19 novembre 2010

In arrivo il governo dei banchieri


di Andrew Spannaus



Dietro allo scontro politico italiano lo spettro della "cura greca" chiesta dalla finanza internazionale

Un'analisi attenta della politica e della storia ci deve sempre portare a guardare i processi sottostanti, e non solo gli eventi particolari. Seguendo questo metodo socratico diventa facile capire come il subbuglio creatosi tra i partiti italiani nel periodo recente ha poco a che fare con gli scandali di Berlusconi e Fini, o anche con le posizioni (molto mutevoli) adottate dai leader di partito da un giorno ad un altro. La realtà è che da molti mesi è in atto un processo inteso a sostituire il governo italiano con un esecutivo tecnico, con il compito di attuare "riforme" urgenti che sono ben più difficili da attuare quando i partiti devono rispondere direttamente ai propri elettori.

Basta uno sguardo veloce oltre ai propri confini per capire la direzione generale. Mentre il governatore della BCE Trichet chiede tagli alle pensioni, e i "mercati" esigono credibilità nel ridurre i deficit di bilancio, sono stati annunciati piani di austerità in numerose nazioni.

I casi menzionati sulla stampa sono solo quelli dove le resistenze della popolazione sono più forti, per esempio il Regno Unito, la Francia, e la Grecia. Negli Stati Uniti la Commissione Fiscale istituita dal presidente Barack Obama ha cominciato ad annunciare le sue proposte di forti tagli alla spesa statale, a partire dalla Social Security (beninteso, difendendo la riduzione delle tasse per i più ricchi, ma senza considerare misure contro la speculazione finanziaria). Così, la situazione italiana va vista nel contesto di una spinta internazionale verso misure di austerità pesanti, guidata proprio da quegli interessi finanziari che da decenni vedono nello Stato l'ostacolo principale alla loro "libertà" di mercato.

Da questo punto di vista il Governo Berlusconi rappresenta un impedimento alle misure richieste. Certo, sotto la minaccia di un attacco al debito pubblico italiano l'esecutivo ha già seguito una linea di rigore, bloccando gli investimenti che sarebbero necessari per l'economia reale. Per non parlare del fatto che i margini di manovra dei governi nazionali sono stati ridotti di parecchio dalla normativa comunitaria, in cui si sono codificate le politiche in stile FMI che mirano a gestire i parametri monetari a prescindere dalla progressiva distruzione di ricchezza nell'economia reale. Ma la finanza internazionale non si fida di questo governo, e in modo particolare del Ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Si ricordi che l'Italia è stata tra i pochi paesi a non rifinanziare le banche durante la crisi degli ultimi tre anni; i cosiddetti Tremonti Bonds, che impongono dei vincoli a favore dell'investimento produttivo, non sono stati accettati dalle più grosse banche italiane, e hanno provocato uno dei tanti scontri pubblici tra il Ministro e Mario Draghi, che si è lamentato dell'interferenza politica nell'economia. E la cooperazione internazionale portata avanti dall'Italia in zone difficili - per esempio con Vladimir Putin e la Russia - dà non poco fastidio ai manipolatori della geopolitica a Washington, Londra e Bruxelles.

Gli alleati della City puntano alla formazione di un governo tecnico, per gestire l'emergenza. I partiti di opposizione ci pensino bene prima di accettare una tale soluzione nella speranza di cambiare la legge elettorale; basta ascoltare attentamente le dichiarazioni di alcuni politici di peso (anche tra le proprie file) per capire che i compiti di un esecutivo tecnico andrebbero ben oltre. Si parla di emergenza economica, dei governi tecnici degli anni Novanta come punto di riferimento, e di riforme strutturali per garantire la stabilità del paese.

Quali sarebbero queste riforme strutturali? Di nuovo, la lista è già stata resa pubblica: tagli pesanti alla previdenza sociale, la privatizzazione delle municipalizzate (bloccata dalla Lega Nord), e l'ulteriore liberalizzazione di ogni servizio pubblico. I nomi più accreditati sono quelli di Mario Draghi e Luca Cordero di Montezemolo. Il modello economico del primo è ben noto: la correttezza delle regole per garantire che la speculazione mantenga il dominio sull'economia produttiva; per quanto riguarda il secondo, considerando come intende mettere le mani sui profitti dell'alta velocità ferroviaria - lasciando allo Stato gli investimenti e le perdite - si capisce dove ci porterebbe.

Una recente mozione presentata da Francesco Rutelli al Senato parla chiaro:

"... e) le liberalizzazioni sono urgenti, e va tradotta in disposizioni legislative la segnalazione al Governo del febbraio 2010 da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, riguardante i mercati dei servizi pubblici (postali, ferroviari, autostradali e aeroportuali), energetici (carburanti e filiera del gas), bancario-assicurativi, degli affidamenti pubblici e di tutela dei consumatori. Vanno recepite nella Costituzione le norme dei Trattati UE sulla concorrenza. Vanno rafforzate le norme in materia di servizi pubblici locali: troppi monopoli stanno spingendo verso l'alto le tariffe... " (1-00314 del 6 ottobre 2010).

L'incessante richiesta di liberalizzazioni e tagli alla spesa pubblica è il marchio di fabbrica di coloro che hanno creato la crisi economica attuale, ben lontani dalle misure rooseveltiane che potrebbero innescare una ripresa vera. Niente investimenti pubblici, niente misure punitive contro la speculazione finanziaria, e niente protezioni per i settori produttivi. È la "mano invisibile" che porta via l'industria e i risparmi...

I politici di tutti gli schieramenti farebbero bene a guardare oltre quello che al momento sembra il loro interesse particolare, e chiedersi se non sarebbe ora di incentrare il dibattito pubblico sui contenuti veri dietro ai disegni portati avanti in questo momento: in primo luogo, per onestà, perché la popolazione ha il diritto di sapere le conseguenze vere degli scontri in atto; perché, inoltre, in questo modo, le forze che si ispirano ancora al bene comune potranno trovare il sostegno necessario per bloccare un progetto che sarebbe disastroso per il paese.

17 novembre 2010

11 settembre : Thermite, debunking e onere della prova

Da qualche tempo sta iniziando ad accadere nel dibattito sull’11 settembre la stessa cosa che è accaduta con il caso Kennedy: una volta esaurite la raccolta e la presentazione di tutti gli elementi che contraddicono la versione ufficiale, il dibattito si cristallizza su alcuni aspetti specifici della vicenda, ed apre una serie di discussioni secondarie che sono destinate a restare irrisolte per propria natura, mentre rischiano di allontanare l’attenzione dal problema centrale.

A causare questo problema sono spesso gli stessi “complottisti”, che nell’impeto di voler dimostrare a tutti i costi la propria tesi si spingono a dare spiegazioni che non gli competono, assumendosi in quel modo l’onere della prova. Fanno così un piacere immenso al debunker, che non vedeva l’ora di liberarsi da quel peso, e che può adesso scorrazzare liberamente su un territorio nel quale può finalmente giocare al contrattacco.

E’ stato il caso del “proiettile magico” nell’omicidio Kennedy, salito alla ribalta con il film “JFK” di Oliver Stone, e lo sta diventando nell’11 settembre la questione della thermite nelle Torri Gemelle.

Con il tentativo di dimostrare l’impossibilità del proiettile magico, infatti, Stone si è assunto l’onere della prova, e lo ha fatto anche – thank you very much - per conto di tutti gli altri “complottisti” del caso Kennedy. Da quel momento in poi la macchina mondiale del debunking ha avuto gioco facile, ...

... mostrando come la traiettoria del proiettile non fosse necessariamente impossibile. Altamente improbabile, certamente, ma non per questo impossibile, e come sappiamo al debunker "il pareggio" basta e avanza. Nel frattempo – guarda un pò che fortuna – il fronte ufficialista non ha più dovuto dimostrare come Oswald abbia potuto agire da solo, mentre uno sguardo più attento al Rapporto Warren rivela come in realtà l’omonima Commissione non ci abbia mai spiegato la precisa sequenza temporale con cui Oswald avrebbe esploso i tre colpi sparati dal Book Depository.

Io ritengo infatti assolutamente impossibile stabilire una qualunque sequenza temporale per i tre spari di Oswald (usando come riferimento il filmato di Zapruder), che riesca a riconciliare tutti gli elementi fattuali riscontrati in seguito in Dealey Plaza. (Chi è interessato ai particolari può leggere questa pagina).

Rimane quindi agli ufficialisti spiegare la precisa modalità con cui Oswald avrebbe agito, prima che qualunque “complottista” si assuma l'onere di dimostrare il contrario. Invece, da quando è stato sollevato il polverone del “magic bullet”, il dibattito si è spostato su quell’argomento, e da lì non si è più schiodato negli ultimi 20 anni. Un vero e proprio sogno, per i debunkers.

Ora la stessa cosa sta accadendo con la thermite nell’11 settembre. Stufi di raccogliere ed elencare indizi su indizi, molti “complottisti” stanno calcando la mano sulle dimostrazioni – lampanti, peraltro - fornite nel tempo da personaggi come Steven Jones o Niels Harritt, della presenza dei residui di thermite nelle polveri delle Torri Gemelle. Ma queste sono dimostrazioni complesse e articolate, e lungo il loro percorso è sempre possibile trovare una obiezione qualunque che renda la presenza della thermite da “dimostrata” a soltanto “probabile”. Di fatto, come abbiamo visto, i lavori di Harritt e di Jones non hanno sortito alcun effetto contro la versione ufficiale. Solo una massa enorme di polvere in più.

Perdersi quindi oggi in un dibattito secondario di quel tipo – per quanto possa sembrare allettante, vista la forza dell’evidenza presentata – equivale ad offrire al debunker occasioni infinite per ribattere su un terreno troppo vasto e labile per essere comunque conclusivo. Basta un filmato dei “Mythbusters” - come è accaduto di recente - nel quale si dice che la thermite non taglia l’acciaio, e la tua bella dimostrazione è andata a farsi benedire. Che poi i Mythbusters mentissero spudoratamente non conta nulla, a livello mediatico: il danno ormai è fatto, perchè ora dovresti dimostrare che "non è vero che non è vero", e la strada da qui in poi può soltanto allargarsi, invece di restringersi. Nel frattempo, resta ancora da spiegare la dinamica completa del presunto crollo gravitazionale dei tre edifici.

Sia chiaro, non sto invitando gli amici “complottisti” a desistere da questo tipo di discussioni, anzi, mi auguro che si battano con tutte le forze che hanno in corpo nei vari forum a cui partecipano (compreso il nostro). Vorrei però metterli in guardia su un pericolo molto serio come quella della compartimentalizzazione del dibattito – lo scopo ultimo di ogni debunker al mondo - invitandoli nel contempo a non perdere mai di vista “the big picture”.

Non siamo noi a dover spiegare come sono crollate le Torri Gemelle, ma è chi sostiene che siano cadute da sole a doverci dire come avrebbero fatto, viste le obiezioni che abbiamo sollevato in merito. Come sappiamo infatti, queste spiegazioni dettagliate nei rapporti del NIST non si trovano, esattamente come nel Rapporto Warren non si trova la spiegazione dettagliata di come Oswald avrebbe agito da solo.

Già ci hanno mentito in modo plateale, evitiamo almeno di fargli il piacere di non dover più rispondere alle nostre domande.




NOTA: Ho usato “thermite” (in inglese) in senso generico, riferendomi a tutte le variazioni di prodotto che si possono ottenere da quel composto chimico.

di Massimo Mazzucco

16 novembre 2010

Vivere felici in barba agli economisti…

Nei giorni scorsi ho scritto un articolo sul miracolo del North Dakota, l’unico Stato americano che ha rifiutato di aderire al Federal Reserve System. L’ho scritto seguendo il suggerimento di uno dei partecipanti più assidui di questo blog, Silvio, che sono lieto di ringraziare. Potete leggere l’articolo qui. . La morale é molto semplice: felicità è vivere senza la Fed. Ovvero: il North Dakota dipende da una Banca centrale indipendente, la quale, anziché rincorrere e propagare le chimere dei mercati finanziari, opera dal 1920 al servizio della comunità con risultati strepitosi: crescita sostenuta, nessun deficit, disoccupazione bassissima. Al punto che molti altri Stati come California e Florida vogliono imitarla.

Oltre a questo articolo ne segnalo un altro, uscito venerdì e che riguarda l’Italia. Ho incontrato Marco Fortis, che considero uno dei pochi economisti italiani capaci di sviluppare un pensiero autonomo e innovativo, il quale rivela che le aziende italiane sono seconde solo alla Germania in termini di competitività nel commercio mondiale e dunque davanti alla Cina, dato questo sconosciuto ai più. Inoltre Fortis sostiene che, in tema di riforme per l’Italia, sia sbagliato continuare a inseguire modelli stranieri, in quanto da un lato sono illusori (vedi capitalismo anglosassone basato sul debito privato), dall’altro non pertinenti (vedi capitalismo tedesco caratterizzato dalla presenza di diversi grandi gruppi, che invece mancano in Italia). Secondo Fortis per rilanciare l’Italia bisogna predisporre delle riforme che consentano di valorizzare i suoi punti di forza (quello che lui chiama quarto capitalismo votato all’export), con scelte ad hoc e all’occorrenza anticonformiste.

E’ una tesi di buon senso che condivido senza esitazione e di cui in parte avevamo parlato anche su questo blog.

Il messaggio é: per prosperare davvero bisogna avere la forza di non lasciarsi lavare il cervello dalla propaganda e di trovare formule adatte alla propria realtà, infischiandosene dei moniti e dei latrati della maggior parte degli economisti.

Come ha fatto il North Dakota. E come può, anzi deve, fare anche l’Italia.

O sbaglio?

di Marcello Foa

19 novembre 2010

In arrivo il governo dei banchieri


di Andrew Spannaus



Dietro allo scontro politico italiano lo spettro della "cura greca" chiesta dalla finanza internazionale

Un'analisi attenta della politica e della storia ci deve sempre portare a guardare i processi sottostanti, e non solo gli eventi particolari. Seguendo questo metodo socratico diventa facile capire come il subbuglio creatosi tra i partiti italiani nel periodo recente ha poco a che fare con gli scandali di Berlusconi e Fini, o anche con le posizioni (molto mutevoli) adottate dai leader di partito da un giorno ad un altro. La realtà è che da molti mesi è in atto un processo inteso a sostituire il governo italiano con un esecutivo tecnico, con il compito di attuare "riforme" urgenti che sono ben più difficili da attuare quando i partiti devono rispondere direttamente ai propri elettori.

Basta uno sguardo veloce oltre ai propri confini per capire la direzione generale. Mentre il governatore della BCE Trichet chiede tagli alle pensioni, e i "mercati" esigono credibilità nel ridurre i deficit di bilancio, sono stati annunciati piani di austerità in numerose nazioni.

I casi menzionati sulla stampa sono solo quelli dove le resistenze della popolazione sono più forti, per esempio il Regno Unito, la Francia, e la Grecia. Negli Stati Uniti la Commissione Fiscale istituita dal presidente Barack Obama ha cominciato ad annunciare le sue proposte di forti tagli alla spesa statale, a partire dalla Social Security (beninteso, difendendo la riduzione delle tasse per i più ricchi, ma senza considerare misure contro la speculazione finanziaria). Così, la situazione italiana va vista nel contesto di una spinta internazionale verso misure di austerità pesanti, guidata proprio da quegli interessi finanziari che da decenni vedono nello Stato l'ostacolo principale alla loro "libertà" di mercato.

Da questo punto di vista il Governo Berlusconi rappresenta un impedimento alle misure richieste. Certo, sotto la minaccia di un attacco al debito pubblico italiano l'esecutivo ha già seguito una linea di rigore, bloccando gli investimenti che sarebbero necessari per l'economia reale. Per non parlare del fatto che i margini di manovra dei governi nazionali sono stati ridotti di parecchio dalla normativa comunitaria, in cui si sono codificate le politiche in stile FMI che mirano a gestire i parametri monetari a prescindere dalla progressiva distruzione di ricchezza nell'economia reale. Ma la finanza internazionale non si fida di questo governo, e in modo particolare del Ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Si ricordi che l'Italia è stata tra i pochi paesi a non rifinanziare le banche durante la crisi degli ultimi tre anni; i cosiddetti Tremonti Bonds, che impongono dei vincoli a favore dell'investimento produttivo, non sono stati accettati dalle più grosse banche italiane, e hanno provocato uno dei tanti scontri pubblici tra il Ministro e Mario Draghi, che si è lamentato dell'interferenza politica nell'economia. E la cooperazione internazionale portata avanti dall'Italia in zone difficili - per esempio con Vladimir Putin e la Russia - dà non poco fastidio ai manipolatori della geopolitica a Washington, Londra e Bruxelles.

Gli alleati della City puntano alla formazione di un governo tecnico, per gestire l'emergenza. I partiti di opposizione ci pensino bene prima di accettare una tale soluzione nella speranza di cambiare la legge elettorale; basta ascoltare attentamente le dichiarazioni di alcuni politici di peso (anche tra le proprie file) per capire che i compiti di un esecutivo tecnico andrebbero ben oltre. Si parla di emergenza economica, dei governi tecnici degli anni Novanta come punto di riferimento, e di riforme strutturali per garantire la stabilità del paese.

Quali sarebbero queste riforme strutturali? Di nuovo, la lista è già stata resa pubblica: tagli pesanti alla previdenza sociale, la privatizzazione delle municipalizzate (bloccata dalla Lega Nord), e l'ulteriore liberalizzazione di ogni servizio pubblico. I nomi più accreditati sono quelli di Mario Draghi e Luca Cordero di Montezemolo. Il modello economico del primo è ben noto: la correttezza delle regole per garantire che la speculazione mantenga il dominio sull'economia produttiva; per quanto riguarda il secondo, considerando come intende mettere le mani sui profitti dell'alta velocità ferroviaria - lasciando allo Stato gli investimenti e le perdite - si capisce dove ci porterebbe.

Una recente mozione presentata da Francesco Rutelli al Senato parla chiaro:

"... e) le liberalizzazioni sono urgenti, e va tradotta in disposizioni legislative la segnalazione al Governo del febbraio 2010 da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, riguardante i mercati dei servizi pubblici (postali, ferroviari, autostradali e aeroportuali), energetici (carburanti e filiera del gas), bancario-assicurativi, degli affidamenti pubblici e di tutela dei consumatori. Vanno recepite nella Costituzione le norme dei Trattati UE sulla concorrenza. Vanno rafforzate le norme in materia di servizi pubblici locali: troppi monopoli stanno spingendo verso l'alto le tariffe... " (1-00314 del 6 ottobre 2010).

L'incessante richiesta di liberalizzazioni e tagli alla spesa pubblica è il marchio di fabbrica di coloro che hanno creato la crisi economica attuale, ben lontani dalle misure rooseveltiane che potrebbero innescare una ripresa vera. Niente investimenti pubblici, niente misure punitive contro la speculazione finanziaria, e niente protezioni per i settori produttivi. È la "mano invisibile" che porta via l'industria e i risparmi...

I politici di tutti gli schieramenti farebbero bene a guardare oltre quello che al momento sembra il loro interesse particolare, e chiedersi se non sarebbe ora di incentrare il dibattito pubblico sui contenuti veri dietro ai disegni portati avanti in questo momento: in primo luogo, per onestà, perché la popolazione ha il diritto di sapere le conseguenze vere degli scontri in atto; perché, inoltre, in questo modo, le forze che si ispirano ancora al bene comune potranno trovare il sostegno necessario per bloccare un progetto che sarebbe disastroso per il paese.

17 novembre 2010

11 settembre : Thermite, debunking e onere della prova

Da qualche tempo sta iniziando ad accadere nel dibattito sull’11 settembre la stessa cosa che è accaduta con il caso Kennedy: una volta esaurite la raccolta e la presentazione di tutti gli elementi che contraddicono la versione ufficiale, il dibattito si cristallizza su alcuni aspetti specifici della vicenda, ed apre una serie di discussioni secondarie che sono destinate a restare irrisolte per propria natura, mentre rischiano di allontanare l’attenzione dal problema centrale.

A causare questo problema sono spesso gli stessi “complottisti”, che nell’impeto di voler dimostrare a tutti i costi la propria tesi si spingono a dare spiegazioni che non gli competono, assumendosi in quel modo l’onere della prova. Fanno così un piacere immenso al debunker, che non vedeva l’ora di liberarsi da quel peso, e che può adesso scorrazzare liberamente su un territorio nel quale può finalmente giocare al contrattacco.

E’ stato il caso del “proiettile magico” nell’omicidio Kennedy, salito alla ribalta con il film “JFK” di Oliver Stone, e lo sta diventando nell’11 settembre la questione della thermite nelle Torri Gemelle.

Con il tentativo di dimostrare l’impossibilità del proiettile magico, infatti, Stone si è assunto l’onere della prova, e lo ha fatto anche – thank you very much - per conto di tutti gli altri “complottisti” del caso Kennedy. Da quel momento in poi la macchina mondiale del debunking ha avuto gioco facile, ...

... mostrando come la traiettoria del proiettile non fosse necessariamente impossibile. Altamente improbabile, certamente, ma non per questo impossibile, e come sappiamo al debunker "il pareggio" basta e avanza. Nel frattempo – guarda un pò che fortuna – il fronte ufficialista non ha più dovuto dimostrare come Oswald abbia potuto agire da solo, mentre uno sguardo più attento al Rapporto Warren rivela come in realtà l’omonima Commissione non ci abbia mai spiegato la precisa sequenza temporale con cui Oswald avrebbe esploso i tre colpi sparati dal Book Depository.

Io ritengo infatti assolutamente impossibile stabilire una qualunque sequenza temporale per i tre spari di Oswald (usando come riferimento il filmato di Zapruder), che riesca a riconciliare tutti gli elementi fattuali riscontrati in seguito in Dealey Plaza. (Chi è interessato ai particolari può leggere questa pagina).

Rimane quindi agli ufficialisti spiegare la precisa modalità con cui Oswald avrebbe agito, prima che qualunque “complottista” si assuma l'onere di dimostrare il contrario. Invece, da quando è stato sollevato il polverone del “magic bullet”, il dibattito si è spostato su quell’argomento, e da lì non si è più schiodato negli ultimi 20 anni. Un vero e proprio sogno, per i debunkers.

Ora la stessa cosa sta accadendo con la thermite nell’11 settembre. Stufi di raccogliere ed elencare indizi su indizi, molti “complottisti” stanno calcando la mano sulle dimostrazioni – lampanti, peraltro - fornite nel tempo da personaggi come Steven Jones o Niels Harritt, della presenza dei residui di thermite nelle polveri delle Torri Gemelle. Ma queste sono dimostrazioni complesse e articolate, e lungo il loro percorso è sempre possibile trovare una obiezione qualunque che renda la presenza della thermite da “dimostrata” a soltanto “probabile”. Di fatto, come abbiamo visto, i lavori di Harritt e di Jones non hanno sortito alcun effetto contro la versione ufficiale. Solo una massa enorme di polvere in più.

Perdersi quindi oggi in un dibattito secondario di quel tipo – per quanto possa sembrare allettante, vista la forza dell’evidenza presentata – equivale ad offrire al debunker occasioni infinite per ribattere su un terreno troppo vasto e labile per essere comunque conclusivo. Basta un filmato dei “Mythbusters” - come è accaduto di recente - nel quale si dice che la thermite non taglia l’acciaio, e la tua bella dimostrazione è andata a farsi benedire. Che poi i Mythbusters mentissero spudoratamente non conta nulla, a livello mediatico: il danno ormai è fatto, perchè ora dovresti dimostrare che "non è vero che non è vero", e la strada da qui in poi può soltanto allargarsi, invece di restringersi. Nel frattempo, resta ancora da spiegare la dinamica completa del presunto crollo gravitazionale dei tre edifici.

Sia chiaro, non sto invitando gli amici “complottisti” a desistere da questo tipo di discussioni, anzi, mi auguro che si battano con tutte le forze che hanno in corpo nei vari forum a cui partecipano (compreso il nostro). Vorrei però metterli in guardia su un pericolo molto serio come quella della compartimentalizzazione del dibattito – lo scopo ultimo di ogni debunker al mondo - invitandoli nel contempo a non perdere mai di vista “the big picture”.

Non siamo noi a dover spiegare come sono crollate le Torri Gemelle, ma è chi sostiene che siano cadute da sole a doverci dire come avrebbero fatto, viste le obiezioni che abbiamo sollevato in merito. Come sappiamo infatti, queste spiegazioni dettagliate nei rapporti del NIST non si trovano, esattamente come nel Rapporto Warren non si trova la spiegazione dettagliata di come Oswald avrebbe agito da solo.

Già ci hanno mentito in modo plateale, evitiamo almeno di fargli il piacere di non dover più rispondere alle nostre domande.




NOTA: Ho usato “thermite” (in inglese) in senso generico, riferendomi a tutte le variazioni di prodotto che si possono ottenere da quel composto chimico.

di Massimo Mazzucco

16 novembre 2010

Vivere felici in barba agli economisti…

Nei giorni scorsi ho scritto un articolo sul miracolo del North Dakota, l’unico Stato americano che ha rifiutato di aderire al Federal Reserve System. L’ho scritto seguendo il suggerimento di uno dei partecipanti più assidui di questo blog, Silvio, che sono lieto di ringraziare. Potete leggere l’articolo qui. . La morale é molto semplice: felicità è vivere senza la Fed. Ovvero: il North Dakota dipende da una Banca centrale indipendente, la quale, anziché rincorrere e propagare le chimere dei mercati finanziari, opera dal 1920 al servizio della comunità con risultati strepitosi: crescita sostenuta, nessun deficit, disoccupazione bassissima. Al punto che molti altri Stati come California e Florida vogliono imitarla.

Oltre a questo articolo ne segnalo un altro, uscito venerdì e che riguarda l’Italia. Ho incontrato Marco Fortis, che considero uno dei pochi economisti italiani capaci di sviluppare un pensiero autonomo e innovativo, il quale rivela che le aziende italiane sono seconde solo alla Germania in termini di competitività nel commercio mondiale e dunque davanti alla Cina, dato questo sconosciuto ai più. Inoltre Fortis sostiene che, in tema di riforme per l’Italia, sia sbagliato continuare a inseguire modelli stranieri, in quanto da un lato sono illusori (vedi capitalismo anglosassone basato sul debito privato), dall’altro non pertinenti (vedi capitalismo tedesco caratterizzato dalla presenza di diversi grandi gruppi, che invece mancano in Italia). Secondo Fortis per rilanciare l’Italia bisogna predisporre delle riforme che consentano di valorizzare i suoi punti di forza (quello che lui chiama quarto capitalismo votato all’export), con scelte ad hoc e all’occorrenza anticonformiste.

E’ una tesi di buon senso che condivido senza esitazione e di cui in parte avevamo parlato anche su questo blog.

Il messaggio é: per prosperare davvero bisogna avere la forza di non lasciarsi lavare il cervello dalla propaganda e di trovare formule adatte alla propria realtà, infischiandosene dei moniti e dei latrati della maggior parte degli economisti.

Come ha fatto il North Dakota. E come può, anzi deve, fare anche l’Italia.

O sbaglio?

di Marcello Foa