06 settembre 2010

UNA COMPONENTE ESSENZIALE DEL SISTEMA BANCARIO E FINANZIARIO MONDIALE









Due giorni fa, il giornale tailandese THE NATION, pubblicato in inglese e considerato generalmente un organo di propaganda della DEA (Drug Enforcement Administration) in Tailandia, ha pubblicato un articolo sulla lotta in corso per la conquista del potere politico in Birmania, lotta che vede ancora una volta vede come favoriti.....i monaci birmani. L'articolo consisteva di tre paragrafi e citava tra le sue fonti i servizi di spionaggio statunitensi e alcuni membri del Dipartimento di Stato nordamericano. Cosa accomunano Afganistan, Birmania, i documenti “segreti di WikiLeaks” e Hamid Gul, il generale rimosso dal suo incarico ed ex capo dei servizi sergreti pachistani (ISI)? La droga.

Negli anni '80, il generale Gul era il coordinatore della guerra combattuta dai guerrieri mujahadeen contro le truppe sovietiche. La guerra, per inciso, veniva finanziata dalla CIA attraverso il traffico di droga. Nei documenti pubblicati da Wikileaks, Gul viene descritto come collaboratore dei Talebani e di Al-Qaeda, oltre che come coordinatore degli attacchi suicidi organizzati dalla NATO in Afganistan. Per quale motivo i documenti di Wikileaks, supposti segreti, si soffermano sulla figura di un vecchio generale di 74 anni? Gul, nel giugno del 2010, commise un “errore” imperdonabile quando durante una intervista concessa ad un giornalista locale tirò fuori il ruolo dell'esercito americano nella vendita di eroina afgana attraverso la sua base top secret Manas, nel Kyrgyzstan.

Il ruolo dell'esercito americano nel traffico internazionale di stupefacenti è in realtà ampiamente documentato, dalla guerra in Vietnam (guerra in realtà combattuta tra società segrete per il controllo delle vie della droga, nonostante i libri di “storia” raccontino una realtà differente), passando per l'America Latina e per il Medio Oriente. Con l'economia mondiale al limite della disintegrazione, la droga si è trasformata in quel componente imprescindibile per sostenere qualcosa che è oramai insostenibile. Gul è un personaggio scomodo a Washington, non solo per i suoi commenti sul traffico di droga, ma anche per le sue dichiarazioni del 26 settembre 2001 sul ruolo di Mossad negli attentati dell 11 settembre (9-11).

Per screditare Gul e l'attuale regime Pachistano, unico paese mussulmano munito di armi nucleari, i “Signori delle Ombre” hanno utilizzato WikiLeaks come flagello per dirigere i loro attacchi verso Gul.

Già due settimane fa commentai sulla mia pagina di Facebook come, a mio avviso, WikiLeaks venisse manovrato in segreto dal governo americano. Il modus operandi di questa manipolazione è riconoscibile. Per aumentarne la credibilità, viene pubblicato un video (appositamente filtrato) dell'esercito americano ritratto durante un attacco da brividi portato contro dei giornalisti indifesi. La reazione del governo americano non tarda quindi ad arrivare – dapprima cingendosi della bandiera americana chiedendo vendetta per il tentativo di debilitare il paese e la sua “lotta contro il male” (i simboli sono fondamentali in tutte le operazioni segrete); quindi sferrando una feroce critica verso i responsabili; all'indignazione del popolo (ovvia e prevedibile, le persone comuni si indignano davanti a questo genere di filmato) il governo e l'esercito rispondono avviando un'inchiesta sull'accaduto... il popolo viene soddisfatto (l'inchiesta dimostrerebbe la democraticità del sistema e il potere dei mezzi di informazione liberi ed indipendenti). Con le ultime pubblicazioni di oltre 90,000 documenti sulla guerra in Afganistan. Il fondatore di WikiLeaks, un misterioso australiano di 29 anni, senza passato ne presente, si converte nel “faro della democrazia” in modo non dissimile da Hashim Thaci, leader degenere della repubblica criminale del Kosovo.

Il documento più indicativo sul vero ruolo di WikiLeaks e sui suoi reali rapporti con il governo americano è quello relativo alla supposta ammissione da parte dell'esercito americano che Osama bin Laden sia ancora vivo, notizia che alimenterebbe in modo conveniente la Guerra Contro il Terrore. Il fatto che bin Laden sia effettivamente morto il 21 Dicembre 2001, cosa nota a tutti i servizi di spionaggio mondiali, non viene dato a sapere. E visto che la massa ignorante non vuole rendersene conto... conviene proseguire con il mito di bin Laden.

Tornando al discorso iniziale, stiamo vivendo dei grandi cambiamenti geopolitici. L'economia mondiale è praticamente in ginocchio, i grandi potenti non danno risposte credibili, la Comunità Europea si sta disintegrando sotto i nostri occhi, ciascuno dei suoi paesi membri si chiude nei suoi interessi. Le dinamiche globali diventano sempre più imprevedibili e difficili da comprendere, soprattutto se ci si affida ai mezzi di informazione di massa.

L'articolo che segue, riguardante la Birmania, fu pubblicato dal sottoscritto circa tre anni fa su un media statunitense. Vale la pena ripubblicarlo per la rilevanza che assume alla luce di ciò che accade in questo periodo.


La lotta in essere per conquistare il potere politico in Birmania, che vede avvantaggiati i monaci birmani, è finita sulle copertine di tutti i mezzi di comunicazione del mondo. Nel suo discorso all'assemblea delle Nazionio Unite, Bush aveva denunciato quello della Birmania come un “feroce regime” (insieme a quelli di Bielorussia, Cuba, Iran, Siria, Corea del Nord e Zimbabwe).

Il messaggio che ne è venuto fuori dai media occidentali, pilotati dal governo statunitense, è che le manifestazioni in corso in Birmania siano “a difesa della democrazia” e contro la tirannia politica. Questo punto di vista rappresenta senza ombra di dubbio una forma istituzionalizzata di disinformazione. Di fatto, all'origine delle proteste si nasconde il rincaro nei prezzi di “pane e acqua” (n.d.t. per “pane e acqua” si intende beni di prima necessità). Come spiega Il New York Times nella sua edizione del 24 Settembre, le proteste iniziarono il 19 Agosto come risposta al brusco e improvviso incremento dei prezzi della benzina (che aumentarono di circa il 500%) che diedero origine ad una impennata dei prezzi di tutti gli altri beni, oltre che ovviamente dei costi di trasporto.

Le proteste sono guidate dagli studenti e dai monaci, i quali hanno denunciato il governo di volere “impoverire” la popolazione. Il linguaggio delle denunce dei manifestanti non fa assolutamente riferimento a termini come libertà e democrazia, spesso citati dai mezzi corporativi statunitensi, ma semplicemente alla crisi dei prezzi.

Il “problema” principale di Washington con il governo Birmano non è tanto legato al “feroce regime” o all'”asse del male”. Gli alleati degli Stati Uniti come Arabia Saudita, Etiopia e l'Irak di Saddam Hussein degli anni 80 sono/furono regimi altrettanto sanguinosi, che però goderono del pieno appoggio americano e della copertura diplomatica di cui necessitavano. Il vero “problema” della Birmania sta nel fatto che i suoi mercati, le sue terre e le sue risorse naturali non sono al momento sotto il diretto controllo degli interessi corporativi e finanziari dell'occidente.

Non c'è dubbio che il leader attuale del paese, il Generale Than Shwe, mezzo analfabeta oltre che efferato dittatore, debba essere giudicato per crimini contro l'umanità da qualche legittimo e competente Tribunale Internazionale di Giustizia. Non c'è dubbio inoltre che, dietro le denunce americane legate alla presenza di un “feroce regime” si nasconda, in realtà, una motivazione molto più oscura: il traffico di stupefacenti.

Combattere e sradicare il fenomeno della droga è dannoso per il mondo finanziario. Secondo l'Ufficio dell'Onu per il Controllo della Droga e la Prevenzione del Crimine, il triangolo d'oro (costituito da Birmania, Laos e Tailandia) ha perso il suo ruolo di principale produttore mondiale di oppio, contribuendo oggi con meno del 5% al totale di oppio immesso sul mercato, un calo significativo rispetto al picco del 70% di tre decenni fa.

Per contro, la mezzaluna d'oro e l'Afganistan, al momento controllate dalle forze della NATO con i relativi alleati, si ritrovano con il ruolo di leader assoluti nella produzione e distribuzione di oppio, con quantità molto superiori a Colombia e triangolo d'oro. L'Afganistan, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, produce il 92% dell'oppio circolante Il valore totale delle esportazioni di oppio afgano, secondo l'ONU, si calcola in 3000 milioni di dollari, equivalente alla metà del PIL del paese. Inoltre il 12% della popolazione afgana, che ammonta a 23 milioni di abitanti, si dedica esclusivamente alla coltivazione dell'oppio. La maggior parte della droga prodotta in Afganistan è destinata a Gran Bretagna, Italia e Spagna, sempre secondo fonti ONU.

Con le “forze di pace” della NATO che tengono sotto controllo il paese e, in modo meno evidente, il traffico di droga che lo sostiene, è davvero possibile continuare a credere alla favola che si sta combattendo una vera lotta contro questa piaga? Se la NATO volesse veramente fermare i signori della guerra, potrebbe farlo in poche ore. D'altro canto l'ONU, piuttosto che combattere il governo della Birmania, lo appoggia nella lotta locale contro la droga, in particolare nella zona dello Shan, epicentro delle coltivazioni di oppio.

Cosa si nasconde all'obra di posizioni così diverse?

Lo sradicamento della droga dal triangolo d'oro causerebbe una evoluzione geostrategica che va contro gli interessi delle principali banche occidentali, dei loro governi e dell corporazioni internazionali i cui sistemi finanziari e politici dipendono dal flusso di miliardi che viene generato dal traffico di droga.

I funzionari dell'ONU sostengono che l'unico modo di farla finita con la droga consiste nell'eliminare le coltivazioni di papaveri, fatto questo che andrebbe contro i grandi interessi dei governi occidentali e delle istituzioni finanziarie di tutto il mondo.

Il denaro proveniente dal traffico di droga è divenuto parte strutturale delle economie occidentali. Ogni anno il ricavato derivante dal commercio di stupefacenti si colloca intorno ai settecentomila milioni di dollari, esentasse. Questa cifra è stata fornita dall'agenzia governativa statunitense incaricata di seguire i flussi di denaro a livello globale. Settecentomila milioni di dollari sono troppi soldi per essere tenuti nascosti sotto un materasso. Serve molta esperienza e soprattutto capacità per per poter trasferire fondi di tale entità senza farsi notare. L'ignoranza, specialmente quando le transazioni sono così ingenti, non è una posizione credibile. Eppure, in cinquant'anni di riciclaggio di denaro sporco, sono poche le persone al corrente di una verità tanto scomoda. Perchè?

Di fatto, il denaro proveniente dal traffico di droga è diventato parte sostanziale del sistema bancario e finanziario mondiale, in quanto fornisce la liquidità necessaria a finanziare i “costi minimi mensili” delle manovre speculative di Stati Uniti e Gran Bretagna.

L'effetto moltiplicatore (quantificabile in circa sei volte il capitale di origine “illegale”) prodotto dal riciclaggio di settecento mila milioni di dollari darebbe come risultato una somma equivalente a circa venti miliardi di dollari, tutti derivanti unicamente dal trafficoo di stupefacenti.

Il valore delle azioni delle aziende quatate a Wall Street è legato alle prospettive di guadagno annuali di ogni singola azienda e le si possono pensare come “frazioni” di proprietà dell'azienda e ne rappresentano il valore più equo. L'effetto moltiplicatore cui le azioni sono soggette in borsa può a volte raggiungere un fattore 30, gli analisti finanziari hanno infatti creduto per lungo tempo che un rapporto “sano” tra prezzo e guadagno per un qualunque tipo di azione debba essere 15 o al più di 30 a 1. In questo modo, se si prende questa cifra come un rapporto esclusivamente matematico, aggiungendo un solo dollaro alla complessiva capitalizzazione in borsa di una azienda, questo produrrà come risultato un valore aggiunto, sul mercato borsistico, di trenta dollari.

Cosa significa tutto questo nel mondo reale? Per le banche mondiali avere un guadagno netto supplementare di dieci milioni di dollari, la liquidità derivante dal commercio di stupefacenti, equivale a profitti in borsa che possono arrivare fino a trecento milioni di dollari. Senz'altro, prima di far risultare queste somme all'interno dei bilanci , è necessario ripulirle attraverso ogni tipo di operazione illecita.

I guadagni provenienti dal lucroso commercio di stupefacenti sono illeciti, cosa che tendono a scordare tutti coloro che cercano di analizzare le dinamiche del mercato della droga. Prima di poter essere utilizzato, questo denaro va prima nascosto e poi ripulito. Al giorno d'oggi il denaro si sposta con tale velocità che, a meno di non controllare la totalità dei sistemi informatici coinvolti, risulta impossibile da tracciare. Già questo basterebbe a spiegare l'assoluta attrattiva del business del traffico di droga, che viene diretto, controllato e salvaguardato da personaggi dotati di grande potere, spesso in collaborazione con le istituzioni finanziarie e bancarie operanti su entrambi i lati dell'Atlantico; funzionari di vari governi e di importanti corporazioni i cui titoli sono oggetto di scambio sulle più importanti borse mondiali.

Si aggiunga che queste grandi corporazioni possono guadagnare una quantità straordinaria di denaro sporco semplicemente facendoselo prestare tanto da singoli individui quanto da intere nazioni dedite al traffico di droga come la Colombia, per poi restituirlo, ripulito, a tassi di interesse bassissimi, e ottenendone comunque grossi benefici. Quando si fa un prestito di cento mila milioni di dollari a un interesse del 5 per cento ad una enorme corporazione, il denaro che se ne ricava diventa effettivo e lecito.

Il commercio di stupefacenti ha acquisito potere in quanto sostiene gli investimenti delle più grandi corporazioni mondiali. Wall Street non può permettersi di rinunciare ai magnati della droga. Il Congresso non può permettersi di rinunciare ai magnati della droga. I presidenti, per finanziare le loro campagne elettorali, non possono permettersi di rinunciare ai magnati della droga. Perchè? Perchè l'economia mondiale, controllata da un piccolo uno per cento, non può permettersi il rischio che la concorrenza (sia negli affari che nella politica) si impossessi del denaro destinato alla droga. E per ogni milione di dollari scambiato in una compravendita di azioni, il capitale in possesso di quell'uno per cento che controlla Wall Street aumenta di venti o trenta volte.

La politica è direttamente coinvolta in questo meccanismo e la sua possibilità di intervento è subordinata agli appoggi che la sostiene e che, finanziandola, la mantiene al potere. Questa complicità di interessi è una parte essenziale dell'economia mondiale e rappresenta il combustibile che fa girare le ruote del capitalismo.

Coloro che si sono uniti alle critiche contro il governo totalitario della Birmania, dovrebbero capire che le loro iniziative stanno contribuendo a portare avanti l'agenda occulta dell' ”Uomo dietro le quinte” che maneggia i fili del potere.


Daniel Estulin

05 settembre 2010

Se le borse sono euforiche perchè i capi di Goldman vendono tutto?

Prepariamoci, perché «settembre e ottobre porteranno con sé cattive notizie per il mercato azionario e le banche rimangono pesantemente esposte alla leva, dato ancor più allarmante visto che stiamo entrando nella seconda "gamba" della crisi finanziaria». Parole di Pedro De Noronha, managing partner della Noster Capital di Londra, secondo cuiì

stiamo assistendo ad anni che rappresentano una sfida senza precedenti per gli investitori. I grandi player, semplicemente, stanno fuggendo dal mercato. Ci sono seri problemi che arrivano dal settore della rinegoziazione dei mutui Usa e l'area euro resta una seria e costante preoccupazione. La Germania non ha la minima intenzione di salvare un'altra nazione europea, la Merkel ha già usato una larga parte di capitale politico per salvare la Grecia e il mercato ellenico dei bonds e questo semplicemente per tutelare il sistema bancario francese e tedesco da ulteriori, gravi perdite.

Ci sono quattro o cinque nazioni con grossi problemi strutturali che non dovrebbero nemmeno essere nell'euro. D'altronde, devo ancora vederlo un politico che si spara alla tempia in ossequio dell'austerity. I greci non hanno alternativa se non quella di tagliare, gli altri come la Spagna non stanno affatto facendo a sufficienza: io sono per la scuola austriaca, non accetto alternative keynesiane.

Dovrebbe dirlo alla Fed e al premio Nobel, Paul Krugman, che lunedì scorso ha chiesto a chiare lettere una nuova politica di stimolo fiscale. Per De Noronha la vera preoccupazione a breve sta nel settore bancario, tanto che sta shortando i titoli di cinque grandi istituti: Ubs, Barclays, Unione de banche, Bbva e - udite udite - Intesa Sanpaolo. Il perché è presto detto:

I recenti stress tests mi hanno fatto sbellicare dal ridere. Sotto stress, infatti, i regolatori hanno messo soltanto ciò che le banche ci hanno detto, non ho visto nessuno testare qualcun'altro finché non si è arrivati al punto di non ritorno. Quando guardo alle ratio del Capital Tier 1, vedo cose poste a loro sostegno che non possono essere utilizzate nel corso di una crisi. Il vero Capital 1 ratio di alcune delle maggiori banche è soltanto l'1,7 per cento e per questo motivo sto shortando cinque grandi banche europee. Ho la certezza che la maggioranza degli istituti restino eccessivamente esposti alla leva.

Quindi, avevamo ragione quando definivamo "ridicoli" gli stress test Ue?

I regolatori hanno utilizzato il 6 per cento come soglia per definire il minimo di capital ratio ma quel 6 per cento include assets non cash come tax assets differenziati. Se invece utilizzo solo book equity tangibili quel 6 per cento diventa molto vicino al 2 per cento, un qualcosa che impone una leverage ratio di cinquanta volte. Una situazione poco gestibile nell'attuale situazione economica.

E in tal senso un grosso test per la tenuta dell'eurozona e il suo settore bancario, arriva proprio questo mese di settembre, durante il quale le principali banche irlandesi dovranno ripagare oltre 25 miliardi di debito: i volumi molto bassi delle contrattazioni parlano la lingua di un'attesa carica tanto di speranza quanto di preoccupazione. Insomma, basterà il mercato dei bonds per finanziarsi o sarà necessario ritentare la strada del mercato, fino ad oggi prosciugata da volatilità e mancanza di fiducia?

La crisi del debito di maggio e giugno, d'altronde, ha portato con sé un aumento dei costi per i paesi che vogliono ottenere denaro e anche di quelli del prestito bancario. Il problema è che le preoccupazioni crescenti sulla stato di salute dell'economia irlandese (36 aziende su 100 sono sull'orlo del fallimento, dati riportati dall'Irish Examiner), con tanto di downgrade da parte di Standard&Poor's, hanno fatto schizzare lo spread dei rendimenti tra bond irlandesi e bund tedeschi, situazione che vede quindi le banche costrette a pagare un prezzo maggiore per rifinanziare il loro debito.

«Ora che il mercato obbligazionario sta ripartendo dopo la pausa estiva, c'è grande preoccupazione riguardo la necessità reale per le banche irlandesi e spagnole di emettere durante il mese di settembre e soprattutto riguardo al fatto che quando questo soggetti si presenteranno sul mercato, non è chiaro quale prezzo dovranno pagare», ha dichiarato al Financial Times, Chandra Rajan di Barclays Capital, secondo cui «come tutte le altre banche, anche questi istituti saranno costrette a estendere le scadenze del loro debito ma non si sa quanta estensione sono in grado di gestire».

Per Robert Crossley, analista sui tassi a Citigroup, lo spread che l'Irlanda si trova a pagare potrebbe ulteriormente allargarsi e potrebbe innescare un effetto domino su altri soggetti:

Il potenziale e immediato pericolo è rappresentato dal fatto che le notizie si autoalimentano e noi già intravediamo una nuova spirale sull'Europa periferica. E un ampliamento dello spread, nelle condizioni attuali, potrebbe distribuirsi nei paesi a rischio molto facilmente. Molte banche hanno tratto vantaggio dalla forte domanda e dai bassi costi dei prestiti per vendere bonds negli Stati Uniti ma i banchieri stessi dicono che questa opzione era praticabile solo per le istituzioni più grandi.

Insomma, i giorni che ci dividono dal secondo anniversario del crollo di Lehman Brothers si prospettano tesi. E pericolosamente decisivi. Anche perché, da Oltreoceano, arrivano segnali ulteriormente preoccupanti per la ripresa globale. Come anticipato martedì, il pieno recovery dell'economia americano potrebbe richiedere una decina di anni, stando all'analisi di Carmen M. Reinhart, economista alla Maryland University e storica delle crisi economiche, che ha reso nota la sua tesi nel corso dell'annuale simposio di economia di Jackson Hole, organizzato dalla Fed di Kansas City e che ha visto riuniti 110 tra banchieri centrali e studiosi.

Allen Sinai, co-fondatore dell'azienda di consulenza Decision Economics e decano dell'incontro nel Wyoming, si è definito

preoccupato oggi come non mai per il futuro dell'economia americana. La sfida infatti è unica nel suo genere: bassa crescita in ulteriore diminuzione, tasso di disoccupazione allarmante, un deficit iperbolico e un debito sovrano che ci rende una delle nazioni più fiscalmente irresponsabili del mondo.

In occasione del simposio, Carmen M. Reinhart ha preparato uno studio dal titolo "This time is different: otto secoli di follia finanziaria" nel quale ha esaminato quindici severe crisi finanziarie dalla Seconda Guerra mondiale in poi, oltre alle contrazioni economiche che hanno seguito il crash del 1929, lo shock petrolifero del 1973 e l'esplosione della bolla subprime del 2007. Da questo studio si evince che la decade successiva ad ogni singola crisi ha visto tassi di crescita significativamente bassi e livelli di disoccupazione molto alti.

I prezzi degli immobili hanno avuto bisogno di anno per tornare a livelli di normalità e mediamente ci sono voluti sette anni per cittadini e aziende per ridurre il loro debito e recuperare nei bilanci. Quasi scientificamente, le crisi sono anticipate da un decennio di espansione del credito e del prestito e seguite da periodi di rintracciamento più o meno della stessa durata.

Eventi largamente destabilizzanti come quelli analizzati nel mio studio, producono evidentemente cambiamenti nelle prestazioni degli indicatori macroeconomici chiave sul lungo termine, un periodo che si prolungo molto dalla fine del picco della crisi stessa». Per la Reinhart «il rischio maggiore che stiamo correndo è quello di un'errata percezione che potrebbe essere molto costoso se compiuta dalle autorità fiscale che sovrastimano le prospettive di entrata e dai banchieri centrali che tentano di riportare l'occupazione a un livello irrealisticamente alto».

Le sfide davanti a noi, quindi, sono decisamente epocali. E il margine di errore, questa volta, è davvero ristretto.

P.S. Ieri le Borse hanno festeggiato con rialzi euforici l'inaspettato aumento dell'indice ISM dell'attività manifatturiera Usa,salito al 56,3 punti in agosto dopo il calo nel mese di luglio che aveva fatto parlare di crescita rallentata e rischio di "double-dip". Il livello che potrebbe far scattare i crolli borsistici è a 50 punti, livello che molti analisti e gestori di fondi vedono probabile per ottobre, massimo novembre. In compenso, mentre i trader brindavano, gli insiders - ovvero i grandi investitori - confermavano i timori per crollo a breve: è di oltre 100 milioni di dollari di controvalore, infatti, il numero di azioni vendute dai manager di grandi aziende di Wall Street, 64 dei quali solo dei tre dirigenti principali di Goldman Sachs. Investimenti personali, non per clienti: quelli possono anche andare a schiantarsi contro il muro dei mercati. Chi vede le cose dall'interno, vende e scappa.
di Mauro Bottarelli

04 settembre 2010

Attenzione: allarme economico

E’ da tempo che avverto i lettori sul vicino crollo dell’Economia Statunitense. Il timore di una recessione a doppio picco era già alto dopo l’avvertimento sulla lentezza della crescita dell’economia da parte della Federal Reserve: mancanza di spesa da parte del consumatore bassi profitti delle imprese a Wall Street. E questo avvertimento non tiene neanche conto delle preoccupazioni su una crisi del debito europeo, debito che è sempre più grande, o di un rallentamento dell'economia cinese.

Alcuni indicatori supplementari che avvertono che le cose andranno molto in salita e molto velocemente:

1-L’indice della Federal Reserve di Philadelphia sulla manifatturiera è appena crollato, un 7,7%!. Questo non è solo indicativo di un rallentamento nella crescita della produzione. Per la prima volta in più di un anno, la produzione delle fabbriche negli USA si sta riducendo!

2-Il denaro del governo sta finendo e non ci saranno più “stimoli” per continuare ad iniettarli nell’economia. Nel frattempo, le città e gli stati della nazione stanno navigando in numeri rossi, le città e stati in tutto il paese stanno nuotando in rosso, tanto che per pareggiare i conti stanno chiudendo molte scuole, stazioni dei pompieri e intere divisioni della polizia (caserme NDT). Non è il miglior modoper porre fine alla crisi.

Inoltre, la maggior parte degli economisti sono altrettanto attoniti. Non avevano neanche idea che il numero di disoccupati avrebbe battuto tutti i record in questo momento del “recupero”.

Un esempio: Due settimane fa, tra i 42 economisti interpellati da Bloomerberg, neanche uno solo aveva predetto un grande aumento di richieste degli assegni per la disoccupazione. Ed è che l’aumento avuto la settimana scorsa in termini reali è stata apocalittica: le richieste di tali assegni sono saliti a 500.000, i peggiori numeri in nove mesi.
Per dirlo in un altro modo, oltre ai milioni di disoccupati che ancora non hanno trovato lavoro-anche un anno e più dopo il gran crollo dell’economia- un’ondata completamente nuova di lavoratori licenziati stanno adesso inondando gli uffici di collocamento del governo.

Consigli pratici

In primo luogo, se si hanno soldi, spostare la maggior parte del denaro in luoghi sicuri, in particolare nel breve termine e contanti.
In secondo luogo, non pensare che qualunque banca è sicura o che il governo aiuterà un numero indefinito di banche. Fare affari strettamente con le banche che abbiano le risorse liquide per sopravvivere in tempi difficili, anche senza l’aiuto del governo.

Collasso bancario

Se c’è un settore del mercato di valori che odora di morte, è il settore finanziario. Le azioni bancarie semplicemente non rialzano la testa. Prendi l’indice delle banche KWB(BKX), di 24 delle principali banche degli Stati Uniti. Sono affondate in aprile e maggio e non sono riuscite a recuperare da allora. Di fatto, settimana scorsa, è caduto a nuovi minimi.

Mercati dei bond

Per coloro che desiderino ascoltare, il mercato dei bond sta trasmettendo un messaggio economico importante. Ad esempio, la resa dei buoni del Tesoro a 10 anni è diminuito drasticamente da inizio aprile. Di fatto i rendimenti a 10 anni sono così bassi come a dicembre del 2008, durante il periodo più profondo della grave crisi economica e finanziaria. Questa caduta pronunciata dei rendimenti sta inviando un messaggio terrificante: è l’anticipazione di un’economia in libera caduta.

Crollo del settore immobiliare negli USA

La vendita delle case di seconda mano negli USA è appena stata colpita dal peggior crollo nella storia di mesi, il 27,2%, in quanto l'inventario di case invendute è così grande e la pressione al ribasso sui prezzi delle case così forte che sta provocando uno “sciopero” da parte di compratori in tutto il paese.

Il settore immobiliare è castigato dal cattivo umore dei consumatori statunitensi e degli investitori. L’accesso ad una casa, inoltre, è tagliato dalla scarsità di credito più cronica che si sia mai vista nella nostra vita. Lo stesso succederà con la maggior parte delle aziende nazionali che erano quotate nella borsa negli USA.

Un altro dei fattori che giocano un ruolo importante nel crollo immobiliare e della maggior parte delle aziende degli USA è l’aumento del tasso di disoccupazione. Conclusioni: Il denaro degli investitori di Wall Street è in serio pericolo.

Per i lettori statunitensi:

Disfattevi delle vostre proprietà immobiliari e vendete le azioni delle aziende nordamericane nella Borsa.


di Daniel Estulin

Fonte: www.danielestulin.com

06 settembre 2010

UNA COMPONENTE ESSENZIALE DEL SISTEMA BANCARIO E FINANZIARIO MONDIALE









Due giorni fa, il giornale tailandese THE NATION, pubblicato in inglese e considerato generalmente un organo di propaganda della DEA (Drug Enforcement Administration) in Tailandia, ha pubblicato un articolo sulla lotta in corso per la conquista del potere politico in Birmania, lotta che vede ancora una volta vede come favoriti.....i monaci birmani. L'articolo consisteva di tre paragrafi e citava tra le sue fonti i servizi di spionaggio statunitensi e alcuni membri del Dipartimento di Stato nordamericano. Cosa accomunano Afganistan, Birmania, i documenti “segreti di WikiLeaks” e Hamid Gul, il generale rimosso dal suo incarico ed ex capo dei servizi sergreti pachistani (ISI)? La droga.

Negli anni '80, il generale Gul era il coordinatore della guerra combattuta dai guerrieri mujahadeen contro le truppe sovietiche. La guerra, per inciso, veniva finanziata dalla CIA attraverso il traffico di droga. Nei documenti pubblicati da Wikileaks, Gul viene descritto come collaboratore dei Talebani e di Al-Qaeda, oltre che come coordinatore degli attacchi suicidi organizzati dalla NATO in Afganistan. Per quale motivo i documenti di Wikileaks, supposti segreti, si soffermano sulla figura di un vecchio generale di 74 anni? Gul, nel giugno del 2010, commise un “errore” imperdonabile quando durante una intervista concessa ad un giornalista locale tirò fuori il ruolo dell'esercito americano nella vendita di eroina afgana attraverso la sua base top secret Manas, nel Kyrgyzstan.

Il ruolo dell'esercito americano nel traffico internazionale di stupefacenti è in realtà ampiamente documentato, dalla guerra in Vietnam (guerra in realtà combattuta tra società segrete per il controllo delle vie della droga, nonostante i libri di “storia” raccontino una realtà differente), passando per l'America Latina e per il Medio Oriente. Con l'economia mondiale al limite della disintegrazione, la droga si è trasformata in quel componente imprescindibile per sostenere qualcosa che è oramai insostenibile. Gul è un personaggio scomodo a Washington, non solo per i suoi commenti sul traffico di droga, ma anche per le sue dichiarazioni del 26 settembre 2001 sul ruolo di Mossad negli attentati dell 11 settembre (9-11).

Per screditare Gul e l'attuale regime Pachistano, unico paese mussulmano munito di armi nucleari, i “Signori delle Ombre” hanno utilizzato WikiLeaks come flagello per dirigere i loro attacchi verso Gul.

Già due settimane fa commentai sulla mia pagina di Facebook come, a mio avviso, WikiLeaks venisse manovrato in segreto dal governo americano. Il modus operandi di questa manipolazione è riconoscibile. Per aumentarne la credibilità, viene pubblicato un video (appositamente filtrato) dell'esercito americano ritratto durante un attacco da brividi portato contro dei giornalisti indifesi. La reazione del governo americano non tarda quindi ad arrivare – dapprima cingendosi della bandiera americana chiedendo vendetta per il tentativo di debilitare il paese e la sua “lotta contro il male” (i simboli sono fondamentali in tutte le operazioni segrete); quindi sferrando una feroce critica verso i responsabili; all'indignazione del popolo (ovvia e prevedibile, le persone comuni si indignano davanti a questo genere di filmato) il governo e l'esercito rispondono avviando un'inchiesta sull'accaduto... il popolo viene soddisfatto (l'inchiesta dimostrerebbe la democraticità del sistema e il potere dei mezzi di informazione liberi ed indipendenti). Con le ultime pubblicazioni di oltre 90,000 documenti sulla guerra in Afganistan. Il fondatore di WikiLeaks, un misterioso australiano di 29 anni, senza passato ne presente, si converte nel “faro della democrazia” in modo non dissimile da Hashim Thaci, leader degenere della repubblica criminale del Kosovo.

Il documento più indicativo sul vero ruolo di WikiLeaks e sui suoi reali rapporti con il governo americano è quello relativo alla supposta ammissione da parte dell'esercito americano che Osama bin Laden sia ancora vivo, notizia che alimenterebbe in modo conveniente la Guerra Contro il Terrore. Il fatto che bin Laden sia effettivamente morto il 21 Dicembre 2001, cosa nota a tutti i servizi di spionaggio mondiali, non viene dato a sapere. E visto che la massa ignorante non vuole rendersene conto... conviene proseguire con il mito di bin Laden.

Tornando al discorso iniziale, stiamo vivendo dei grandi cambiamenti geopolitici. L'economia mondiale è praticamente in ginocchio, i grandi potenti non danno risposte credibili, la Comunità Europea si sta disintegrando sotto i nostri occhi, ciascuno dei suoi paesi membri si chiude nei suoi interessi. Le dinamiche globali diventano sempre più imprevedibili e difficili da comprendere, soprattutto se ci si affida ai mezzi di informazione di massa.

L'articolo che segue, riguardante la Birmania, fu pubblicato dal sottoscritto circa tre anni fa su un media statunitense. Vale la pena ripubblicarlo per la rilevanza che assume alla luce di ciò che accade in questo periodo.


La lotta in essere per conquistare il potere politico in Birmania, che vede avvantaggiati i monaci birmani, è finita sulle copertine di tutti i mezzi di comunicazione del mondo. Nel suo discorso all'assemblea delle Nazionio Unite, Bush aveva denunciato quello della Birmania come un “feroce regime” (insieme a quelli di Bielorussia, Cuba, Iran, Siria, Corea del Nord e Zimbabwe).

Il messaggio che ne è venuto fuori dai media occidentali, pilotati dal governo statunitense, è che le manifestazioni in corso in Birmania siano “a difesa della democrazia” e contro la tirannia politica. Questo punto di vista rappresenta senza ombra di dubbio una forma istituzionalizzata di disinformazione. Di fatto, all'origine delle proteste si nasconde il rincaro nei prezzi di “pane e acqua” (n.d.t. per “pane e acqua” si intende beni di prima necessità). Come spiega Il New York Times nella sua edizione del 24 Settembre, le proteste iniziarono il 19 Agosto come risposta al brusco e improvviso incremento dei prezzi della benzina (che aumentarono di circa il 500%) che diedero origine ad una impennata dei prezzi di tutti gli altri beni, oltre che ovviamente dei costi di trasporto.

Le proteste sono guidate dagli studenti e dai monaci, i quali hanno denunciato il governo di volere “impoverire” la popolazione. Il linguaggio delle denunce dei manifestanti non fa assolutamente riferimento a termini come libertà e democrazia, spesso citati dai mezzi corporativi statunitensi, ma semplicemente alla crisi dei prezzi.

Il “problema” principale di Washington con il governo Birmano non è tanto legato al “feroce regime” o all'”asse del male”. Gli alleati degli Stati Uniti come Arabia Saudita, Etiopia e l'Irak di Saddam Hussein degli anni 80 sono/furono regimi altrettanto sanguinosi, che però goderono del pieno appoggio americano e della copertura diplomatica di cui necessitavano. Il vero “problema” della Birmania sta nel fatto che i suoi mercati, le sue terre e le sue risorse naturali non sono al momento sotto il diretto controllo degli interessi corporativi e finanziari dell'occidente.

Non c'è dubbio che il leader attuale del paese, il Generale Than Shwe, mezzo analfabeta oltre che efferato dittatore, debba essere giudicato per crimini contro l'umanità da qualche legittimo e competente Tribunale Internazionale di Giustizia. Non c'è dubbio inoltre che, dietro le denunce americane legate alla presenza di un “feroce regime” si nasconda, in realtà, una motivazione molto più oscura: il traffico di stupefacenti.

Combattere e sradicare il fenomeno della droga è dannoso per il mondo finanziario. Secondo l'Ufficio dell'Onu per il Controllo della Droga e la Prevenzione del Crimine, il triangolo d'oro (costituito da Birmania, Laos e Tailandia) ha perso il suo ruolo di principale produttore mondiale di oppio, contribuendo oggi con meno del 5% al totale di oppio immesso sul mercato, un calo significativo rispetto al picco del 70% di tre decenni fa.

Per contro, la mezzaluna d'oro e l'Afganistan, al momento controllate dalle forze della NATO con i relativi alleati, si ritrovano con il ruolo di leader assoluti nella produzione e distribuzione di oppio, con quantità molto superiori a Colombia e triangolo d'oro. L'Afganistan, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, produce il 92% dell'oppio circolante Il valore totale delle esportazioni di oppio afgano, secondo l'ONU, si calcola in 3000 milioni di dollari, equivalente alla metà del PIL del paese. Inoltre il 12% della popolazione afgana, che ammonta a 23 milioni di abitanti, si dedica esclusivamente alla coltivazione dell'oppio. La maggior parte della droga prodotta in Afganistan è destinata a Gran Bretagna, Italia e Spagna, sempre secondo fonti ONU.

Con le “forze di pace” della NATO che tengono sotto controllo il paese e, in modo meno evidente, il traffico di droga che lo sostiene, è davvero possibile continuare a credere alla favola che si sta combattendo una vera lotta contro questa piaga? Se la NATO volesse veramente fermare i signori della guerra, potrebbe farlo in poche ore. D'altro canto l'ONU, piuttosto che combattere il governo della Birmania, lo appoggia nella lotta locale contro la droga, in particolare nella zona dello Shan, epicentro delle coltivazioni di oppio.

Cosa si nasconde all'obra di posizioni così diverse?

Lo sradicamento della droga dal triangolo d'oro causerebbe una evoluzione geostrategica che va contro gli interessi delle principali banche occidentali, dei loro governi e dell corporazioni internazionali i cui sistemi finanziari e politici dipendono dal flusso di miliardi che viene generato dal traffico di droga.

I funzionari dell'ONU sostengono che l'unico modo di farla finita con la droga consiste nell'eliminare le coltivazioni di papaveri, fatto questo che andrebbe contro i grandi interessi dei governi occidentali e delle istituzioni finanziarie di tutto il mondo.

Il denaro proveniente dal traffico di droga è divenuto parte strutturale delle economie occidentali. Ogni anno il ricavato derivante dal commercio di stupefacenti si colloca intorno ai settecentomila milioni di dollari, esentasse. Questa cifra è stata fornita dall'agenzia governativa statunitense incaricata di seguire i flussi di denaro a livello globale. Settecentomila milioni di dollari sono troppi soldi per essere tenuti nascosti sotto un materasso. Serve molta esperienza e soprattutto capacità per per poter trasferire fondi di tale entità senza farsi notare. L'ignoranza, specialmente quando le transazioni sono così ingenti, non è una posizione credibile. Eppure, in cinquant'anni di riciclaggio di denaro sporco, sono poche le persone al corrente di una verità tanto scomoda. Perchè?

Di fatto, il denaro proveniente dal traffico di droga è diventato parte sostanziale del sistema bancario e finanziario mondiale, in quanto fornisce la liquidità necessaria a finanziare i “costi minimi mensili” delle manovre speculative di Stati Uniti e Gran Bretagna.

L'effetto moltiplicatore (quantificabile in circa sei volte il capitale di origine “illegale”) prodotto dal riciclaggio di settecento mila milioni di dollari darebbe come risultato una somma equivalente a circa venti miliardi di dollari, tutti derivanti unicamente dal trafficoo di stupefacenti.

Il valore delle azioni delle aziende quatate a Wall Street è legato alle prospettive di guadagno annuali di ogni singola azienda e le si possono pensare come “frazioni” di proprietà dell'azienda e ne rappresentano il valore più equo. L'effetto moltiplicatore cui le azioni sono soggette in borsa può a volte raggiungere un fattore 30, gli analisti finanziari hanno infatti creduto per lungo tempo che un rapporto “sano” tra prezzo e guadagno per un qualunque tipo di azione debba essere 15 o al più di 30 a 1. In questo modo, se si prende questa cifra come un rapporto esclusivamente matematico, aggiungendo un solo dollaro alla complessiva capitalizzazione in borsa di una azienda, questo produrrà come risultato un valore aggiunto, sul mercato borsistico, di trenta dollari.

Cosa significa tutto questo nel mondo reale? Per le banche mondiali avere un guadagno netto supplementare di dieci milioni di dollari, la liquidità derivante dal commercio di stupefacenti, equivale a profitti in borsa che possono arrivare fino a trecento milioni di dollari. Senz'altro, prima di far risultare queste somme all'interno dei bilanci , è necessario ripulirle attraverso ogni tipo di operazione illecita.

I guadagni provenienti dal lucroso commercio di stupefacenti sono illeciti, cosa che tendono a scordare tutti coloro che cercano di analizzare le dinamiche del mercato della droga. Prima di poter essere utilizzato, questo denaro va prima nascosto e poi ripulito. Al giorno d'oggi il denaro si sposta con tale velocità che, a meno di non controllare la totalità dei sistemi informatici coinvolti, risulta impossibile da tracciare. Già questo basterebbe a spiegare l'assoluta attrattiva del business del traffico di droga, che viene diretto, controllato e salvaguardato da personaggi dotati di grande potere, spesso in collaborazione con le istituzioni finanziarie e bancarie operanti su entrambi i lati dell'Atlantico; funzionari di vari governi e di importanti corporazioni i cui titoli sono oggetto di scambio sulle più importanti borse mondiali.

Si aggiunga che queste grandi corporazioni possono guadagnare una quantità straordinaria di denaro sporco semplicemente facendoselo prestare tanto da singoli individui quanto da intere nazioni dedite al traffico di droga come la Colombia, per poi restituirlo, ripulito, a tassi di interesse bassissimi, e ottenendone comunque grossi benefici. Quando si fa un prestito di cento mila milioni di dollari a un interesse del 5 per cento ad una enorme corporazione, il denaro che se ne ricava diventa effettivo e lecito.

Il commercio di stupefacenti ha acquisito potere in quanto sostiene gli investimenti delle più grandi corporazioni mondiali. Wall Street non può permettersi di rinunciare ai magnati della droga. Il Congresso non può permettersi di rinunciare ai magnati della droga. I presidenti, per finanziare le loro campagne elettorali, non possono permettersi di rinunciare ai magnati della droga. Perchè? Perchè l'economia mondiale, controllata da un piccolo uno per cento, non può permettersi il rischio che la concorrenza (sia negli affari che nella politica) si impossessi del denaro destinato alla droga. E per ogni milione di dollari scambiato in una compravendita di azioni, il capitale in possesso di quell'uno per cento che controlla Wall Street aumenta di venti o trenta volte.

La politica è direttamente coinvolta in questo meccanismo e la sua possibilità di intervento è subordinata agli appoggi che la sostiene e che, finanziandola, la mantiene al potere. Questa complicità di interessi è una parte essenziale dell'economia mondiale e rappresenta il combustibile che fa girare le ruote del capitalismo.

Coloro che si sono uniti alle critiche contro il governo totalitario della Birmania, dovrebbero capire che le loro iniziative stanno contribuendo a portare avanti l'agenda occulta dell' ”Uomo dietro le quinte” che maneggia i fili del potere.


Daniel Estulin

05 settembre 2010

Se le borse sono euforiche perchè i capi di Goldman vendono tutto?

Prepariamoci, perché «settembre e ottobre porteranno con sé cattive notizie per il mercato azionario e le banche rimangono pesantemente esposte alla leva, dato ancor più allarmante visto che stiamo entrando nella seconda "gamba" della crisi finanziaria». Parole di Pedro De Noronha, managing partner della Noster Capital di Londra, secondo cuiì

stiamo assistendo ad anni che rappresentano una sfida senza precedenti per gli investitori. I grandi player, semplicemente, stanno fuggendo dal mercato. Ci sono seri problemi che arrivano dal settore della rinegoziazione dei mutui Usa e l'area euro resta una seria e costante preoccupazione. La Germania non ha la minima intenzione di salvare un'altra nazione europea, la Merkel ha già usato una larga parte di capitale politico per salvare la Grecia e il mercato ellenico dei bonds e questo semplicemente per tutelare il sistema bancario francese e tedesco da ulteriori, gravi perdite.

Ci sono quattro o cinque nazioni con grossi problemi strutturali che non dovrebbero nemmeno essere nell'euro. D'altronde, devo ancora vederlo un politico che si spara alla tempia in ossequio dell'austerity. I greci non hanno alternativa se non quella di tagliare, gli altri come la Spagna non stanno affatto facendo a sufficienza: io sono per la scuola austriaca, non accetto alternative keynesiane.

Dovrebbe dirlo alla Fed e al premio Nobel, Paul Krugman, che lunedì scorso ha chiesto a chiare lettere una nuova politica di stimolo fiscale. Per De Noronha la vera preoccupazione a breve sta nel settore bancario, tanto che sta shortando i titoli di cinque grandi istituti: Ubs, Barclays, Unione de banche, Bbva e - udite udite - Intesa Sanpaolo. Il perché è presto detto:

I recenti stress tests mi hanno fatto sbellicare dal ridere. Sotto stress, infatti, i regolatori hanno messo soltanto ciò che le banche ci hanno detto, non ho visto nessuno testare qualcun'altro finché non si è arrivati al punto di non ritorno. Quando guardo alle ratio del Capital Tier 1, vedo cose poste a loro sostegno che non possono essere utilizzate nel corso di una crisi. Il vero Capital 1 ratio di alcune delle maggiori banche è soltanto l'1,7 per cento e per questo motivo sto shortando cinque grandi banche europee. Ho la certezza che la maggioranza degli istituti restino eccessivamente esposti alla leva.

Quindi, avevamo ragione quando definivamo "ridicoli" gli stress test Ue?

I regolatori hanno utilizzato il 6 per cento come soglia per definire il minimo di capital ratio ma quel 6 per cento include assets non cash come tax assets differenziati. Se invece utilizzo solo book equity tangibili quel 6 per cento diventa molto vicino al 2 per cento, un qualcosa che impone una leverage ratio di cinquanta volte. Una situazione poco gestibile nell'attuale situazione economica.

E in tal senso un grosso test per la tenuta dell'eurozona e il suo settore bancario, arriva proprio questo mese di settembre, durante il quale le principali banche irlandesi dovranno ripagare oltre 25 miliardi di debito: i volumi molto bassi delle contrattazioni parlano la lingua di un'attesa carica tanto di speranza quanto di preoccupazione. Insomma, basterà il mercato dei bonds per finanziarsi o sarà necessario ritentare la strada del mercato, fino ad oggi prosciugata da volatilità e mancanza di fiducia?

La crisi del debito di maggio e giugno, d'altronde, ha portato con sé un aumento dei costi per i paesi che vogliono ottenere denaro e anche di quelli del prestito bancario. Il problema è che le preoccupazioni crescenti sulla stato di salute dell'economia irlandese (36 aziende su 100 sono sull'orlo del fallimento, dati riportati dall'Irish Examiner), con tanto di downgrade da parte di Standard&Poor's, hanno fatto schizzare lo spread dei rendimenti tra bond irlandesi e bund tedeschi, situazione che vede quindi le banche costrette a pagare un prezzo maggiore per rifinanziare il loro debito.

«Ora che il mercato obbligazionario sta ripartendo dopo la pausa estiva, c'è grande preoccupazione riguardo la necessità reale per le banche irlandesi e spagnole di emettere durante il mese di settembre e soprattutto riguardo al fatto che quando questo soggetti si presenteranno sul mercato, non è chiaro quale prezzo dovranno pagare», ha dichiarato al Financial Times, Chandra Rajan di Barclays Capital, secondo cui «come tutte le altre banche, anche questi istituti saranno costrette a estendere le scadenze del loro debito ma non si sa quanta estensione sono in grado di gestire».

Per Robert Crossley, analista sui tassi a Citigroup, lo spread che l'Irlanda si trova a pagare potrebbe ulteriormente allargarsi e potrebbe innescare un effetto domino su altri soggetti:

Il potenziale e immediato pericolo è rappresentato dal fatto che le notizie si autoalimentano e noi già intravediamo una nuova spirale sull'Europa periferica. E un ampliamento dello spread, nelle condizioni attuali, potrebbe distribuirsi nei paesi a rischio molto facilmente. Molte banche hanno tratto vantaggio dalla forte domanda e dai bassi costi dei prestiti per vendere bonds negli Stati Uniti ma i banchieri stessi dicono che questa opzione era praticabile solo per le istituzioni più grandi.

Insomma, i giorni che ci dividono dal secondo anniversario del crollo di Lehman Brothers si prospettano tesi. E pericolosamente decisivi. Anche perché, da Oltreoceano, arrivano segnali ulteriormente preoccupanti per la ripresa globale. Come anticipato martedì, il pieno recovery dell'economia americano potrebbe richiedere una decina di anni, stando all'analisi di Carmen M. Reinhart, economista alla Maryland University e storica delle crisi economiche, che ha reso nota la sua tesi nel corso dell'annuale simposio di economia di Jackson Hole, organizzato dalla Fed di Kansas City e che ha visto riuniti 110 tra banchieri centrali e studiosi.

Allen Sinai, co-fondatore dell'azienda di consulenza Decision Economics e decano dell'incontro nel Wyoming, si è definito

preoccupato oggi come non mai per il futuro dell'economia americana. La sfida infatti è unica nel suo genere: bassa crescita in ulteriore diminuzione, tasso di disoccupazione allarmante, un deficit iperbolico e un debito sovrano che ci rende una delle nazioni più fiscalmente irresponsabili del mondo.

In occasione del simposio, Carmen M. Reinhart ha preparato uno studio dal titolo "This time is different: otto secoli di follia finanziaria" nel quale ha esaminato quindici severe crisi finanziarie dalla Seconda Guerra mondiale in poi, oltre alle contrazioni economiche che hanno seguito il crash del 1929, lo shock petrolifero del 1973 e l'esplosione della bolla subprime del 2007. Da questo studio si evince che la decade successiva ad ogni singola crisi ha visto tassi di crescita significativamente bassi e livelli di disoccupazione molto alti.

I prezzi degli immobili hanno avuto bisogno di anno per tornare a livelli di normalità e mediamente ci sono voluti sette anni per cittadini e aziende per ridurre il loro debito e recuperare nei bilanci. Quasi scientificamente, le crisi sono anticipate da un decennio di espansione del credito e del prestito e seguite da periodi di rintracciamento più o meno della stessa durata.

Eventi largamente destabilizzanti come quelli analizzati nel mio studio, producono evidentemente cambiamenti nelle prestazioni degli indicatori macroeconomici chiave sul lungo termine, un periodo che si prolungo molto dalla fine del picco della crisi stessa». Per la Reinhart «il rischio maggiore che stiamo correndo è quello di un'errata percezione che potrebbe essere molto costoso se compiuta dalle autorità fiscale che sovrastimano le prospettive di entrata e dai banchieri centrali che tentano di riportare l'occupazione a un livello irrealisticamente alto».

Le sfide davanti a noi, quindi, sono decisamente epocali. E il margine di errore, questa volta, è davvero ristretto.

P.S. Ieri le Borse hanno festeggiato con rialzi euforici l'inaspettato aumento dell'indice ISM dell'attività manifatturiera Usa,salito al 56,3 punti in agosto dopo il calo nel mese di luglio che aveva fatto parlare di crescita rallentata e rischio di "double-dip". Il livello che potrebbe far scattare i crolli borsistici è a 50 punti, livello che molti analisti e gestori di fondi vedono probabile per ottobre, massimo novembre. In compenso, mentre i trader brindavano, gli insiders - ovvero i grandi investitori - confermavano i timori per crollo a breve: è di oltre 100 milioni di dollari di controvalore, infatti, il numero di azioni vendute dai manager di grandi aziende di Wall Street, 64 dei quali solo dei tre dirigenti principali di Goldman Sachs. Investimenti personali, non per clienti: quelli possono anche andare a schiantarsi contro il muro dei mercati. Chi vede le cose dall'interno, vende e scappa.
di Mauro Bottarelli

04 settembre 2010

Attenzione: allarme economico

E’ da tempo che avverto i lettori sul vicino crollo dell’Economia Statunitense. Il timore di una recessione a doppio picco era già alto dopo l’avvertimento sulla lentezza della crescita dell’economia da parte della Federal Reserve: mancanza di spesa da parte del consumatore bassi profitti delle imprese a Wall Street. E questo avvertimento non tiene neanche conto delle preoccupazioni su una crisi del debito europeo, debito che è sempre più grande, o di un rallentamento dell'economia cinese.

Alcuni indicatori supplementari che avvertono che le cose andranno molto in salita e molto velocemente:

1-L’indice della Federal Reserve di Philadelphia sulla manifatturiera è appena crollato, un 7,7%!. Questo non è solo indicativo di un rallentamento nella crescita della produzione. Per la prima volta in più di un anno, la produzione delle fabbriche negli USA si sta riducendo!

2-Il denaro del governo sta finendo e non ci saranno più “stimoli” per continuare ad iniettarli nell’economia. Nel frattempo, le città e gli stati della nazione stanno navigando in numeri rossi, le città e stati in tutto il paese stanno nuotando in rosso, tanto che per pareggiare i conti stanno chiudendo molte scuole, stazioni dei pompieri e intere divisioni della polizia (caserme NDT). Non è il miglior modoper porre fine alla crisi.

Inoltre, la maggior parte degli economisti sono altrettanto attoniti. Non avevano neanche idea che il numero di disoccupati avrebbe battuto tutti i record in questo momento del “recupero”.

Un esempio: Due settimane fa, tra i 42 economisti interpellati da Bloomerberg, neanche uno solo aveva predetto un grande aumento di richieste degli assegni per la disoccupazione. Ed è che l’aumento avuto la settimana scorsa in termini reali è stata apocalittica: le richieste di tali assegni sono saliti a 500.000, i peggiori numeri in nove mesi.
Per dirlo in un altro modo, oltre ai milioni di disoccupati che ancora non hanno trovato lavoro-anche un anno e più dopo il gran crollo dell’economia- un’ondata completamente nuova di lavoratori licenziati stanno adesso inondando gli uffici di collocamento del governo.

Consigli pratici

In primo luogo, se si hanno soldi, spostare la maggior parte del denaro in luoghi sicuri, in particolare nel breve termine e contanti.
In secondo luogo, non pensare che qualunque banca è sicura o che il governo aiuterà un numero indefinito di banche. Fare affari strettamente con le banche che abbiano le risorse liquide per sopravvivere in tempi difficili, anche senza l’aiuto del governo.

Collasso bancario

Se c’è un settore del mercato di valori che odora di morte, è il settore finanziario. Le azioni bancarie semplicemente non rialzano la testa. Prendi l’indice delle banche KWB(BKX), di 24 delle principali banche degli Stati Uniti. Sono affondate in aprile e maggio e non sono riuscite a recuperare da allora. Di fatto, settimana scorsa, è caduto a nuovi minimi.

Mercati dei bond

Per coloro che desiderino ascoltare, il mercato dei bond sta trasmettendo un messaggio economico importante. Ad esempio, la resa dei buoni del Tesoro a 10 anni è diminuito drasticamente da inizio aprile. Di fatto i rendimenti a 10 anni sono così bassi come a dicembre del 2008, durante il periodo più profondo della grave crisi economica e finanziaria. Questa caduta pronunciata dei rendimenti sta inviando un messaggio terrificante: è l’anticipazione di un’economia in libera caduta.

Crollo del settore immobiliare negli USA

La vendita delle case di seconda mano negli USA è appena stata colpita dal peggior crollo nella storia di mesi, il 27,2%, in quanto l'inventario di case invendute è così grande e la pressione al ribasso sui prezzi delle case così forte che sta provocando uno “sciopero” da parte di compratori in tutto il paese.

Il settore immobiliare è castigato dal cattivo umore dei consumatori statunitensi e degli investitori. L’accesso ad una casa, inoltre, è tagliato dalla scarsità di credito più cronica che si sia mai vista nella nostra vita. Lo stesso succederà con la maggior parte delle aziende nazionali che erano quotate nella borsa negli USA.

Un altro dei fattori che giocano un ruolo importante nel crollo immobiliare e della maggior parte delle aziende degli USA è l’aumento del tasso di disoccupazione. Conclusioni: Il denaro degli investitori di Wall Street è in serio pericolo.

Per i lettori statunitensi:

Disfattevi delle vostre proprietà immobiliari e vendete le azioni delle aziende nordamericane nella Borsa.


di Daniel Estulin

Fonte: www.danielestulin.com