14 febbraio 2011

L'euro, il rapporto FCIC e la BCE

La discussione più importante al recente Forum di Davos è stata quella che i media non vi hanno raccontato. Dedicata al futuro dell'euro, si è tenuta il 28 gennaio nella forma di un confronto tra il presidente della BCE Jean-Claude Trichet e il prof. Wilhelm Hankel, uno dei cinque moschettieri che hanno presentato il ricorso alla Corte Costituzionale tedesca contro il fondo UE "salva-stati". Di fronte ad un pubblico straripante, Hankel ha riscosso più volte applausi (unico a riceverne) quando ha affermato che l'euro è un "cadavere ambulante" e che i tentativi di salvarlo affosseranno la democrazia in Europa. Trichet e gli altri relatori, tra cui il famoso Nouriel Roubini, non hanno saputo contrapporre argomenti convincenti ad Hankel, nella loro difesa dell'euro.

"Io vengo da un paese", ha esordito Hankel, "che soffre ancora, dopo 80 anni, degli errori compiuti da un governo che tentò contemporaneamente di pagare i debiti e tagliare il bilancio. Fu il governo che precedette Hitler". E comunque, ha aggiunto, "la mia non è solo la critica di un tedesco, ma di un democratico". I meccanismi di sorveglianza e "governance" che si vogliono introdurre nell'UE sono infatti misure di "svuotamento della democrazia". Esse sono il tentativo sbagliato di rimediare al peccato originale dell'euro, quello di aver separato la moneta dalla gestione del bilancio. La soluzione della crisi dell'eurozona, evidente se consideriamo che "i due terzi dei paesi membri sono in bancarotta", ha incalzato Hankel, è ovvia: riportare moneta e bilancio sotto una sola autorità. Ma attenti: le sole istituzioni legittimate a fare ciò sono i parlamenti e i governi nazionali. Invece, "abbiamo messo la moneta nelle mani di gente che non è stata eletta", ha scandito Hankel guardando fisso Trichet, "gente che manca della legittimizzazione democratica. In Europa c'è un grave problema di costituzionalità".

La soluzione è "molto semplice": o i paesi deboli escono dall'Euro, o – "e questa è la soluzione che preferisco" – torniamo ad "un sistema monetario in cui l'euro rimane solo come unità di conto, come lo era l'ecu in precedenza. Questa mi sembra essere la formula migliore per un'Europa prospera e democratica".

Trichet si è difeso con il solito argomento, che usa come una litania, secondo cui l'euro è una success-story grazie alla stabilità dei prezzi garantita dalla nascita fino ad oggi. Tuttavia, pochi giorni dopo, alla conferenza stampa mensile della BCE il 3 febbraio, Trichet ha distrutto il suo solo ed unico argomento annunciando che la BCE prevede un tasso d'inflazione superiore al "target" del 2 per cento per i prossimi 12 mesi!

Il condirettore dello Strategic Alert Claudio Celani ha chiesto a Trichet un commento sulle conclusioni del rapporto Angelides, leggendo un passaggio del rapporto. Sapendo bene che i banchieri centrali sono indicati tra i responsabili della crisi, per non aver saputo prevederla, per non aver saputo impedirla e per aver permesso la condotta criminale di molti operatori del mercato, Trichet ha cercato di sfilare la testa dalla ghigliottina sostenendo che la BCE e le altre banche centrali già nel 2007 avevano lanciato avvertimenti. E da impunito banchiere centrale, ha messo in guardia: tenersi pronti perché c'è ancora "molto duro lavoro da fare" – cioè, altri salvataggi.

Come nel caso della discussione sull'euro a Davos, i media non vi racconteranno questa presa di posizione ufficiale della BCE sulle conclusioni dell'inchiesta del governo USA sulle cause della crisi finanziaria.

by Movisol

13 febbraio 2011

Strapazzati dalle straniere

“A forza di passare le sue notti a toccare il culo alle ragazze davanti a tutti, mi chiedo come faccia il giorno dopo a lavorare”, si domanda il quotidiano francese l’”Express”, riprendendo le parole di una delle signorine presenti alle feste di Berlusconi. La stampa internazionale, in queste settimane, si è scatenata contro il capo del governo italiano, alternando la derisione all’indignazione. Sul “Pais”, Almudena Grandes, che pure è una scrittrice nota per romanzi che, un millennio fa, si sarebbero definiti scabrosi, non riesce a trattenere il suo sdegno: “I capelli tinti ed il viso coperto di trucco, le sue disperate ostentazioni giovanili di seduttore senile battono ogni giorno i suoi record di indecenza, senza che molti suoi concittadini trovino motivi per smettere di celebrare le sue pagliacciate”.
Come è ovvio, il disprezzo per Berlusconi finisce per estendersi anche agli italiani che più volte l’hanno votato. Il “New York Times” ne fa una questione antropologica e culturale: “In questi anni Berlusconi ha confuso la linea tra immagine e realtà. O meglio, ha fondato una brillante carriera sulla fondamentale verità italiana che l’immagine è la realtà”. E qui siamo al giudizio definitivo sul nostro carattere nazionale: solo in Italia, Paese barocco dove le forme di una fantasia morbosa ottenebrano la percezione della squallida realtà, può esistere un capo di governo che è un personaggio da operetta. Le surreali vicende erotiche di Berlusconi, insomma, rilanciano alla grande la mai estinta immagine degli italiani come popolo inaffidabile, brillante in superficie ma corrotto moralmente, sul quale non si può fare conto per la sua innata doppiezza e per la sua avversione ad ogni disciplina.
Lo stereotipo dell’italiano mandolinaro e traditore –che, anche se arriva da lontano, fu inchiodato nell’immaginario collettivo a causa dell’Otto settembre, da molti nemici di Berlusconi identificato invece come il giorno della riscossa nazionale- è presente in tanti articoli dei giornali stranieri. Quanto può costare all’Italia, intesa come Stato nazionale che collabora e compete con gli altri Stati negli scenari politici ed economici globali, questa ulteriore caduta di immagine? Dopo il rifiuto di estradare nel nostro Paese Cesare Battisti, Ernesto Galli della Loggia ha scritto che Francia e Brasile ci hanno trattati alla stregua di una Macedonia o di una Colombia, impartendoci ex cathedra delle lezioni sugli anni di piombo. A giudizio dell’editorialista del “Corriere della Sera”, ciò dipende dal fatto che la rappresentazione dell’Italia all’estero è falsa: “pressoché sconosciuti sono il tono della nostra vita pubblica e politica, la variegata qualità delle nostre relazioni sociali, dei nostri costumi e comportamenti collettivi”.
Nonostante tutte le magagne, siamo comunque meglio di come pensa la maggioranza degli stranieri, ma ha ragione Galli della Loggia a dire che la colpa dell’ignoranza sul nostro Paese è soprattutto degli italiani e dei governi che, per esempio, fanno i micragnosi con i pochi istituti culturali italiani all’estero e si disinteressano degli studiosi che si occupano dell’Italia. Una mancanza, aggiungiamo noi, che il “Berlusconi imprenditore, alieno da fumisterie culturalistiche”, ha accentuato. Pensiamo solo che ci si divide persino sul fatto di proclamare giornata di festa l’anniversario dell’unita nazionale, come se astenersi, ogni 150 anni, dal lavoro, portasse in rovina l’economia. Se non si rispetta la propria storia è difficile che si venga rispettati.
Berlusconi è convinto che il rango dell’Italia sia cresciuto: “Oggi il Paese è ascoltato, grazie anche al fatto che ha un leader anziano, un tycoon, il che è molto, molto importante”. Grazie a lui le tensioni tra Russia e Stati Uniti sarebbero svanite e, sempre per merito della sua saggia mediazione, Obama avrebbe rinunciato a piazzare i missili in Cechia e Polonia, senza considerare l’apporto decisivo nel convincere l’amico Putin a non invadere la Georgia dopo l’attacco di Saakashvili all’Ossezia del Sud. Al netto della vanagloria, qualcosa di vero c’è nel ruolo di Berlusconi come intermediario tra Mosca e l’Occidente. Ci sembra abbia ragione Paolo Quercia che, sulla rivista “Limes”, descrive l’azione diplomatica del presidente del Consiglio con la metafora dei due piatti della bilancia: “Nel primo il premier isola Usa e Israele e la loro domanda di sicurezza globale; sull’altro piatto della bilancia Berlusconi mette Russia e Libia e la loro offerta di energia diretta verso l’Europa”.
Gli stretti rapporti con la Russia hanno suscitato ostilità nell’Amministrazione Usa, come hanno confermato le rivelazioni di Wikileaks, ma Washington si è vista offrire, nel contempo, la massima collaborazione sull’Afghanistan e su Israele. Tranquillizzando l’alleato su alcune questioni scottanti, Berlusconi si è concesso, in altri scacchieri, di giocare in proprio. E’ difficile dire quanto ciò sia il frutto di una strategia, mai peraltro dichiarata, oppure una semplice pesca delle occasioni, suggerita dal fiuto commerciale. In ogni caso, queste decisioni hanno lasciato un segno: alcuni Paesi sono stati scelti come interlocutori principali, altri sono stati lasciati in secondo piano. La volontà di appoggiare il progetto di gasdotto South Stream, finendo poi con il coinvolgere anche Francia e Germania, invece del Nabucco, sponsorizzato da Washington e Bruxelles, crea una divisione di campo, aprendo uno spazio importante alla Russia in Europa contro la volontà statunitense.
E’ significativo che Berlusconi abbia compiuto ben cinque visite ufficiali in Libia e quattro in Russia, mentre grandi realtà come Cina, Brasile e India non gli abbiano suscitato il medesimo interesse. Non si è mai recato, a differenza dei suoi colleghi occidentali, in Afghanistan per visitare le truppe. Come se l’impegno, pur considerevole per le nostre forze, in quel teatro di guerra rappresentasse solo un’assicurazione da pagare. Con Israele Berlusconi si è mostrato allineato fino all’assurdo di dichiarare di non avere visto il cosiddetto muro di separazione quando vi era passato accanto. E’ riuscito poi a promettere un piano Marshall per la Palestina, ma in realtà ha ridotto il contributo italiano ai fondi Onu per i rifugiati palestinesi. L’interscambio italiano con l’Iran, nonostante le solenne promesse di Berlusconi a Netanyauh, è addirittura aumentato, per il momento. In questi casi, il confine tra scaltrezza diplomatica e inaffidabilità si fa labile, non migliorando certo la nostra fama.
Tornando alla questione del peso della caduta di immagine del presidente del Consiglio sull’intero Paese, premettiamo che non siamo fra quanti attribuiscono valore oracolare a ogni sospiro della stampa estera sull’Italia. Perfino sul mitizzato “Economist” ci è capitato di leggere una serie di inesattezze dettate dalla faciloneria. Il danno, comunque, c’è: la credibilità è una premessa fondamentale in politica come nell’economia. L’uscita di scena di Berlusconi, da questo punto di vista, potrebbe rappresentare un medicamento. Non però con le modalità con le quali sembra oggi avvenire. Ovvero per mezzo di una magistratura oggettivamente partigiana e incurante dei limiti delle sue prerogative e di una opposizione tenuta insieme solo da un antiberlusconismo moralistico e impolitico. Il rischio è che al “sultano” succeda un uomo più “temperante” che, in mancanza di un programma politico, abbandoni le poche intuizioni positive di politica estera di Berlusconi, per presentare un’Italia più virtuosa agli occhi di quei Paesi che ci fanno la morale, ma sono pronti ad approfittare di una nostra eventuale arrendevolezza.
di Roberto Zavaglia

10 febbraio 2011

Economia israeliana per principianti



Veniamo a sapere dalla stampa e dagli esperti di analisi politica che contro ogni probabilità e a dispetto della la globale turbolenza finanziaria, l’economia israeliana è in pieno boom. Alcuni addirittura sostengono che quella israeliana sia una delle economie più forti al momento.

“E come mai?”, qualcuno potrebbe chiedersi; oltre agli avocado, alle arance e ad alcuni prodotti cosmetici del Mar Morto, praticamente nessuno di noi ha mai visto un prodotto israeliano in commercio. In Israele non si realizzano automobili, né apparecchi elettronici, e a mala pena vengono prodotti beni di consumo. Israele dal canto suo rivendica il proprio avanzamento in dispositivi hi-tech, ma in un modo o nell’altro gli unici software israeliani avanzati che si possono trovare installati nei nostri computer sono i Sabra Trojan Horses (virus, Cavallo di Troia). Inoltre nella terra che hanno sottratto con la forza ad i nativi Palestinesi, gli Israeliani non hanno ancora trovato alcun minerale prezioso né ombra di petrolio.



Dunque di cosa si tratta? Come mai Israele non è affatto scalfito dal disastro finanziario che ha investito il pianeta? Da dove viene la sua ricchezza?

Stando a quanto riporta The Guardian , Israele potrebbe essere ricco perchè: “Dei sette oligarchi che controllavano il 50 % dell’economia russa negli anni 90, sei erano ebrei”.

Durante gli ultimi vent’anni, molti oligarchi russi hanno acquisito la cittadinanza israeliana; essi hanno inoltre messo al sicuro il proprio denaro sporco investendolo nel paradiso finanziario del cibo kosher; ultimamente Wikileaks ha rivelato che “fonti nella polizia (israeliana) ritengono che la malavita organizzata russa (Mafia russa), abbia riciclato fino a 10 miliardi di dollari americani tramite le holding israeliane”.

L’ economia israeliana è in fortissima espansione perché truffatori del calibro di Bernie Madoff riciclano il proprio denaro tramite di i Sionisti e le istituzioni israeliane da decenni.

Israele “non se la passa male” perché è il principale venditore di diamanti insanguinati. Lungi dal coglierci di sorpresa, esso è anche il quarto maggiore venditore di armi del pianeta.
Comprensibilmente, diamanti insanguinati e armi si rivelano essere un’accoppiata vincente.

Come se non bastasse, Israele è così prospero perchè, di quando in quando, lo si scopre coinvolto nella raccolta e nel traffico di organi.

Insomma, per farla breve, Israele sta meglio di altri stati perché gestisce una delle più sporche e immorali economie del mondo. Nonostante l’iniziale promessa sionista di costituire “una civiltà ebraica etica”, Israele è piuttosto riuscito a realizzare una sistematica violazione del diritto internazionale e dei valori universali che non ha precedenti. Esso svolge il ruolo di sicuro paradiso fiscale per denaro proveniente da spregevoli attività criminali condotte su scala internazionale e si serve di uno degli eserciti più forti al mondo per difendere la ricchezza di pochi tra gli ebrei più ricchi al mondo.

Sempre di più, Israele assume le fattezze di un’enorme luogo di riciclaggio di denaro sporco da parte di oligarchi, truffatori, trafficanti d’armi e d’organi, criminalità organizzata e commercianti di diamanti insanguinati.

Tale politica economica può certamente dar conto del perché questo stato sia completamente indifferente all’uguaglianza sociale all’interno dei propri confini.

Poveri Israeliani

Poiché Israele si definisce stato ebraico, ci si aspetterebbe che la sua gente sia la prima a godere della crescita economica della nazione. Tuttavia non è affatto così: nonostante la forza dell’economia, il resoconto sulla giustizia sociale in Israele è terrificante. Nello stato ebraico 18 famiglie controllano il 60% dell’equity value di tutte le compagnie del territorio. Lo stato ebraico è scandalosamente crudele verso le fasce più povere della propria popolazione. Per quel che riguarda il gap tra ricchi e poveri, Israele è certamente tra i primi della lista.

Il significato di tutto questo è sconvolgente: nonostante si comporti come un’organizzazione tribale etnocentrica e razzialmente definita, Israele si rivela completamente noncurante verso i membri della sua stessa tribù – in effetti, nello stato ebraico, pochi milioni di ebrei sono al servizio dei più abietti interessi, il cui frutto sarà goduto da una manciata di ricchi criminali.

Fumo negli occhi

Ma c’è in tutto questo un significato implicito ancora più profondo e sconvolgente. Se la mia lettura dell’economia israeliana è corretta ed Israele è di fatti un luogo di riciclaggio del denaro proveniente dai traffici più loschi, allora il conflitto israelo-palestinese, dal punto di vista dell’elite israeliana, altro non è che fumo negli occhi.

Spero che i miei lettori ed amici mi perdoneranno per ciò che sto per scrivere, anzi spero di perdonare me stesso; ma mi sembra che il conflitto israelo-palestinese e gli orrendi crimini di cui questo paese si sta macchiando contro il popolo palestinese, in realtà servano a distogliere l’attenzione dalla sua connivenza in colossali crimini commessi a danno di moltissime popolazioni del mondo.

Invece di concentrarci sullo sfrenato ed avido tentativo israeliano di guadagnare ricchezza a spese del resto dell’umanità, ci stiamo concentrando su di un unico conflitto territoriale che in realtà è solo la punta dell’iceberg e nasconde la vera entità del progetto nazionale ebraico.

È più che probabile che la vasta maggioranza degli Israeliani non riesca a capire la strategia fuorviante che sottende il conflitto israelo-palestinese.

Gli Israeliani sono indottrinati a considerare ogni possibile questione dal punto di vista della sicurezza nazionale, essi non sono riusciti a capire che, di pari passo con l’intensa militarizzazione della loro società, il loro stato ebraico sia diventato un punto di riciclaggio del denaro sporco e un luogo di asilo per criminali di ogni angolo del mondo.

Ma la brutta notizia per Israele e la sua elite corrotta è che è solo questione di tempo prima che i Russi, gli Americani, gli Africani, gli Europei, tutta l’umanità si renda conto di tutto questo – e qui saremmo tutti Palestinesi ed avremmo in comune un unico nemico.

E potrei anche andare oltre, dicendo della possibilità che, a breve, ebrei ed Israeliani di classi sociali svantaggiate inizino a capire quanto ingannevoli e sinistri siano in realtà Israele ed il Sionismo.
di Gilad Atzmon


Fonte: www.gilad.co.uk/

14 febbraio 2011

L'euro, il rapporto FCIC e la BCE

La discussione più importante al recente Forum di Davos è stata quella che i media non vi hanno raccontato. Dedicata al futuro dell'euro, si è tenuta il 28 gennaio nella forma di un confronto tra il presidente della BCE Jean-Claude Trichet e il prof. Wilhelm Hankel, uno dei cinque moschettieri che hanno presentato il ricorso alla Corte Costituzionale tedesca contro il fondo UE "salva-stati". Di fronte ad un pubblico straripante, Hankel ha riscosso più volte applausi (unico a riceverne) quando ha affermato che l'euro è un "cadavere ambulante" e che i tentativi di salvarlo affosseranno la democrazia in Europa. Trichet e gli altri relatori, tra cui il famoso Nouriel Roubini, non hanno saputo contrapporre argomenti convincenti ad Hankel, nella loro difesa dell'euro.

"Io vengo da un paese", ha esordito Hankel, "che soffre ancora, dopo 80 anni, degli errori compiuti da un governo che tentò contemporaneamente di pagare i debiti e tagliare il bilancio. Fu il governo che precedette Hitler". E comunque, ha aggiunto, "la mia non è solo la critica di un tedesco, ma di un democratico". I meccanismi di sorveglianza e "governance" che si vogliono introdurre nell'UE sono infatti misure di "svuotamento della democrazia". Esse sono il tentativo sbagliato di rimediare al peccato originale dell'euro, quello di aver separato la moneta dalla gestione del bilancio. La soluzione della crisi dell'eurozona, evidente se consideriamo che "i due terzi dei paesi membri sono in bancarotta", ha incalzato Hankel, è ovvia: riportare moneta e bilancio sotto una sola autorità. Ma attenti: le sole istituzioni legittimate a fare ciò sono i parlamenti e i governi nazionali. Invece, "abbiamo messo la moneta nelle mani di gente che non è stata eletta", ha scandito Hankel guardando fisso Trichet, "gente che manca della legittimizzazione democratica. In Europa c'è un grave problema di costituzionalità".

La soluzione è "molto semplice": o i paesi deboli escono dall'Euro, o – "e questa è la soluzione che preferisco" – torniamo ad "un sistema monetario in cui l'euro rimane solo come unità di conto, come lo era l'ecu in precedenza. Questa mi sembra essere la formula migliore per un'Europa prospera e democratica".

Trichet si è difeso con il solito argomento, che usa come una litania, secondo cui l'euro è una success-story grazie alla stabilità dei prezzi garantita dalla nascita fino ad oggi. Tuttavia, pochi giorni dopo, alla conferenza stampa mensile della BCE il 3 febbraio, Trichet ha distrutto il suo solo ed unico argomento annunciando che la BCE prevede un tasso d'inflazione superiore al "target" del 2 per cento per i prossimi 12 mesi!

Il condirettore dello Strategic Alert Claudio Celani ha chiesto a Trichet un commento sulle conclusioni del rapporto Angelides, leggendo un passaggio del rapporto. Sapendo bene che i banchieri centrali sono indicati tra i responsabili della crisi, per non aver saputo prevederla, per non aver saputo impedirla e per aver permesso la condotta criminale di molti operatori del mercato, Trichet ha cercato di sfilare la testa dalla ghigliottina sostenendo che la BCE e le altre banche centrali già nel 2007 avevano lanciato avvertimenti. E da impunito banchiere centrale, ha messo in guardia: tenersi pronti perché c'è ancora "molto duro lavoro da fare" – cioè, altri salvataggi.

Come nel caso della discussione sull'euro a Davos, i media non vi racconteranno questa presa di posizione ufficiale della BCE sulle conclusioni dell'inchiesta del governo USA sulle cause della crisi finanziaria.

by Movisol

13 febbraio 2011

Strapazzati dalle straniere

“A forza di passare le sue notti a toccare il culo alle ragazze davanti a tutti, mi chiedo come faccia il giorno dopo a lavorare”, si domanda il quotidiano francese l’”Express”, riprendendo le parole di una delle signorine presenti alle feste di Berlusconi. La stampa internazionale, in queste settimane, si è scatenata contro il capo del governo italiano, alternando la derisione all’indignazione. Sul “Pais”, Almudena Grandes, che pure è una scrittrice nota per romanzi che, un millennio fa, si sarebbero definiti scabrosi, non riesce a trattenere il suo sdegno: “I capelli tinti ed il viso coperto di trucco, le sue disperate ostentazioni giovanili di seduttore senile battono ogni giorno i suoi record di indecenza, senza che molti suoi concittadini trovino motivi per smettere di celebrare le sue pagliacciate”.
Come è ovvio, il disprezzo per Berlusconi finisce per estendersi anche agli italiani che più volte l’hanno votato. Il “New York Times” ne fa una questione antropologica e culturale: “In questi anni Berlusconi ha confuso la linea tra immagine e realtà. O meglio, ha fondato una brillante carriera sulla fondamentale verità italiana che l’immagine è la realtà”. E qui siamo al giudizio definitivo sul nostro carattere nazionale: solo in Italia, Paese barocco dove le forme di una fantasia morbosa ottenebrano la percezione della squallida realtà, può esistere un capo di governo che è un personaggio da operetta. Le surreali vicende erotiche di Berlusconi, insomma, rilanciano alla grande la mai estinta immagine degli italiani come popolo inaffidabile, brillante in superficie ma corrotto moralmente, sul quale non si può fare conto per la sua innata doppiezza e per la sua avversione ad ogni disciplina.
Lo stereotipo dell’italiano mandolinaro e traditore –che, anche se arriva da lontano, fu inchiodato nell’immaginario collettivo a causa dell’Otto settembre, da molti nemici di Berlusconi identificato invece come il giorno della riscossa nazionale- è presente in tanti articoli dei giornali stranieri. Quanto può costare all’Italia, intesa come Stato nazionale che collabora e compete con gli altri Stati negli scenari politici ed economici globali, questa ulteriore caduta di immagine? Dopo il rifiuto di estradare nel nostro Paese Cesare Battisti, Ernesto Galli della Loggia ha scritto che Francia e Brasile ci hanno trattati alla stregua di una Macedonia o di una Colombia, impartendoci ex cathedra delle lezioni sugli anni di piombo. A giudizio dell’editorialista del “Corriere della Sera”, ciò dipende dal fatto che la rappresentazione dell’Italia all’estero è falsa: “pressoché sconosciuti sono il tono della nostra vita pubblica e politica, la variegata qualità delle nostre relazioni sociali, dei nostri costumi e comportamenti collettivi”.
Nonostante tutte le magagne, siamo comunque meglio di come pensa la maggioranza degli stranieri, ma ha ragione Galli della Loggia a dire che la colpa dell’ignoranza sul nostro Paese è soprattutto degli italiani e dei governi che, per esempio, fanno i micragnosi con i pochi istituti culturali italiani all’estero e si disinteressano degli studiosi che si occupano dell’Italia. Una mancanza, aggiungiamo noi, che il “Berlusconi imprenditore, alieno da fumisterie culturalistiche”, ha accentuato. Pensiamo solo che ci si divide persino sul fatto di proclamare giornata di festa l’anniversario dell’unita nazionale, come se astenersi, ogni 150 anni, dal lavoro, portasse in rovina l’economia. Se non si rispetta la propria storia è difficile che si venga rispettati.
Berlusconi è convinto che il rango dell’Italia sia cresciuto: “Oggi il Paese è ascoltato, grazie anche al fatto che ha un leader anziano, un tycoon, il che è molto, molto importante”. Grazie a lui le tensioni tra Russia e Stati Uniti sarebbero svanite e, sempre per merito della sua saggia mediazione, Obama avrebbe rinunciato a piazzare i missili in Cechia e Polonia, senza considerare l’apporto decisivo nel convincere l’amico Putin a non invadere la Georgia dopo l’attacco di Saakashvili all’Ossezia del Sud. Al netto della vanagloria, qualcosa di vero c’è nel ruolo di Berlusconi come intermediario tra Mosca e l’Occidente. Ci sembra abbia ragione Paolo Quercia che, sulla rivista “Limes”, descrive l’azione diplomatica del presidente del Consiglio con la metafora dei due piatti della bilancia: “Nel primo il premier isola Usa e Israele e la loro domanda di sicurezza globale; sull’altro piatto della bilancia Berlusconi mette Russia e Libia e la loro offerta di energia diretta verso l’Europa”.
Gli stretti rapporti con la Russia hanno suscitato ostilità nell’Amministrazione Usa, come hanno confermato le rivelazioni di Wikileaks, ma Washington si è vista offrire, nel contempo, la massima collaborazione sull’Afghanistan e su Israele. Tranquillizzando l’alleato su alcune questioni scottanti, Berlusconi si è concesso, in altri scacchieri, di giocare in proprio. E’ difficile dire quanto ciò sia il frutto di una strategia, mai peraltro dichiarata, oppure una semplice pesca delle occasioni, suggerita dal fiuto commerciale. In ogni caso, queste decisioni hanno lasciato un segno: alcuni Paesi sono stati scelti come interlocutori principali, altri sono stati lasciati in secondo piano. La volontà di appoggiare il progetto di gasdotto South Stream, finendo poi con il coinvolgere anche Francia e Germania, invece del Nabucco, sponsorizzato da Washington e Bruxelles, crea una divisione di campo, aprendo uno spazio importante alla Russia in Europa contro la volontà statunitense.
E’ significativo che Berlusconi abbia compiuto ben cinque visite ufficiali in Libia e quattro in Russia, mentre grandi realtà come Cina, Brasile e India non gli abbiano suscitato il medesimo interesse. Non si è mai recato, a differenza dei suoi colleghi occidentali, in Afghanistan per visitare le truppe. Come se l’impegno, pur considerevole per le nostre forze, in quel teatro di guerra rappresentasse solo un’assicurazione da pagare. Con Israele Berlusconi si è mostrato allineato fino all’assurdo di dichiarare di non avere visto il cosiddetto muro di separazione quando vi era passato accanto. E’ riuscito poi a promettere un piano Marshall per la Palestina, ma in realtà ha ridotto il contributo italiano ai fondi Onu per i rifugiati palestinesi. L’interscambio italiano con l’Iran, nonostante le solenne promesse di Berlusconi a Netanyauh, è addirittura aumentato, per il momento. In questi casi, il confine tra scaltrezza diplomatica e inaffidabilità si fa labile, non migliorando certo la nostra fama.
Tornando alla questione del peso della caduta di immagine del presidente del Consiglio sull’intero Paese, premettiamo che non siamo fra quanti attribuiscono valore oracolare a ogni sospiro della stampa estera sull’Italia. Perfino sul mitizzato “Economist” ci è capitato di leggere una serie di inesattezze dettate dalla faciloneria. Il danno, comunque, c’è: la credibilità è una premessa fondamentale in politica come nell’economia. L’uscita di scena di Berlusconi, da questo punto di vista, potrebbe rappresentare un medicamento. Non però con le modalità con le quali sembra oggi avvenire. Ovvero per mezzo di una magistratura oggettivamente partigiana e incurante dei limiti delle sue prerogative e di una opposizione tenuta insieme solo da un antiberlusconismo moralistico e impolitico. Il rischio è che al “sultano” succeda un uomo più “temperante” che, in mancanza di un programma politico, abbandoni le poche intuizioni positive di politica estera di Berlusconi, per presentare un’Italia più virtuosa agli occhi di quei Paesi che ci fanno la morale, ma sono pronti ad approfittare di una nostra eventuale arrendevolezza.
di Roberto Zavaglia

10 febbraio 2011

Economia israeliana per principianti



Veniamo a sapere dalla stampa e dagli esperti di analisi politica che contro ogni probabilità e a dispetto della la globale turbolenza finanziaria, l’economia israeliana è in pieno boom. Alcuni addirittura sostengono che quella israeliana sia una delle economie più forti al momento.

“E come mai?”, qualcuno potrebbe chiedersi; oltre agli avocado, alle arance e ad alcuni prodotti cosmetici del Mar Morto, praticamente nessuno di noi ha mai visto un prodotto israeliano in commercio. In Israele non si realizzano automobili, né apparecchi elettronici, e a mala pena vengono prodotti beni di consumo. Israele dal canto suo rivendica il proprio avanzamento in dispositivi hi-tech, ma in un modo o nell’altro gli unici software israeliani avanzati che si possono trovare installati nei nostri computer sono i Sabra Trojan Horses (virus, Cavallo di Troia). Inoltre nella terra che hanno sottratto con la forza ad i nativi Palestinesi, gli Israeliani non hanno ancora trovato alcun minerale prezioso né ombra di petrolio.



Dunque di cosa si tratta? Come mai Israele non è affatto scalfito dal disastro finanziario che ha investito il pianeta? Da dove viene la sua ricchezza?

Stando a quanto riporta The Guardian , Israele potrebbe essere ricco perchè: “Dei sette oligarchi che controllavano il 50 % dell’economia russa negli anni 90, sei erano ebrei”.

Durante gli ultimi vent’anni, molti oligarchi russi hanno acquisito la cittadinanza israeliana; essi hanno inoltre messo al sicuro il proprio denaro sporco investendolo nel paradiso finanziario del cibo kosher; ultimamente Wikileaks ha rivelato che “fonti nella polizia (israeliana) ritengono che la malavita organizzata russa (Mafia russa), abbia riciclato fino a 10 miliardi di dollari americani tramite le holding israeliane”.

L’ economia israeliana è in fortissima espansione perché truffatori del calibro di Bernie Madoff riciclano il proprio denaro tramite di i Sionisti e le istituzioni israeliane da decenni.

Israele “non se la passa male” perché è il principale venditore di diamanti insanguinati. Lungi dal coglierci di sorpresa, esso è anche il quarto maggiore venditore di armi del pianeta.
Comprensibilmente, diamanti insanguinati e armi si rivelano essere un’accoppiata vincente.

Come se non bastasse, Israele è così prospero perchè, di quando in quando, lo si scopre coinvolto nella raccolta e nel traffico di organi.

Insomma, per farla breve, Israele sta meglio di altri stati perché gestisce una delle più sporche e immorali economie del mondo. Nonostante l’iniziale promessa sionista di costituire “una civiltà ebraica etica”, Israele è piuttosto riuscito a realizzare una sistematica violazione del diritto internazionale e dei valori universali che non ha precedenti. Esso svolge il ruolo di sicuro paradiso fiscale per denaro proveniente da spregevoli attività criminali condotte su scala internazionale e si serve di uno degli eserciti più forti al mondo per difendere la ricchezza di pochi tra gli ebrei più ricchi al mondo.

Sempre di più, Israele assume le fattezze di un’enorme luogo di riciclaggio di denaro sporco da parte di oligarchi, truffatori, trafficanti d’armi e d’organi, criminalità organizzata e commercianti di diamanti insanguinati.

Tale politica economica può certamente dar conto del perché questo stato sia completamente indifferente all’uguaglianza sociale all’interno dei propri confini.

Poveri Israeliani

Poiché Israele si definisce stato ebraico, ci si aspetterebbe che la sua gente sia la prima a godere della crescita economica della nazione. Tuttavia non è affatto così: nonostante la forza dell’economia, il resoconto sulla giustizia sociale in Israele è terrificante. Nello stato ebraico 18 famiglie controllano il 60% dell’equity value di tutte le compagnie del territorio. Lo stato ebraico è scandalosamente crudele verso le fasce più povere della propria popolazione. Per quel che riguarda il gap tra ricchi e poveri, Israele è certamente tra i primi della lista.

Il significato di tutto questo è sconvolgente: nonostante si comporti come un’organizzazione tribale etnocentrica e razzialmente definita, Israele si rivela completamente noncurante verso i membri della sua stessa tribù – in effetti, nello stato ebraico, pochi milioni di ebrei sono al servizio dei più abietti interessi, il cui frutto sarà goduto da una manciata di ricchi criminali.

Fumo negli occhi

Ma c’è in tutto questo un significato implicito ancora più profondo e sconvolgente. Se la mia lettura dell’economia israeliana è corretta ed Israele è di fatti un luogo di riciclaggio del denaro proveniente dai traffici più loschi, allora il conflitto israelo-palestinese, dal punto di vista dell’elite israeliana, altro non è che fumo negli occhi.

Spero che i miei lettori ed amici mi perdoneranno per ciò che sto per scrivere, anzi spero di perdonare me stesso; ma mi sembra che il conflitto israelo-palestinese e gli orrendi crimini di cui questo paese si sta macchiando contro il popolo palestinese, in realtà servano a distogliere l’attenzione dalla sua connivenza in colossali crimini commessi a danno di moltissime popolazioni del mondo.

Invece di concentrarci sullo sfrenato ed avido tentativo israeliano di guadagnare ricchezza a spese del resto dell’umanità, ci stiamo concentrando su di un unico conflitto territoriale che in realtà è solo la punta dell’iceberg e nasconde la vera entità del progetto nazionale ebraico.

È più che probabile che la vasta maggioranza degli Israeliani non riesca a capire la strategia fuorviante che sottende il conflitto israelo-palestinese.

Gli Israeliani sono indottrinati a considerare ogni possibile questione dal punto di vista della sicurezza nazionale, essi non sono riusciti a capire che, di pari passo con l’intensa militarizzazione della loro società, il loro stato ebraico sia diventato un punto di riciclaggio del denaro sporco e un luogo di asilo per criminali di ogni angolo del mondo.

Ma la brutta notizia per Israele e la sua elite corrotta è che è solo questione di tempo prima che i Russi, gli Americani, gli Africani, gli Europei, tutta l’umanità si renda conto di tutto questo – e qui saremmo tutti Palestinesi ed avremmo in comune un unico nemico.

E potrei anche andare oltre, dicendo della possibilità che, a breve, ebrei ed Israeliani di classi sociali svantaggiate inizino a capire quanto ingannevoli e sinistri siano in realtà Israele ed il Sionismo.
di Gilad Atzmon


Fonte: www.gilad.co.uk/