle regole che governano l’economia e la finanza, e rivedere i meccanismi di allerta sugli squilibri in atto e il peso e il ruolo delle agenzie di rating.
S&P promuove il piano
Giudizi positivi, e questo dovrebbe essere preoccupante, sono arrivati proprio da una agenzia di rating Usa, come Standard&Poor’s, che ha sottolineato che il piano europeo di sostegno all’euro, rappresenta una soluzione positiva sul lungo periodo perché fornisce un sistema di difesa e di protezione sul lungo periodo nei confronti dei Paesi più vulnerabili al rischio contagio. Si tratta di un piano di grande portata, ha detto un dirigenti di S&P. Per alcune settimane, ha sostenuto, l'Europa è stata severamente criticata dai mercati per i ritardi nel fornire risposte e così il piano avrebbe approvato ha recepito queste perplessità. Dubbi che in realtà erano quelli delle stesse società di rating che stavano di fatto facendo il gioco degli speculatori declassando l’affidabilità dei titoli del debito pubblico di diversi Stati, come l’Italia, e di conseguenza affossando la stabilità dell’euro. Per S&P, in ogni caso non ci sarebbe alcuna ragione per temere che qualche Paese europeo sia obbligato a lasciare il sistema dell’euro.
12 maggio 2010
I pirati della borsa
I mercati finanziari nei giorni scorsi hanno segnato forti ribassi assaltati dagli speculatori. Parliamoci chiaro, gli speculatori sono quelli che, avviato il ribasso - cioè dato l’arrembaggio alla nave dei risparmiatori spaventati, che vendono per paura - comprano quando i prezzi delle azioni sono molto più bassi. I ribassisti sono signori che, assistiti dagli strumenti finanziari, vendono azioni pur non possedendole. In un secondo momento comprano, quindi, le azioni che non avevano e hanno già venduto. Ma non sono i soli alla ricerca di facili guadagni. Il fatto stesso che ci sia qualcuno che vende perché impaurito, significa che anche questi era alla ricerca di rendimenti più alti, ma più rischiosi, altrimenti avrebbe tenuto le azioni in attesa dei dividendi (i cosiddetti cassettisti), o avrebbe acquistato Bot o Cct o avrebbe tenuto i soldi in banca, che sono investimenti assai più sicuri. La borsa, si sa, ha dei “cicli” in cui i listini scendono e salgono. Non pensiate che chi guadagna in queste situazioni siano degli anonimi investitori, spesso sono le stesse banche. Basta guardare i bilanci dell’ultimo anno delle banche per vedere che una delle voci più consistenti dei ricavi è quella relativa al trading mobiliare, cioè ai guadagni fatti comprando e vendendo azioni e titoli. Questa volta l’allarme ha colpito i mercati per il caso Grecia. Altre volte gli allarmi, i cosiddetti warning, sono stati più seri (11 settembre; mutui subprime), altre volte meno seri o addirittura immotivati. Tra i bassi di ieri e gli alti di oggi, il caso Grecia sarà dimenticato e i listini saranno ancora come si dice bullish, cioè in salita. I ribassisti si faranno rialzisti, perché devono portare all’incasso i loro “investimenti”. La borsa è ormai un fenomeno mondiale. Mentre fino a qualche tempo fa i mercati seguivano Wall Street, ora tutti influenzano tutti. Per assurdo, l’anomalia del mercato borsistico sta proprio nel fatto che registra non il reale valore delle aziende, ma il valore di mercato, cioè quanto si è disposti a pagare una azione (una piccola quota di una azienda) in un determinato momento. Si potrebbe, come propone l’ex ministro e ex presidente Consob, Luigi Spaventa, su Repubblica bloccare la strada ai ribassisti-speculatori, consentendo agli stati di intervenire sul mercato e acquistare titoli nel momento in cui gli speculatori attaccano, vanificando le loro previsioni al ribasso e infliggendogli delle perdite. E’ una strada percorribile, che presuppone la presenza di una montagna di euro, se consideriamo che, ad esempio, il valore degli scambi azionari di Milano di venerdi 7 maggio è stato di 6,6 miliardi e che la speculazione potrebbe ripetersi su più giorni. Per ora gli stati europei hanno reagito ponendo a difesa dei propri titoli e della moneta unica 500 miliardi, più 250 del Fondo monetario internazionale. Queste misure che pure hanno messo al riparo i listini dalle speculazioni sui titoli di stato non basteranno a fermare le speculazioni del mercato borsistico. Per fare questo è necessario introdurre una serie di restrizioni e premi per chi opera sui listini. Restrizioni e limitazioni nell’uso degli strumenti finanziari e che contrastino l’abuso della leva finanziaria - investire senza avere il denaro - per chi opera in borsa. Si possono vietare le vendite al ribasso per chi non possiede azioni. Lo si è già sperimentato sul listino milanese per qualche mese dopo la crisi finanziaria mondiale del 2009. L’obiezione è che alcuni investitori non entrerebbero sui mercati che avessero troppe limitazioni. Basterebbe prendere regole comuni, che valgano a Piazza affari, come a Hong Kong, come a Wall Street e i mercati sarebbero più lenti, ma più armonici, nelle loro crescite o ribassi. Chi l’ha detto che l’orso non possa salire le montagne, seppur lentamente? Le politiche fiscali dovrebbero poi incentivare gli investimenti duraturi. La borsa nasce come strumento per le imprese di raccolta del risparmio privato a prezzi più convenienti rispetto al credito concesso dalle banche. Negli ultimi anni si è trasformato in un modo per gonfiare il valore delle azioni prima del collocamento (le cosiddetta Ipo, initial public offering), tanto che il 90 per cento delle aziende valgono oggi meno che al momento della quotazione. Analizzando poi la capitalizzazione delle aziende quotate a Piazza affari vediamo che queste valgono circa il 30 per cento del Pil. Il 35 per cento del valore di capitalizzazione è dato dalle aziende ex statali o municipalizzate dell’energia e dei servizi di pubblica utilità (Eni, Enel, Acea, ecc.), aziende che si fanno un po’ di concorrenza tra loro, senza esagerare, ma le cui tariffe sono regolamentate. Un terzo del valore lo danno banche e assicurazioni, ma i premi e i tassi attivi e passivi riservati agli imprenditori e ai risparmiatori dai diversi sportelli si somigliano molto, senza parlare di cartelli, sembra un mercato con poca concorrenza. Meno di un terzo è dato dal valore delle piccole, medie e grandi imprese che si confrontano, per mezzo dei loro prodotti, con il mercato italiano ed estero. Se è vero che il mercato ha sempre ragione, un mercato finanziario mondiale regolamentato da paletti precisi dovrebbe averne ancora di più. E’ necessario tornare, quindi, allo spirito costitutivo dei mercati borsistici, raccogliere capitali per lo sviluppo e tenere fuori la speculazione, con misure che premino veramente chi tiene i propri soldi investiti in una azione per un periodo duraturo (5,7,10 anni), esentandolo (considerato che finanzia l’economia reale), dalle imposte sui dividendi e sui capital gains. Certamente gli Stati sono più forti e più ricchi degli speculatori, che pure vedono una ricchezza concentrata in poche mani, e se vogliono possono tenere a bada le speculazioni. Non si vedrebbe più la gente che vende perché impaurita, come quando una nave veniva assaltata dai corsari e prima di scappare sulle scialuppe cercava di portare via più oro possibile, lasciando comunque qualcosa in cabina per la fretta di mettere in salvo la pelle, a guadagno dei pirati.
di Alessandro L. Salvaneschi
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14 maggio 2010
I supercomputer provocano il "crash automatico della borsa"
Le screditate “agenzie di valutazione del credito” - rappresentate dalla triade dell’oligopolio anglosassone Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch – hanno assestato in modo selettivo un colpo devastante alla Grecia e all’euro (senza sfiorare gli Stati Uniti né la Gran Bretagna, tecnicamente in una situazione peggiore), e questo ha accelerato la seconda ondata di caos finanziario globale.
L’afflitto cancelliere tedesco Angela Merkel, che pecca di ingenuità infinita e affronta una elezione cruciale nel Nord Reno-Westfalia, ha fustigato il “perfido (sic) mercato” sregolato delle banche, degli hedge funds (fondi di copertura di rischio), gli speculatori e le agenzie di valutazione di credito (Bloomberg, 6/5/10).
Con la ovvia eccezione dell’arcipelago britannico, nell’Europa continentale sono piovute critiche contro la sbilanciata prestazione della triade anglosassone delle “agenzie di valutazione di credito”, che godono di un potere inusuale che urge addomesticare.
Michael Mackenzie, del The Financial Times ( 7/5/10) commenta che l’istantaneo crollo del pomeriggio del giovedì 6 maggio nelle borse degli Stati Uniti per il valore di un miliardo di dollari – equivalente al Pil del Messico-, e che ha avuto conseguenze sul mondo intero, rimane “tuttora un mistero (sic)”.
Varie versioni si susseguono: dal “pollice” di un operatore di borsa che ha sbagliato tasto nel fare il suo ordine di compravendita, passando per “l’effetto greco”, fino all’eventualità di un “sabotaggio” ipotizzato da Obama (Sam Youngman, The Hill, 7/5/10).
A quale hacker cinese, russo, nordcoreano o iraniano pretendono attribuire la colpa dei guasti inerenti lo sregolato modello neoliberista?
A giudizio di Michael Mackenzie l’improvvisa caduta che si è avviata nell”Indice S&P 500” è stata esacerbata dai supercomputer che “servono per vincolare i mercati e il cui panico si è diffuso ai mercati delle divise e dei buoni”.
Contro tutte le leggi suppostamente immutabili del “libero (sic) mercato”, i “quattro grandi luoghi” delle quotazioni delle azioni di borsa degli Stati uniti – NYSE Euronext, Nasdaq, BATS e Direct Edge- hanno cancellato le loro operazioni durante 20 minuti.
Negli Stati Uniti “cadono i sistemi”, come continuamente accade, in modo più primitivo, nelle elezioni presidenziali in Messico.
Il crack della borsa di New York del 1987 era stato attribuito a “programmi” che avevano esacerbato le cadute improvvise.
Le quotazioni finite irrimediabilmente al suolo si sono trasformate in sostanza essendo state superate dagli scambi di borsa di “alta frequenza” dei supercomputer, che usano algoritmi specializzati (“algos”) e che si realizzano simultaneamente in altre piazze annesse alle sedi conosciute.
Per i fondamentalisti del neoliberismo il “commercio algoritmico” (gli “algos”) attraverso i supercomputer ha reso più “efficienti (sic)” e più “liquidi” i mercati grazie al progresso tecnologico.
Lo stesso errore degli algoritmi dei supercomputer era capitato tre anni fa nella borsa di New York NYSE con le operazioni di Crédit Suisse.
Questi algoritmi sono “programmi di software” che “decidono quando, come e dove negoziare certi strumenti finanziari senza il bisogno di alcun intervento umano” (“Il fantasma nelle macchine”, The Financial Times, 17/2/10).
Oggi i “mercati” praticamente automatizzati sono dominati dai “mercanti di alta frequenza” (intorno al 60% di tutte le operazioni), che sfruttano la congiunzione tecnologica e l’ultravelocità che sorpassa gli astanti, per non parlare degli scommettitori, nell’acquisto di affari in alcuni microsecondi. Uff!
Parallelamente, esiste una tecnologia separata che scrutina le notizie per dare agli algoritmi la sua “direzionalità” (il suo senso).
Jeremy Grant analizza i conseguimenti del “commercio algoritmico” di alta frequenza che ha perturbato ( e scombussolato, come è avvenuto l’infausto giovedì) gli scambi borsistici (The Financial Times, 7/5/10): “oggi i mercati borsistici sono diretti in modo schiacciante da algoritmi matematici programmati per entrare ed uscire dai mercati quasi alla velocità della luce, nella frenetica ricerca di affari che risultino in facili guadagni”.
A giudizio di Jeremy Grant, il “commercio algoritmico” serve “gli interessi dei mercanti a breve termine, che usano la più recente magia computazionale”.
Oggi più della metà degli affari di borsa negli Stati Uniti “coinvolge l’uso del commercio algoritmico” dato che le quotazioni non si realizzano unicamente nelle conosciute borse di New York e Nasdaq bensì “in altre piattaforme pletoriche (sic)”, che includono “zone oscure (sic)” – dark pools – e “sistemi operati dagli stessi mercanti”. Ora “meno del 35 per cento delle quotazioni si realizza nella borsa di New York” (NYSE, sigla in inglese), poiché “esistono sistemi che sono riusciti a fare transazioni in soli 16 microsecondi.
Si tratta di borse di valori tecnologiche senza umani o disumanizzate?
L’impressionante verità è che “la maggioranza delle azioni cambiano di proprietario nei centri con dati vasti”. Uno dei centri di dati, construito da NYSE Euronext a Basildon (Gran Bretagna) – “proprietario” della borsa di New York -, misura l’equivalente di tre campi di calcio.
Nonostante la sconcertante “rivoluzione tecnologica”, Jeremy Grant questiona “ gli esistenti sistemi di gestione di rischio per prevenire algoritmi fallaci”.
A quanto pare, il giovedì pomeriggio quei sistemi operati da macchine sono stati sul punto di portare il mondo ad una catastrofe borsistica.
Rimane assodato che la tecnologia guidata dai supercomputer ha trasformato il modo in cui si gestiscono i “mercati” che si trovano nelle mani di poche entità finanziarie globali, di per sè oligopolistiche, che dispongono dei nuovi strumenti di navigazione borsistica che hanno messo fuori gioco gli “investitori ordinari” ( leggasi: praticamente tutto il mondo, con l’eccezione della banca israelo-anglosassone).
Le catastrofi tanto deliberate quanto tecniche della sregolata globalizzazione finanziaria obbligano al ripensamento del dominio e gestione del denaro mondiale, così come de “l’arbitraggio” delle sue screditate “agenzie di valutazione del credito”, dalla plutocrazia della banca israelo-anglosassone che ha portato il suo controllo a livelli intollerabili per tutti gli abitanti del pianeta.
Oggi la vera liberazione del genere umano è anzitutto finanziaria.
Un primo passo per i paesi colpiti – ovvero la stragrande maggioranza meno tre, come è rimasto assodato dopo la deliberata balcanizzazione e vulcanizzazione dell’eurozona – consiste nello stabilire sistemi propri di emissione di moneta (che includano la puntellatura con materie prime strategiche) e di gestione del credito, con autonomia regolatoria nazionale (non trasnazionale), e nell’uscita il prima possibile – prima di rimanere passivamente annichiliti – dal perverso gioco finanziario delle piazze delle borse di New York e Londra (in realtà, dei suoi supercomputer e dei suoi “algos” controllati dalla banca israelo-anglosassone). Questa è la maggiore sfida che l’umanità affronta oggi.
di Alfredo Jalife-Rahme
Fonte: http://www.jornada.unam.mx/
13 maggio 2010
Un piano di 750 miliardi per difendere l’euro
L’Europa e il Fondo monetario internazionale si sono accordati per un piano di 750 miliardi di aiuti per “salvare l’euro dalla speculazione”. Ben 250 miliardi verranno dal Fmi mentre gli altri 500 dai Paesi europei. Di questi, 60 miliardi verranno stanziati dalla Commissione europea e gli altri 440 saranno costituiti da prestiti e garanzie fornite dai Paesi membri del sistema dell’euro. I ministri delle Finanze dei 27 Paesi membri, recita un comunicato, “hanno deciso un pacchetto comprensivo di misure per preservare la stabilità finanziaria in Europa, compreso un meccanismo di stabilizzazione finanziaria”.
La concessione di fondi ai Paesi che dovessero averne bisogno sarà associata a “condizioni rigorose” e con un sistema che è molto simile a quello stabilito per la Grecia. Mentre la Banca centrale europea e la Bundesbank si sono dette pronte ad acquistare titoli di Stato dei Paesi in difficoltà.
Trovare un accordo è stato molto faticoso sia perché si metterà in campo una cifra di risorse imponente sia per l’impegno che tutto questo comporterà in termini squisitamente finanziari ma anche politici. Basti pensare che il piano di aiuti triennali di 110 miliardi a favore della Grecia, da parte della UE e del FMI, con un impegno tedesco di oltre 22 miliardi, è costato al Cancelliere tedesco Angela Merkel (nella foto) la sconfitta nelle elezioni regionali nel Nord Reno-Westfalia. In una fase di crisi come questa, nella quale i governi e gli organismi finanziari internazionali invitano a fare sacrifici e a stringere la cinghia, nessun cittadino è infatti disposto a vedersi oberato di nuovi impegni, peraltro originati dai buchi di bilancio degli altri Paesi. Con tanti saluti alla solidarietà europea.
Nonostante la risposta più che positiva delle Borse, quello che comunque appare assurdo è che i governi europei si pongano l’obiettivo di porre in essere misure per vanificare gli effetti della speculazione e nessuno di essi vada al cuore del problema. Nessuno quindi che si ponga di eliminare la speculazione finanziaria in quanto tale sia in Europa che sugli altri mercati, ad incominciare da quello statunitense. Nessuno che si ponga il problema che è necessario stabilire regole internazionali che impongano che non si possono investire i soldi che non si hanno, che è poi il principio base della speculazione. Nessuno che chieda a Barack Hussein Obama, il maggiordomo dell’Alta Finanza Usa, di impedire ai gangster di Wall Street di agire indisturbati. Se l’euro è sotto pressione è perché criminali del calibro di George Soros e John Paulson, o i dirigenti di banche tipo la Goldman Sachs, possono continuare a raccogliere denaro virtuale sui mercati, cioè soldi che non possiedono, e poi puntarlo contro i titoli di Stato greci e domani su quelli italiani, per guadagnarci sul breve termine e per affossare il sistema dell’euro sul lungo termine.
L’altro assurdo è che la speculazione venga da un Paese, come gli Stati Uniti, che da decenni vive alle spalle degli altri Paesi in conseguenza del suo enorme deficit commerciale e dell’altrettanto enorme debito pubblico. Due peculiarità che fanno sì che il dollaro non sia altro che carta straccia. Da parte sua, Obama si è limitato ad incoraggiare per telefono la Merkel ad adottare azioni decise in difesa della stabilità finanziaria dell'Europa, perché si è reso conto che un'azione speculativa a largo spettro contro l'euro, organizzata dai suoi padroni, avrebbe rischiato di avere effetti dirompenti sulle esportazioni degli stessi Stati Uniti. La realtà è quindi che l’Europa è impotente nei confronti degli speculatori, dal ministro svedese Anders Borg definiti “sciacalli”, e che le uniche misure che è in grado di varare sono quelle di contenimento e di difesa. Siamo in grado di difendere l’euro dagli speculatori, ha garantito la Merkel. Ma non di impedirgli di speculare.
Londra va per conto suo
Un altro aspetto che è emerso dalla riunione dell’Ecofin di Bruxelles è stato il no di Londra al piano di difesa dell’euro. Un no che era prevedibile non fosse altro che la Gran Bretagna non fa parte dell’euro e continua ad essere tenacemente attaccata alla sterlina. Ma soprattutto perché la Gran Bretagna ha svolto un ruolo determinante nel fare scoppiare la crisi finanziaria a cavallo tra il 2007 e il 2008. La finanza britannica ha infatti una forte impronta speculativa ed è proprio sullo sviluppo della finanza che i governi laburisti di Blair e Brown hanno impostato la loro politica economica negli ultimi 15 anni e che ha comportato un enorme piano di aiuti per salvare le banche che avevano massicciamente speculato. Proporzionalmente, forse più delle stesse banche americane. Una politica economica che ha comportato una non indifferente deindustrializzazione del Paese e che ora la Gran Bretagna sta pagando pesantemente con una crisi economica devastante, con il disavanzo pubblico ad oltre il 12%, con una disoccupazione di massa e una povertà crescente e con il valore della sterlina in caduta libera.
Nuove regole in arrivo
Resta in ogni caso la realtà di un Europa che di fatto è nata intorno ad un progetto di mercato unico e con un disegno politico messo in secondo piano e al servizio di quello. E’ da questa impostazione di partenza, nella quale i governi e la politica hanno accettato di essere sovrastrutture dell’economia e della finanza, che nasce l’impotenza nei riguardi della speculazione con l’adozione di misure che sono palliativi perché non vanno alla radice del problema, Adesso le prossime tappe saranno l’adozione da parte dei Paesi più a rischio, come Spagna e Portogallo, di misure di contenimento della spesa pubblica con tutto ciò che questo comporterà in settori come le pensioni e l’assistenza sanitaria. Poi il prossimo 21 maggio ci sarà la prima riunione del comitato per la riforma del Patto di stabilità. Da parte sua, il presidente della Commissione Europea Jose Manuel Barroso, ha affermato che, dopo le decisioni prese domenica notte, ogni tentativo della speculazione di indebolire la stabilità delle economie dell'euro è destinato a fallire. Sulla stessa linea il ministro degli Esteri, Franco Frattini che ha affermato che dopo aver spento l'incendio che rischiava di propagarsi a tutta la casa comune europea, si deve riflettere sulle regole che governano l’economia e la finanza, e rivedere i meccanismi di allerta sugli squilibri in atto e il peso e il ruolo delle agenzie di rating.
S&P promuove il piano
Giudizi positivi, e questo dovrebbe essere preoccupante, sono arrivati proprio da una agenzia di rating Usa, come Standard&Poor’s, che ha sottolineato che il piano europeo di sostegno all’euro, rappresenta una soluzione positiva sul lungo periodo perché fornisce un sistema di difesa e di protezione sul lungo periodo nei confronti dei Paesi più vulnerabili al rischio contagio. Si tratta di un piano di grande portata, ha detto un dirigenti di S&P. Per alcune settimane, ha sostenuto, l'Europa è stata severamente criticata dai mercati per i ritardi nel fornire risposte e così il piano avrebbe approvato ha recepito queste perplessità. Dubbi che in realtà erano quelli delle stesse società di rating che stavano di fatto facendo il gioco degli speculatori declassando l’affidabilità dei titoli del debito pubblico di diversi Stati, come l’Italia, e di conseguenza affossando la stabilità dell’euro. Per S&P, in ogni caso non ci sarebbe alcuna ragione per temere che qualche Paese europeo sia obbligato a lasciare il sistema dell’euro.
La concessione di fondi ai Paesi che dovessero averne bisogno sarà associata a “condizioni rigorose” e con un sistema che è molto simile a quello stabilito per la Grecia. Mentre la Banca centrale europea e la Bundesbank si sono dette pronte ad acquistare titoli di Stato dei Paesi in difficoltà.
Trovare un accordo è stato molto faticoso sia perché si metterà in campo una cifra di risorse imponente sia per l’impegno che tutto questo comporterà in termini squisitamente finanziari ma anche politici. Basti pensare che il piano di aiuti triennali di 110 miliardi a favore della Grecia, da parte della UE e del FMI, con un impegno tedesco di oltre 22 miliardi, è costato al Cancelliere tedesco Angela Merkel (nella foto) la sconfitta nelle elezioni regionali nel Nord Reno-Westfalia. In una fase di crisi come questa, nella quale i governi e gli organismi finanziari internazionali invitano a fare sacrifici e a stringere la cinghia, nessun cittadino è infatti disposto a vedersi oberato di nuovi impegni, peraltro originati dai buchi di bilancio degli altri Paesi. Con tanti saluti alla solidarietà europea.
Nonostante la risposta più che positiva delle Borse, quello che comunque appare assurdo è che i governi europei si pongano l’obiettivo di porre in essere misure per vanificare gli effetti della speculazione e nessuno di essi vada al cuore del problema. Nessuno quindi che si ponga di eliminare la speculazione finanziaria in quanto tale sia in Europa che sugli altri mercati, ad incominciare da quello statunitense. Nessuno che si ponga il problema che è necessario stabilire regole internazionali che impongano che non si possono investire i soldi che non si hanno, che è poi il principio base della speculazione. Nessuno che chieda a Barack Hussein Obama, il maggiordomo dell’Alta Finanza Usa, di impedire ai gangster di Wall Street di agire indisturbati. Se l’euro è sotto pressione è perché criminali del calibro di George Soros e John Paulson, o i dirigenti di banche tipo la Goldman Sachs, possono continuare a raccogliere denaro virtuale sui mercati, cioè soldi che non possiedono, e poi puntarlo contro i titoli di Stato greci e domani su quelli italiani, per guadagnarci sul breve termine e per affossare il sistema dell’euro sul lungo termine.
L’altro assurdo è che la speculazione venga da un Paese, come gli Stati Uniti, che da decenni vive alle spalle degli altri Paesi in conseguenza del suo enorme deficit commerciale e dell’altrettanto enorme debito pubblico. Due peculiarità che fanno sì che il dollaro non sia altro che carta straccia. Da parte sua, Obama si è limitato ad incoraggiare per telefono la Merkel ad adottare azioni decise in difesa della stabilità finanziaria dell'Europa, perché si è reso conto che un'azione speculativa a largo spettro contro l'euro, organizzata dai suoi padroni, avrebbe rischiato di avere effetti dirompenti sulle esportazioni degli stessi Stati Uniti. La realtà è quindi che l’Europa è impotente nei confronti degli speculatori, dal ministro svedese Anders Borg definiti “sciacalli”, e che le uniche misure che è in grado di varare sono quelle di contenimento e di difesa. Siamo in grado di difendere l’euro dagli speculatori, ha garantito la Merkel. Ma non di impedirgli di speculare.
Londra va per conto suo
Un altro aspetto che è emerso dalla riunione dell’Ecofin di Bruxelles è stato il no di Londra al piano di difesa dell’euro. Un no che era prevedibile non fosse altro che la Gran Bretagna non fa parte dell’euro e continua ad essere tenacemente attaccata alla sterlina. Ma soprattutto perché la Gran Bretagna ha svolto un ruolo determinante nel fare scoppiare la crisi finanziaria a cavallo tra il 2007 e il 2008. La finanza britannica ha infatti una forte impronta speculativa ed è proprio sullo sviluppo della finanza che i governi laburisti di Blair e Brown hanno impostato la loro politica economica negli ultimi 15 anni e che ha comportato un enorme piano di aiuti per salvare le banche che avevano massicciamente speculato. Proporzionalmente, forse più delle stesse banche americane. Una politica economica che ha comportato una non indifferente deindustrializzazione del Paese e che ora la Gran Bretagna sta pagando pesantemente con una crisi economica devastante, con il disavanzo pubblico ad oltre il 12%, con una disoccupazione di massa e una povertà crescente e con il valore della sterlina in caduta libera.
Nuove regole in arrivo
Resta in ogni caso la realtà di un Europa che di fatto è nata intorno ad un progetto di mercato unico e con un disegno politico messo in secondo piano e al servizio di quello. E’ da questa impostazione di partenza, nella quale i governi e la politica hanno accettato di essere sovrastrutture dell’economia e della finanza, che nasce l’impotenza nei riguardi della speculazione con l’adozione di misure che sono palliativi perché non vanno alla radice del problema, Adesso le prossime tappe saranno l’adozione da parte dei Paesi più a rischio, come Spagna e Portogallo, di misure di contenimento della spesa pubblica con tutto ciò che questo comporterà in settori come le pensioni e l’assistenza sanitaria. Poi il prossimo 21 maggio ci sarà la prima riunione del comitato per la riforma del Patto di stabilità. Da parte sua, il presidente della Commissione Europea Jose Manuel Barroso, ha affermato che, dopo le decisioni prese domenica notte, ogni tentativo della speculazione di indebolire la stabilità delle economie dell'euro è destinato a fallire. Sulla stessa linea il ministro degli Esteri, Franco Frattini che ha affermato che dopo aver spento l'incendio che rischiava di propagarsi a tutta la casa comune europea, si deve riflettere sulle regole che governano l’economia e la finanza, e rivedere i meccanismi di allerta sugli squilibri in atto e il peso e il ruolo delle agenzie di rating.
S&P promuove il piano
Giudizi positivi, e questo dovrebbe essere preoccupante, sono arrivati proprio da una agenzia di rating Usa, come Standard&Poor’s, che ha sottolineato che il piano europeo di sostegno all’euro, rappresenta una soluzione positiva sul lungo periodo perché fornisce un sistema di difesa e di protezione sul lungo periodo nei confronti dei Paesi più vulnerabili al rischio contagio. Si tratta di un piano di grande portata, ha detto un dirigenti di S&P. Per alcune settimane, ha sostenuto, l'Europa è stata severamente criticata dai mercati per i ritardi nel fornire risposte e così il piano avrebbe approvato ha recepito queste perplessità. Dubbi che in realtà erano quelli delle stesse società di rating che stavano di fatto facendo il gioco degli speculatori declassando l’affidabilità dei titoli del debito pubblico di diversi Stati, come l’Italia, e di conseguenza affossando la stabilità dell’euro. Per S&P, in ogni caso non ci sarebbe alcuna ragione per temere che qualche Paese europeo sia obbligato a lasciare il sistema dell’euro.
12 maggio 2010
I pirati della borsa
I mercati finanziari nei giorni scorsi hanno segnato forti ribassi assaltati dagli speculatori. Parliamoci chiaro, gli speculatori sono quelli che, avviato il ribasso - cioè dato l’arrembaggio alla nave dei risparmiatori spaventati, che vendono per paura - comprano quando i prezzi delle azioni sono molto più bassi. I ribassisti sono signori che, assistiti dagli strumenti finanziari, vendono azioni pur non possedendole. In un secondo momento comprano, quindi, le azioni che non avevano e hanno già venduto. Ma non sono i soli alla ricerca di facili guadagni. Il fatto stesso che ci sia qualcuno che vende perché impaurito, significa che anche questi era alla ricerca di rendimenti più alti, ma più rischiosi, altrimenti avrebbe tenuto le azioni in attesa dei dividendi (i cosiddetti cassettisti), o avrebbe acquistato Bot o Cct o avrebbe tenuto i soldi in banca, che sono investimenti assai più sicuri. La borsa, si sa, ha dei “cicli” in cui i listini scendono e salgono. Non pensiate che chi guadagna in queste situazioni siano degli anonimi investitori, spesso sono le stesse banche. Basta guardare i bilanci dell’ultimo anno delle banche per vedere che una delle voci più consistenti dei ricavi è quella relativa al trading mobiliare, cioè ai guadagni fatti comprando e vendendo azioni e titoli. Questa volta l’allarme ha colpito i mercati per il caso Grecia. Altre volte gli allarmi, i cosiddetti warning, sono stati più seri (11 settembre; mutui subprime), altre volte meno seri o addirittura immotivati. Tra i bassi di ieri e gli alti di oggi, il caso Grecia sarà dimenticato e i listini saranno ancora come si dice bullish, cioè in salita. I ribassisti si faranno rialzisti, perché devono portare all’incasso i loro “investimenti”. La borsa è ormai un fenomeno mondiale. Mentre fino a qualche tempo fa i mercati seguivano Wall Street, ora tutti influenzano tutti. Per assurdo, l’anomalia del mercato borsistico sta proprio nel fatto che registra non il reale valore delle aziende, ma il valore di mercato, cioè quanto si è disposti a pagare una azione (una piccola quota di una azienda) in un determinato momento. Si potrebbe, come propone l’ex ministro e ex presidente Consob, Luigi Spaventa, su Repubblica bloccare la strada ai ribassisti-speculatori, consentendo agli stati di intervenire sul mercato e acquistare titoli nel momento in cui gli speculatori attaccano, vanificando le loro previsioni al ribasso e infliggendogli delle perdite. E’ una strada percorribile, che presuppone la presenza di una montagna di euro, se consideriamo che, ad esempio, il valore degli scambi azionari di Milano di venerdi 7 maggio è stato di 6,6 miliardi e che la speculazione potrebbe ripetersi su più giorni. Per ora gli stati europei hanno reagito ponendo a difesa dei propri titoli e della moneta unica 500 miliardi, più 250 del Fondo monetario internazionale. Queste misure che pure hanno messo al riparo i listini dalle speculazioni sui titoli di stato non basteranno a fermare le speculazioni del mercato borsistico. Per fare questo è necessario introdurre una serie di restrizioni e premi per chi opera sui listini. Restrizioni e limitazioni nell’uso degli strumenti finanziari e che contrastino l’abuso della leva finanziaria - investire senza avere il denaro - per chi opera in borsa. Si possono vietare le vendite al ribasso per chi non possiede azioni. Lo si è già sperimentato sul listino milanese per qualche mese dopo la crisi finanziaria mondiale del 2009. L’obiezione è che alcuni investitori non entrerebbero sui mercati che avessero troppe limitazioni. Basterebbe prendere regole comuni, che valgano a Piazza affari, come a Hong Kong, come a Wall Street e i mercati sarebbero più lenti, ma più armonici, nelle loro crescite o ribassi. Chi l’ha detto che l’orso non possa salire le montagne, seppur lentamente? Le politiche fiscali dovrebbero poi incentivare gli investimenti duraturi. La borsa nasce come strumento per le imprese di raccolta del risparmio privato a prezzi più convenienti rispetto al credito concesso dalle banche. Negli ultimi anni si è trasformato in un modo per gonfiare il valore delle azioni prima del collocamento (le cosiddetta Ipo, initial public offering), tanto che il 90 per cento delle aziende valgono oggi meno che al momento della quotazione. Analizzando poi la capitalizzazione delle aziende quotate a Piazza affari vediamo che queste valgono circa il 30 per cento del Pil. Il 35 per cento del valore di capitalizzazione è dato dalle aziende ex statali o municipalizzate dell’energia e dei servizi di pubblica utilità (Eni, Enel, Acea, ecc.), aziende che si fanno un po’ di concorrenza tra loro, senza esagerare, ma le cui tariffe sono regolamentate. Un terzo del valore lo danno banche e assicurazioni, ma i premi e i tassi attivi e passivi riservati agli imprenditori e ai risparmiatori dai diversi sportelli si somigliano molto, senza parlare di cartelli, sembra un mercato con poca concorrenza. Meno di un terzo è dato dal valore delle piccole, medie e grandi imprese che si confrontano, per mezzo dei loro prodotti, con il mercato italiano ed estero. Se è vero che il mercato ha sempre ragione, un mercato finanziario mondiale regolamentato da paletti precisi dovrebbe averne ancora di più. E’ necessario tornare, quindi, allo spirito costitutivo dei mercati borsistici, raccogliere capitali per lo sviluppo e tenere fuori la speculazione, con misure che premino veramente chi tiene i propri soldi investiti in una azione per un periodo duraturo (5,7,10 anni), esentandolo (considerato che finanzia l’economia reale), dalle imposte sui dividendi e sui capital gains. Certamente gli Stati sono più forti e più ricchi degli speculatori, che pure vedono una ricchezza concentrata in poche mani, e se vogliono possono tenere a bada le speculazioni. Non si vedrebbe più la gente che vende perché impaurita, come quando una nave veniva assaltata dai corsari e prima di scappare sulle scialuppe cercava di portare via più oro possibile, lasciando comunque qualcosa in cabina per la fretta di mettere in salvo la pelle, a guadagno dei pirati.
di Alessandro L. Salvaneschi
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