28 maggio 2010

Lo striscio di Stato

È nota la definizione della democrazia come sistema pieno di difetti ma di cui non si è ancora trovato nulla di meglio. Da questa ragionevole assunzione discende, per la maggior parte della gente, la convinzione errata che la democrazia (il migliore o il meno peggio dei sistemi di governo) sia quello per cui la maggioranza ha sempre ragione. Nulla di più falso. La democrazia è il sistema per cui, visto che è difficile definire in termini qualitativi chi abbia più ragione degli altri, si ricorre a un sistema bassamente quantitativo, ma oggettivamente controllabile: in democrazia governa chi prende più consensi. E se qualcuno ritiene che la maggioranza abbia torto, peggio per lui: se ha accettato i principi democratici deve accettare che governi una maggioranza che si sbaglia.

Una delle funzioni delle opposizioni è quella di dimostrare alla maggioranza che si era sbagliata. E se non ce la fa? Allora abbiamo, oltre a una cattiva maggioranza, anche una cattiva opposizione. Quante volte la maggioranza può sbagliarsi? Per millenni la maggioranza degli uomini ha creduto che il sole girasse intorno alla terra (e, considerando le vaste aree poco alfabetizzate del mondo, e il fatto che sondaggi fatti nei paesi più avanzati hanno dimostrato che moltissimi occidentali ancora credono che il sole giri) ecco un bel caso in cui la maggioranza non solo si è sbagliata ma si sbaglia ancora. Le maggioranze si sono sbagliate a ritenere Beethoven inascoltabile o Picasso inguardabile, la maggioranza a Gerusalemme si è sbagliata a preferire Barabba a Gesù, la maggioranza degli americani sbaglia a credere che due uova con pancetta tutte le mattine e una bella bistecca a pasto siano garanzie di buona salute, la maggioranza si sbagliava a preferire gli orsi a Terenzio e (forse) si sbaglia ancora a preferire "La pupa e il secchione" a Sofocle. Per secoli la maggioranza della gente ha ritenuto che esistessero le streghe e che fosse giusto bruciarle, nel Seicento la maggioranza dei milanesi credeva che la peste fosse provocata dagli untori, l'enorme maggioranza degli occidentali, compreso Voltaire, riteneva legittima e naturale la schiavitù, la maggioranza degli europei credeva che fosse nobile e sacrosanto colonizzare l'Africa.



In politica Hitler non è andato al potere per un colpo di Stato ma è stato eletto dalla maggioranza, Mussolini ha instaurato la dittatura dopo l'assassinio di Matteotti ma prima godeva di una maggioranza parlamentare, anche se disprezzava quell'aula «sorda e grigia». Sarebbe ingiusto giocare di paradossi e dire dunque che la maggioranza è quella che sbaglia sempre, ma è certo che non sempre ha ragione. In politica l'appello alla volontà popolare ha soltanto valore legale ("Ho diritto a governare perché ho ricevuto più voti") ma non permette che da questo dato quantitativo si traggano conseguenze teoriche ed etiche ("Ho la maggioranza dei consensi e dunque sono il migliore").

In certe aree della Sicilia e della Campania i mafiosi e i camorristi hanno la maggioranza dei consensi ma sarebbe difficile concluderne che siano pertanto i migliori rappresentati di quelle nobilissime popolazioni. Recentemente leggevo un giornalista governativo (ma non era il solo ad usare quell'argomento) che, nell'ironizzare sul caso Santoro (bersaglio ormai felicemente bipartisan), diceva che costui aveva la curiosa persuasione che la maggioranza degli italiani si fosse piegata di buon grado a essere sodomizzata da Berlusconi. Ora non credo che Berlusconi abbia mai sodomizzato qualcuno, ma è certo che una consistente quantità di italiani consente con lui senza accorgersi che il loro beniamino sta lentamente erodendo le loro libertà. Erodere le libertà di un paese significa di solito mettere in atto un colpo di Stato e instaurare violentemente una dittatura. Se questo avviene, gli elettori se ne accorgono e, se pure non hanno la forza di colpo di Stato che è con lui cambiata. Al colpo di Stato si è sostituito lo struscio di Stato. All'idea di una trasformazione delle strutture dello Stato attraverso l'azione violenta il genio di Berlusconi è stato ed è quello di attuarle con estrema lentezza, passettino per passettino, in modo estremamente lubrificato. Pensate alla inutile violenza con cui il fascismo, per fare tacere la voce scomoda di Matteotti, ha dovuto farlo ammazzare. Cose da medioevo. Non sarebbe bastato pagargli una buona uscita megagalattica (e tra l'altro non con i soldi del governo ma con quelli dei cittadini che pagano il canone)? Mussolini era davvero uomo rozzissimo. Quando una trasformazione delle istituzioni del Paese avviene passo per passo, e cioè per dosi omeopatiche, è difficile dire che ciascuna, presa di per sé, prefiguri una dittatura - e infatti quando qualche cassandra lo fa viene sbertucciata. Il fatto è che per un nuovo populismo mediatico la stessa dittatura è un sistema antiquato che non serve a nulla. Si possono modificare le strutture dello Stato a proprio piacere e secondo il proprio interesse senza instaurare alcuna dittatura.

Si può dire che il lodo Alfano prefiguri una tirannia? Sciocchezze. E calmierare le intercettazioni attenta davvero alla libertà d'informazione? Ma suvvia, se qualcuno ha delitto lo sapranno tutti a giudizio avvenuto, e l'evitare di parlare in anticipo di delitti solo presunti rispetta se mai la privatezza di ciascuno di noi. Vi piacerebbe che andasse sui giornali la vostra conversazione con l'amante, così che lo venisse a sapere la vostra signora? No, certo. E se il prezzo da pagare è che non venga intercettata la conversazione di un potente corrotto o di un mafioso in servizio permanente effettivo, ebbene, la nostra privatezza avrà bene un prezzo. Vi pare nazifascismo ridurre i fondi per la scuola pubblica? Ma dobbiamo risparmiare tutti, e bisogna pur dare l'esempio a cominciare dalle spese collettive. E se questo consegna il paese alle scuole private? Non sarà la fine del mondo, ce ne sono delle buonissime. È stalinismo rendere inguardabili i telegiornali delle reti pubbliche? No, se mai le vecchie dittature facevano di tutto per rendere la radio affettuosissima. Ma se questo va a favore delle reti private? Beh, vi risulta che Stalin abbia mai favorito le televisioni private?

Ecco, la funzione dei colpi di Stato striscianti è che le modificazioni costituzionali non vengono quasi percepite, o sono avvertite come irrilevanti. E quando la loro somma avrà prodotto non la seconda ma la terza Repubblica, sarà troppo tardi. Non perché non si potrebbe tornare indietro, ma perché la maggioranza avrà assorbito i cambiamenti come naturali e si sarà, per così dire, mitridatizzata. Un nuovo Malaparte potrebbe scrivere un trattato superbo su questa nuova tecnica dello struscio di Stato. Anche perché di fronte a essa ogni protesta e ogni denuncia perde valore provocatorio e sembra che chi si lamenta dia corpo alle ombre.

Pessimismo globale, dunque? No, fiducia nell'azione benigna del tempo e della sua erosione continua. Una trasformazione delle istituzioni che procede a piccoli passi può non avere tempo per compiersi del tutto, a metà strada possono avvenire smandrappamenti, stanchezze, cadute di tensione, incidenti di percorso. È un poco come la barzelletta sulla differenza tra inferno tedesco e inferno italiano. In entrambi bagno nella benzina bollente al mattino, sedia elettrica a mezzogiorno, squartamento a sera. Salvo che nell'inferno italiano un giorno la benzina non arriva, un altro la centrale elettrica è in sciopero, un altro ancora il boia si è dato malato… Tagliare la testa al re o occupare il Palazzo d'Inverno è cosa che si fa in cinque minuti. Avvelenare qualcuno con piccole dosi d'arsenico nella minestra prende molto tempo, e nel frattempo chissà, vedrà chi vivrà. Per il momento, resistere, resistere, resistere.

By Umberto Eco

26 maggio 2010

Blondet su LaRouche e Tremonti - Sulla verità come compagna

Maurizio Blondet, direttore del giornale elettronico Effedieffe.com, il 15 maggio rispondeva ad un lettore preoccupato per la sua solitudine nel condurre le sue battaglie e nel prevedere il crac in corso, raccontandogli della conferenza "Il futuro dell'economia: mercatismo o New Deal?", che il 6 giugno 2007 a Roma riunì allo stesso tavolo Lyndon LaRouche e Giulio Tremonti.

Sulla verità come compagna

Gent.mo Direttore
ho quasi finito di leggere il Suo Libro
Schiavi delle Banche alle pag. 138/142 (oltre che in tutti gli altri capitoli) descrive, credo ormai con 6 annidi anticipo, tutto quello che sta avvenendo, con una precisione che, se non fossi certo che Lei non è il "Nuovo Messia", nè ha una "palla di cristallo", ha quasi del prodigioso — mi sembra chiaro che 6 anni fa deve aver molto sofferto, per le derisioni o per la solitudine nella quale si è trovato, la cosa che mi sconvolge di più è che, ieri, oggi, da quando sono Suo abbonato, cerco di spiegare, di far capire come stanno veramente le cose, credendo di trovare una «platea» con un orecchio più sensibile ai problemi attuali - invece.., chi ha vinto l’isola dei famosi... l’assegno di Veronica Lario... chi vincerà i mondiali..., etc..., etc. Come è possibile? Come e quando è successo che ci hanno trasformato in questo modo? Ho paura di terminare il Suo libro perchè non so semi darà delle risposte, o se le risposte che ci sono non le voglio ascoltare, ho moglie e 4figli... credo in Dio... mi rasserena saperLa ancora lì, magari a leggere questa mia e-mail, con la quale Le voglio solo dire che Le sono vicino in questa Sua solitudine... Che Dio La benedica e Laprotegga sempre.
Aldo di Michele

No, caro lettore, non ho poi sofferto tanto. Nella solitudine, la verità è una buona compagna. Le anticipazioni che lei ha letto in Schiavi delle Banche, dov’è sostanzialmente prevista l’attuale crisi del capitalismo terminale (e forse della nostra società come la conosciamo) non testimoniano una mia qualche superiorità intellettuale. Centinaia di persone, economisti in primo luogo, ma politici e governanti, e potenti in genere hanno sicuramente un’intelligenza migliore: il che significa che sapevano la verità, ma non l’hanno voluta vedere nè provvedere in tempo. Il loro difetto non è la mancanza di testa, ma di coraggio morale ed onestà. Il che mostra che l’intelletto è una virtù del coraggio, della "fortezza" nel senso cristiano. Come pare abbia detto a Paolo Guzzanti Eugenio Scalfari, fondatore, editore e direttore miliardario di Repubblica, "A noi la verità non interessa".

Sono tanti ad essere così. E non sanno cosa si perdono: la verità è anche una buona amante, piena di sorprese e generosa di scoperte e avventure.

Però devo ammettere che c'è stato un momento in cui il cuore s'è allargato, in cui ci s'è accorti d’essere meno soli. Per me è stato nell'estate del 2007 (forse la data non è esatta), quando amici del movimento LaRouche (alcuni li conosco da trent'anni) mi invitarono a un dibattito pubblico che il loro capo, Lyndon LaRouche, avrebbe tenuto a Roma. "Viene anche Tremonti", mi dissero.

Non ci credetti, naturalmente. LaRouche è per il potere americano, e dunque per i media, una non-persona; in USA l'hanno persino cacciato in galera per le sue idee; farsi vedere accanto a lui è già per sè compromettente, ed inoltre le sue idee economiche, affascinanti, polemiche ed intellettualmente sempre sorprendenti, non sono prive di un ramo di follia molto americana.

Invece Tremonti venne. Scese da Montecitorio (allora era un vicepresidente della camera; Fini aveva preteto di scacciarlo dal ministero economico) e in pochi passi raggiunse la saletta dell'Hotel Nazionale affinata dai larouchiani. Si sedette accanto a LaRouche che già stava parlando della crisi imminente (la bolla del subprime sarebbe esplosa un mese dopo), ascoltò e parlò. Il succo di quel che disse, lo prendo dal comunicato del MoviSol (larouchiani italiani):

"Raramente si incontra un leader politico in grado di poter spaziare con riferimenti alla storia come ha fatto LaRouche stasera", ha detto Tremonti, "ed è auspicabile che il dibattito politico in genere presenti più occasioni del genere". Tremonti si è detto convinto che, se non un crollo del sistema, sicuramente sotto all’apparente normalità si stanno verificando cambiamenti storici; anche se non si sente in grado di giudicare se il paragone fatto da LaRouche con il crollo del XIV secolo (le banche dei Bardi e dei Peruzzi) sia quello giusto, è certo che i cambiamenti in corso avranno conseguenze profonde per tutto il mondo. Tremonti ha concluso affermando che l'idea larouchiana di un collegamento mondiale di grandi infrastrulture da costruire può apparire "la visione di un matto", ma "anche sulle visioni dei matti cammina la Storia". "Sicuramente, si tratta di idee che vanno diffuse", ha concluso.

Ma più che quel che disse, mi colpì il semplice fatto che Tremonti fosse lì. Ad ascoltare, sul serio. Senza restare appeso al telefonino come fanno di solito i politici, e senza attendere il suo turno telefonando, per poi dire la sua con un discorsetto preparato in anticipo su un foglio.

Non so se cogliete quanto il fatto fosse inaudito. Nessun politico italiano, e forse nemmeno straniero, va mai ad un convegno di gente senza potere e notoriamente senza soldi, da cui non può aspettarsi un compenso , se non mazzette e do-ut-des, almeno in voti elettorali.

Nessuna di queste cose hanno mai potuto dare i larouchiani. Eppure Tremonti era venuto ad ascoltare. Gli piaceva ascoltare questa storia dei Bardi e dei Peruzzi, e degli altri banchieri veneziani che provocarono la crisi del quattordicesimo secolo perché (come i Goldman e Soros d’oggi) estraevano "un tasso del 40%" col loro business finanziario di prestatori ai sovrani ed arbitratori dei corsi dell’oro e dell’argento, e finirono così per strangolare un’economia reale che, essendo pre-industriale, produceva il 3-4% annuo (tutto ciò lo trovate nel mio Schiavi delle Banche).

E gli piaceva sentire ancora una volta quell'idea del matto, di contrastare la crisi e la recessione globale imminente lanciando un grande piano internazionale per costruire ferrovie ad altissima velocità, a levitazione magnetica, dall'Europa all'Asia; qualche dozzina di Transiberiane a 500 chilometri l'ora. Idea folle, forse perfino sbagliata: ma seducente, e chi ha come amante la verità è sempre sedotto dalle idee grandi, nuove, arrischiate, politicamente scorrette. Perchè sa che la verità viene fuori non da "uno che la dice" come vangelo celeste, ma dallo stesso scambio intellettuale fra gente che non è sempre d’accordo su tutto, dalla polemica cordiale di chi sa — però — che l'altro sta cercando di dire la verità.

Così ho visto Tremonti quel giorno, e dunque mi perdonino gli anti-berlusconiani se ho un debole per lui. La fermezza che ha dimostrato in questi mesi, e che gli è riconosciuta anche dall'opposzione, era già in quel suo anticonformismo, coraggio di esporsi a fianco di un ex-galeotto americano troppo intelligente per non essere matto, e nel piacere così disinteressato a sentire vecchie storie economiche — perchè l'economia è essenzialmente storia, e non l’insieme di algoritmi truffatori e di idolatrie teoriche che passano oggi con questo nome per Giavazzi e Alesina.

Non escludo che come governante, possa anche sbagliare, non è Dio; so che sa ascoltare senz’altro fine che imparare qualcosa, che conosce la verità come piccante amante. Credetemi, non è poco. Ci si sente meno soli.

Tremonti, in questi giorni, è stato l'unico a dire pubblicamente che sotto l'attacco finanziario in corso l'economia non solo d'Europa, ma del mondo, è stata sul punto di rischiare "quel che gli inglesi chiamano il meltdown", parola che significa il tragico, inarrestabile fondersi su se stesso del nucleo di una centrale atomica in avaria, e di aggiungere che in quel caso i soldi nei nostri portafogli non sarebbero valsi più nulla, e ciò avrebbe provocato "gravi sofferenze alla gente".

I politici che sapevano cosa stava per succedere non l'hanno detto: fa perdere voti. E nemmeno ho mai sentito negli economisti cattedratici una preoccupazione per le sofferenze della gente. Anzi, ho sentito Alesina e Giavazzi rallegrarsi pubblicamente della "lezione" che "i mercati" stavano dando ai governi e alle società sottostanti. Godevano del tirare di cinghia, dei tagli salariali, delle fatiche senza prospettive di miglioramento che ci attendono — e non attendono mai i banchieri colpevoli.

Secondo me, è ai Giavazzi e agli Alesina che bisogna togliere la parola. Sono loro che devono diventare non-persone. E magari da mettere in galera, mica LaRouche.

E veniamo alla seconda parte della sua lettera, quella triste:

"Da quando sono Suo abbonato, cerco di spiegare, di far capire come stanno veramente le cose, credendo di trovare una 'platea' con un orecchio più sensibile ai problemi attuali — invece.., chi ha vinto l'isola dei famosi... l'assegno di Veronica Lario... chi vincerà i mondiali..., etc..., etc. Come è possibile? come e quando è successo che ci hanno trasformato in questo modo".

Sì, sono queste cose il vero problema. Non a caso (leggo un’agenzia) "I salari italiani sono tra i più bassi dell’area OCSE, del 16,5% sotto la media. In particolare, segnala il rapporto 'Taxing wages' dell'organizzazione parigina, lo stipendio annuale nello, a parità di potere d'acquisto, del lavoratore medio in Italia nel 2009, è risultato pari a 22.027 dollari, contro i 26.385 dollari della media OCSE e i 28.454 dollari della UE a 15. Nella classifica generale l'Italia si colloca al ventritreesimo posto preceduta non solo da colossi come Stati Uniti (30.977 dollari), Francia (25.977 dollari) e Gran Bretagna (38.054 dollari), ma anche da Paesi come Spagna (25.339 dollari), Grecia (25.583 dollari) e Irlanda (31.897 dollari). Al primo posto brilla la Corea del Sud con 40.190 dollari...".

Il primo impulso, a queste masse cretine che nei giorni del rischio meltdown si occupano dell'Isola dei Famosi e dei mondiali, sarebbe di dire: ve lo meritate. Ben vi sta. Già guadagnate meno dei greci e degli spagnoli, perché siete più ignoranti; avete mancato di studiare a scuola - in scuole che sono già le peggiori d'Europa - e vi pare di aver già imparato troppo, sicché pensate di non aver bisogno di imparare qualcosa di nuovo. Non avete formazione, né la minima idea della necessità della formazione permanente; la maggior parte di voi (il 70%) non ha più preso un libro in mano dopo il diploma o la laurea (perché siete perfino laureati).

Già oggi il vostro salario è fra i più miseri del mondo sviluppato. Il coreano del Sud prende 40mila all’anno e voi quasi la metà: ma avete idea di come studiano i coreani del Sud? Io li ho visti, gli studenti, dormire per qualche minuto sulle panche delle biblioteche universitarie, stroncati dalla fatica mentre preparavano l'esame, o due o tre esami a raffica. Li ho visti come lavorano nelle fabbriche, senza risparmio; ho visto la loro fermezza, la loro disciplina e il senso della nazione come una famiglia - e la loro curiosità del mondo, la loro voglia di imparare dallo straniero.

Voi avete la testa chiusa, piccina e provinciale, siete attaccati alle quattro idee impartitevi dal conformismo corrente; vi basta l’edonismo straccione e immaginario che leggete su Chi e vedete nella TV dei lustrini. Non avete alcuna curiosità ulteriore. Insomma, non siete più parte della civiltà, e dunque è profondamente giusto che siate avviati a ricevere la paga dei meno civilizzati. Siete avviati ad avere il salario del lavoratore cinese, e a vestirvi di stracci (già lo state facendo) come i miserabili asiatici di ieri, e a coprirvi di tatuaggi come i bantù hanno smesso di fare.

Voi convinti che basti il sesso televisivo a rendere piacevole la vita, e che si possa reggersi nel mondo con "la cucina italiana", con "i settori del lusso e del gusto". Ma quale "lusso" ma quale "gusto": fra poco vi farete infilare un osso al naso, come gli aborigeni australiani.

Negli anni '50, la TV italiana osava dare tragedie di Eschilo, Shakespeare, "I Promessi Sposi", "Delitto e Castigo" e l'Orlando Furioso sceneggiato. E guardate oggi cosa vi dà. La vostra decadenza salta agli occhi, come la vostra stupidità. E non è - credete - una mancanza di acutezza intellettuale. Quel che manca è la fibra morale: il senso di responsabilità verso la comunità, il senso di dignità verso voi stessi, la ferma convinzione che vivere richieda qualche sforzo costante, qualche desiderio di miglioramento.

Siete in vacanza dalla storia, italiani. Dunque campate coi 900 euro mensili, e domani con 500. Che cosa pretendete di più?

Ma poi mi pento. Fra questi italiani da 22 mila dollari annui, che prendono meno di greci (25.600) e irlandesi (32 mila) ce ne saranno chissà quanti che si sforzano, che imparano, che tirano la carretta per non far andare a fondo la piccola azienda nella tempesta mondiale; che vogliono mantenersi nella storia del mondo con la dignità di un popolo che ha avuto nel suo passato Roma e il Rinascimento. E altri che si occupano dei mondiali e dell’Isola dei Famosi perchè, in fondo, che cos’altro viene richiesto? Il lavoro non viene compensato, tanto vale puntare a fare le veline, sognare i "famosi" da quattro soldi mentre si affonda nella storica miseria di sottosviluppati.

È che, magari, avrebbero il diritto di guadagnare almeno come gli spagnoli (25.400). Viene il sospetto: che siano, che siamo, derubati di qualcosa. Da chi? Su Libero, Franco Bechis c'informa che ciascun ministro dell'attuale governo è proprietario - in media - di sei immobili. Adolfo Urso, viceministro al Commercio Estero, s'è comprato una casa vicino alla Corte di Cassazione (centralissima) di 9,5 vani. Per la quale sta pagando un mutuo trentennale di 1,6 milioni di euro, al tasso del 5,5%. Ora, un ministro prende circa 150 mila euro l'anno. Come fa Urso a pagare i ratei del mutuo? Ad occhio e croce, sono 7 mila al mese: una bella botta. E come fa TJrso ad essere sicuro di poter reggere un mutuo da settemila euro mensili per i prossimi trent’anni? Potrebbe perdere le prossime elezioni. Ha una cintura di salvataggio, una garanzia di perennità di emolumento? Chi gliela fornisce?

Mara Carfagna, anche lei ministra dalle ben note capacità, ha comprato casa: a Piazza Navona, non so se mi spiego. Quinto piano, vista grandiosa, 7,5 vani. Come? Dice lei: con un mutuo da 930 mila euro. Scusate, a piazza Navona, con 900 mila euro, non si prende nemmeno uno sgabuzzino. È lecito il sospetto che, come a Scaiola, qualcuno abbia regalato il resto senza che l'interessato lo sapesse?

La lista Anemone (il costruttore ammanicato) la dice lunga in questo senso. In un modo o nell'altro, sono soldi rubati. A chi, domandate?

Mentre aziende sane falliscono perché lo Stato ritarda i pagamenti delle fatture e dei rimborsi IVA di mesi ed anni, quelli si comprano appartamenti: a loro, niente ritardi di pagamento. Con mutui di banche, che rifiutano i fidi a chi sgobba.

Come si diceva: i morsi della "competizione globale", loro, non li sentono. Fallo sta che, se qualcuno deve cominciare a tirare la cinghia, magari si potrebbe cominciare da quelli. E dalle loro clientele.

Ultima parte della sua lettera:

"Ho paura di terminare il Suo libro perché non so se mi darà delle risposte: ho moglie e 4 figli.., credo in Dio... mi rasserena saperLa ancora lì, magari a leggere questa mia e-mail".

Ebbene, una cosa m'ha messo di miglior umore. Come saprà, Papa Ratzinger è andato a Fatima. E di fatto ha confermato quello che i caporioni ecclesiastici hanno ostinatamente negato: che la terza profezia della Vergine esiste, che non è stata ancora divulgata, che la profezia "si è realizzata nel passato" con il colpo di Ali Agca al Papa, ma che riguarda il futuro e, precisamente, le "sofferenze del Papa e della Chiesa che si annunciano", inflitte dal "peccato che esiste nella Chiesa".

Forse dobbiamo aspettarci un altro Papa suppliziato e ucciso nella "città mezza in rovina" e piena di corpi vista dai pastorelli. Ma è una buona notizia, sapere la verità anche se terrificante, perché (come ha scritto Socci) "non bisogna mai aver paura della verità, perché non si serve Dio con la menzogna". Siano pur tempi terribili quelli che ci attendono, è una buona notizia sapere che la Vergine non ce li ha taciuti, che ci ha avvertito. Inoltre, a Fatima, Benedetto XVI ha consacrato al cuore di Maria se stesso, i giovani preti che ha ordinato, e la gente: quella presente e quella nel mondo, tutti noi. Tuffi noi che sappiamo che l'aldiquà non è tutto siamo, dunque, ben protetti.

Combattiamo per essere degni della verità che disse la Signora "... e infine il mio cuore immacolato trionferà".

by Movisol

Ma i partiti sono sempre più ricchi



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Se per dare un giudizio dell’affidabilità dell’Italia i mercati utilizzassero la dinamica del finanziamento pubblico ai partiti anziché quella degli stipendi del pubblico impiego, allora non avremmo davvero speranza. La speculazione ci avrebbe già fatti a pezzi prima della Spagna, del Portogallo, della Grecia e dell’Irlanda, ovvero i Paesi che ci precedono nella graduatoria della crescita delle retribuzioni pubbliche.
Mentre fra il 1999 e il 2008 queste aumentavano in Italia, secondo l’Ocse, del 42,5%, gli incassi dei nostri partiti si moltiplicavano addirittura per undici: + 1.110%. Grazie a due colpi da maestro. Il primo nel 1999, quando i «rimborsi elettorali», la formula ipocrita con la quale si chiama adesso il vituperato finanziamento pubblico abrogato per finta dal referendum del 1993, furono portati in un sol colpo da 800 a 4 mila lire. II secondo nel 2002, quando si passò da 4 mila lire a 5 euro a legislatura (1 euro l’anno) per ogni italiano iscritto alle liste elettorali di Montecitorio: 5 euro per la Camera, 5 per il Senato, 5 per le europee e 5 per le regionali. Totale, 20 euro a cranio per ogni quinquennio, indipendentemente da quanti davvero vanno a votare. E siccome gli iscritti alle liste elettorali di Montecitorio sono 50 milioni tondi, la bolletta che gli italiani pagano ai partiti ha raggiunto la cifra stratosferica di un miliardo di euro per cinque anni: 200 milioni l’anno. Con l’aggiunta di un simpatico bonus, introdotto, anch’esso alla chetichella, nel 2006. Nel caso di fine anticipata della legislatura, infatti, i contributi elettorali continuano a correre.
Per il triennio che si conclude nel 2011, quindi, razione doppia per Camera e Senato. E invece di 200 milioni, eccone 300. Almeno sulla carta, perché c’è stato un taglio di cassa del 10%. Che ha provocato (l’avreste detto?) anche qualche vergognoso mugugno.
Per capire quanta ipocrisia abbiano messo nell’aver chiamato «rimborsi» questo fiume di denaro, basta leggere che cosa ha ripetutamente scritto la Corte dei conti nei suoi referti sulle spese elettorali, sottolineando come non esista alcuna relazione fra le somme spese per le campagne elettorali e quello che lo Stato dà ai partiti. Ma ben più eloquenti sono i numeri. Nel 1996 un partito come Forza Italia aveva speso per la campagna elettorale, considerando anche la Casa delle Libertà, 4 milioni 90.563 euro. Dieci anni più tardi, la spesa era arrivata a 62 milioni 490.854 euro: +1.427%. E i «rimborsi»? Da 14 milioni 707.526 a 128 milioni 42.335 euro: +770%. Se nel 1996 il partito di Silvio Berlusconi si era messo in tasca, puliti, lo milioni 616.963 euro, cioè la differenza fra la le spese e i «rimborsi», dieci anni dopo l’«utile» era salito a qualcosa come 65 milioni 551.481 euro. Due anni più tardi, nel 2008, con spese elettorali cresciute ancora del 10%, i rimborsi spettanti al Popolo della Libertà sono schizzati a 206 milioni 518.945 euro. Con un «utile» astronomico: 138 milioni 43.803 euro. Non che le cose siano andate peggio alla sinistra, nonostante l’ultima batosta elettorale. Secondo i dati pubblicati nel referto della Corte dei conti sulle politiche 2008, il Partito democratico di Walter Veltroni aveva investito in tutta la campagna elettorale 18 milioni 418.043 euro, meno di un terzo del Popolo della Libertà.
Acquisendo però il diritto a incassare una somma dieci volte superiore a quella investita: 180 milioni 231.506 euro. Cifra che ha perciò garantito a sua volta al Pd un «utile» ancora maggiore di quello del partito di Berlusconi:161 milioni 813.463 euro.
A conti fatti, le elezioni politiche del 2008 riverseranno nelle casse dei partiti introiti «puliti» per 367 milioni di euro. Ovvero la differenza fra 136 milioni di spese e 503 milioni di «rimborsi» per Camera e Senato, spalmati su cinque anni. Per ogni euro sborsato, dunque, ne sono tornati indietro quattro. Gli effetti di questo andazzo sono fin troppo facilmente intuibili. A cominciare dagli apparati di alcuni partiti, i quali hanno potuto evitare la pesante dieta dimagrante che si era profilata dopo il 1993. Per proseguire con l’abnorme incremento delle spese elettorali, che hanno raggiunto livelli senza precedenti. E finire con il risanamento di alcune difficili situazioni finanziarie. Se la pesante esposizione (si parla di 500 milioni di euro) di cui i Democratici di sinistra si erano fatti carico accollandosi i debiti dell’Unità si è ridotta a meno di un terzo, il merito è anche di quei generosissimi contributi. Che consentono oggi anche al Partito democratico, unica formazione politica ad avere un bilancio certificato, di chiudere i conti con un attivo di una quindicina di milioni. Per non parlare di altri «tesoretti» sulla cui destinazione si è discusso a lungo, ma senza costrutto: per esempio i «rimborsi» elettorali a cui hanno avuto diritto ancora sia i Ds sia la Margherita dopo la nascita del Pd.
Certo, ci sono anche situazioni dove i soldi non bastano mai. Forza Italia, per esempio, era arrivata nel 2006 a essere esposta per 157 milioni di euro con le banche. Garantiti da una fidejussione personale del Cavaliere. Per avere un’idea di quanto pure la dimensione economica di quel partito fosse personale, si consideri che nei conti c’era anche un debito di 14 milioni e mezzo con la Dolcedrago, società del premier che controlla la Immobilare Idra, cassaforte nella quale sonocustodite le ville di Arcore e Macherio, le proprietà sarde, la casa romana nella zona dell’Appia Antica dove abita Franco Zeffirelli, e altre ancora.
Possiamo immaginare la sofferenza dei tesorieri se davvero la minaccia di Giulio Tremonti, di tagliare i «rimborsi» da 5 euro a 2 euro e 50 per ogni legislatura e per ogni tornata elettorale, dovesse andare in porto. Si consolino comunque: pure dimezzati, i finanziamenti pubblici sarebbero pur sempre ancora più alti di quelli che toccano ai partiti di altri Paesi europei. Come Francia e Spagna...
di Sergio Rizzo

28 maggio 2010

Lo striscio di Stato

È nota la definizione della democrazia come sistema pieno di difetti ma di cui non si è ancora trovato nulla di meglio. Da questa ragionevole assunzione discende, per la maggior parte della gente, la convinzione errata che la democrazia (il migliore o il meno peggio dei sistemi di governo) sia quello per cui la maggioranza ha sempre ragione. Nulla di più falso. La democrazia è il sistema per cui, visto che è difficile definire in termini qualitativi chi abbia più ragione degli altri, si ricorre a un sistema bassamente quantitativo, ma oggettivamente controllabile: in democrazia governa chi prende più consensi. E se qualcuno ritiene che la maggioranza abbia torto, peggio per lui: se ha accettato i principi democratici deve accettare che governi una maggioranza che si sbaglia.

Una delle funzioni delle opposizioni è quella di dimostrare alla maggioranza che si era sbagliata. E se non ce la fa? Allora abbiamo, oltre a una cattiva maggioranza, anche una cattiva opposizione. Quante volte la maggioranza può sbagliarsi? Per millenni la maggioranza degli uomini ha creduto che il sole girasse intorno alla terra (e, considerando le vaste aree poco alfabetizzate del mondo, e il fatto che sondaggi fatti nei paesi più avanzati hanno dimostrato che moltissimi occidentali ancora credono che il sole giri) ecco un bel caso in cui la maggioranza non solo si è sbagliata ma si sbaglia ancora. Le maggioranze si sono sbagliate a ritenere Beethoven inascoltabile o Picasso inguardabile, la maggioranza a Gerusalemme si è sbagliata a preferire Barabba a Gesù, la maggioranza degli americani sbaglia a credere che due uova con pancetta tutte le mattine e una bella bistecca a pasto siano garanzie di buona salute, la maggioranza si sbagliava a preferire gli orsi a Terenzio e (forse) si sbaglia ancora a preferire "La pupa e il secchione" a Sofocle. Per secoli la maggioranza della gente ha ritenuto che esistessero le streghe e che fosse giusto bruciarle, nel Seicento la maggioranza dei milanesi credeva che la peste fosse provocata dagli untori, l'enorme maggioranza degli occidentali, compreso Voltaire, riteneva legittima e naturale la schiavitù, la maggioranza degli europei credeva che fosse nobile e sacrosanto colonizzare l'Africa.



In politica Hitler non è andato al potere per un colpo di Stato ma è stato eletto dalla maggioranza, Mussolini ha instaurato la dittatura dopo l'assassinio di Matteotti ma prima godeva di una maggioranza parlamentare, anche se disprezzava quell'aula «sorda e grigia». Sarebbe ingiusto giocare di paradossi e dire dunque che la maggioranza è quella che sbaglia sempre, ma è certo che non sempre ha ragione. In politica l'appello alla volontà popolare ha soltanto valore legale ("Ho diritto a governare perché ho ricevuto più voti") ma non permette che da questo dato quantitativo si traggano conseguenze teoriche ed etiche ("Ho la maggioranza dei consensi e dunque sono il migliore").

In certe aree della Sicilia e della Campania i mafiosi e i camorristi hanno la maggioranza dei consensi ma sarebbe difficile concluderne che siano pertanto i migliori rappresentati di quelle nobilissime popolazioni. Recentemente leggevo un giornalista governativo (ma non era il solo ad usare quell'argomento) che, nell'ironizzare sul caso Santoro (bersaglio ormai felicemente bipartisan), diceva che costui aveva la curiosa persuasione che la maggioranza degli italiani si fosse piegata di buon grado a essere sodomizzata da Berlusconi. Ora non credo che Berlusconi abbia mai sodomizzato qualcuno, ma è certo che una consistente quantità di italiani consente con lui senza accorgersi che il loro beniamino sta lentamente erodendo le loro libertà. Erodere le libertà di un paese significa di solito mettere in atto un colpo di Stato e instaurare violentemente una dittatura. Se questo avviene, gli elettori se ne accorgono e, se pure non hanno la forza di colpo di Stato che è con lui cambiata. Al colpo di Stato si è sostituito lo struscio di Stato. All'idea di una trasformazione delle strutture dello Stato attraverso l'azione violenta il genio di Berlusconi è stato ed è quello di attuarle con estrema lentezza, passettino per passettino, in modo estremamente lubrificato. Pensate alla inutile violenza con cui il fascismo, per fare tacere la voce scomoda di Matteotti, ha dovuto farlo ammazzare. Cose da medioevo. Non sarebbe bastato pagargli una buona uscita megagalattica (e tra l'altro non con i soldi del governo ma con quelli dei cittadini che pagano il canone)? Mussolini era davvero uomo rozzissimo. Quando una trasformazione delle istituzioni del Paese avviene passo per passo, e cioè per dosi omeopatiche, è difficile dire che ciascuna, presa di per sé, prefiguri una dittatura - e infatti quando qualche cassandra lo fa viene sbertucciata. Il fatto è che per un nuovo populismo mediatico la stessa dittatura è un sistema antiquato che non serve a nulla. Si possono modificare le strutture dello Stato a proprio piacere e secondo il proprio interesse senza instaurare alcuna dittatura.

Si può dire che il lodo Alfano prefiguri una tirannia? Sciocchezze. E calmierare le intercettazioni attenta davvero alla libertà d'informazione? Ma suvvia, se qualcuno ha delitto lo sapranno tutti a giudizio avvenuto, e l'evitare di parlare in anticipo di delitti solo presunti rispetta se mai la privatezza di ciascuno di noi. Vi piacerebbe che andasse sui giornali la vostra conversazione con l'amante, così che lo venisse a sapere la vostra signora? No, certo. E se il prezzo da pagare è che non venga intercettata la conversazione di un potente corrotto o di un mafioso in servizio permanente effettivo, ebbene, la nostra privatezza avrà bene un prezzo. Vi pare nazifascismo ridurre i fondi per la scuola pubblica? Ma dobbiamo risparmiare tutti, e bisogna pur dare l'esempio a cominciare dalle spese collettive. E se questo consegna il paese alle scuole private? Non sarà la fine del mondo, ce ne sono delle buonissime. È stalinismo rendere inguardabili i telegiornali delle reti pubbliche? No, se mai le vecchie dittature facevano di tutto per rendere la radio affettuosissima. Ma se questo va a favore delle reti private? Beh, vi risulta che Stalin abbia mai favorito le televisioni private?

Ecco, la funzione dei colpi di Stato striscianti è che le modificazioni costituzionali non vengono quasi percepite, o sono avvertite come irrilevanti. E quando la loro somma avrà prodotto non la seconda ma la terza Repubblica, sarà troppo tardi. Non perché non si potrebbe tornare indietro, ma perché la maggioranza avrà assorbito i cambiamenti come naturali e si sarà, per così dire, mitridatizzata. Un nuovo Malaparte potrebbe scrivere un trattato superbo su questa nuova tecnica dello struscio di Stato. Anche perché di fronte a essa ogni protesta e ogni denuncia perde valore provocatorio e sembra che chi si lamenta dia corpo alle ombre.

Pessimismo globale, dunque? No, fiducia nell'azione benigna del tempo e della sua erosione continua. Una trasformazione delle istituzioni che procede a piccoli passi può non avere tempo per compiersi del tutto, a metà strada possono avvenire smandrappamenti, stanchezze, cadute di tensione, incidenti di percorso. È un poco come la barzelletta sulla differenza tra inferno tedesco e inferno italiano. In entrambi bagno nella benzina bollente al mattino, sedia elettrica a mezzogiorno, squartamento a sera. Salvo che nell'inferno italiano un giorno la benzina non arriva, un altro la centrale elettrica è in sciopero, un altro ancora il boia si è dato malato… Tagliare la testa al re o occupare il Palazzo d'Inverno è cosa che si fa in cinque minuti. Avvelenare qualcuno con piccole dosi d'arsenico nella minestra prende molto tempo, e nel frattempo chissà, vedrà chi vivrà. Per il momento, resistere, resistere, resistere.

By Umberto Eco

26 maggio 2010

Blondet su LaRouche e Tremonti - Sulla verità come compagna

Maurizio Blondet, direttore del giornale elettronico Effedieffe.com, il 15 maggio rispondeva ad un lettore preoccupato per la sua solitudine nel condurre le sue battaglie e nel prevedere il crac in corso, raccontandogli della conferenza "Il futuro dell'economia: mercatismo o New Deal?", che il 6 giugno 2007 a Roma riunì allo stesso tavolo Lyndon LaRouche e Giulio Tremonti.

Sulla verità come compagna

Gent.mo Direttore
ho quasi finito di leggere il Suo Libro
Schiavi delle Banche alle pag. 138/142 (oltre che in tutti gli altri capitoli) descrive, credo ormai con 6 annidi anticipo, tutto quello che sta avvenendo, con una precisione che, se non fossi certo che Lei non è il "Nuovo Messia", nè ha una "palla di cristallo", ha quasi del prodigioso — mi sembra chiaro che 6 anni fa deve aver molto sofferto, per le derisioni o per la solitudine nella quale si è trovato, la cosa che mi sconvolge di più è che, ieri, oggi, da quando sono Suo abbonato, cerco di spiegare, di far capire come stanno veramente le cose, credendo di trovare una «platea» con un orecchio più sensibile ai problemi attuali - invece.., chi ha vinto l’isola dei famosi... l’assegno di Veronica Lario... chi vincerà i mondiali..., etc..., etc. Come è possibile? Come e quando è successo che ci hanno trasformato in questo modo? Ho paura di terminare il Suo libro perchè non so semi darà delle risposte, o se le risposte che ci sono non le voglio ascoltare, ho moglie e 4figli... credo in Dio... mi rasserena saperLa ancora lì, magari a leggere questa mia e-mail, con la quale Le voglio solo dire che Le sono vicino in questa Sua solitudine... Che Dio La benedica e Laprotegga sempre.
Aldo di Michele

No, caro lettore, non ho poi sofferto tanto. Nella solitudine, la verità è una buona compagna. Le anticipazioni che lei ha letto in Schiavi delle Banche, dov’è sostanzialmente prevista l’attuale crisi del capitalismo terminale (e forse della nostra società come la conosciamo) non testimoniano una mia qualche superiorità intellettuale. Centinaia di persone, economisti in primo luogo, ma politici e governanti, e potenti in genere hanno sicuramente un’intelligenza migliore: il che significa che sapevano la verità, ma non l’hanno voluta vedere nè provvedere in tempo. Il loro difetto non è la mancanza di testa, ma di coraggio morale ed onestà. Il che mostra che l’intelletto è una virtù del coraggio, della "fortezza" nel senso cristiano. Come pare abbia detto a Paolo Guzzanti Eugenio Scalfari, fondatore, editore e direttore miliardario di Repubblica, "A noi la verità non interessa".

Sono tanti ad essere così. E non sanno cosa si perdono: la verità è anche una buona amante, piena di sorprese e generosa di scoperte e avventure.

Però devo ammettere che c'è stato un momento in cui il cuore s'è allargato, in cui ci s'è accorti d’essere meno soli. Per me è stato nell'estate del 2007 (forse la data non è esatta), quando amici del movimento LaRouche (alcuni li conosco da trent'anni) mi invitarono a un dibattito pubblico che il loro capo, Lyndon LaRouche, avrebbe tenuto a Roma. "Viene anche Tremonti", mi dissero.

Non ci credetti, naturalmente. LaRouche è per il potere americano, e dunque per i media, una non-persona; in USA l'hanno persino cacciato in galera per le sue idee; farsi vedere accanto a lui è già per sè compromettente, ed inoltre le sue idee economiche, affascinanti, polemiche ed intellettualmente sempre sorprendenti, non sono prive di un ramo di follia molto americana.

Invece Tremonti venne. Scese da Montecitorio (allora era un vicepresidente della camera; Fini aveva preteto di scacciarlo dal ministero economico) e in pochi passi raggiunse la saletta dell'Hotel Nazionale affinata dai larouchiani. Si sedette accanto a LaRouche che già stava parlando della crisi imminente (la bolla del subprime sarebbe esplosa un mese dopo), ascoltò e parlò. Il succo di quel che disse, lo prendo dal comunicato del MoviSol (larouchiani italiani):

"Raramente si incontra un leader politico in grado di poter spaziare con riferimenti alla storia come ha fatto LaRouche stasera", ha detto Tremonti, "ed è auspicabile che il dibattito politico in genere presenti più occasioni del genere". Tremonti si è detto convinto che, se non un crollo del sistema, sicuramente sotto all’apparente normalità si stanno verificando cambiamenti storici; anche se non si sente in grado di giudicare se il paragone fatto da LaRouche con il crollo del XIV secolo (le banche dei Bardi e dei Peruzzi) sia quello giusto, è certo che i cambiamenti in corso avranno conseguenze profonde per tutto il mondo. Tremonti ha concluso affermando che l'idea larouchiana di un collegamento mondiale di grandi infrastrulture da costruire può apparire "la visione di un matto", ma "anche sulle visioni dei matti cammina la Storia". "Sicuramente, si tratta di idee che vanno diffuse", ha concluso.

Ma più che quel che disse, mi colpì il semplice fatto che Tremonti fosse lì. Ad ascoltare, sul serio. Senza restare appeso al telefonino come fanno di solito i politici, e senza attendere il suo turno telefonando, per poi dire la sua con un discorsetto preparato in anticipo su un foglio.

Non so se cogliete quanto il fatto fosse inaudito. Nessun politico italiano, e forse nemmeno straniero, va mai ad un convegno di gente senza potere e notoriamente senza soldi, da cui non può aspettarsi un compenso , se non mazzette e do-ut-des, almeno in voti elettorali.

Nessuna di queste cose hanno mai potuto dare i larouchiani. Eppure Tremonti era venuto ad ascoltare. Gli piaceva ascoltare questa storia dei Bardi e dei Peruzzi, e degli altri banchieri veneziani che provocarono la crisi del quattordicesimo secolo perché (come i Goldman e Soros d’oggi) estraevano "un tasso del 40%" col loro business finanziario di prestatori ai sovrani ed arbitratori dei corsi dell’oro e dell’argento, e finirono così per strangolare un’economia reale che, essendo pre-industriale, produceva il 3-4% annuo (tutto ciò lo trovate nel mio Schiavi delle Banche).

E gli piaceva sentire ancora una volta quell'idea del matto, di contrastare la crisi e la recessione globale imminente lanciando un grande piano internazionale per costruire ferrovie ad altissima velocità, a levitazione magnetica, dall'Europa all'Asia; qualche dozzina di Transiberiane a 500 chilometri l'ora. Idea folle, forse perfino sbagliata: ma seducente, e chi ha come amante la verità è sempre sedotto dalle idee grandi, nuove, arrischiate, politicamente scorrette. Perchè sa che la verità viene fuori non da "uno che la dice" come vangelo celeste, ma dallo stesso scambio intellettuale fra gente che non è sempre d’accordo su tutto, dalla polemica cordiale di chi sa — però — che l'altro sta cercando di dire la verità.

Così ho visto Tremonti quel giorno, e dunque mi perdonino gli anti-berlusconiani se ho un debole per lui. La fermezza che ha dimostrato in questi mesi, e che gli è riconosciuta anche dall'opposzione, era già in quel suo anticonformismo, coraggio di esporsi a fianco di un ex-galeotto americano troppo intelligente per non essere matto, e nel piacere così disinteressato a sentire vecchie storie economiche — perchè l'economia è essenzialmente storia, e non l’insieme di algoritmi truffatori e di idolatrie teoriche che passano oggi con questo nome per Giavazzi e Alesina.

Non escludo che come governante, possa anche sbagliare, non è Dio; so che sa ascoltare senz’altro fine che imparare qualcosa, che conosce la verità come piccante amante. Credetemi, non è poco. Ci si sente meno soli.

Tremonti, in questi giorni, è stato l'unico a dire pubblicamente che sotto l'attacco finanziario in corso l'economia non solo d'Europa, ma del mondo, è stata sul punto di rischiare "quel che gli inglesi chiamano il meltdown", parola che significa il tragico, inarrestabile fondersi su se stesso del nucleo di una centrale atomica in avaria, e di aggiungere che in quel caso i soldi nei nostri portafogli non sarebbero valsi più nulla, e ciò avrebbe provocato "gravi sofferenze alla gente".

I politici che sapevano cosa stava per succedere non l'hanno detto: fa perdere voti. E nemmeno ho mai sentito negli economisti cattedratici una preoccupazione per le sofferenze della gente. Anzi, ho sentito Alesina e Giavazzi rallegrarsi pubblicamente della "lezione" che "i mercati" stavano dando ai governi e alle società sottostanti. Godevano del tirare di cinghia, dei tagli salariali, delle fatiche senza prospettive di miglioramento che ci attendono — e non attendono mai i banchieri colpevoli.

Secondo me, è ai Giavazzi e agli Alesina che bisogna togliere la parola. Sono loro che devono diventare non-persone. E magari da mettere in galera, mica LaRouche.

E veniamo alla seconda parte della sua lettera, quella triste:

"Da quando sono Suo abbonato, cerco di spiegare, di far capire come stanno veramente le cose, credendo di trovare una 'platea' con un orecchio più sensibile ai problemi attuali — invece.., chi ha vinto l'isola dei famosi... l'assegno di Veronica Lario... chi vincerà i mondiali..., etc..., etc. Come è possibile? come e quando è successo che ci hanno trasformato in questo modo".

Sì, sono queste cose il vero problema. Non a caso (leggo un’agenzia) "I salari italiani sono tra i più bassi dell’area OCSE, del 16,5% sotto la media. In particolare, segnala il rapporto 'Taxing wages' dell'organizzazione parigina, lo stipendio annuale nello, a parità di potere d'acquisto, del lavoratore medio in Italia nel 2009, è risultato pari a 22.027 dollari, contro i 26.385 dollari della media OCSE e i 28.454 dollari della UE a 15. Nella classifica generale l'Italia si colloca al ventritreesimo posto preceduta non solo da colossi come Stati Uniti (30.977 dollari), Francia (25.977 dollari) e Gran Bretagna (38.054 dollari), ma anche da Paesi come Spagna (25.339 dollari), Grecia (25.583 dollari) e Irlanda (31.897 dollari). Al primo posto brilla la Corea del Sud con 40.190 dollari...".

Il primo impulso, a queste masse cretine che nei giorni del rischio meltdown si occupano dell'Isola dei Famosi e dei mondiali, sarebbe di dire: ve lo meritate. Ben vi sta. Già guadagnate meno dei greci e degli spagnoli, perché siete più ignoranti; avete mancato di studiare a scuola - in scuole che sono già le peggiori d'Europa - e vi pare di aver già imparato troppo, sicché pensate di non aver bisogno di imparare qualcosa di nuovo. Non avete formazione, né la minima idea della necessità della formazione permanente; la maggior parte di voi (il 70%) non ha più preso un libro in mano dopo il diploma o la laurea (perché siete perfino laureati).

Già oggi il vostro salario è fra i più miseri del mondo sviluppato. Il coreano del Sud prende 40mila all’anno e voi quasi la metà: ma avete idea di come studiano i coreani del Sud? Io li ho visti, gli studenti, dormire per qualche minuto sulle panche delle biblioteche universitarie, stroncati dalla fatica mentre preparavano l'esame, o due o tre esami a raffica. Li ho visti come lavorano nelle fabbriche, senza risparmio; ho visto la loro fermezza, la loro disciplina e il senso della nazione come una famiglia - e la loro curiosità del mondo, la loro voglia di imparare dallo straniero.

Voi avete la testa chiusa, piccina e provinciale, siete attaccati alle quattro idee impartitevi dal conformismo corrente; vi basta l’edonismo straccione e immaginario che leggete su Chi e vedete nella TV dei lustrini. Non avete alcuna curiosità ulteriore. Insomma, non siete più parte della civiltà, e dunque è profondamente giusto che siate avviati a ricevere la paga dei meno civilizzati. Siete avviati ad avere il salario del lavoratore cinese, e a vestirvi di stracci (già lo state facendo) come i miserabili asiatici di ieri, e a coprirvi di tatuaggi come i bantù hanno smesso di fare.

Voi convinti che basti il sesso televisivo a rendere piacevole la vita, e che si possa reggersi nel mondo con "la cucina italiana", con "i settori del lusso e del gusto". Ma quale "lusso" ma quale "gusto": fra poco vi farete infilare un osso al naso, come gli aborigeni australiani.

Negli anni '50, la TV italiana osava dare tragedie di Eschilo, Shakespeare, "I Promessi Sposi", "Delitto e Castigo" e l'Orlando Furioso sceneggiato. E guardate oggi cosa vi dà. La vostra decadenza salta agli occhi, come la vostra stupidità. E non è - credete - una mancanza di acutezza intellettuale. Quel che manca è la fibra morale: il senso di responsabilità verso la comunità, il senso di dignità verso voi stessi, la ferma convinzione che vivere richieda qualche sforzo costante, qualche desiderio di miglioramento.

Siete in vacanza dalla storia, italiani. Dunque campate coi 900 euro mensili, e domani con 500. Che cosa pretendete di più?

Ma poi mi pento. Fra questi italiani da 22 mila dollari annui, che prendono meno di greci (25.600) e irlandesi (32 mila) ce ne saranno chissà quanti che si sforzano, che imparano, che tirano la carretta per non far andare a fondo la piccola azienda nella tempesta mondiale; che vogliono mantenersi nella storia del mondo con la dignità di un popolo che ha avuto nel suo passato Roma e il Rinascimento. E altri che si occupano dei mondiali e dell’Isola dei Famosi perchè, in fondo, che cos’altro viene richiesto? Il lavoro non viene compensato, tanto vale puntare a fare le veline, sognare i "famosi" da quattro soldi mentre si affonda nella storica miseria di sottosviluppati.

È che, magari, avrebbero il diritto di guadagnare almeno come gli spagnoli (25.400). Viene il sospetto: che siano, che siamo, derubati di qualcosa. Da chi? Su Libero, Franco Bechis c'informa che ciascun ministro dell'attuale governo è proprietario - in media - di sei immobili. Adolfo Urso, viceministro al Commercio Estero, s'è comprato una casa vicino alla Corte di Cassazione (centralissima) di 9,5 vani. Per la quale sta pagando un mutuo trentennale di 1,6 milioni di euro, al tasso del 5,5%. Ora, un ministro prende circa 150 mila euro l'anno. Come fa Urso a pagare i ratei del mutuo? Ad occhio e croce, sono 7 mila al mese: una bella botta. E come fa TJrso ad essere sicuro di poter reggere un mutuo da settemila euro mensili per i prossimi trent’anni? Potrebbe perdere le prossime elezioni. Ha una cintura di salvataggio, una garanzia di perennità di emolumento? Chi gliela fornisce?

Mara Carfagna, anche lei ministra dalle ben note capacità, ha comprato casa: a Piazza Navona, non so se mi spiego. Quinto piano, vista grandiosa, 7,5 vani. Come? Dice lei: con un mutuo da 930 mila euro. Scusate, a piazza Navona, con 900 mila euro, non si prende nemmeno uno sgabuzzino. È lecito il sospetto che, come a Scaiola, qualcuno abbia regalato il resto senza che l'interessato lo sapesse?

La lista Anemone (il costruttore ammanicato) la dice lunga in questo senso. In un modo o nell'altro, sono soldi rubati. A chi, domandate?

Mentre aziende sane falliscono perché lo Stato ritarda i pagamenti delle fatture e dei rimborsi IVA di mesi ed anni, quelli si comprano appartamenti: a loro, niente ritardi di pagamento. Con mutui di banche, che rifiutano i fidi a chi sgobba.

Come si diceva: i morsi della "competizione globale", loro, non li sentono. Fallo sta che, se qualcuno deve cominciare a tirare la cinghia, magari si potrebbe cominciare da quelli. E dalle loro clientele.

Ultima parte della sua lettera:

"Ho paura di terminare il Suo libro perché non so se mi darà delle risposte: ho moglie e 4 figli.., credo in Dio... mi rasserena saperLa ancora lì, magari a leggere questa mia e-mail".

Ebbene, una cosa m'ha messo di miglior umore. Come saprà, Papa Ratzinger è andato a Fatima. E di fatto ha confermato quello che i caporioni ecclesiastici hanno ostinatamente negato: che la terza profezia della Vergine esiste, che non è stata ancora divulgata, che la profezia "si è realizzata nel passato" con il colpo di Ali Agca al Papa, ma che riguarda il futuro e, precisamente, le "sofferenze del Papa e della Chiesa che si annunciano", inflitte dal "peccato che esiste nella Chiesa".

Forse dobbiamo aspettarci un altro Papa suppliziato e ucciso nella "città mezza in rovina" e piena di corpi vista dai pastorelli. Ma è una buona notizia, sapere la verità anche se terrificante, perché (come ha scritto Socci) "non bisogna mai aver paura della verità, perché non si serve Dio con la menzogna". Siano pur tempi terribili quelli che ci attendono, è una buona notizia sapere che la Vergine non ce li ha taciuti, che ci ha avvertito. Inoltre, a Fatima, Benedetto XVI ha consacrato al cuore di Maria se stesso, i giovani preti che ha ordinato, e la gente: quella presente e quella nel mondo, tutti noi. Tuffi noi che sappiamo che l'aldiquà non è tutto siamo, dunque, ben protetti.

Combattiamo per essere degni della verità che disse la Signora "... e infine il mio cuore immacolato trionferà".

by Movisol

Ma i partiti sono sempre più ricchi



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Se per dare un giudizio dell’affidabilità dell’Italia i mercati utilizzassero la dinamica del finanziamento pubblico ai partiti anziché quella degli stipendi del pubblico impiego, allora non avremmo davvero speranza. La speculazione ci avrebbe già fatti a pezzi prima della Spagna, del Portogallo, della Grecia e dell’Irlanda, ovvero i Paesi che ci precedono nella graduatoria della crescita delle retribuzioni pubbliche.
Mentre fra il 1999 e il 2008 queste aumentavano in Italia, secondo l’Ocse, del 42,5%, gli incassi dei nostri partiti si moltiplicavano addirittura per undici: + 1.110%. Grazie a due colpi da maestro. Il primo nel 1999, quando i «rimborsi elettorali», la formula ipocrita con la quale si chiama adesso il vituperato finanziamento pubblico abrogato per finta dal referendum del 1993, furono portati in un sol colpo da 800 a 4 mila lire. II secondo nel 2002, quando si passò da 4 mila lire a 5 euro a legislatura (1 euro l’anno) per ogni italiano iscritto alle liste elettorali di Montecitorio: 5 euro per la Camera, 5 per il Senato, 5 per le europee e 5 per le regionali. Totale, 20 euro a cranio per ogni quinquennio, indipendentemente da quanti davvero vanno a votare. E siccome gli iscritti alle liste elettorali di Montecitorio sono 50 milioni tondi, la bolletta che gli italiani pagano ai partiti ha raggiunto la cifra stratosferica di un miliardo di euro per cinque anni: 200 milioni l’anno. Con l’aggiunta di un simpatico bonus, introdotto, anch’esso alla chetichella, nel 2006. Nel caso di fine anticipata della legislatura, infatti, i contributi elettorali continuano a correre.
Per il triennio che si conclude nel 2011, quindi, razione doppia per Camera e Senato. E invece di 200 milioni, eccone 300. Almeno sulla carta, perché c’è stato un taglio di cassa del 10%. Che ha provocato (l’avreste detto?) anche qualche vergognoso mugugno.
Per capire quanta ipocrisia abbiano messo nell’aver chiamato «rimborsi» questo fiume di denaro, basta leggere che cosa ha ripetutamente scritto la Corte dei conti nei suoi referti sulle spese elettorali, sottolineando come non esista alcuna relazione fra le somme spese per le campagne elettorali e quello che lo Stato dà ai partiti. Ma ben più eloquenti sono i numeri. Nel 1996 un partito come Forza Italia aveva speso per la campagna elettorale, considerando anche la Casa delle Libertà, 4 milioni 90.563 euro. Dieci anni più tardi, la spesa era arrivata a 62 milioni 490.854 euro: +1.427%. E i «rimborsi»? Da 14 milioni 707.526 a 128 milioni 42.335 euro: +770%. Se nel 1996 il partito di Silvio Berlusconi si era messo in tasca, puliti, lo milioni 616.963 euro, cioè la differenza fra la le spese e i «rimborsi», dieci anni dopo l’«utile» era salito a qualcosa come 65 milioni 551.481 euro. Due anni più tardi, nel 2008, con spese elettorali cresciute ancora del 10%, i rimborsi spettanti al Popolo della Libertà sono schizzati a 206 milioni 518.945 euro. Con un «utile» astronomico: 138 milioni 43.803 euro. Non che le cose siano andate peggio alla sinistra, nonostante l’ultima batosta elettorale. Secondo i dati pubblicati nel referto della Corte dei conti sulle politiche 2008, il Partito democratico di Walter Veltroni aveva investito in tutta la campagna elettorale 18 milioni 418.043 euro, meno di un terzo del Popolo della Libertà.
Acquisendo però il diritto a incassare una somma dieci volte superiore a quella investita: 180 milioni 231.506 euro. Cifra che ha perciò garantito a sua volta al Pd un «utile» ancora maggiore di quello del partito di Berlusconi:161 milioni 813.463 euro.
A conti fatti, le elezioni politiche del 2008 riverseranno nelle casse dei partiti introiti «puliti» per 367 milioni di euro. Ovvero la differenza fra 136 milioni di spese e 503 milioni di «rimborsi» per Camera e Senato, spalmati su cinque anni. Per ogni euro sborsato, dunque, ne sono tornati indietro quattro. Gli effetti di questo andazzo sono fin troppo facilmente intuibili. A cominciare dagli apparati di alcuni partiti, i quali hanno potuto evitare la pesante dieta dimagrante che si era profilata dopo il 1993. Per proseguire con l’abnorme incremento delle spese elettorali, che hanno raggiunto livelli senza precedenti. E finire con il risanamento di alcune difficili situazioni finanziarie. Se la pesante esposizione (si parla di 500 milioni di euro) di cui i Democratici di sinistra si erano fatti carico accollandosi i debiti dell’Unità si è ridotta a meno di un terzo, il merito è anche di quei generosissimi contributi. Che consentono oggi anche al Partito democratico, unica formazione politica ad avere un bilancio certificato, di chiudere i conti con un attivo di una quindicina di milioni. Per non parlare di altri «tesoretti» sulla cui destinazione si è discusso a lungo, ma senza costrutto: per esempio i «rimborsi» elettorali a cui hanno avuto diritto ancora sia i Ds sia la Margherita dopo la nascita del Pd.
Certo, ci sono anche situazioni dove i soldi non bastano mai. Forza Italia, per esempio, era arrivata nel 2006 a essere esposta per 157 milioni di euro con le banche. Garantiti da una fidejussione personale del Cavaliere. Per avere un’idea di quanto pure la dimensione economica di quel partito fosse personale, si consideri che nei conti c’era anche un debito di 14 milioni e mezzo con la Dolcedrago, società del premier che controlla la Immobilare Idra, cassaforte nella quale sonocustodite le ville di Arcore e Macherio, le proprietà sarde, la casa romana nella zona dell’Appia Antica dove abita Franco Zeffirelli, e altre ancora.
Possiamo immaginare la sofferenza dei tesorieri se davvero la minaccia di Giulio Tremonti, di tagliare i «rimborsi» da 5 euro a 2 euro e 50 per ogni legislatura e per ogni tornata elettorale, dovesse andare in porto. Si consolino comunque: pure dimezzati, i finanziamenti pubblici sarebbero pur sempre ancora più alti di quelli che toccano ai partiti di altri Paesi europei. Come Francia e Spagna...
di Sergio Rizzo