09 febbraio 2011

Cosa succede dopo Mubarak?



Il verso contenuto in HMS Pinafore di Gilbert e Sullivan spiega bene cosa sta succedendo ora in Egitto e forse anche in altri posti della regione; infatti recita: “Di rado le cose sono come appaiono. Il latte scremato si maschera da panna fresca”.

La rabbia viscerale che si vede per le strade è vera. Piuttosto, ciò che desta sospetto è chi sta orchestrando il tutto e Washington sembra star realizzando il cambio di regime, a lungo pianificato, in modo da cambiare i volti per proseguire con le vecchie politiche, lasciando intatti i problemi di fondo. Un copione ben conosciuto.

Nel suo libro “Freedom Next Time”, John Pilger ha discusso del tradimento di Nelson Mandela nel Sud Africa del dopo apartheid, nell’accogliere ciò che lui ha chiamato “thatcherismo”, dicendo a Pilger: “ Lo si può etichettare come si vuole, anche Thatcherite ma di fatto in questo paese le privatizzazioni sono la regola fondamentale”

Nel 1990, due settimane prima della sua liberazione, disse:

“La nazionalizzazione delle miniere, delle banche e dei monopoli industriali fanno parte della proposta politica dell’ ANC e (pensare di cambiare) la nostra idea.. è inconcepibile. La concessione di potere economico alla popolazione nera è un obiettivo che ci poniamo, ma in questa situazione è inevitabile il controllo statale di alcuni settori."

Nel 1955, quell’idea diede origine alla Freedom Charter Policy dell’ANC. La sua battaglia per la liberazione non era solo politica ma anche economica. I minatori bianchi guadagnavano 10 volte più dei neri e i grandi gruppi industriali ricorrevano alle forze di sicurezza per far sparire i dissidenti, assicurando in questo modo l’ordine.

Dopo l’apartheid un nuovo percorso si rendeva possibile; Mandela si prese la responsabilità di guidarlo rifiutando la logica del mercato ortodosso in cambio di giustizia economica. Nel 1994 i candidati dell’ANC vinsero con ampio margine le elezioni. Nonostante una transizione pacifica, non si è arrivati ad alcun cambio ma piuttosto al tradimento. I sudafricani neri diventarono ostaggi dei rapaci capitalisti. Lo sono ancora ed è molto peggio che durante l’apartheid.

Anche il New York Times se n’è accorto con l’articolo, a firma di Celia Dugger, pubblicato il 26 settembre 2010 col titolo: “Le leggi del reddito stritolano i poveri del Sudafrica”. Scrive la Dugger:

“Nei 16 anni dalla fine dell’apartheid il Sudafrica ha seguito le ricette dell’Occidente, aprendo la sua economia di mercato agli affari, controllando l’inflazione e il debito pubblico (secondo i diktat dell’FMI). Ha ricevuto i complimenti” ma ad un prezzo. “Per oltre un decennio il tasso di disoccupazione è stato tra i più alti al mondo”, peggiorato dalla crisi economica globale, “spazzando via oltre un milione di posti di lavoro”.
Il prezzo pagato ha incluso anche:

- Raddoppio del numero di popolazione impoverita col reddito di 1 dollaro al giorno, da 2 a 4 milioni;

- Raddoppio del tasso di disoccupazione fino al 48% nel periodo 1991-2002, ora anche più alto;

- Perdita della casa per due milioni di sudafricani mentre il governo ne ha costruite solo 1.8 milioni;

- Nel primo decennio con l’ANC alla guida, circa un milione aziende sono sparite; di conseguenza, gli insediamenti in baraccopoli sono aumentati del 50%;

- Nel 2006 il 25% dei sudafricani viveva in baracche senza acqua o corrente elettrica;

- Il tasso di diffusione dell’HIV/AIDS è circa del 20% della popolazione; di conseguenza l’aspettativa di vita è inferiore a quella del 1990;

- Il 40% delle scuole non ha corrente elettrica;

- Il 25% della popolazione non usufruisce di acqua potabile e la maggior parte non può pagarla;

- Il 60% ha servizi igienici inadeguati e il 40% non ha telefono.

Il dopo apartheid ha avuto un costo elevato, con la concessione di potere politico in cambio del tradimento economico, senza alcuna forma di sostentamento per i milioni di sudafricani che soffrono, vittime di un capitalismo rapace.

La Russia post comunista

La caduta del muro di Berlino sarebbe dovuta essere una vittoria per milioni di persone. Invece è stata una tragedia per la Russia e per gli stati post sovietici come Ucraina, Georgia, Estonia, Lettonia, Lituania e altri.

Nel marzo 1985, Mikhail Gorbaciov salì al potere con la promessa di cambiamenti politici e sociali, ma non è rimasto abbastanza per poterli guidare. Ha liberalizzato il paese, con l’introduzione delle elezioni, e ha favorito la (allora) democrazia sociale di tipo scandinavo, combinando il capitalismo di libero mercato con forti reti di protezione sociale. La sua visione era quella di “un faro socialista per l’umanità intera”, una società egualitaria, ma non ebbe la possibilità di realizzarla.

Quando l’Unione Sovietica collassò, lui fu cacciato. Boris Yeltsin lo sostituì all’insegna della dura ortodossia della Chicago School, mascherata con il nome di “riforme”.

Il capitalismo rapace ha devastato le vite dei russi, arricchendo una minoranza selezionata a spese dei poveri. Il dazio da pagare ha incluso:

- L’80% di impresari hanno dichiarato la bancarotta;

- Circa 70.000 aziende statali hanno chiuso, provocando un’epidemia di disoccupati;

- 74 milioni di russi (metà della popolazione) si è impoverita; le condizioni di 37 milioni di questi sono disperate e il sottoproletariato del paese è rimasto tale in modo permantente;

- È aumentato l’uso di droghe pesanti, alcol e antidolorifici

- Dal 1995 il tasso di HIV/AIDS è aumentato di 20 volte;

- Anche il tasso di suicidi è aumentato, quello del crimine violento è quadruplicato;

- La popolazione russa è diminuita di 700.000 individui all’anno prima di stabilizzarsi; il capitalismo sfrenato ha ucciso il 10% della popolazione – un’impressionante motivo per condannare un capitalismo eccessivo che fa male anche agli altri stati post sovietici.

La repressione ad Haiti in nome del Libero Mercato

Esclusi un breve periodo nel 1804 dopo che la liberazione rivoluzionaria liberò gli schiavi rendendoli cittadini e durante il mandato presidenziale di Jean-Bertrand Aristide, gli haitiani hanno subìto la rapacità dello sfruttamento capitalista che ha reso il paese uno dei più poveri della regione e del mondo intero. Anche prima del devastante terremoto del gennaio 2010, seguito da un enorme degrado e dall’infuriare del colera, il paese era gravato da:

- Controllo imperiale su modello coloniale operato dagli Stati Uniti

- Un’élite al comando con totale controllo sociale ed economico; l’economia, i media, le università, il commercio e gli affari in mano a sei famiglie;

- La distribuzione di ricchezza più iniqua dell’intera regione e del mondo intero;

- Metà della ricchezza del paese in mano all’1% della popolazione;

- In contrasto, l’80% della popolazione continua a vivere nell’estrema povertà;

- Tre quarti della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno e oltre la metà (56%) con meno di 1 dollaro al giorno;

- Il 5% della popolazione possiede il 75% delle terre coltivabili;

- Disoccupazione e sottocupazione inarrestabili; due terzi o più dei lavoratori senza lavori sicuri e la maggior parte di loro con paghe sotto la soglia della sussistenza; - Le misure strutturali decimano l’economia rurale, costringendo i contadini a dislocare verso le città per cercare lavoro che non esiste;

- Percentuale di pubblico impiego al minimo della regione, meno del 7%;

- L’aspettativa di vita è di appena 53 anni; il tasso di mortalità più alto nell’emisfero e mortalità infantile doppia rispetto alla media regionale di 76 bambini ogni mille;

- La banca mondiale colloca Haiti tra gli ultimi posti in quanto a servizi igienici, alimentazione scarsa, malnutrizione e servizi sanitari inadeguati;

- Oltre metà della popolazione a rischio per mancanza di cibo e metà dei bambini sottosviluppati per malnutrizione;

- Oltre metà della popolazione non ha accesso all’acqua potabile;

- Il tasso più alto di HIV/AIDS, esclusa l’Africa sub-sahariana

- Livello più basso di retribuzione della regione nelle maquiladoras per gli haitiani così fortunati da avere un lavoro;

- Chiamata la “Repubblica delle ONG”, molte di queste sfruttano gli haitiani in modo brutale per profitto;

- Il duraturo sistema dei “restavec”, che intrappola centinaia di migliaia di bambini alla schiavitù.

In generale gli Stati Uniti mantengono un dominio di stampo imperiale, controllano le risorse di Haiti, l’economia e la politica. Sfruttano gli abitanti in modo spietato, sfruttano le loro miniere e ne traggono profitti enormi e piazzano regimi nuovi senza alcuna differenza con quelli precedenti.

È una storia che si ripete a livello globale, inclusi Iraq e Afghanistan, piegati da guerre, occupazioni, torture, oppressione, povertà spaventosa e disoccupazione, assenza di sicurezza, di acqua pulita, di cibo sufficiente, di protezione, di servizi sanitari e di altri servizi essenziali. La ‘liberazione” americana ha provocato milioni di morti, malattie, fame, degrado, e terribili sofferenze umane mai affrontate. Inoltre, i livelli di privazione continuano a salire anche a livello domestico perché Washington rifiuta di occuparsene.

Commento finale

La decolonizzazione post seconda guerra mondiale ha prodotto regimi neocoloniali, politiche da Guerra Fredda, il Movimento dei paesi non allineati, crescita dei nazionalismi, conflitti etnici e dominio imperiale americano i cui tratti distintivi sono:

- Avversione per la democrazia;

- Sostegno agli uomini forti delle neocolonie, in modo particolare alle dittature che fanno gli interessi occidentali

- Uso diretto o indiretto della belligeranza per rafforzare il capitalismo mondiale e rendere il mondo un posto sicuro per i grandi affari.

I vecchi ordini sono passati. Ne sono emersi nuovi. Tutto è cambiato ma è rimasto lo stesso, mai come ora dominato dal capitale finanziario e le corporazioni monopolistiche, che controllano governi per i propri interessi a spesa di lavoratori sfruttati pesantemente a livello globale. Di conseguenza, il mondo oggi è caratterizzato dall’instabilità, standard di vita in declino, repressione violenta da arte della polizia di stato e da un’enorme sofferenza umana, in particolar modo in aree come il medioriente.

In tutta la regione la gente vuole la fine di questi regimi, un populismo rivoluzionario contrapposto all’oppressione che offre false pretese di cambiamento. Ne consegue che c'è da aspettarsi l’arrivo di nuovi volti pronti a perpetuare le stesse politiche, che non concedono niente se non quando la rabbia delle masse si fa sentire. Questa è la realtà oggi, sulla soluzione ancora ci sono dubbi ma i pronostici favoriscono sempre i forti.

di Stephen Lendman

Fonte: www.uruknet.info

07 febbraio 2011

L'Egitto e altri paesi arabi nel vortice del collasso globale

Come abbiamo riferito la scorsa settimana parlando della Tunisia, oltre 30 anni di globalizzazione, mercato libero e privatizzazioni con il corrispettivo disinvestimento nelle infrastrutture di base e nell'agricoltura hanno rovinato le economie del Medio Oriente e del Nordafrica. Con disoccupazione alle stelle e la miseria crescente, un'intera generazione tra i 18 e i 35 anni è stata ridotta alla disperazione, priva della speranza per il futuro.

Quanto è stato fatto all'Egitto ricalca come una fotocopia ciò che è avvenuto all'economia tunisina. All'inizio degli anni novanta, a seguito di un accordo con il FMI per dimezzare il debito estero, il governo egiziano accettò di privatizzare le imprese di stato, ridusse le tariffe alle importazioni di prodotti alimentari e prodotti tessili (pregiudicando la sopravvivenza di questi due settori interni), aumentò le esportazioni di beni come cotone e ortofrutta, eliminò i sussidi all'agricoltura e ai prezzi degli alimentari e dei carburanti.

Peggio di tutto fu la privatizzazione delle infrastrutture di base, come i trasporti, l'acqua e le telecomunicazioni, che condusse all'impennata dei costi per le piccole aziende agricole e manifatturiere. Furono avvantaggiati i grandi produttori, che si impadronirono del mercato. Ma la cosa più scandalosa, dal punto di vista della popolazione egiziana, è che dalle privatizzazioni si avvantaggiarono settori del governo e della comunità finanziaria, compresi membri della famiglia di Mubarak. Si creò una vasta area di corruzione negli strati dirigenti, rispondenti non agli interessi nazionali ma a quelli economici globali.

Da quando LaRouche e i suoi associati presentarono al governo egiziano, nel 1981-83, una politica per assicurare l'autosufficienza alimentare con grandi investimenti nelle infrastrutture idriche e agricole, sono stati sprecati 30 anni. Quella proposta fu sabotata da interessi anglo-americani rappresentati da gente come Henry Kissinger, la cui politica per l'Egitto e altri grandi paesi in via di sviluppo si riassumeva nell'obiettivo della riduzione demografica. La politica di aiuti americana ha reso l'Egitto dipendente dagli USA per garantire un minimo di accesso al cibo per la popolazione, mentre smantellava la produzione.

La situazione ora è che la popolazione non crede alle promesse di riforma di Mubarak, anche dopo che ha sostituito il governo. L'Egitto è chiave per la stabilità dell'intera regione mediorientale e per l'economia mondiale data l'importanza del canale di Suez. Però, come ha sottolineato LaRouche, solo una soluzione globale può offrire all'Egitto e alle altre nazioni una chance di ripresa e di futuro per le prossime generazioni.

by (MoviSol)

06 febbraio 2011

Italia: le banche internazionali dichiarano guerra agli enti locali


Lo scontro tra gli enti locali italiani e le banche internazionali sui contratti derivati sarà il banco di prova per vedere se il diritto costituzionale sarà in grado di tener testa al "post-Westfalico" diritto europeo, basato sul furto. Dopo che numerosi enti locali hanno fatto ricorso ai tribunali per ripudiare i fraudolenti contratti derivati, le banche si sono rivolte a Londra per proteggere i loro cosiddetti diritti.

J.P. Morgan Chase & Co., UBS e Bank of America sono tra le banche che hanno denunciato diverse amministrazioni comunali e le regioni Lazio, Toscana e Piemonte, al tribunale di Londra. I precedenti indicano che il giudice darà l'autorizzazione a procedere. Lo scorso maggio, Dexia Crediop e Depfa hanno ottenuto che si tenesse il processo contro la città di Pisa e lo scorso ottobre un giudice di Londra ha accettato la denuncia presentata da UBS contro un comune tedesco.

Da un punto di vista strettamente legale, le banche sono protette da clausole nei contratti stipulati, che indicano Londra come sede di giurisdizione esclusiva. Inoltre, la legge europea non permette ai tribunali di uno stato membro di intervenire nelle controversie aperte in un altro stato membro. Però esiste una legge superiore, che è quella costituzionale, che protegge il Bene Comune basandosi sul diritto naturale. Questa legge superiore condanna le pratiche basate sull'usura e sul gioco d'azzardo, che costituiscono la vera natura dei derivati. Perciò, sui derivati italiani si gioca una partita legale cruciale per il futuro dell'Europa.

L'intelligence italiana ha già suonato il campanello d'allarme sui 32 miliardi di derivati degli enti locali, classificando il problema come una minaccia alla sicurezza nazionale. (cfr. "Germania, Italia: i derivati minacciano la democrazia").

Benché il caso italiano sia quello più rilevante in Europa, altri casi legali stanno emergendo nelle altre nazioni. In Germania, in un caso che potrebbe aprire la strada a numerosi altri ricorsi, la Caritas ha sporto denuncia contro Kommerzbank per frode. La banca aveva consigliato alla sede di Francoforte dell'ente umanitario di investire mezzo milione di euro in cartolarizzazioni ad alto rischio che contenevano mutui subprime americani, sostenendo che si trattasse di un investimento sicuro come un titolo di stato. La Caritas ha perso la metà dei soldi investiti.

by (MoviSol)

09 febbraio 2011

Cosa succede dopo Mubarak?



Il verso contenuto in HMS Pinafore di Gilbert e Sullivan spiega bene cosa sta succedendo ora in Egitto e forse anche in altri posti della regione; infatti recita: “Di rado le cose sono come appaiono. Il latte scremato si maschera da panna fresca”.

La rabbia viscerale che si vede per le strade è vera. Piuttosto, ciò che desta sospetto è chi sta orchestrando il tutto e Washington sembra star realizzando il cambio di regime, a lungo pianificato, in modo da cambiare i volti per proseguire con le vecchie politiche, lasciando intatti i problemi di fondo. Un copione ben conosciuto.

Nel suo libro “Freedom Next Time”, John Pilger ha discusso del tradimento di Nelson Mandela nel Sud Africa del dopo apartheid, nell’accogliere ciò che lui ha chiamato “thatcherismo”, dicendo a Pilger: “ Lo si può etichettare come si vuole, anche Thatcherite ma di fatto in questo paese le privatizzazioni sono la regola fondamentale”

Nel 1990, due settimane prima della sua liberazione, disse:

“La nazionalizzazione delle miniere, delle banche e dei monopoli industriali fanno parte della proposta politica dell’ ANC e (pensare di cambiare) la nostra idea.. è inconcepibile. La concessione di potere economico alla popolazione nera è un obiettivo che ci poniamo, ma in questa situazione è inevitabile il controllo statale di alcuni settori."

Nel 1955, quell’idea diede origine alla Freedom Charter Policy dell’ANC. La sua battaglia per la liberazione non era solo politica ma anche economica. I minatori bianchi guadagnavano 10 volte più dei neri e i grandi gruppi industriali ricorrevano alle forze di sicurezza per far sparire i dissidenti, assicurando in questo modo l’ordine.

Dopo l’apartheid un nuovo percorso si rendeva possibile; Mandela si prese la responsabilità di guidarlo rifiutando la logica del mercato ortodosso in cambio di giustizia economica. Nel 1994 i candidati dell’ANC vinsero con ampio margine le elezioni. Nonostante una transizione pacifica, non si è arrivati ad alcun cambio ma piuttosto al tradimento. I sudafricani neri diventarono ostaggi dei rapaci capitalisti. Lo sono ancora ed è molto peggio che durante l’apartheid.

Anche il New York Times se n’è accorto con l’articolo, a firma di Celia Dugger, pubblicato il 26 settembre 2010 col titolo: “Le leggi del reddito stritolano i poveri del Sudafrica”. Scrive la Dugger:

“Nei 16 anni dalla fine dell’apartheid il Sudafrica ha seguito le ricette dell’Occidente, aprendo la sua economia di mercato agli affari, controllando l’inflazione e il debito pubblico (secondo i diktat dell’FMI). Ha ricevuto i complimenti” ma ad un prezzo. “Per oltre un decennio il tasso di disoccupazione è stato tra i più alti al mondo”, peggiorato dalla crisi economica globale, “spazzando via oltre un milione di posti di lavoro”.
Il prezzo pagato ha incluso anche:

- Raddoppio del numero di popolazione impoverita col reddito di 1 dollaro al giorno, da 2 a 4 milioni;

- Raddoppio del tasso di disoccupazione fino al 48% nel periodo 1991-2002, ora anche più alto;

- Perdita della casa per due milioni di sudafricani mentre il governo ne ha costruite solo 1.8 milioni;

- Nel primo decennio con l’ANC alla guida, circa un milione aziende sono sparite; di conseguenza, gli insediamenti in baraccopoli sono aumentati del 50%;

- Nel 2006 il 25% dei sudafricani viveva in baracche senza acqua o corrente elettrica;

- Il tasso di diffusione dell’HIV/AIDS è circa del 20% della popolazione; di conseguenza l’aspettativa di vita è inferiore a quella del 1990;

- Il 40% delle scuole non ha corrente elettrica;

- Il 25% della popolazione non usufruisce di acqua potabile e la maggior parte non può pagarla;

- Il 60% ha servizi igienici inadeguati e il 40% non ha telefono.

Il dopo apartheid ha avuto un costo elevato, con la concessione di potere politico in cambio del tradimento economico, senza alcuna forma di sostentamento per i milioni di sudafricani che soffrono, vittime di un capitalismo rapace.

La Russia post comunista

La caduta del muro di Berlino sarebbe dovuta essere una vittoria per milioni di persone. Invece è stata una tragedia per la Russia e per gli stati post sovietici come Ucraina, Georgia, Estonia, Lettonia, Lituania e altri.

Nel marzo 1985, Mikhail Gorbaciov salì al potere con la promessa di cambiamenti politici e sociali, ma non è rimasto abbastanza per poterli guidare. Ha liberalizzato il paese, con l’introduzione delle elezioni, e ha favorito la (allora) democrazia sociale di tipo scandinavo, combinando il capitalismo di libero mercato con forti reti di protezione sociale. La sua visione era quella di “un faro socialista per l’umanità intera”, una società egualitaria, ma non ebbe la possibilità di realizzarla.

Quando l’Unione Sovietica collassò, lui fu cacciato. Boris Yeltsin lo sostituì all’insegna della dura ortodossia della Chicago School, mascherata con il nome di “riforme”.

Il capitalismo rapace ha devastato le vite dei russi, arricchendo una minoranza selezionata a spese dei poveri. Il dazio da pagare ha incluso:

- L’80% di impresari hanno dichiarato la bancarotta;

- Circa 70.000 aziende statali hanno chiuso, provocando un’epidemia di disoccupati;

- 74 milioni di russi (metà della popolazione) si è impoverita; le condizioni di 37 milioni di questi sono disperate e il sottoproletariato del paese è rimasto tale in modo permantente;

- È aumentato l’uso di droghe pesanti, alcol e antidolorifici

- Dal 1995 il tasso di HIV/AIDS è aumentato di 20 volte;

- Anche il tasso di suicidi è aumentato, quello del crimine violento è quadruplicato;

- La popolazione russa è diminuita di 700.000 individui all’anno prima di stabilizzarsi; il capitalismo sfrenato ha ucciso il 10% della popolazione – un’impressionante motivo per condannare un capitalismo eccessivo che fa male anche agli altri stati post sovietici.

La repressione ad Haiti in nome del Libero Mercato

Esclusi un breve periodo nel 1804 dopo che la liberazione rivoluzionaria liberò gli schiavi rendendoli cittadini e durante il mandato presidenziale di Jean-Bertrand Aristide, gli haitiani hanno subìto la rapacità dello sfruttamento capitalista che ha reso il paese uno dei più poveri della regione e del mondo intero. Anche prima del devastante terremoto del gennaio 2010, seguito da un enorme degrado e dall’infuriare del colera, il paese era gravato da:

- Controllo imperiale su modello coloniale operato dagli Stati Uniti

- Un’élite al comando con totale controllo sociale ed economico; l’economia, i media, le università, il commercio e gli affari in mano a sei famiglie;

- La distribuzione di ricchezza più iniqua dell’intera regione e del mondo intero;

- Metà della ricchezza del paese in mano all’1% della popolazione;

- In contrasto, l’80% della popolazione continua a vivere nell’estrema povertà;

- Tre quarti della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno e oltre la metà (56%) con meno di 1 dollaro al giorno;

- Il 5% della popolazione possiede il 75% delle terre coltivabili;

- Disoccupazione e sottocupazione inarrestabili; due terzi o più dei lavoratori senza lavori sicuri e la maggior parte di loro con paghe sotto la soglia della sussistenza; - Le misure strutturali decimano l’economia rurale, costringendo i contadini a dislocare verso le città per cercare lavoro che non esiste;

- Percentuale di pubblico impiego al minimo della regione, meno del 7%;

- L’aspettativa di vita è di appena 53 anni; il tasso di mortalità più alto nell’emisfero e mortalità infantile doppia rispetto alla media regionale di 76 bambini ogni mille;

- La banca mondiale colloca Haiti tra gli ultimi posti in quanto a servizi igienici, alimentazione scarsa, malnutrizione e servizi sanitari inadeguati;

- Oltre metà della popolazione a rischio per mancanza di cibo e metà dei bambini sottosviluppati per malnutrizione;

- Oltre metà della popolazione non ha accesso all’acqua potabile;

- Il tasso più alto di HIV/AIDS, esclusa l’Africa sub-sahariana

- Livello più basso di retribuzione della regione nelle maquiladoras per gli haitiani così fortunati da avere un lavoro;

- Chiamata la “Repubblica delle ONG”, molte di queste sfruttano gli haitiani in modo brutale per profitto;

- Il duraturo sistema dei “restavec”, che intrappola centinaia di migliaia di bambini alla schiavitù.

In generale gli Stati Uniti mantengono un dominio di stampo imperiale, controllano le risorse di Haiti, l’economia e la politica. Sfruttano gli abitanti in modo spietato, sfruttano le loro miniere e ne traggono profitti enormi e piazzano regimi nuovi senza alcuna differenza con quelli precedenti.

È una storia che si ripete a livello globale, inclusi Iraq e Afghanistan, piegati da guerre, occupazioni, torture, oppressione, povertà spaventosa e disoccupazione, assenza di sicurezza, di acqua pulita, di cibo sufficiente, di protezione, di servizi sanitari e di altri servizi essenziali. La ‘liberazione” americana ha provocato milioni di morti, malattie, fame, degrado, e terribili sofferenze umane mai affrontate. Inoltre, i livelli di privazione continuano a salire anche a livello domestico perché Washington rifiuta di occuparsene.

Commento finale

La decolonizzazione post seconda guerra mondiale ha prodotto regimi neocoloniali, politiche da Guerra Fredda, il Movimento dei paesi non allineati, crescita dei nazionalismi, conflitti etnici e dominio imperiale americano i cui tratti distintivi sono:

- Avversione per la democrazia;

- Sostegno agli uomini forti delle neocolonie, in modo particolare alle dittature che fanno gli interessi occidentali

- Uso diretto o indiretto della belligeranza per rafforzare il capitalismo mondiale e rendere il mondo un posto sicuro per i grandi affari.

I vecchi ordini sono passati. Ne sono emersi nuovi. Tutto è cambiato ma è rimasto lo stesso, mai come ora dominato dal capitale finanziario e le corporazioni monopolistiche, che controllano governi per i propri interessi a spesa di lavoratori sfruttati pesantemente a livello globale. Di conseguenza, il mondo oggi è caratterizzato dall’instabilità, standard di vita in declino, repressione violenta da arte della polizia di stato e da un’enorme sofferenza umana, in particolar modo in aree come il medioriente.

In tutta la regione la gente vuole la fine di questi regimi, un populismo rivoluzionario contrapposto all’oppressione che offre false pretese di cambiamento. Ne consegue che c'è da aspettarsi l’arrivo di nuovi volti pronti a perpetuare le stesse politiche, che non concedono niente se non quando la rabbia delle masse si fa sentire. Questa è la realtà oggi, sulla soluzione ancora ci sono dubbi ma i pronostici favoriscono sempre i forti.

di Stephen Lendman

Fonte: www.uruknet.info

07 febbraio 2011

L'Egitto e altri paesi arabi nel vortice del collasso globale

Come abbiamo riferito la scorsa settimana parlando della Tunisia, oltre 30 anni di globalizzazione, mercato libero e privatizzazioni con il corrispettivo disinvestimento nelle infrastrutture di base e nell'agricoltura hanno rovinato le economie del Medio Oriente e del Nordafrica. Con disoccupazione alle stelle e la miseria crescente, un'intera generazione tra i 18 e i 35 anni è stata ridotta alla disperazione, priva della speranza per il futuro.

Quanto è stato fatto all'Egitto ricalca come una fotocopia ciò che è avvenuto all'economia tunisina. All'inizio degli anni novanta, a seguito di un accordo con il FMI per dimezzare il debito estero, il governo egiziano accettò di privatizzare le imprese di stato, ridusse le tariffe alle importazioni di prodotti alimentari e prodotti tessili (pregiudicando la sopravvivenza di questi due settori interni), aumentò le esportazioni di beni come cotone e ortofrutta, eliminò i sussidi all'agricoltura e ai prezzi degli alimentari e dei carburanti.

Peggio di tutto fu la privatizzazione delle infrastrutture di base, come i trasporti, l'acqua e le telecomunicazioni, che condusse all'impennata dei costi per le piccole aziende agricole e manifatturiere. Furono avvantaggiati i grandi produttori, che si impadronirono del mercato. Ma la cosa più scandalosa, dal punto di vista della popolazione egiziana, è che dalle privatizzazioni si avvantaggiarono settori del governo e della comunità finanziaria, compresi membri della famiglia di Mubarak. Si creò una vasta area di corruzione negli strati dirigenti, rispondenti non agli interessi nazionali ma a quelli economici globali.

Da quando LaRouche e i suoi associati presentarono al governo egiziano, nel 1981-83, una politica per assicurare l'autosufficienza alimentare con grandi investimenti nelle infrastrutture idriche e agricole, sono stati sprecati 30 anni. Quella proposta fu sabotata da interessi anglo-americani rappresentati da gente come Henry Kissinger, la cui politica per l'Egitto e altri grandi paesi in via di sviluppo si riassumeva nell'obiettivo della riduzione demografica. La politica di aiuti americana ha reso l'Egitto dipendente dagli USA per garantire un minimo di accesso al cibo per la popolazione, mentre smantellava la produzione.

La situazione ora è che la popolazione non crede alle promesse di riforma di Mubarak, anche dopo che ha sostituito il governo. L'Egitto è chiave per la stabilità dell'intera regione mediorientale e per l'economia mondiale data l'importanza del canale di Suez. Però, come ha sottolineato LaRouche, solo una soluzione globale può offrire all'Egitto e alle altre nazioni una chance di ripresa e di futuro per le prossime generazioni.

by (MoviSol)

06 febbraio 2011

Italia: le banche internazionali dichiarano guerra agli enti locali


Lo scontro tra gli enti locali italiani e le banche internazionali sui contratti derivati sarà il banco di prova per vedere se il diritto costituzionale sarà in grado di tener testa al "post-Westfalico" diritto europeo, basato sul furto. Dopo che numerosi enti locali hanno fatto ricorso ai tribunali per ripudiare i fraudolenti contratti derivati, le banche si sono rivolte a Londra per proteggere i loro cosiddetti diritti.

J.P. Morgan Chase & Co., UBS e Bank of America sono tra le banche che hanno denunciato diverse amministrazioni comunali e le regioni Lazio, Toscana e Piemonte, al tribunale di Londra. I precedenti indicano che il giudice darà l'autorizzazione a procedere. Lo scorso maggio, Dexia Crediop e Depfa hanno ottenuto che si tenesse il processo contro la città di Pisa e lo scorso ottobre un giudice di Londra ha accettato la denuncia presentata da UBS contro un comune tedesco.

Da un punto di vista strettamente legale, le banche sono protette da clausole nei contratti stipulati, che indicano Londra come sede di giurisdizione esclusiva. Inoltre, la legge europea non permette ai tribunali di uno stato membro di intervenire nelle controversie aperte in un altro stato membro. Però esiste una legge superiore, che è quella costituzionale, che protegge il Bene Comune basandosi sul diritto naturale. Questa legge superiore condanna le pratiche basate sull'usura e sul gioco d'azzardo, che costituiscono la vera natura dei derivati. Perciò, sui derivati italiani si gioca una partita legale cruciale per il futuro dell'Europa.

L'intelligence italiana ha già suonato il campanello d'allarme sui 32 miliardi di derivati degli enti locali, classificando il problema come una minaccia alla sicurezza nazionale. (cfr. "Germania, Italia: i derivati minacciano la democrazia").

Benché il caso italiano sia quello più rilevante in Europa, altri casi legali stanno emergendo nelle altre nazioni. In Germania, in un caso che potrebbe aprire la strada a numerosi altri ricorsi, la Caritas ha sporto denuncia contro Kommerzbank per frode. La banca aveva consigliato alla sede di Francoforte dell'ente umanitario di investire mezzo milione di euro in cartolarizzazioni ad alto rischio che contenevano mutui subprime americani, sostenendo che si trattasse di un investimento sicuro come un titolo di stato. La Caritas ha perso la metà dei soldi investiti.

by (MoviSol)