19 settembre 2010
Bernanke minaccia il mondo economico
18 settembre 2010
11 settembre: il bluff del Pentagono
Intenzione, dissipare i dubbi su quanto avvenne quel giorno. In realtà non si vede nulla, ovvero le immagini riprese da una telecamera di sorveglianza dell’edificio mostrano che qualcosa va verso l’edificio e poi vi è una forte esplosione, ma la sagoma non è certamente quella di un grosso Boeing 757-200. Nessuna prova quindi a sostegno della tesi Usa che sia stato un aereo commerciale dirottato a colpire il Pentagono. Nessuna parte dell’aereo è stata mai ritrovata o mostrata in pubblico, anche sei il capo progetto restauro del Pentagono, Lee Evy dichiarò che “vi erano considerevoli prove dell’aereo all’esterno dell’edificio”. Vigili del Fuoco, ufficiali della Difesa, nessuno di loro ha mai visto un solo pezzo di fusoliera, tranne Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa. Qualcosa però è esplosa nel colpire l’edificio, molto probabilmente un missile, sia per la dinamica dell’esplosione, sia per i danni provocati dall’impatto (basta osservare il buco nel quale è penetrato il sedicente apparecchio per accorgersi che è di appena 5-6 metri di larghezza, proseguendo poi la sua corsa attraverso altri 3 edifici del ministero, con un angolo di 45°, forando i palazzi da parte a parte e non sfondandoli come presumibilmente avrebbe fatto un grosso aereo passeggeri. Il testimone Steve Patterson dice di aver visto “un oggetto metallizzato passare… con un rumore simile a quello emesso da un caccia militare… per poi dirigersi verso il Pentagono”. Anche Tom Seibert, ingegnere che lavora al ministero della Difesa Usa afferma di aver sentito un rumore simile a quello di un missile e di avere poi udito una forte esplosione.
La tesi “ufficiale” Usa continua a sostenere che se tracce non sono state trovate è perché “l’aereo si sarebbe polverizzato, fuso e quindi pressoché sparito in un nube di calore”.
Così come ha dell’incredibile sostenere che il muso dell’aereo, fatto di materiale non certamente adatto da fungere come ariete, abbia sfondato vari muri perimetrali degli edifici. L’ipotesi più probabile è che si sia trattato di un missile “cruise”, che possono essere lanciati da unità di superficie e sottomarine o aeree. Hanno un preciso sistema di guida che gli consente di riconoscere la rotta immagazzinata nel computer di bordo, confrontandola con il terreno sottostante. A conferma del fatto che l’esplosione sia dovuta ad un missile, la testimonianza di Pierre Henri Bunel, ex ufficiale francese d’artiglieria, proveniente dalla famosa accademia militare di Saint-Cyr, esperto in esplosivi, effetti delle granate d’artiglieria su cose e persone e lotta antincendio contro le fiamme generate dalle granate.
Le argomentazioni portate dall’ex ufficiale dell’Armée iniziano con una precisa distinzione tra i due tipi classici d’esplosione: la deflagrazione e la detonazione. Questo perché è proprio partendo da qui e osservando le foto dell’esplosione ed i suoi danni, che si può cominciare a parlare con una certa sicurezza di un missile.
Gli esplosivi provocano un onda d’urto notevolissima, con relativi danni collaterali, i deflagranti di molto inferiore o addirittura niente. Orbene il carburante di un aereo civile, il kerosene in caso d’incidente può solo deflagrare…Inoltre anche i colori dell’esplosione sono diversi, nel primo caso giallo pallido che diviene arancione e rosso a mano a mano che ci si allontana dal punto dell’esplosione. Nel secondo caso il fumo sarà particolarmente nero, denso, quasi grasso mescolato alle fiamme.
Altro particolare interessante, i primi mezzi dei pompieri intervenuti utilizzano camion con serbatoi pieni d’acqua e non di liquido specifico che serve per combattere gli incendi con idrocarburi. L’acqua viene utilizzata proprio in quegli incendi di tipo urbano che necessitano di un rapido raffreddamento dei caseggiati, per poter poi operare meglio da parte delle squadre di pompieri. Si vedono chiaramente le fiamme ed il fumo di un classico incendio urbano.
Non vi sono poi tracce dense di oli combusti sulle pareti esterne e nell’interno dell’edificio colpito.
Ma Henry Brunel si spinge oltre e arriva alla conclusione che i fori nei muri, sono senza ombra di dubbio stati provocati da cariche cave… Queste cariche sono state studiate per perforare le corazze dei mezzi blindati ed i numerosi strati delle fortificazioni in cemento. Esse, grazie al loro dardo infuocato riescono a trapassare diversi strati di muro in cemento armato e quindi non ha avuto difficoltà alcuna ad oltrepassare addirittura tre edifici del pentagono, poi una volta all’interno esplode la carica vera e propria.
Ma se non è stato l’aereo del volo 77 dell’American Airlines a colpire il Pentagono, dove è finito il vero aereo con tutti i suoi passeggeri?
La mattina dell’11 settembre 2001, quando alle 8,55 l’aereo della American Airlines sparisce dai radar della FAA - l’ente federale che controlla i voli civili negli Stati Uniti - e circa alle 9,37 il Pentagono viene colpito da un ordigno (aereo-elicottero-missile?). Subito viene associata alla sparizione dell’aereo della AA, all’attacco che ha subito la sede delle difesa Usa.
Le prime notizie, dicono che alle 8,55 l’aereo ha spendo il “trasponder” di bordo (sistema che permette di rilevare da terra attraverso il radar i dati dell’aereo, quota, matricola ecc, rendendosi praticamente invisibile. La cosa è strana perché lo spegnimento del trasponder non fa altro che attirare l’attenzione sull’aereo da parte del sistema di difesa americano che ha sede nel Colorado, il Norad - Nord America Aereospace Defense Command - (http://airforce.dnd.ca/athomedocs/athomelef.htm) in meno di due minuti la sparizione viene segnalata come minaccia e si levano in volo i caccia. In pratica i presunti dirottatori avrebbero commesso una madornale ingenuità, facendo subito scattare le misure d’intercettazione dell’Usaf. A quel punto solo i radar militari potevano seguire il volo dell’aereo “scomparso” avendo a disposizione un sistema di rilevamento che non necessita del trasponder, come quelli civili della FAA, detti secondari (solo in alcune zone anche la FFA possiede radar in grado di rilevare aerei privi di trasponder).
Quindi le notizie diramate da questo momento sono solo di fonte militare: perché spegnere il trasponder così presto e così lontano dall’ipotetico obiettivo? Per renderlo forse solo invisibile ai radar civili, ma visibilissimo a quelli militari? Si sa solo da fonte civile l’ora del decollo dall’aeroporto Dulles di Washington di un aereo della AA con destinazione Los Angeles.
Il pilota ha contattato la torre di controllo l’ultima volta alle 8,50, poi da quel momento si perde il controllo dell’aereo, che avrebbe percorso circa 1000 km, per poi tornare indietro e colpire il Pentagono… secondo le fonti “ufficiali militari”.
Da allora la guerra “americana” contro Afghanistan, Iraq e forse domani Iran si è dispiegata in tutta la sua forza, foraggiata dalle menzogna artatamente costruite dal governo statunitense e dalla vile complicità degli “alleati” europei.
di Federico Dal Cortivo
17 settembre 2010
Il ritorno del terribile giocattolaio

Chi possiede un po’ di familiarità con i retroscena degli attacchi dell’11 settembre 2001, saprà sicuramente chi è Dominik Suter. Si trattava del titolare dell’azienda di trasporti newyorchese nota come Urban Moving System, in realtà un’attività di copertura del Mossad israeliano, di cui Suter era un agente. I famosi “cinque israeliani danzanti”, che ballavano di gioia e si davano il cinque mentre filmavano gli edifici del WTC che crollavano al suolo, erano altrettante spie israeliane e furono arrestati dalla polizia newyorchese proprio accanto ad uno dei furgoncini della Urban Moving System di cui erano alle dipendenze. Uno dei cinque aveva con sé 4.700 dollari in contanti. Un altro aveva due passaporti esteri. All’interno del furgone venne trovato uno dei “taglierini” che i fantomatici 19 terroristi avrebbero utilizzato per dirottare gli aerei.
Si sospetta fortemente che i furgoncini della UMS siano stati utilizzati, fra le altre cose, per trasportare l’esplosivo destinato a minare i tre grattacieli demoliti l’11/9. Com’è noto, le cinque spie del Mossad arrestate (Sivan e Paul Kurzberg, Yaron Shmuel, Oded Ellner e Omer Marmari, tutti tra i 22 e i 27 anni di età), vennero rispedite in Israele dopo appena dieci settimane, grazie all’interessamento dell’allora capo della Homeland Security americana Michael Chertoff, anche lui cittadino israeliano (sua madre era stata tra i membri fondatori del Mossad). Tre dei “cinque israeliani danzanti” (Shmuel, Ellner e Marmari) comparvero in seguito anche alla tv israeliana, dichiarando che la loro missione era “semplicemente” quella di documentare l’evento. Non spiegarono però perché tale documentazione producesse in loro tanto sollazzo.

Non si trattò, peraltro, delle uniche spie israeliane arrestate su suolo americano a ridosso dell’11/9. Stando a quanto sostiene Fox News, nei mesi precedenti la data degli attacchi furono arrestati almeno 140 israeliani sospettati di essere coinvolti in operazioni di spionaggio; altri 60 vennero arrestati dopo l’11/9. Tutto questo fa pensare, ovviamente, che negli Stati Uniti fosse in preparazione un’operazione di intelligence del Mossad di assai ampie proporzioni, strettamente connessa agli eventi dell’11/9.
Due giorni dopo l’arresto delle cinque spie, Dominik Suter fuggì precipitosamente in Israele, sotto il naso degli agenti dell’FBI, intenti a sequestrare computer e scatole di documenti nella sede centrale della UMS a Weehawken, in New Jersey. Quando tre mesi dopo i cameramen del programma 20/20 della ABC arrivarono per filmare gli uffici dell’azienda, il personale sembrava essere fuggito via in fretta e furia. “Sembrava che l’azienda fosse stata chiusa in gran fretta”, si legge sul sito della ABC, “c’erano telefoni cellulari sparsi dappertutto; le linee telefoniche dell’azienda erano ancora operative e gli oggetti di proprietà di dozzine di clienti erano ammassati in magazzino”.
Fin qui i fatti che sono noti più o meno a tutti. Pochi sanno però che la Urban Moving System non era l’unica attività di copertura del Mossad in cui Suter fosse coinvolto. Suter è registrato anche come agente di un’altra compagnia, la Gould Street Corporation. Per gestire questa seconda attività, Suter risultava titolare di un ufficio situato al n. 73-75 di Gould Street a Bajonne, in New Jersey.

Dando un’occhiata con Google Earth, si può notare che al 73-75 di Gould Street hanno sede alcuni grossi capannoni:

All’interno di questi capannoni, si trovava il deposito merce di un’altra azienda, la E & W River Corporation, con sede al n. 73 di Gould Street. Questa azienda risulta concessionaria della vendita dello Zoom Copter (foto in alto), che dovrebbe essere un’altra vecchia conoscenza degli studiosi dell’11/9. Lo Zoom Copter era un giocattolo che veniva venduto, nei giorni precedenti all’11/9, in piccoli chioschi sparsi nei centri commerciali degli Stati Uniti. Secondo quanto riportato da Fox News, vi erano “migliaia” di questi punti vendita, tutti gestiti da sedicenti “studenti d’arte” israeliani (la maggior parte dei quali era priva di permesso di soggiorno). Come riferito dalla Fox, gli “studenti d’arte” non erano altro che agenti del Mossad israeliano operanti su suolo americano, probabilmente per preparare la grande e sanguinosa messinscena dell’11/9, e utilizzavano la vendita di giocattoli e dipinti come ennesima copertura per le loro attività di spionaggio. Questa massiccia presenza di cittadini israeliani in territorio americano fra il 2000 e il 2001 aveva insospettito la DEA, l’agenzia antidroga statunitense, che aveva iniziato ad indagare sulle piccole rivendite di giocattoli, sospettando un’operazione dell’intelligence israeliano; ma gli agenti della DEA erano stati fermati pochi mesi prima dell’11/9 dal Procuratore Generale John Ashcroft (altro fanatico cristiano-sionista legato a gruppi radicali come Stand for Israel; il suo Ashcroft Group lavora oggi per la IAI, l’industria aerospaziale israeliana) e dal direttore dell’FBI, Louis Freeh.
Dominic Suter era dunque il “trait d’union”, l’elemento unificante di due di queste attività di copertura: la Urban Moving System e la vendita degli elicotteri giocattolo.
La cosa preoccupante è che, stando a quanto riferisce Wayne Madsen in questo articolo, negli USA si starebbe verificando in questi giorni una reviviscenza dell’invasione degli “studenti d’arte” israeliani, proprio come avvenuto fra il 2000 e il 2001. La Transportation Security Administration (TSA) riferisce che alcuni di questi “studenti” avrebbero iniziato a battere la zona di Brea, in California, per vendere porta a porta dipinti e articoli di vario genere. Anche nella zona di Atlanta alcuni stranieri, la cui descrizione corrisponde a quella di cittadini israeliani, avrebbero iniziato a contattare telefonicamente e di persona le famiglie del luogo chiedendo la possibilità di ospitare studenti israeliani presso le loro abitazioni per uno “scambio alla pari”. In vari centri commerciali degli Stati Uniti sono poi comparsi piccoli chioschi, gestiti da israeliani, che vendono cosmetici ricavati da “sali del Mar Morto con tecniche piuttosto “aggressive” e che sono improvvisamente spariti dopo le segnalazioni arrivate alle autorità da parte di alcuni cittadini. Uno dei centri commerciali in cui tali attività sono state segnalate è il Coronado Mall di Albuquerque, in New Mexico, non lontano dalle base aerea di Kirtland, che ospita uno dei più importanti centri di stoccaggio delle armi nucleari degli Stati uniti. I sospetti che l’intelligence israeliana sia al lavoro per realizzare una seconda (e più grave) operazione false-flag come quella dell’11/9 sono dunque giustificati, soprattutto alla luce della recente accelerazione delle ostilità israeliane verso l’Iran, cui gli Stati Uniti – senza una nuova catastrofe da addossare questa volta alla Repubblica Islamica – difficilmente sarebbero disposti a prestare supporto militare.di Gianluca Freda
19 settembre 2010
Bernanke minaccia il mondo economico
18 settembre 2010
11 settembre: il bluff del Pentagono
Intenzione, dissipare i dubbi su quanto avvenne quel giorno. In realtà non si vede nulla, ovvero le immagini riprese da una telecamera di sorveglianza dell’edificio mostrano che qualcosa va verso l’edificio e poi vi è una forte esplosione, ma la sagoma non è certamente quella di un grosso Boeing 757-200. Nessuna prova quindi a sostegno della tesi Usa che sia stato un aereo commerciale dirottato a colpire il Pentagono. Nessuna parte dell’aereo è stata mai ritrovata o mostrata in pubblico, anche sei il capo progetto restauro del Pentagono, Lee Evy dichiarò che “vi erano considerevoli prove dell’aereo all’esterno dell’edificio”. Vigili del Fuoco, ufficiali della Difesa, nessuno di loro ha mai visto un solo pezzo di fusoliera, tranne Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa. Qualcosa però è esplosa nel colpire l’edificio, molto probabilmente un missile, sia per la dinamica dell’esplosione, sia per i danni provocati dall’impatto (basta osservare il buco nel quale è penetrato il sedicente apparecchio per accorgersi che è di appena 5-6 metri di larghezza, proseguendo poi la sua corsa attraverso altri 3 edifici del ministero, con un angolo di 45°, forando i palazzi da parte a parte e non sfondandoli come presumibilmente avrebbe fatto un grosso aereo passeggeri. Il testimone Steve Patterson dice di aver visto “un oggetto metallizzato passare… con un rumore simile a quello emesso da un caccia militare… per poi dirigersi verso il Pentagono”. Anche Tom Seibert, ingegnere che lavora al ministero della Difesa Usa afferma di aver sentito un rumore simile a quello di un missile e di avere poi udito una forte esplosione.
La tesi “ufficiale” Usa continua a sostenere che se tracce non sono state trovate è perché “l’aereo si sarebbe polverizzato, fuso e quindi pressoché sparito in un nube di calore”.
Così come ha dell’incredibile sostenere che il muso dell’aereo, fatto di materiale non certamente adatto da fungere come ariete, abbia sfondato vari muri perimetrali degli edifici. L’ipotesi più probabile è che si sia trattato di un missile “cruise”, che possono essere lanciati da unità di superficie e sottomarine o aeree. Hanno un preciso sistema di guida che gli consente di riconoscere la rotta immagazzinata nel computer di bordo, confrontandola con il terreno sottostante. A conferma del fatto che l’esplosione sia dovuta ad un missile, la testimonianza di Pierre Henri Bunel, ex ufficiale francese d’artiglieria, proveniente dalla famosa accademia militare di Saint-Cyr, esperto in esplosivi, effetti delle granate d’artiglieria su cose e persone e lotta antincendio contro le fiamme generate dalle granate.
Le argomentazioni portate dall’ex ufficiale dell’Armée iniziano con una precisa distinzione tra i due tipi classici d’esplosione: la deflagrazione e la detonazione. Questo perché è proprio partendo da qui e osservando le foto dell’esplosione ed i suoi danni, che si può cominciare a parlare con una certa sicurezza di un missile.
Gli esplosivi provocano un onda d’urto notevolissima, con relativi danni collaterali, i deflagranti di molto inferiore o addirittura niente. Orbene il carburante di un aereo civile, il kerosene in caso d’incidente può solo deflagrare…Inoltre anche i colori dell’esplosione sono diversi, nel primo caso giallo pallido che diviene arancione e rosso a mano a mano che ci si allontana dal punto dell’esplosione. Nel secondo caso il fumo sarà particolarmente nero, denso, quasi grasso mescolato alle fiamme.
Altro particolare interessante, i primi mezzi dei pompieri intervenuti utilizzano camion con serbatoi pieni d’acqua e non di liquido specifico che serve per combattere gli incendi con idrocarburi. L’acqua viene utilizzata proprio in quegli incendi di tipo urbano che necessitano di un rapido raffreddamento dei caseggiati, per poter poi operare meglio da parte delle squadre di pompieri. Si vedono chiaramente le fiamme ed il fumo di un classico incendio urbano.
Non vi sono poi tracce dense di oli combusti sulle pareti esterne e nell’interno dell’edificio colpito.
Ma Henry Brunel si spinge oltre e arriva alla conclusione che i fori nei muri, sono senza ombra di dubbio stati provocati da cariche cave… Queste cariche sono state studiate per perforare le corazze dei mezzi blindati ed i numerosi strati delle fortificazioni in cemento. Esse, grazie al loro dardo infuocato riescono a trapassare diversi strati di muro in cemento armato e quindi non ha avuto difficoltà alcuna ad oltrepassare addirittura tre edifici del pentagono, poi una volta all’interno esplode la carica vera e propria.
Ma se non è stato l’aereo del volo 77 dell’American Airlines a colpire il Pentagono, dove è finito il vero aereo con tutti i suoi passeggeri?
La mattina dell’11 settembre 2001, quando alle 8,55 l’aereo della American Airlines sparisce dai radar della FAA - l’ente federale che controlla i voli civili negli Stati Uniti - e circa alle 9,37 il Pentagono viene colpito da un ordigno (aereo-elicottero-missile?). Subito viene associata alla sparizione dell’aereo della AA, all’attacco che ha subito la sede delle difesa Usa.
Le prime notizie, dicono che alle 8,55 l’aereo ha spendo il “trasponder” di bordo (sistema che permette di rilevare da terra attraverso il radar i dati dell’aereo, quota, matricola ecc, rendendosi praticamente invisibile. La cosa è strana perché lo spegnimento del trasponder non fa altro che attirare l’attenzione sull’aereo da parte del sistema di difesa americano che ha sede nel Colorado, il Norad - Nord America Aereospace Defense Command - (http://airforce.dnd.ca/athomedocs/athomelef.htm) in meno di due minuti la sparizione viene segnalata come minaccia e si levano in volo i caccia. In pratica i presunti dirottatori avrebbero commesso una madornale ingenuità, facendo subito scattare le misure d’intercettazione dell’Usaf. A quel punto solo i radar militari potevano seguire il volo dell’aereo “scomparso” avendo a disposizione un sistema di rilevamento che non necessita del trasponder, come quelli civili della FAA, detti secondari (solo in alcune zone anche la FFA possiede radar in grado di rilevare aerei privi di trasponder).
Quindi le notizie diramate da questo momento sono solo di fonte militare: perché spegnere il trasponder così presto e così lontano dall’ipotetico obiettivo? Per renderlo forse solo invisibile ai radar civili, ma visibilissimo a quelli militari? Si sa solo da fonte civile l’ora del decollo dall’aeroporto Dulles di Washington di un aereo della AA con destinazione Los Angeles.
Il pilota ha contattato la torre di controllo l’ultima volta alle 8,50, poi da quel momento si perde il controllo dell’aereo, che avrebbe percorso circa 1000 km, per poi tornare indietro e colpire il Pentagono… secondo le fonti “ufficiali militari”.
Da allora la guerra “americana” contro Afghanistan, Iraq e forse domani Iran si è dispiegata in tutta la sua forza, foraggiata dalle menzogna artatamente costruite dal governo statunitense e dalla vile complicità degli “alleati” europei.
di Federico Dal Cortivo
17 settembre 2010
Il ritorno del terribile giocattolaio

Chi possiede un po’ di familiarità con i retroscena degli attacchi dell’11 settembre 2001, saprà sicuramente chi è Dominik Suter. Si trattava del titolare dell’azienda di trasporti newyorchese nota come Urban Moving System, in realtà un’attività di copertura del Mossad israeliano, di cui Suter era un agente. I famosi “cinque israeliani danzanti”, che ballavano di gioia e si davano il cinque mentre filmavano gli edifici del WTC che crollavano al suolo, erano altrettante spie israeliane e furono arrestati dalla polizia newyorchese proprio accanto ad uno dei furgoncini della Urban Moving System di cui erano alle dipendenze. Uno dei cinque aveva con sé 4.700 dollari in contanti. Un altro aveva due passaporti esteri. All’interno del furgone venne trovato uno dei “taglierini” che i fantomatici 19 terroristi avrebbero utilizzato per dirottare gli aerei.
Si sospetta fortemente che i furgoncini della UMS siano stati utilizzati, fra le altre cose, per trasportare l’esplosivo destinato a minare i tre grattacieli demoliti l’11/9. Com’è noto, le cinque spie del Mossad arrestate (Sivan e Paul Kurzberg, Yaron Shmuel, Oded Ellner e Omer Marmari, tutti tra i 22 e i 27 anni di età), vennero rispedite in Israele dopo appena dieci settimane, grazie all’interessamento dell’allora capo della Homeland Security americana Michael Chertoff, anche lui cittadino israeliano (sua madre era stata tra i membri fondatori del Mossad). Tre dei “cinque israeliani danzanti” (Shmuel, Ellner e Marmari) comparvero in seguito anche alla tv israeliana, dichiarando che la loro missione era “semplicemente” quella di documentare l’evento. Non spiegarono però perché tale documentazione producesse in loro tanto sollazzo.

Non si trattò, peraltro, delle uniche spie israeliane arrestate su suolo americano a ridosso dell’11/9. Stando a quanto sostiene Fox News, nei mesi precedenti la data degli attacchi furono arrestati almeno 140 israeliani sospettati di essere coinvolti in operazioni di spionaggio; altri 60 vennero arrestati dopo l’11/9. Tutto questo fa pensare, ovviamente, che negli Stati Uniti fosse in preparazione un’operazione di intelligence del Mossad di assai ampie proporzioni, strettamente connessa agli eventi dell’11/9.
Due giorni dopo l’arresto delle cinque spie, Dominik Suter fuggì precipitosamente in Israele, sotto il naso degli agenti dell’FBI, intenti a sequestrare computer e scatole di documenti nella sede centrale della UMS a Weehawken, in New Jersey. Quando tre mesi dopo i cameramen del programma 20/20 della ABC arrivarono per filmare gli uffici dell’azienda, il personale sembrava essere fuggito via in fretta e furia. “Sembrava che l’azienda fosse stata chiusa in gran fretta”, si legge sul sito della ABC, “c’erano telefoni cellulari sparsi dappertutto; le linee telefoniche dell’azienda erano ancora operative e gli oggetti di proprietà di dozzine di clienti erano ammassati in magazzino”.
Fin qui i fatti che sono noti più o meno a tutti. Pochi sanno però che la Urban Moving System non era l’unica attività di copertura del Mossad in cui Suter fosse coinvolto. Suter è registrato anche come agente di un’altra compagnia, la Gould Street Corporation. Per gestire questa seconda attività, Suter risultava titolare di un ufficio situato al n. 73-75 di Gould Street a Bajonne, in New Jersey.

Dando un’occhiata con Google Earth, si può notare che al 73-75 di Gould Street hanno sede alcuni grossi capannoni:

All’interno di questi capannoni, si trovava il deposito merce di un’altra azienda, la E & W River Corporation, con sede al n. 73 di Gould Street. Questa azienda risulta concessionaria della vendita dello Zoom Copter (foto in alto), che dovrebbe essere un’altra vecchia conoscenza degli studiosi dell’11/9. Lo Zoom Copter era un giocattolo che veniva venduto, nei giorni precedenti all’11/9, in piccoli chioschi sparsi nei centri commerciali degli Stati Uniti. Secondo quanto riportato da Fox News, vi erano “migliaia” di questi punti vendita, tutti gestiti da sedicenti “studenti d’arte” israeliani (la maggior parte dei quali era priva di permesso di soggiorno). Come riferito dalla Fox, gli “studenti d’arte” non erano altro che agenti del Mossad israeliano operanti su suolo americano, probabilmente per preparare la grande e sanguinosa messinscena dell’11/9, e utilizzavano la vendita di giocattoli e dipinti come ennesima copertura per le loro attività di spionaggio. Questa massiccia presenza di cittadini israeliani in territorio americano fra il 2000 e il 2001 aveva insospettito la DEA, l’agenzia antidroga statunitense, che aveva iniziato ad indagare sulle piccole rivendite di giocattoli, sospettando un’operazione dell’intelligence israeliano; ma gli agenti della DEA erano stati fermati pochi mesi prima dell’11/9 dal Procuratore Generale John Ashcroft (altro fanatico cristiano-sionista legato a gruppi radicali come Stand for Israel; il suo Ashcroft Group lavora oggi per la IAI, l’industria aerospaziale israeliana) e dal direttore dell’FBI, Louis Freeh.
Dominic Suter era dunque il “trait d’union”, l’elemento unificante di due di queste attività di copertura: la Urban Moving System e la vendita degli elicotteri giocattolo.
La cosa preoccupante è che, stando a quanto riferisce Wayne Madsen in questo articolo, negli USA si starebbe verificando in questi giorni una reviviscenza dell’invasione degli “studenti d’arte” israeliani, proprio come avvenuto fra il 2000 e il 2001. La Transportation Security Administration (TSA) riferisce che alcuni di questi “studenti” avrebbero iniziato a battere la zona di Brea, in California, per vendere porta a porta dipinti e articoli di vario genere. Anche nella zona di Atlanta alcuni stranieri, la cui descrizione corrisponde a quella di cittadini israeliani, avrebbero iniziato a contattare telefonicamente e di persona le famiglie del luogo chiedendo la possibilità di ospitare studenti israeliani presso le loro abitazioni per uno “scambio alla pari”. In vari centri commerciali degli Stati Uniti sono poi comparsi piccoli chioschi, gestiti da israeliani, che vendono cosmetici ricavati da “sali del Mar Morto con tecniche piuttosto “aggressive” e che sono improvvisamente spariti dopo le segnalazioni arrivate alle autorità da parte di alcuni cittadini. Uno dei centri commerciali in cui tali attività sono state segnalate è il Coronado Mall di Albuquerque, in New Mexico, non lontano dalle base aerea di Kirtland, che ospita uno dei più importanti centri di stoccaggio delle armi nucleari degli Stati uniti. I sospetti che l’intelligence israeliana sia al lavoro per realizzare una seconda (e più grave) operazione false-flag come quella dell’11/9 sono dunque giustificati, soprattutto alla luce della recente accelerazione delle ostilità israeliane verso l’Iran, cui gli Stati Uniti – senza una nuova catastrofe da addossare questa volta alla Repubblica Islamica – difficilmente sarebbero disposti a prestare supporto militare.di Gianluca Freda