08 ottobre 2010

Renatino della magliana


Il sepolcro del famigerato Enrico De Pedis detto "Renatino"

Molti hanno capito che la Chiesa cattolica non è quella perla di spiritualità e moralità che si vorrebbe far credere. Diversi inquirenti sono certi che proprio le autorità vaticane si sono talvolta macchiate di delitti orribili.

Uno dei casi in cui il Vaticano avrebbe avuto forti responsabilità nei delitti commessi, che ha suscitato molto scalpore, è quello della cosiddetta “banda della Magliana”.
Lo stesso capo della banda della Magliana, il famigerato Enrico De Pedis, detto “Renatino”, colpevole di numerosi crimini, ucciso nel 1990, è stato sepolto nella cripta della basilica Sant’Apollinare, una delle chiese più importanti di Roma, accanto a celebri papi.

Perché un criminale riposa in una Chiesa?

O meglio: se la Chiesa cattolica celebra i criminali come fossero eroi o persone ammirevoli, allora quale messaggio essa davvero propugna?

I criminali di solito vengono sepolti in segreto e in luoghi in cui non molte persone andranno a visitarli, eppure il capo della banda della Magliana, una banda ferocissima considerata la più potente organizzazione criminale che sia stata mai creata a Roma, è stato sepolto nella prestigiosa cripta.

Non sono pochi gli inquirenti che vedono nella banda della Magliana la mano delle autorità vaticane che, raramente commettono direttamente i loro crimini.
Inizialmente Renatino fu tumulato al Verano, ma il 24 aprile 1990, in segreto, fu sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare. Il fatto venne alla luce soltanto sette anni dopo, quando il quotidiano Il Messaggero del 9 luglio 1997 dette la notizia in un articolo della giornalista Antonella Stocco.
Ovviamente, si sollevarono molte proteste e perplessità, e qualcuno cercò di indagare per capire questa inopportuna “riverenza” concessa al feroce assassino.

Dopo la pubblicazione dell’articolo del Messaggero, non soltanto le autorità vaticane non dettero alcuna spiegazione plausibile, ma vietarono al pubblico di salire i gradini che portano alla cripta, e chiesero il silenzio sulla vicenda.

E silenzio vi fu, fino al luglio 2005, quando la trasmissione di Rai 3 “Chi l’ha visto?” trattò il caso di Emanuela Orlandi (figlia di un dipendente del Vaticano), e dovette collegare il caso della tomba di Renatino (considerato l’organizzatore del sequestro di Emanuela) al sequestro della ragazza, avvenuto a Roma il 22 giugno 1983.

A “Chi l’ha visto?” giunse una telefonata anonima in cui si diceva: “Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso andate a vedere chi è sepolto nella cripta della basilica di Sant’Apollinare e del favore che Renatino fece al cardinale Poletti, all’epoca.”

A quel punto i giornalisti della trasmissione dovettero riprendere il discorso su quella tomba così “regale” riservata ad un incallito criminale.
Lo staff della trasmissione ricevette anche gesti intimidatori e minacce anonime, che chiedevano: “Lasciate in pace Renatino.”

Ma i tentativi di bloccare la vicenda non andarono a frutto, e la giornalista Raffaella Notariale, in un suo servizio, rese pubblici i documenti originali e le foto del sarcofago sistemato nel sotterraneo della Basilica di Sant’Apollinare, che è in territorio Vaticano. Per tutta risposta le autorità vaticane non soltanto non chiarirono affatto la vicenda ma il 3 ottobre del 2005 si ebbe un comunicato ufficiale del Vicariato che diceva: “Gli attuali responsabili del Vicariato pur comprendendo che tale sepoltura
possa suscitare notevoli perplessità devono precisare di essere venuti a conoscenza di essa soltanto dopo la morte del Cardinale Ugo Poletti che la autorizzò e di non possedere altre informazioni in merito al di là dell’autorizzazione stessa e di un attestato di Mons. Piero Vergari, allora rettore della Basilica di Sant’Apollinare, già resi pubblici dai mezzi di informazione. Non si ritiene d’altronde di dover procedere all’estumulazione in quanto l’autorizzazione concessa dal Cardinale Vicario oltre che per il rispetto che si deve comunque ad ogni defunto. Appare infine infondato qualsiasi collegamento tra la scomparsa di Emanuela Orlandi che ha avuto luogo il 22 giugno 1983 e la sepoltura di Enrico de Pedis in Sant’Apollinare, avvenuta oltre 6 anni dopo. Questo Vicariato, comunque, per parte sua non si oppone ad ulteriori accertamenti in merito.”

Si scoprì che, non soltanto Renatino aveva avuto un luogo prestigioso per il suo “eterno riposo”, ma anche che le autorità vaticane considerano questo personaggio molto positivamente, chiamandolo addirittura “benefattore”. Il 6 marzo 1990, un mese dopo la morte di Renatino, il rettore della basilica, mons. Piero Vergari, in una lettera, parlò del criminale come di un grande benefattore: “Si attesta che il signor Enrico De Pedis nato in Roma – Trastevere il 15/05/1954 e deceduto in Roma il 2/2/1990, è stato un grande benefattore dei poveri che frequentano la basilica ed ha aiutato concretamente a tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi in particolare per la loro formazione cristiana e umana”.

Quattro giorni dopo la dichiarazione del Vergari, l’allora Vicario generale della diocesi di Roma e presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il cardinale Ugo Poletti, rilasciò il nulla osta alla sepoltura di Renatino.

I più attenti alle vicende della banda della Magliana, sostengono che Renatino abbia elargito parecchio denaro alla Chiesa, ma i suoi “favori” non si limitarono a questo.
Qualcuno più avvezzo alla conoscenza della vera Storia del cattolicesimo forse non si meraviglierebbe molto del fatto che un pluriomicida venga trattato con onore in ambiti cattolici, in fondo, non sono certo pochi i papi e i cardinali che si sono macchiati di gravissimi crimini, e ad oggi occorre ricordare che la Chiesa Cattolica è complice in diversi delitti, ad esempio, controlla le maggiori banche che basano i loro profitti sulle guerre e sul riciclo di denaro sporco.

Secondo gli inquirenti, la banda della Magliana non avrebbe agito soltanto per attuare diverse azioni criminose (traffico di droga, sequestri escommesse ippiche), ma anche per effettuare altre “operazioni”, per diversi motivi utili alle autorità Vaticane: rapimento di Emanuela Orlandi, attentato a Roberto Rosone, omicidio di Carmine Pecorella, omicidio di Roberto Calvi, depistaggi nell’inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna, ecc.

Maurizio Abbatino, uno dei pentiti della banda della Magliana, ha confessato che furono Renatino e i suoi complici a sequestrare Emanuela Orlandi, su ordine di alcuni esponenti del Vaticano. Anche la superteste Sabrina Minardi ha accusato Renatino del rapimento e dell’omicidio di Emanuela Orlandi su commissione del cardinale Paul Marcinkus, che
all’epoca era presidente dello IOR. Un altro pentito della banda della Magliana, Antonio Mancini, ha dichiarato alla procura di Roma che “Il sequestro di Emanuela Orlandi avvenne nel quadro di problemi finanziari con il Vaticano”. Connivenza e reticenza emerge da parte di prelati e politici di area cattolica sulla inquietante vicenda. Così Giulio Andreotti rispose a chi gli chiedeva cosa pensava della sepoltura di un criminale in una cripta vaticana: “Il boss nella cripta? Spostarlo non sarebbe rispettoso”.(1)

Il senatore a vita, ha dichiarato in un’intervista: “Credo che il cardinale vicario potesse non sapere chi era davvero De Pedis… Io non l’ho conosciuto, ma cosa importava a uno come De Pedis di essere sepolto in basilica?”.(2)

Purtroppo non sono pochi i casi di incalliti criminali diventati nel tempo personaggi “buoni” e rispettabili, consideriamo, ad esempio Garibaldi (3) o un personaggio come Pietro Badoglio, che ha avuto funerali di Stato pur essendo responsabile della morte di centinaia di migliaia di etiopi e libici.

Sono tanti i casi di cerimonie religiose che hanno omaggiato criminali e mafiosi.

I prelati non hanno mai negato la celebrazione dei sacramenti anche in casi in cui i soggetti erano mafiosi incalliti che avevano commesso parecchi omicidi. Ad esempio, quando la lussuosa bara del mafioso Nicolò Nick Rizzuto jr. entrò nella Chiesa di Notre Dame a Montreal, si ebbe un lungo applauso di ammirazione e il sacerdote dall’altare disse in italiano “fate largo al nostro Nick”.

Da questi fatti emerge che i sistemi di potere, quali sono l’attuale Stato e la Chiesa cattolica, spesso non omaggiano persone davvero meritevoli, ma semplicemente chi ha operato a loro vantaggio.

Qualcuno ha cercato di far credere che la banda della Magliana fosse soltanto opera di un gruppuscolo di delinquenti di periferia, ma ciò appare del tutto improbabile se si pensa che questa banda riusciva a portare avanti molteplici traffici: eroina, cocaina, sequestri, prostituzione, ecc., anche in collegamento con la mafia e la massoneria. Qualcuno disse che la banda fu “aiutata a progredire”, e protetta persino da elementi dei servizi segreti, come del resto è avvenuto in diversi casi relativi a crimini commessi da
reti massoniche e mafiose. In sostanza, la banda diventò molto forte grazie all’appoggio di personaggi potenti, che la utilizzarono per propri interessi.

Come per molti crimini mafiosi, anche nel caso dei crimini commessi dalla banda della Magliana, vi furono depistagli e vari tentativi di ostacolare la verità. Per le protezioni di cui godevano, i criminali si sentivano molto sicuri e dicevano “Roma è nelle nostre mani”.

Disse Libero Mancuso: “La struttura illegale denominata ‘banda della Magliana’, una struttura che non può essere semplicemente definita criminale, pena la sottovalutazione della sua funzione di cerniera con settori della eversione armata, dei servizi segreti, della politica, del Vaticano, delle banche… La storia della banda della Magliana evidenzia un ulteriore segmento della storia della prima Repubblica. Una storia letta dal
versante delle bande criminali che l’hanno attraversata condizionandone il divenire. Una storia drammatica, che non deve essere ignorata; storia autentica del nostro Paese, che dobbiamo conoscere proprio per non doverla rivivere”.

La banda della Magliana fu creata da Renatino intorno alla seconda metà degli anni Settanta, e fino ai primi anni Novanta commise crimini di vario genere. Il soprannome di “Renatino” dato ad Enrico de Pedis deriverebbe dal nome di un altro criminale altrettanto noto, Renato Vallanzasca. Quest’ultimo agiva nel milanese e veniva chiamato il “bel René” per il fascino che avrebbe esercitato sulle donne, caratteristica comune a De Pedis.

La banda di Renatino nasce come organizzazione criminale dedita al traffico della droga e ai sequestri di persona, e prende il nome dal quartiere in cui vivevano gran parte dei suoi componenti. Nel giro di poco tempo diventò una vera e propria holding politico-criminale, avendo stretti rapporti con importanti personaggi del Vaticano, della politica, della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta. Oltre ai traffici illeciti, la banda si occupava anche di crimini voluti da importanti personaggi che la sostenevano, come omicidi mirati, stragi e giro di escort di lusso. L’appoggio dei personaggi appartenenti al gruppo di potere italiano e vaticano era necessario sia per entrare nel giro dei traffici illegali, sia per il riciclaggio del denaro sporco.

La banda della Magliana non può dunque essere considerata una comune banda a delinquere, per i suoi stretti legami con ambienti di potere. Il pentito Rolando Battistini raccontò: “Nell’ambiente sapevamo, lo si diceva tra pochi intimi, che c’erano avvocati, magistrati e uomini importanti a fare da traìt d’union tra ambienti politici e la Banda della Magliana”.

Addirittura, ci sarebbero stati personaggi incaricati di “formare” i futuri banditi. Il massone Fabio De Felice organizzò una vera e propria “scuola”, con “corsi di formazione” che si svolgevano in una villa del reatino.

Gli inquirenti collegarono alla banda parecchi fatti avvenuti negli anni Settanta-Ottanta, come il caso dell’arsenale custodito nei sotterranei del Ministero della Sanità, il caso Calvi, Moro, Pecorelli, Mattarella, Cirillo, e la strage di Bologna.

I criminali della banda della Magliana volevano fare la bella vita, e sentirsi forti e invincibili. Volevano anche sentirsi di appartenere alle alte sfere sociali. Racconta Sabrina Minardi: “Mi ricordo che una volta Renato portava sempre delle grosse borse di soldi a casa. Sa, le borse di Vuitton, quelle con la cerniera sopra. Mi dava tanta di quella cocaina, per contare i soldi dovevo fare tutti i mazzetti e mi ricordo che contò un miliardo e il giorno dopo lo portammo su a Marcinkus… Una volta mi ha dato una borsa piena di soldi, saranno stati più di cento milioni, e mi ha detto: vai e spendili tutti. Mi trattava come una principessa e mi diceva di stare attenta perché i poliziotti avrebbero potuto seguire me e arrivare a lui. E così è stato”.

I banditi riuscirono ad arricchirsi notevolmente. Renatino creò una notevole attività economica, che comprendeva ristoranti, imprese edili, negozi, ecc. La sua uccisione sarebbe dovuta ad una questione di soldi, ovvero di pagamenti non fatti a compari carcerati.

Roma è in buona parte posseduta dal Vaticano, e sono innumerevoli gli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici. Già nel 1977 venne fatta un’inchiesta da cui emergeva che circa 1/4 degli immobili della capitale era in mano al Vaticano. Queste ricchezze, come tutti sanno, permettono alle autorità cattoliche di avere potere e di “ricompensare” i politici e altri personaggi che operano a loro favore. E’ risaputo che lo Stato italiano ha pagato ben 20 milioni di euro all’Acea per le bollette insolute del Vaticano
e che continua a concedere alla Santa Sede territori edificabili nella capitale per la costruzione di nuove chiese. Dal 1990 ne siano state realizzate parecchie, e in gran parte con fondi pubblici.

I boss del Vaticano si tengono ben stretto il potere che hanno a Roma (e non solo), e negli ultimi decenni nessun politico italiano di primo piano ha mai sollevato la questione del saccheggio che il Vaticano fa delle casse dello Stato, anche in termini di privilegi fiscali. Tutti temono gli alti prelati cattolici, che parlano di pace e amore ma guadagnano sulla guerra e sugli affari mafiosi. Detto questo, forse non è poi tanto sorprendente che “glorifichino” criminali e lestofanti.

Attraverso la banda della Magliana, gli alti prelati si sarebbero occupati anche di prostitute d’alto bordo, le cosiddette “escort” da “offrire” ad amici altolocati in visita a Roma e d’intorni. Nel 1989, la magistratura fece mettere sotto controllo alcuni telefoni intestati a società i cui amministratori erano prestanome dei boss della Magliana. Dalle registrazioni emerse un’organizzazione che si occupava di fornire
prostitute slave e minorenni, le più richieste dagli “amici altolocati”. Del giro di prostitute si occupava anche l’allora amante di Renatino, Sabrina Minardi. Dalle intercettazioni emergeva un vasto giro di prostituzione con clientela di alto rango. Per gli inquirenti, la povera Emanuela fu vittima di un adescatore “professionista” che operava per questa rete. Che non si trattasse di un comune rapimento a scopo estorsivo gli inquirenti lo capirono da subito: non furono mai fornite prove dell’esistenza in vita
dell’ostaggio dai presunti “sequestratori”, e apparvero soltanto le fotocopie dei documenti che la ragazza aveva con sé al momento della sparizione.
Per gli inquirenti si trattò di un depistaggio, per impedire che le indagini arrivassero a scoprire gli “affari” criminali della banda.

La basilica dove si trova Renatino fa parte dello stesso edificio in cui si trovava la scuola di musica di Emanuela, proprio il luogo dove Renatino avrebbe prelevato Emanuela. La BMW che servì a trasportare Emanuela, dal racconto della Minardi, era stata di Flavio Carboni, imprenditore indagato e assolto nel processo sulla morte di Roberto Calvi, e in quel periodo era di proprietà di uno dei componenti della banda della Magliana. A collegare la scomparsa di Emanuela con i fatti relativi a Roberto Calvi fu anche il figlio del banchiere, che sostenne che vi fossero legami fra le vicende del Banco Ambrosiano e la scomparsa della giovane.

Per molti anni sono stati fatti diversi depistagli, come quello dei “lupi grigi”, e invece la verità sarebbe stata assai più semplice ma molto inquietante, scoprendo un giro di prostituzione di minorenni adescate da elementi criminali che avevano il sostegno di mafia e vaticano. Con Emanuela qualcosa andò storto, e la povera ragazza fu uccisa.
Dalla testimonianza della Mainardi, emerge che Emanuela sarebbe stata rapita per volere di Monsignor Marcinkus. La ragazza fu poi segregata e drogata, successivamente sarebbe “morta per errore” e il suo cadavere è stato dato a persone che sapevano come disfarsi di un cadavere rendendo impossibile il ritrovamento. C’è chi pensa che proprio per questo “merito” di rendere misterioso e impunibile questo orrendo crimine, sia stato premiato Renatino con la sepoltura nella basilica. Di certo le reticenze e i depistaggi sono stati molti. Lo stesso Vincenzo Parisi, all’epoca numero due del Sisde, in un rapporto sul caso di Emanuela parlava di ostilità manifestata dagli alti prelati. Raul Bonarelli, numero due della sicurezza vaticana, fu indagato per depistaggio. Chiamato a presentarsi in Procura, l’agente avrebbe avuto dalle autorità vaticane l’ordine di non rivelare nulla
di ciò che accadde in Vaticano dopo la scomparsa di Emanuela.

In un’intercettazione telefonica del 12 ottobre 1983, Bonarelli parla con un interlocutore che lui chiama «Capo». Capo: «Pronto!..». Bonarelli: «Dica…». Capo: «Che sai di Orlandi? Niente!…Noi non sappiamo niente!…Sappiamo dai giornali, dalle notizie che sono state portate fuori!…Del fatto che è venuto fuori di competenza…dell’ordine italiano». Bonarelli: «Ah, cosa devo dire?». Capo: «Ebbè, eh… Che ne sappiamo noi? Se tu dici: ‘Io non ho mai indagato’…Non dirlo che è andato alla Segreteria di Stato». Bonarelli: «No, no… Noi io all’interno non devo dire niente. Niente». Capo: «All’esterno però… che è stata la magistratura vaticana…se ne interessa la magistratura vaticana…tra di loro questo qua…Niente dici, quello che sai te niente!». Bonarelli: «Cioè se mi dicono però se sono dipendente vaticano, che mansioni svolgo, non lo so, mi dovranno identificare, lo sapranno chi sono…». Capo: «Eh, sapranno, perchè che fai, fai servizio e turni e sicurezza della Città del Vaticano, tutto qua». Bonarelli: «Eh va bene, allora domani mattina vado a fare questa testimonianza, poi vengo, vero?». Capo: «Poi vieni».

Evidentemente, sul caso di Emanuela, le autorità vaticane fecero fare un’inchiesta riservata, che è stata consegnata alla Segreteria di Stato, e la Vigilanza vaticana non era autorizzata a comunicare nulla agli investigatori italiani. Questa segretezza non può non insospettire.

Se davvero la soluzione a questo giallo sta nella tomba di Renatino non è dato saperlo per il momento, perché il Vaticano non ha autorizzato la riesumazione del cadavere del bandito.

Quello che è certo è che ad un feroce criminale è stato dato il privilegio di una sepoltura degna dei più grandi della storia. In fondo, non si può certo dire che anche altri personaggi considerati “grandi della Storia” non siano stati anch’essi soltanto sporchi criminali.

di Antonella Randazzo

07 ottobre 2010

In sedici anni ottantadue nuovi partiti

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Il Movimento sociale italiano di Gianfranco Fini, insieme con pochi altri, riuscì a sporgersi dalla prima repubblica e a mettere il naso nella seconda. Nel Parlamento nato nel 1994, dopo il referendum di Mario Segni e l'avvento del bipolarismo, c'erano anche i rimasugli del Psi, la Rete di Leoluca Orlando, la lista Pannella, naturalmente la Lega Nord, i Verdi allora guidati da Carlo Ripa di Meana. Ma forse il Msi fu l'ultimo partito della prima repubblica e Futuro e libertà, sempre di Gianfranco Fini, è certamente l'ultimo della seconda. Ma quest'altro record è destinato a essere battuto presto: quando nascerà l'ottantatreesimo partito? Se si contano (con qualche difficoltà e qualche margine di errore) soltanto i partiti che dal 1994 a oggi hanno avuto rappresentanza alla Camera dei deputati o al Senato (per aver ottenuto seggi alle elezioni o per essersi costituiti in gruppo o in sigla nel corso della legislatura), Futuro e libertà è infatti la formazione numero ottantadue.
La prolificità della democrazia italiana non è una qualità delle ultime due legislature, rissose, di frequenti compravendite, di prezzi alle stelle. Già in quel 1994 c'erano movimenti semi-marginali, venuti fuori dallo sbriciolamento di Mani pulite, come i Cristiano sociali nei quali si faceva le ossa Dario Franceschini, come Alleanza democratica di Willer Bordon, come il Patto Segni del suddetto Mario. E c'erano partitozzi di solido reducismo come quello Popolare di Mino Martinazzoli, o come il Centro cristiano democratico di Pierferdinando Casini. Ma siccome un po' si giocava sporco, o di riflesso, le camere ebbero due ulteriori Leghe, quella d'Azione meridionale e quella Alpina lombarda. Nell'anno e mezzo di premierato di Lamberto Dini, dopo il ribaltone, si cominciò timidamente a rimettere le carte in tavolo, a ricostituire identità, recinti sicuri: spuntò il Cdu (di ispirazione tedesca, come si vede) di Rocco Buttiglione, la Lega italiana federalista di bossiani delusi, la Federazione laburisti di Vaido Spini, altro passo di disgregazione socialista. Nella breve e recente storia dell'associazionismo parlamentare, il fermento dei superstiti e dei discendenti del Psi potrebbe occupare libri interi, separazione fra socialisti di destra e di sinistra, fusioni fra i socialisti demichelisiani e socialisti bobocraxiani, tentativi di ricomposizione di Enrico Boselli.
È stata persino più complicata la diaspora democristiana, con Casini, Buttiglione e Martinazzoli di cui si è detto, con l'Udr di Francesco Cossiga fondata nel 1998 per favorire la salita a Palazzo Chigi del primo (e ultimo) ex comunista, Massimo D'Alema, e da cui derivò l'Udeur di Clemente Mastella. Ma qua e là, oggi dimenticati, sono saltati fuori i Comitati Prodi, la Democrazia europea di Sergio D'Antoni, l'Italia di mezzo di Marco Follini, la Rosa Bianca di Savino Pezzotta e Bruno Tabacci, la incommensurabile sequela di Dc, l'ultima delle quali residente nelle mani di Gianfranco Rotondi, e di certo la Margherita di Francesco Rutelli, che nel frattempo è già entrato e uscito dal Pd per battezzare l'Api.
Naturalmente il conteggio che conduce alla vetta di ottantadue contempla il caso dei radicali, che una volta si chiamano lista Pannella, poi lista Bonino-Pannella, poi Rosa nel Pugno, ma sempre loro sono. Contempla alcune evoluzioni naturali tipo Pds-Ds-Pd. O tipo Msi-An-PdlFli. O tipo la fusione Ccd-Cdu che ha portato all'Udc. Ma non dimentica la sorte dei partiti storici, quelli del Pentapartito, come il Pli e Pri, che sprofondano, riemergono, cambiano nome, si scindono in gruppuscoli che durano qualche mese. Chi andasse a vedere troverebbe i liberali accasarsi nei partiti più strambi, ovviamente in Forza Italia, ma pure con Ad di Bordon, con Rinnovamento italiano di Lamberto Dini successivamente evoluto, appunto, nei liberaldemocratici, e poi con Segni, con Casini, e infine di nuovo col proprio nome brandito da Paolo Guzzanti. I repubblicani possono essere regionalisti popolari, europei, democratici con Antonio Maccanico, lamalfiani o sbarbatiani. Qualcuno, di certo, si sarà dimenticato della lista Magris costituita nel 1994 da Claudio Magris, che conquistò un seggio, il suo.
Ma chi ricorda gli Ecologisti democratici? Chi ricorda l'Unione democratica per i consumatori? L'Alleanza autonomista e progressista? Il Cantiere (Libertà e giustizia per l'Ulivo)? Il Movimento territorio lombardo? I Socialisti per la costituente? Una frotta di rivendicazioni morali, ideologiche, territoriali, dalle più nobili alle più speciose. E guarda caso la massima natalità si ebbe al Senato nella scorsa legislatura, quando il povero Romano Prodi aveva da elemosinare il sostegno del Movimento politico dei cittadini o del Partito democratico meridionale. A proposito del Movimento politi co dei cittadini, questo Movimento prima si chiamava Officina comunista e ora Per il bene comune; vive da una scissione del Partito dei comunisti italiani che a sua volta vive da una scissione di Rifondazione comunista che a sua volta visse per scissione dal Pds quando il Pds visse per trasformazione del Pci. Si capirà che se ci si fosse applicati a tutto il fermento extraparlamentare, non se ne sarebbe usciti interi. Eppure, per restare in area ex Pci, c'è il Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando, i Comunisti-sinistra popolare di Marco Rizzo, naturalmente la Sinistra ecologia e libertà di Nichi Vendola, e almeno un'altra dozzina, Comunisti marxisti-leninisti (due partiti identici), Comunisti per la questione morale, una tal Piattaforma comunista, in una proliferazione che è di destra, di sinistra e di centro, e quindi Io Sud, Noi Sud. Forza Roma. Forza Lazio...
di Mattia Feltri

Pearl Harbor e 11 settembre: due catastrofi provvidenziali


E’ notizia di questi giorni che il presidente iraniano Ahmadinejad, parlando alle Nazioni Unite, abbia, e non per la prima volta, accusato gli Stati Uniti di essersi “procurati da soli” il disastro dell’11 settembre. Immediata, sdegnata uscita dall’aula dei rappresentanti statunitensi ed europei.
Eppure... eppure non è certamente stato il presidente iraniano il primo ad insinuare tale grave, orribile dubbio: sull’argomento lo scrittore statunitense D. R. Griffin ha scritto un interessantissimo libro che evidenzia le numerose, inoppugnabili incongruenze della tragedia.
Vediamone alcune: innanzitutto la non intercettazione, da parte dell’aviazione militare americana, dei velivoli di linea dirottati: se un volo commerciale non rispetta il piano di volo, scatta immediato l’allarme, ma non basta: il personale di bordo dell’American Airlines 11 tramite radio di bordo era riuscito ad avvertire che era in atto un dirottamento così come erano riusciti a segnalarlo, tramite cellulare, alcuni passeggeri dell’United Airlines 93: come mai la migliore aviazione militare del mondo non è intervenuta?
Ma andiamo avanti: lo schianto degli aerei contro le torri non è simultaneo e, ancora, i tempi tecnici per l’intervento dell’aviazione militare c’erano: ormai lo sapevano anche le pietre che nei cieli americani erano in volo aerei dirottati.
Sul fatto che strutture come le torri gemelle non potessero venir giù come castelli di carte anche se colpite da aeromobili si è ampiamente dibattuto ma, attenzione: alle 10,05 crolla la torre sud e alle 10,28 la torre nord... e allora, come si spiega che alle 17, 20 crolla il World Trade Center 7, non colpito dagli aerei?
Si dice che un quarto aereo abbia colpito il Pentagono ma, a parte i danni veramente esigui e non certamente paragonabili al crollo delle torri, non è stato trovato alcun relitto d’aereo nei pressi dell’edificio, non soltanto ma il segretario alla Difesa Rumsfeld in un’intervista del 12 ottobre 2001 si lasciò sfuggire una frase riguardo al “missile usato dai terroristi per colpire il Pentagono”...
In realtà, le incongruenze, anzi le vere e proprie assurdità nell’intera vicenda sono moltissime e fanno il paio, si può dire, con la fola delle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein, mai trovate. E’ un fatto, però, che le due cose, 11 settembre e armi di distruzione di massa in mano agli iracheni, costituirono il pretesto per l’invasione dell’Iraq.
A questo punto, viene in mente un altro pretesto... pardon, un altro episodio, assai più lontano nel tempo e nello spazio, verificatosi alle Hawaii nel dicembre 1941 e precisamente a Pearl Harbor.
All’epoca, l’America riforniva il Giappone di petrolio e minerale di ferro ma, dopo l’invasione da parte dell’Impero del Sol Levante di Manciuria e Indocina, gli Stati Uniti, affiancati naturalmente dall’Inghilterra, imposero ai nipponici uno strettissimo embargo (similmente a quanto avvenne in Europa con l’Italia, sempre per la questione coloniale); al riguardo, una semplice considerazione o domanda, che dir si voglia e non è una domanda retorica, vorremmo veramente che qualcuno ci desse chiarimenti in merito: come mai nessuno, né gli Usa né altre potenze all’epoca, alzò mai un dito né disse mai una parola contro la politica coloniale inglese, francese, olandese... una risposta, prego.
Il Giappone tentò in tutti i modi di evitare il confronto con l’America: nell’ottobre ‘41 il principe Konoye propose al presidente Roosvelt un incontro ad Honolulu, presenti anche i responsabili dell’esercito e della marina nipponici ma tale proposta venne rifiutata: è impensabile, a questo punto, che il governo americano potesse nutrire dubbi sull’inevitabilità o quanto meno la possibilità di un conflitto. Occorre inoltre aggiungere che l’attacco a Pearl Harbor non era affatto dato per scontato ma subordinato all’esito delle trattative nippo-americane; nonostante la consegna assoluta dell’ammiraglio Yamamoto al silenzio radio, tale consegna non fu rispettata appieno e messaggi radio nipponici furono captati dagli americani che avevano già decrittato da oltre un anno i cifrari giapponesi; nonostante la rotta più lunga adottata da Yamamoto per evitare di essere avvistati, segnali dell’avvicinamento della flotta giapponese furono captati dagli americani e inspiegabilmente ignorati, nonostante tutte le avvisaglie di possibili ostilità; è assolutamente inconcepibile, alla luce del semplice buonsenso, che una squadra navale come quella agli ordini dell’ammiraglio Yamamoto potesse avvicinarsi a una base come Pearl Harbor senza essere in qualche modo avvistata.
E dunque? Gli americani non avevano alcuna voglia di farsi trascinare nuovamente in una guerra in Europa, il ricordo del Primo Conflitto Mondiale con i suoi massacri era ancora troppo presente nella coscienza popolare e forse, in fin dei conti, Nazismo e Fascismo non costituivano una grande preoccupazione per gli statunitensi, anzi: il Duce non era affatto malvisto in America... ma il Giappone faceva parte del Tripartito e se avesse attaccato gli Stati Uniti, meglio ancora se proditoriamente, sarebbe stato giocoforza dichiarare guerra a Italia e Germania.
Non vogliamo andare oltre, abbiamo già dato sufficienti spunti di riflessione: Roosvelt voleva entrare in guerra, perchè temeva che una vittoria dell’Asse in Europa unita all’espansionismo nipponico avrebbero potuto pregiudicare più o meno gravemente gli interessi dell’America o addirittura una entrata in guerra successiva e magari in condizioni di inferiorità.
Pearl Harbor e 11 settembre: due “catastrofi” alla fine rivelatesi provvidenziali, per l’America, forse troppo, forse in modo sospetto e a chi obietta che tali accadimenti sono costati migliaia di vittime innocenti non possiamo che controbattere che il rischio di versare sangue innocente non ha mai fermato la belva umana, in nessuna epoca.
E’ notizia di questi giorni che il presidente iraniano Ahmadinejad, parlando alle Nazioni Unite, abbia, e non per la prima volta, accusato gli Stati Uniti di essersi “procurati da soli” il disastro dell’11 settembre. Immediata, sdegnata uscita dall’aula dei rappresentanti statunitensi ed europei.
Eppure... eppure non è certamente stato il presidente iraniano il primo ad insinuare tale grave, orribile dubbio: sull’argomento lo scrittore statunitense D. R. Griffin ha scritto un interessantissimo libro che evidenzia le numerose, inoppugnabili incongruenze della tragedia.
Vediamone alcune: innanzitutto la non intercettazione, da parte dell’aviazione militare americana, dei velivoli di linea dirottati: se un volo commerciale non rispetta il piano di volo, scatta immediato l’allarme, ma non basta: il personale di bordo dell’American Airlines 11 tramite radio di bordo era riuscito ad avvertire che era in atto un dirottamento così come erano riusciti a segnalarlo, tramite cellulare, alcuni passeggeri dell’United Airlines 93: come mai la migliore aviazione militare del mondo non è intervenuta?
Ma andiamo avanti: lo schianto degli aerei contro le torri non è simultaneo e, ancora, i tempi tecnici per l’intervento dell’aviazione militare c’erano: ormai lo sapevano anche le pietre che nei cieli americani erano in volo aerei dirottati.
Sul fatto che strutture come le torri gemelle non potessero venir giù come castelli di carte anche se colpite da aeromobili si è ampiamente dibattuto ma, attenzione: alle 10,05 crolla la torre sud e alle 10,28 la torre nord... e allora, come si spiega che alle 17, 20 crolla il World Trade Center 7, non colpito dagli aerei?
Si dice che un quarto aereo abbia colpito il Pentagono ma, a parte i danni veramente esigui e non certamente paragonabili al crollo delle torri, non è stato trovato alcun relitto d’aereo nei pressi dell’edificio, non soltanto ma il segretario alla Difesa Rumsfeld in un’intervista del 12 ottobre 2001 si lasciò sfuggire una frase riguardo al “missile usato dai terroristi per colpire il Pentagono”...
In realtà, le incongruenze, anzi le vere e proprie assurdità nell’intera vicenda sono moltissime e fanno il paio, si può dire, con la fola delle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein, mai trovate. E’ un fatto, però, che le due cose, 11 settembre e armi di distruzione di massa in mano agli iracheni, costituirono il pretesto per l’invasione dell’Iraq.
A questo punto, viene in mente un altro pretesto... pardon, un altro episodio, assai più lontano nel tempo e nello spazio, verificatosi alle Hawaii nel dicembre 1941 e precisamente a Pearl Harbor.
All’epoca, l’America riforniva il Giappone di petrolio e minerale di ferro ma, dopo l’invasione da parte dell’Impero del Sol Levante di Manciuria e Indocina, gli Stati Uniti, affiancati naturalmente dall’Inghilterra, imposero ai nipponici uno strettissimo embargo (similmente a quanto avvenne in Europa con l’Italia, sempre per la questione coloniale); al riguardo, una semplice considerazione o domanda, che dir si voglia e non è una domanda retorica, vorremmo veramente che qualcuno ci desse chiarimenti in merito: come mai nessuno, né gli Usa né altre potenze all’epoca, alzò mai un dito né disse mai una parola contro la politica coloniale inglese, francese, olandese... una risposta, prego.
Il Giappone tentò in tutti i modi di evitare il confronto con l’America: nell’ottobre ‘41 il principe Konoye propose al presidente Roosvelt un incontro ad Honolulu, presenti anche i responsabili dell’esercito e della marina nipponici ma tale proposta venne rifiutata: è impensabile, a questo punto, che il governo americano potesse nutrire dubbi sull’inevitabilità o quanto meno la possibilità di un conflitto. Occorre inoltre aggiungere che l’attacco a Pearl Harbor non era affatto dato per scontato ma subordinato all’esito delle trattative nippo-americane; nonostante la consegna assoluta dell’ammiraglio Yamamoto al silenzio radio, tale consegna non fu rispettata appieno e messaggi radio nipponici furono captati dagli americani che avevano già decrittato da oltre un anno i cifrari giapponesi; nonostante la rotta più lunga adottata da Yamamoto per evitare di essere avvistati, segnali dell’avvicinamento della flotta giapponese furono captati dagli americani e inspiegabilmente ignorati, nonostante tutte le avvisaglie di possibili ostilità; è assolutamente inconcepibile, alla luce del semplice buonsenso, che una squadra navale come quella agli ordini dell’ammiraglio Yamamoto potesse avvicinarsi a una base come Pearl Harbor senza essere in qualche modo avvistata.
E dunque? Gli americani non avevano alcuna voglia di farsi trascinare nuovamente in una guerra in Europa, il ricordo del Primo Conflitto Mondiale con i suoi massacri era ancora troppo presente nella coscienza popolare e forse, in fin dei conti, Nazismo e Fascismo non costituivano una grande preoccupazione per gli statunitensi, anzi: il Duce non era affatto malvisto in America... ma il Giappone faceva parte del Tripartito e se avesse attaccato gli Stati Uniti, meglio ancora se proditoriamente, sarebbe stato giocoforza dichiarare guerra a Italia e Germania.
Non vogliamo andare oltre, abbiamo già dato sufficienti spunti di riflessione: Roosvelt voleva entrare in guerra, perchè temeva che una vittoria dell’Asse in Europa unita all’espansionismo nipponico avrebbero potuto pregiudicare più o meno gravemente gli interessi dell’America o addirittura una entrata in guerra successiva e magari in condizioni di inferiorità.
Pearl Harbor e 11 settembre: due “catastrofi” alla fine rivelatesi provvidenziali, per l’America, forse troppo, forse in modo sospetto e a chi obietta che tali accadimenti sono costati migliaia di vittime innocenti non possiamo che controbattere che il rischio di versare sangue innocente non ha mai fermato la belva umana, in nessuna epoca.

di Leonardo Incorvai

08 ottobre 2010

Renatino della magliana


Il sepolcro del famigerato Enrico De Pedis detto "Renatino"

Molti hanno capito che la Chiesa cattolica non è quella perla di spiritualità e moralità che si vorrebbe far credere. Diversi inquirenti sono certi che proprio le autorità vaticane si sono talvolta macchiate di delitti orribili.

Uno dei casi in cui il Vaticano avrebbe avuto forti responsabilità nei delitti commessi, che ha suscitato molto scalpore, è quello della cosiddetta “banda della Magliana”.
Lo stesso capo della banda della Magliana, il famigerato Enrico De Pedis, detto “Renatino”, colpevole di numerosi crimini, ucciso nel 1990, è stato sepolto nella cripta della basilica Sant’Apollinare, una delle chiese più importanti di Roma, accanto a celebri papi.

Perché un criminale riposa in una Chiesa?

O meglio: se la Chiesa cattolica celebra i criminali come fossero eroi o persone ammirevoli, allora quale messaggio essa davvero propugna?

I criminali di solito vengono sepolti in segreto e in luoghi in cui non molte persone andranno a visitarli, eppure il capo della banda della Magliana, una banda ferocissima considerata la più potente organizzazione criminale che sia stata mai creata a Roma, è stato sepolto nella prestigiosa cripta.

Non sono pochi gli inquirenti che vedono nella banda della Magliana la mano delle autorità vaticane che, raramente commettono direttamente i loro crimini.
Inizialmente Renatino fu tumulato al Verano, ma il 24 aprile 1990, in segreto, fu sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare. Il fatto venne alla luce soltanto sette anni dopo, quando il quotidiano Il Messaggero del 9 luglio 1997 dette la notizia in un articolo della giornalista Antonella Stocco.
Ovviamente, si sollevarono molte proteste e perplessità, e qualcuno cercò di indagare per capire questa inopportuna “riverenza” concessa al feroce assassino.

Dopo la pubblicazione dell’articolo del Messaggero, non soltanto le autorità vaticane non dettero alcuna spiegazione plausibile, ma vietarono al pubblico di salire i gradini che portano alla cripta, e chiesero il silenzio sulla vicenda.

E silenzio vi fu, fino al luglio 2005, quando la trasmissione di Rai 3 “Chi l’ha visto?” trattò il caso di Emanuela Orlandi (figlia di un dipendente del Vaticano), e dovette collegare il caso della tomba di Renatino (considerato l’organizzatore del sequestro di Emanuela) al sequestro della ragazza, avvenuto a Roma il 22 giugno 1983.

A “Chi l’ha visto?” giunse una telefonata anonima in cui si diceva: “Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso andate a vedere chi è sepolto nella cripta della basilica di Sant’Apollinare e del favore che Renatino fece al cardinale Poletti, all’epoca.”

A quel punto i giornalisti della trasmissione dovettero riprendere il discorso su quella tomba così “regale” riservata ad un incallito criminale.
Lo staff della trasmissione ricevette anche gesti intimidatori e minacce anonime, che chiedevano: “Lasciate in pace Renatino.”

Ma i tentativi di bloccare la vicenda non andarono a frutto, e la giornalista Raffaella Notariale, in un suo servizio, rese pubblici i documenti originali e le foto del sarcofago sistemato nel sotterraneo della Basilica di Sant’Apollinare, che è in territorio Vaticano. Per tutta risposta le autorità vaticane non soltanto non chiarirono affatto la vicenda ma il 3 ottobre del 2005 si ebbe un comunicato ufficiale del Vicariato che diceva: “Gli attuali responsabili del Vicariato pur comprendendo che tale sepoltura
possa suscitare notevoli perplessità devono precisare di essere venuti a conoscenza di essa soltanto dopo la morte del Cardinale Ugo Poletti che la autorizzò e di non possedere altre informazioni in merito al di là dell’autorizzazione stessa e di un attestato di Mons. Piero Vergari, allora rettore della Basilica di Sant’Apollinare, già resi pubblici dai mezzi di informazione. Non si ritiene d’altronde di dover procedere all’estumulazione in quanto l’autorizzazione concessa dal Cardinale Vicario oltre che per il rispetto che si deve comunque ad ogni defunto. Appare infine infondato qualsiasi collegamento tra la scomparsa di Emanuela Orlandi che ha avuto luogo il 22 giugno 1983 e la sepoltura di Enrico de Pedis in Sant’Apollinare, avvenuta oltre 6 anni dopo. Questo Vicariato, comunque, per parte sua non si oppone ad ulteriori accertamenti in merito.”

Si scoprì che, non soltanto Renatino aveva avuto un luogo prestigioso per il suo “eterno riposo”, ma anche che le autorità vaticane considerano questo personaggio molto positivamente, chiamandolo addirittura “benefattore”. Il 6 marzo 1990, un mese dopo la morte di Renatino, il rettore della basilica, mons. Piero Vergari, in una lettera, parlò del criminale come di un grande benefattore: “Si attesta che il signor Enrico De Pedis nato in Roma – Trastevere il 15/05/1954 e deceduto in Roma il 2/2/1990, è stato un grande benefattore dei poveri che frequentano la basilica ed ha aiutato concretamente a tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi in particolare per la loro formazione cristiana e umana”.

Quattro giorni dopo la dichiarazione del Vergari, l’allora Vicario generale della diocesi di Roma e presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il cardinale Ugo Poletti, rilasciò il nulla osta alla sepoltura di Renatino.

I più attenti alle vicende della banda della Magliana, sostengono che Renatino abbia elargito parecchio denaro alla Chiesa, ma i suoi “favori” non si limitarono a questo.
Qualcuno più avvezzo alla conoscenza della vera Storia del cattolicesimo forse non si meraviglierebbe molto del fatto che un pluriomicida venga trattato con onore in ambiti cattolici, in fondo, non sono certo pochi i papi e i cardinali che si sono macchiati di gravissimi crimini, e ad oggi occorre ricordare che la Chiesa Cattolica è complice in diversi delitti, ad esempio, controlla le maggiori banche che basano i loro profitti sulle guerre e sul riciclo di denaro sporco.

Secondo gli inquirenti, la banda della Magliana non avrebbe agito soltanto per attuare diverse azioni criminose (traffico di droga, sequestri escommesse ippiche), ma anche per effettuare altre “operazioni”, per diversi motivi utili alle autorità Vaticane: rapimento di Emanuela Orlandi, attentato a Roberto Rosone, omicidio di Carmine Pecorella, omicidio di Roberto Calvi, depistaggi nell’inchiesta sulla strage alla stazione di Bologna, ecc.

Maurizio Abbatino, uno dei pentiti della banda della Magliana, ha confessato che furono Renatino e i suoi complici a sequestrare Emanuela Orlandi, su ordine di alcuni esponenti del Vaticano. Anche la superteste Sabrina Minardi ha accusato Renatino del rapimento e dell’omicidio di Emanuela Orlandi su commissione del cardinale Paul Marcinkus, che
all’epoca era presidente dello IOR. Un altro pentito della banda della Magliana, Antonio Mancini, ha dichiarato alla procura di Roma che “Il sequestro di Emanuela Orlandi avvenne nel quadro di problemi finanziari con il Vaticano”. Connivenza e reticenza emerge da parte di prelati e politici di area cattolica sulla inquietante vicenda. Così Giulio Andreotti rispose a chi gli chiedeva cosa pensava della sepoltura di un criminale in una cripta vaticana: “Il boss nella cripta? Spostarlo non sarebbe rispettoso”.(1)

Il senatore a vita, ha dichiarato in un’intervista: “Credo che il cardinale vicario potesse non sapere chi era davvero De Pedis… Io non l’ho conosciuto, ma cosa importava a uno come De Pedis di essere sepolto in basilica?”.(2)

Purtroppo non sono pochi i casi di incalliti criminali diventati nel tempo personaggi “buoni” e rispettabili, consideriamo, ad esempio Garibaldi (3) o un personaggio come Pietro Badoglio, che ha avuto funerali di Stato pur essendo responsabile della morte di centinaia di migliaia di etiopi e libici.

Sono tanti i casi di cerimonie religiose che hanno omaggiato criminali e mafiosi.

I prelati non hanno mai negato la celebrazione dei sacramenti anche in casi in cui i soggetti erano mafiosi incalliti che avevano commesso parecchi omicidi. Ad esempio, quando la lussuosa bara del mafioso Nicolò Nick Rizzuto jr. entrò nella Chiesa di Notre Dame a Montreal, si ebbe un lungo applauso di ammirazione e il sacerdote dall’altare disse in italiano “fate largo al nostro Nick”.

Da questi fatti emerge che i sistemi di potere, quali sono l’attuale Stato e la Chiesa cattolica, spesso non omaggiano persone davvero meritevoli, ma semplicemente chi ha operato a loro vantaggio.

Qualcuno ha cercato di far credere che la banda della Magliana fosse soltanto opera di un gruppuscolo di delinquenti di periferia, ma ciò appare del tutto improbabile se si pensa che questa banda riusciva a portare avanti molteplici traffici: eroina, cocaina, sequestri, prostituzione, ecc., anche in collegamento con la mafia e la massoneria. Qualcuno disse che la banda fu “aiutata a progredire”, e protetta persino da elementi dei servizi segreti, come del resto è avvenuto in diversi casi relativi a crimini commessi da
reti massoniche e mafiose. In sostanza, la banda diventò molto forte grazie all’appoggio di personaggi potenti, che la utilizzarono per propri interessi.

Come per molti crimini mafiosi, anche nel caso dei crimini commessi dalla banda della Magliana, vi furono depistagli e vari tentativi di ostacolare la verità. Per le protezioni di cui godevano, i criminali si sentivano molto sicuri e dicevano “Roma è nelle nostre mani”.

Disse Libero Mancuso: “La struttura illegale denominata ‘banda della Magliana’, una struttura che non può essere semplicemente definita criminale, pena la sottovalutazione della sua funzione di cerniera con settori della eversione armata, dei servizi segreti, della politica, del Vaticano, delle banche… La storia della banda della Magliana evidenzia un ulteriore segmento della storia della prima Repubblica. Una storia letta dal
versante delle bande criminali che l’hanno attraversata condizionandone il divenire. Una storia drammatica, che non deve essere ignorata; storia autentica del nostro Paese, che dobbiamo conoscere proprio per non doverla rivivere”.

La banda della Magliana fu creata da Renatino intorno alla seconda metà degli anni Settanta, e fino ai primi anni Novanta commise crimini di vario genere. Il soprannome di “Renatino” dato ad Enrico de Pedis deriverebbe dal nome di un altro criminale altrettanto noto, Renato Vallanzasca. Quest’ultimo agiva nel milanese e veniva chiamato il “bel René” per il fascino che avrebbe esercitato sulle donne, caratteristica comune a De Pedis.

La banda di Renatino nasce come organizzazione criminale dedita al traffico della droga e ai sequestri di persona, e prende il nome dal quartiere in cui vivevano gran parte dei suoi componenti. Nel giro di poco tempo diventò una vera e propria holding politico-criminale, avendo stretti rapporti con importanti personaggi del Vaticano, della politica, della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta. Oltre ai traffici illeciti, la banda si occupava anche di crimini voluti da importanti personaggi che la sostenevano, come omicidi mirati, stragi e giro di escort di lusso. L’appoggio dei personaggi appartenenti al gruppo di potere italiano e vaticano era necessario sia per entrare nel giro dei traffici illegali, sia per il riciclaggio del denaro sporco.

La banda della Magliana non può dunque essere considerata una comune banda a delinquere, per i suoi stretti legami con ambienti di potere. Il pentito Rolando Battistini raccontò: “Nell’ambiente sapevamo, lo si diceva tra pochi intimi, che c’erano avvocati, magistrati e uomini importanti a fare da traìt d’union tra ambienti politici e la Banda della Magliana”.

Addirittura, ci sarebbero stati personaggi incaricati di “formare” i futuri banditi. Il massone Fabio De Felice organizzò una vera e propria “scuola”, con “corsi di formazione” che si svolgevano in una villa del reatino.

Gli inquirenti collegarono alla banda parecchi fatti avvenuti negli anni Settanta-Ottanta, come il caso dell’arsenale custodito nei sotterranei del Ministero della Sanità, il caso Calvi, Moro, Pecorelli, Mattarella, Cirillo, e la strage di Bologna.

I criminali della banda della Magliana volevano fare la bella vita, e sentirsi forti e invincibili. Volevano anche sentirsi di appartenere alle alte sfere sociali. Racconta Sabrina Minardi: “Mi ricordo che una volta Renato portava sempre delle grosse borse di soldi a casa. Sa, le borse di Vuitton, quelle con la cerniera sopra. Mi dava tanta di quella cocaina, per contare i soldi dovevo fare tutti i mazzetti e mi ricordo che contò un miliardo e il giorno dopo lo portammo su a Marcinkus… Una volta mi ha dato una borsa piena di soldi, saranno stati più di cento milioni, e mi ha detto: vai e spendili tutti. Mi trattava come una principessa e mi diceva di stare attenta perché i poliziotti avrebbero potuto seguire me e arrivare a lui. E così è stato”.

I banditi riuscirono ad arricchirsi notevolmente. Renatino creò una notevole attività economica, che comprendeva ristoranti, imprese edili, negozi, ecc. La sua uccisione sarebbe dovuta ad una questione di soldi, ovvero di pagamenti non fatti a compari carcerati.

Roma è in buona parte posseduta dal Vaticano, e sono innumerevoli gli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici. Già nel 1977 venne fatta un’inchiesta da cui emergeva che circa 1/4 degli immobili della capitale era in mano al Vaticano. Queste ricchezze, come tutti sanno, permettono alle autorità cattoliche di avere potere e di “ricompensare” i politici e altri personaggi che operano a loro favore. E’ risaputo che lo Stato italiano ha pagato ben 20 milioni di euro all’Acea per le bollette insolute del Vaticano
e che continua a concedere alla Santa Sede territori edificabili nella capitale per la costruzione di nuove chiese. Dal 1990 ne siano state realizzate parecchie, e in gran parte con fondi pubblici.

I boss del Vaticano si tengono ben stretto il potere che hanno a Roma (e non solo), e negli ultimi decenni nessun politico italiano di primo piano ha mai sollevato la questione del saccheggio che il Vaticano fa delle casse dello Stato, anche in termini di privilegi fiscali. Tutti temono gli alti prelati cattolici, che parlano di pace e amore ma guadagnano sulla guerra e sugli affari mafiosi. Detto questo, forse non è poi tanto sorprendente che “glorifichino” criminali e lestofanti.

Attraverso la banda della Magliana, gli alti prelati si sarebbero occupati anche di prostitute d’alto bordo, le cosiddette “escort” da “offrire” ad amici altolocati in visita a Roma e d’intorni. Nel 1989, la magistratura fece mettere sotto controllo alcuni telefoni intestati a società i cui amministratori erano prestanome dei boss della Magliana. Dalle registrazioni emerse un’organizzazione che si occupava di fornire
prostitute slave e minorenni, le più richieste dagli “amici altolocati”. Del giro di prostitute si occupava anche l’allora amante di Renatino, Sabrina Minardi. Dalle intercettazioni emergeva un vasto giro di prostituzione con clientela di alto rango. Per gli inquirenti, la povera Emanuela fu vittima di un adescatore “professionista” che operava per questa rete. Che non si trattasse di un comune rapimento a scopo estorsivo gli inquirenti lo capirono da subito: non furono mai fornite prove dell’esistenza in vita
dell’ostaggio dai presunti “sequestratori”, e apparvero soltanto le fotocopie dei documenti che la ragazza aveva con sé al momento della sparizione.
Per gli inquirenti si trattò di un depistaggio, per impedire che le indagini arrivassero a scoprire gli “affari” criminali della banda.

La basilica dove si trova Renatino fa parte dello stesso edificio in cui si trovava la scuola di musica di Emanuela, proprio il luogo dove Renatino avrebbe prelevato Emanuela. La BMW che servì a trasportare Emanuela, dal racconto della Minardi, era stata di Flavio Carboni, imprenditore indagato e assolto nel processo sulla morte di Roberto Calvi, e in quel periodo era di proprietà di uno dei componenti della banda della Magliana. A collegare la scomparsa di Emanuela con i fatti relativi a Roberto Calvi fu anche il figlio del banchiere, che sostenne che vi fossero legami fra le vicende del Banco Ambrosiano e la scomparsa della giovane.

Per molti anni sono stati fatti diversi depistagli, come quello dei “lupi grigi”, e invece la verità sarebbe stata assai più semplice ma molto inquietante, scoprendo un giro di prostituzione di minorenni adescate da elementi criminali che avevano il sostegno di mafia e vaticano. Con Emanuela qualcosa andò storto, e la povera ragazza fu uccisa.
Dalla testimonianza della Mainardi, emerge che Emanuela sarebbe stata rapita per volere di Monsignor Marcinkus. La ragazza fu poi segregata e drogata, successivamente sarebbe “morta per errore” e il suo cadavere è stato dato a persone che sapevano come disfarsi di un cadavere rendendo impossibile il ritrovamento. C’è chi pensa che proprio per questo “merito” di rendere misterioso e impunibile questo orrendo crimine, sia stato premiato Renatino con la sepoltura nella basilica. Di certo le reticenze e i depistaggi sono stati molti. Lo stesso Vincenzo Parisi, all’epoca numero due del Sisde, in un rapporto sul caso di Emanuela parlava di ostilità manifestata dagli alti prelati. Raul Bonarelli, numero due della sicurezza vaticana, fu indagato per depistaggio. Chiamato a presentarsi in Procura, l’agente avrebbe avuto dalle autorità vaticane l’ordine di non rivelare nulla
di ciò che accadde in Vaticano dopo la scomparsa di Emanuela.

In un’intercettazione telefonica del 12 ottobre 1983, Bonarelli parla con un interlocutore che lui chiama «Capo». Capo: «Pronto!..». Bonarelli: «Dica…». Capo: «Che sai di Orlandi? Niente!…Noi non sappiamo niente!…Sappiamo dai giornali, dalle notizie che sono state portate fuori!…Del fatto che è venuto fuori di competenza…dell’ordine italiano». Bonarelli: «Ah, cosa devo dire?». Capo: «Ebbè, eh… Che ne sappiamo noi? Se tu dici: ‘Io non ho mai indagato’…Non dirlo che è andato alla Segreteria di Stato». Bonarelli: «No, no… Noi io all’interno non devo dire niente. Niente». Capo: «All’esterno però… che è stata la magistratura vaticana…se ne interessa la magistratura vaticana…tra di loro questo qua…Niente dici, quello che sai te niente!». Bonarelli: «Cioè se mi dicono però se sono dipendente vaticano, che mansioni svolgo, non lo so, mi dovranno identificare, lo sapranno chi sono…». Capo: «Eh, sapranno, perchè che fai, fai servizio e turni e sicurezza della Città del Vaticano, tutto qua». Bonarelli: «Eh va bene, allora domani mattina vado a fare questa testimonianza, poi vengo, vero?». Capo: «Poi vieni».

Evidentemente, sul caso di Emanuela, le autorità vaticane fecero fare un’inchiesta riservata, che è stata consegnata alla Segreteria di Stato, e la Vigilanza vaticana non era autorizzata a comunicare nulla agli investigatori italiani. Questa segretezza non può non insospettire.

Se davvero la soluzione a questo giallo sta nella tomba di Renatino non è dato saperlo per il momento, perché il Vaticano non ha autorizzato la riesumazione del cadavere del bandito.

Quello che è certo è che ad un feroce criminale è stato dato il privilegio di una sepoltura degna dei più grandi della storia. In fondo, non si può certo dire che anche altri personaggi considerati “grandi della Storia” non siano stati anch’essi soltanto sporchi criminali.

di Antonella Randazzo

07 ottobre 2010

In sedici anni ottantadue nuovi partiti

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Il Movimento sociale italiano di Gianfranco Fini, insieme con pochi altri, riuscì a sporgersi dalla prima repubblica e a mettere il naso nella seconda. Nel Parlamento nato nel 1994, dopo il referendum di Mario Segni e l'avvento del bipolarismo, c'erano anche i rimasugli del Psi, la Rete di Leoluca Orlando, la lista Pannella, naturalmente la Lega Nord, i Verdi allora guidati da Carlo Ripa di Meana. Ma forse il Msi fu l'ultimo partito della prima repubblica e Futuro e libertà, sempre di Gianfranco Fini, è certamente l'ultimo della seconda. Ma quest'altro record è destinato a essere battuto presto: quando nascerà l'ottantatreesimo partito? Se si contano (con qualche difficoltà e qualche margine di errore) soltanto i partiti che dal 1994 a oggi hanno avuto rappresentanza alla Camera dei deputati o al Senato (per aver ottenuto seggi alle elezioni o per essersi costituiti in gruppo o in sigla nel corso della legislatura), Futuro e libertà è infatti la formazione numero ottantadue.
La prolificità della democrazia italiana non è una qualità delle ultime due legislature, rissose, di frequenti compravendite, di prezzi alle stelle. Già in quel 1994 c'erano movimenti semi-marginali, venuti fuori dallo sbriciolamento di Mani pulite, come i Cristiano sociali nei quali si faceva le ossa Dario Franceschini, come Alleanza democratica di Willer Bordon, come il Patto Segni del suddetto Mario. E c'erano partitozzi di solido reducismo come quello Popolare di Mino Martinazzoli, o come il Centro cristiano democratico di Pierferdinando Casini. Ma siccome un po' si giocava sporco, o di riflesso, le camere ebbero due ulteriori Leghe, quella d'Azione meridionale e quella Alpina lombarda. Nell'anno e mezzo di premierato di Lamberto Dini, dopo il ribaltone, si cominciò timidamente a rimettere le carte in tavolo, a ricostituire identità, recinti sicuri: spuntò il Cdu (di ispirazione tedesca, come si vede) di Rocco Buttiglione, la Lega italiana federalista di bossiani delusi, la Federazione laburisti di Vaido Spini, altro passo di disgregazione socialista. Nella breve e recente storia dell'associazionismo parlamentare, il fermento dei superstiti e dei discendenti del Psi potrebbe occupare libri interi, separazione fra socialisti di destra e di sinistra, fusioni fra i socialisti demichelisiani e socialisti bobocraxiani, tentativi di ricomposizione di Enrico Boselli.
È stata persino più complicata la diaspora democristiana, con Casini, Buttiglione e Martinazzoli di cui si è detto, con l'Udr di Francesco Cossiga fondata nel 1998 per favorire la salita a Palazzo Chigi del primo (e ultimo) ex comunista, Massimo D'Alema, e da cui derivò l'Udeur di Clemente Mastella. Ma qua e là, oggi dimenticati, sono saltati fuori i Comitati Prodi, la Democrazia europea di Sergio D'Antoni, l'Italia di mezzo di Marco Follini, la Rosa Bianca di Savino Pezzotta e Bruno Tabacci, la incommensurabile sequela di Dc, l'ultima delle quali residente nelle mani di Gianfranco Rotondi, e di certo la Margherita di Francesco Rutelli, che nel frattempo è già entrato e uscito dal Pd per battezzare l'Api.
Naturalmente il conteggio che conduce alla vetta di ottantadue contempla il caso dei radicali, che una volta si chiamano lista Pannella, poi lista Bonino-Pannella, poi Rosa nel Pugno, ma sempre loro sono. Contempla alcune evoluzioni naturali tipo Pds-Ds-Pd. O tipo Msi-An-PdlFli. O tipo la fusione Ccd-Cdu che ha portato all'Udc. Ma non dimentica la sorte dei partiti storici, quelli del Pentapartito, come il Pli e Pri, che sprofondano, riemergono, cambiano nome, si scindono in gruppuscoli che durano qualche mese. Chi andasse a vedere troverebbe i liberali accasarsi nei partiti più strambi, ovviamente in Forza Italia, ma pure con Ad di Bordon, con Rinnovamento italiano di Lamberto Dini successivamente evoluto, appunto, nei liberaldemocratici, e poi con Segni, con Casini, e infine di nuovo col proprio nome brandito da Paolo Guzzanti. I repubblicani possono essere regionalisti popolari, europei, democratici con Antonio Maccanico, lamalfiani o sbarbatiani. Qualcuno, di certo, si sarà dimenticato della lista Magris costituita nel 1994 da Claudio Magris, che conquistò un seggio, il suo.
Ma chi ricorda gli Ecologisti democratici? Chi ricorda l'Unione democratica per i consumatori? L'Alleanza autonomista e progressista? Il Cantiere (Libertà e giustizia per l'Ulivo)? Il Movimento territorio lombardo? I Socialisti per la costituente? Una frotta di rivendicazioni morali, ideologiche, territoriali, dalle più nobili alle più speciose. E guarda caso la massima natalità si ebbe al Senato nella scorsa legislatura, quando il povero Romano Prodi aveva da elemosinare il sostegno del Movimento politico dei cittadini o del Partito democratico meridionale. A proposito del Movimento politi co dei cittadini, questo Movimento prima si chiamava Officina comunista e ora Per il bene comune; vive da una scissione del Partito dei comunisti italiani che a sua volta vive da una scissione di Rifondazione comunista che a sua volta visse per scissione dal Pds quando il Pds visse per trasformazione del Pci. Si capirà che se ci si fosse applicati a tutto il fermento extraparlamentare, non se ne sarebbe usciti interi. Eppure, per restare in area ex Pci, c'è il Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando, i Comunisti-sinistra popolare di Marco Rizzo, naturalmente la Sinistra ecologia e libertà di Nichi Vendola, e almeno un'altra dozzina, Comunisti marxisti-leninisti (due partiti identici), Comunisti per la questione morale, una tal Piattaforma comunista, in una proliferazione che è di destra, di sinistra e di centro, e quindi Io Sud, Noi Sud. Forza Roma. Forza Lazio...
di Mattia Feltri

Pearl Harbor e 11 settembre: due catastrofi provvidenziali


E’ notizia di questi giorni che il presidente iraniano Ahmadinejad, parlando alle Nazioni Unite, abbia, e non per la prima volta, accusato gli Stati Uniti di essersi “procurati da soli” il disastro dell’11 settembre. Immediata, sdegnata uscita dall’aula dei rappresentanti statunitensi ed europei.
Eppure... eppure non è certamente stato il presidente iraniano il primo ad insinuare tale grave, orribile dubbio: sull’argomento lo scrittore statunitense D. R. Griffin ha scritto un interessantissimo libro che evidenzia le numerose, inoppugnabili incongruenze della tragedia.
Vediamone alcune: innanzitutto la non intercettazione, da parte dell’aviazione militare americana, dei velivoli di linea dirottati: se un volo commerciale non rispetta il piano di volo, scatta immediato l’allarme, ma non basta: il personale di bordo dell’American Airlines 11 tramite radio di bordo era riuscito ad avvertire che era in atto un dirottamento così come erano riusciti a segnalarlo, tramite cellulare, alcuni passeggeri dell’United Airlines 93: come mai la migliore aviazione militare del mondo non è intervenuta?
Ma andiamo avanti: lo schianto degli aerei contro le torri non è simultaneo e, ancora, i tempi tecnici per l’intervento dell’aviazione militare c’erano: ormai lo sapevano anche le pietre che nei cieli americani erano in volo aerei dirottati.
Sul fatto che strutture come le torri gemelle non potessero venir giù come castelli di carte anche se colpite da aeromobili si è ampiamente dibattuto ma, attenzione: alle 10,05 crolla la torre sud e alle 10,28 la torre nord... e allora, come si spiega che alle 17, 20 crolla il World Trade Center 7, non colpito dagli aerei?
Si dice che un quarto aereo abbia colpito il Pentagono ma, a parte i danni veramente esigui e non certamente paragonabili al crollo delle torri, non è stato trovato alcun relitto d’aereo nei pressi dell’edificio, non soltanto ma il segretario alla Difesa Rumsfeld in un’intervista del 12 ottobre 2001 si lasciò sfuggire una frase riguardo al “missile usato dai terroristi per colpire il Pentagono”...
In realtà, le incongruenze, anzi le vere e proprie assurdità nell’intera vicenda sono moltissime e fanno il paio, si può dire, con la fola delle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein, mai trovate. E’ un fatto, però, che le due cose, 11 settembre e armi di distruzione di massa in mano agli iracheni, costituirono il pretesto per l’invasione dell’Iraq.
A questo punto, viene in mente un altro pretesto... pardon, un altro episodio, assai più lontano nel tempo e nello spazio, verificatosi alle Hawaii nel dicembre 1941 e precisamente a Pearl Harbor.
All’epoca, l’America riforniva il Giappone di petrolio e minerale di ferro ma, dopo l’invasione da parte dell’Impero del Sol Levante di Manciuria e Indocina, gli Stati Uniti, affiancati naturalmente dall’Inghilterra, imposero ai nipponici uno strettissimo embargo (similmente a quanto avvenne in Europa con l’Italia, sempre per la questione coloniale); al riguardo, una semplice considerazione o domanda, che dir si voglia e non è una domanda retorica, vorremmo veramente che qualcuno ci desse chiarimenti in merito: come mai nessuno, né gli Usa né altre potenze all’epoca, alzò mai un dito né disse mai una parola contro la politica coloniale inglese, francese, olandese... una risposta, prego.
Il Giappone tentò in tutti i modi di evitare il confronto con l’America: nell’ottobre ‘41 il principe Konoye propose al presidente Roosvelt un incontro ad Honolulu, presenti anche i responsabili dell’esercito e della marina nipponici ma tale proposta venne rifiutata: è impensabile, a questo punto, che il governo americano potesse nutrire dubbi sull’inevitabilità o quanto meno la possibilità di un conflitto. Occorre inoltre aggiungere che l’attacco a Pearl Harbor non era affatto dato per scontato ma subordinato all’esito delle trattative nippo-americane; nonostante la consegna assoluta dell’ammiraglio Yamamoto al silenzio radio, tale consegna non fu rispettata appieno e messaggi radio nipponici furono captati dagli americani che avevano già decrittato da oltre un anno i cifrari giapponesi; nonostante la rotta più lunga adottata da Yamamoto per evitare di essere avvistati, segnali dell’avvicinamento della flotta giapponese furono captati dagli americani e inspiegabilmente ignorati, nonostante tutte le avvisaglie di possibili ostilità; è assolutamente inconcepibile, alla luce del semplice buonsenso, che una squadra navale come quella agli ordini dell’ammiraglio Yamamoto potesse avvicinarsi a una base come Pearl Harbor senza essere in qualche modo avvistata.
E dunque? Gli americani non avevano alcuna voglia di farsi trascinare nuovamente in una guerra in Europa, il ricordo del Primo Conflitto Mondiale con i suoi massacri era ancora troppo presente nella coscienza popolare e forse, in fin dei conti, Nazismo e Fascismo non costituivano una grande preoccupazione per gli statunitensi, anzi: il Duce non era affatto malvisto in America... ma il Giappone faceva parte del Tripartito e se avesse attaccato gli Stati Uniti, meglio ancora se proditoriamente, sarebbe stato giocoforza dichiarare guerra a Italia e Germania.
Non vogliamo andare oltre, abbiamo già dato sufficienti spunti di riflessione: Roosvelt voleva entrare in guerra, perchè temeva che una vittoria dell’Asse in Europa unita all’espansionismo nipponico avrebbero potuto pregiudicare più o meno gravemente gli interessi dell’America o addirittura una entrata in guerra successiva e magari in condizioni di inferiorità.
Pearl Harbor e 11 settembre: due “catastrofi” alla fine rivelatesi provvidenziali, per l’America, forse troppo, forse in modo sospetto e a chi obietta che tali accadimenti sono costati migliaia di vittime innocenti non possiamo che controbattere che il rischio di versare sangue innocente non ha mai fermato la belva umana, in nessuna epoca.
E’ notizia di questi giorni che il presidente iraniano Ahmadinejad, parlando alle Nazioni Unite, abbia, e non per la prima volta, accusato gli Stati Uniti di essersi “procurati da soli” il disastro dell’11 settembre. Immediata, sdegnata uscita dall’aula dei rappresentanti statunitensi ed europei.
Eppure... eppure non è certamente stato il presidente iraniano il primo ad insinuare tale grave, orribile dubbio: sull’argomento lo scrittore statunitense D. R. Griffin ha scritto un interessantissimo libro che evidenzia le numerose, inoppugnabili incongruenze della tragedia.
Vediamone alcune: innanzitutto la non intercettazione, da parte dell’aviazione militare americana, dei velivoli di linea dirottati: se un volo commerciale non rispetta il piano di volo, scatta immediato l’allarme, ma non basta: il personale di bordo dell’American Airlines 11 tramite radio di bordo era riuscito ad avvertire che era in atto un dirottamento così come erano riusciti a segnalarlo, tramite cellulare, alcuni passeggeri dell’United Airlines 93: come mai la migliore aviazione militare del mondo non è intervenuta?
Ma andiamo avanti: lo schianto degli aerei contro le torri non è simultaneo e, ancora, i tempi tecnici per l’intervento dell’aviazione militare c’erano: ormai lo sapevano anche le pietre che nei cieli americani erano in volo aerei dirottati.
Sul fatto che strutture come le torri gemelle non potessero venir giù come castelli di carte anche se colpite da aeromobili si è ampiamente dibattuto ma, attenzione: alle 10,05 crolla la torre sud e alle 10,28 la torre nord... e allora, come si spiega che alle 17, 20 crolla il World Trade Center 7, non colpito dagli aerei?
Si dice che un quarto aereo abbia colpito il Pentagono ma, a parte i danni veramente esigui e non certamente paragonabili al crollo delle torri, non è stato trovato alcun relitto d’aereo nei pressi dell’edificio, non soltanto ma il segretario alla Difesa Rumsfeld in un’intervista del 12 ottobre 2001 si lasciò sfuggire una frase riguardo al “missile usato dai terroristi per colpire il Pentagono”...
In realtà, le incongruenze, anzi le vere e proprie assurdità nell’intera vicenda sono moltissime e fanno il paio, si può dire, con la fola delle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein, mai trovate. E’ un fatto, però, che le due cose, 11 settembre e armi di distruzione di massa in mano agli iracheni, costituirono il pretesto per l’invasione dell’Iraq.
A questo punto, viene in mente un altro pretesto... pardon, un altro episodio, assai più lontano nel tempo e nello spazio, verificatosi alle Hawaii nel dicembre 1941 e precisamente a Pearl Harbor.
All’epoca, l’America riforniva il Giappone di petrolio e minerale di ferro ma, dopo l’invasione da parte dell’Impero del Sol Levante di Manciuria e Indocina, gli Stati Uniti, affiancati naturalmente dall’Inghilterra, imposero ai nipponici uno strettissimo embargo (similmente a quanto avvenne in Europa con l’Italia, sempre per la questione coloniale); al riguardo, una semplice considerazione o domanda, che dir si voglia e non è una domanda retorica, vorremmo veramente che qualcuno ci desse chiarimenti in merito: come mai nessuno, né gli Usa né altre potenze all’epoca, alzò mai un dito né disse mai una parola contro la politica coloniale inglese, francese, olandese... una risposta, prego.
Il Giappone tentò in tutti i modi di evitare il confronto con l’America: nell’ottobre ‘41 il principe Konoye propose al presidente Roosvelt un incontro ad Honolulu, presenti anche i responsabili dell’esercito e della marina nipponici ma tale proposta venne rifiutata: è impensabile, a questo punto, che il governo americano potesse nutrire dubbi sull’inevitabilità o quanto meno la possibilità di un conflitto. Occorre inoltre aggiungere che l’attacco a Pearl Harbor non era affatto dato per scontato ma subordinato all’esito delle trattative nippo-americane; nonostante la consegna assoluta dell’ammiraglio Yamamoto al silenzio radio, tale consegna non fu rispettata appieno e messaggi radio nipponici furono captati dagli americani che avevano già decrittato da oltre un anno i cifrari giapponesi; nonostante la rotta più lunga adottata da Yamamoto per evitare di essere avvistati, segnali dell’avvicinamento della flotta giapponese furono captati dagli americani e inspiegabilmente ignorati, nonostante tutte le avvisaglie di possibili ostilità; è assolutamente inconcepibile, alla luce del semplice buonsenso, che una squadra navale come quella agli ordini dell’ammiraglio Yamamoto potesse avvicinarsi a una base come Pearl Harbor senza essere in qualche modo avvistata.
E dunque? Gli americani non avevano alcuna voglia di farsi trascinare nuovamente in una guerra in Europa, il ricordo del Primo Conflitto Mondiale con i suoi massacri era ancora troppo presente nella coscienza popolare e forse, in fin dei conti, Nazismo e Fascismo non costituivano una grande preoccupazione per gli statunitensi, anzi: il Duce non era affatto malvisto in America... ma il Giappone faceva parte del Tripartito e se avesse attaccato gli Stati Uniti, meglio ancora se proditoriamente, sarebbe stato giocoforza dichiarare guerra a Italia e Germania.
Non vogliamo andare oltre, abbiamo già dato sufficienti spunti di riflessione: Roosvelt voleva entrare in guerra, perchè temeva che una vittoria dell’Asse in Europa unita all’espansionismo nipponico avrebbero potuto pregiudicare più o meno gravemente gli interessi dell’America o addirittura una entrata in guerra successiva e magari in condizioni di inferiorità.
Pearl Harbor e 11 settembre: due “catastrofi” alla fine rivelatesi provvidenziali, per l’America, forse troppo, forse in modo sospetto e a chi obietta che tali accadimenti sono costati migliaia di vittime innocenti non possiamo che controbattere che il rischio di versare sangue innocente non ha mai fermato la belva umana, in nessuna epoca.

di Leonardo Incorvai