01 marzo 2011

L'ideologia dell'anti-stato

Dichiarato ufficialmente "contumace" alla ripresa del processo Mediaset, il presidente del Consiglio si lancia nel suo Vietnam giudiziario con una dissennata dichiarazione di guerra. E seleziona con precisione chirurgica i suoi "nemici": il presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Sono loro, le due massime istituzioni di garanzia, che gli impediscono di governare. Se "non gli piacciono" le leggi varate dal Consiglio dei ministri, Giorgio Napolitano le rinvia alle Camere, gli "ermellini rossi" le respingono.

Si avvera dunque la facile profezia che avevamo formulato solo una settimana fa. Altro che senso dello Stato, altro che tregua istituzionale: Silvio Berlusconi si prepara a consumare quel che resta della legislatura all'insegna del conflitto permanente. C'è da chiedersi perché lo fa. C'è da chiedersi quale vantaggio possa trarre lui stesso, da un'aggressione sistematica che destabilizza gli equilibri costituzionali e avvelena le relazioni istituzionali. Le sue parole, da questo punto di vista, si prestano a un doppio livello di analisi possibile.

In primo luogo c'è la strategia politica. Risolto con una scandalosa compravendita il duello contro Gianfranco Fini, rinsaldata a suon di prebende un'esangue maggioranza aritmetica, neutralizzato momentaneamente l'assedio dell'opposizione parlamentare, il premier ha ora un bisogno disperato di trovare altri "contro-poteri" e di additarli all'opinione pubblica come ostacoli insormontabili sul cammino della "modernizzazione". Sa che non potrà fare le "grandi riforme" promesse in campagna elettorale. Non potrà varare la storica "rivoluzione fiscale" che consentirà ai contribuenti di pagare meno tasse, perché non ha il coraggio di stanare l'evasione. Non potrà varare un serio pacchetto di "scossa" all'economia, perché non sa trovare le risorse necessarie. Non potrà varare un vero riordino della giustizia nell'interesse di tutti i cittadini, perché la sua unica ossessione è un "ordinamento ad personam" che consenta solo a lui di salvarsi dai suoi processi.

Il suo carniere è vuoto. E resterà vuoto di qui alla fine della legislatura, anticipata o naturale che sia. Per questo deve trovare un capro espiatorio, sul quale scaricare i suoi fallimenti e travestirli da "impedimenti". Il Quirinale e la Consulta sono due bersagli ottimali. Con il suo attacco frontale, il Cavaliere sta dicendo agli italiani: sappiate che se non sono riuscito a risolvere i vostri problemi la colpa non è mia, ma di chi ha demolito le mie leggi. Quello di Berlusconi è solo un gigantesco alibi, che nasconde una colossale bugia. Ma solo di questo, oggi, può vivere il suo sfibrato governo e la sua disastrata coalizione: alibi e bugie, su cui galleggiare fino al 2013, per poi tentare il grande salto sul Colle più alto. A dispetto degli scandali privati di cui è stato protagonista e dei disastri pubblici di cui è stato artefice.

In secondo luogo c'è la "filosofia" politica. E qui, purtroppo, il presidente del Consiglio non fa altro che confermare la natura tecnicamente eversiva del suo modo di intendere il governo e la dialettica tra i poteri, la Carta costituzionale e lo Stato di diritto. In una parola, la democrazia. È tecnicamente eversiva l'idea che il presidente della Repubblica o la Consulta possano rinviare o bocciare una legge "perché non gli piace": non lo sfiora nemmeno il dubbio che l'uno o l'altra, nel giudicare sulla legittimità di una norma, agiscano semplicemente in base alle prerogative fissate dalla Costituzione agli articoli 74, 87 e 134. È tecnicamente eversiva l'idea che in Parlamento "lavorano al massimo 50 persone, mentre tutti gli altri stanno lì a fare pettegolezzo": non lo sfiora nemmeno il sospetto che la trasfigurazione delle Camere in volgare "votificio" sia esattamente il risultato della torsione delle regole che lui stesso ha voluto e causato, con decreti omnibus piovuti sulle assemblee legislative e imposti a colpi di fiducia.

Ma qui sta davvero l'essenza del berlusconismo. Cioè quell'impasto deforme di plebiscitarismo e populismo, di violenza anti-politica e onnipotenza carismatica. Da questa miscela esplosiva, con tutta evidenza, nasce l'Anti-Stato che ormai il Cavaliere incarna, in tutte le sue forme più esasperate e conflittuali. In questa dimensione distruttiva, la stessa democrazia, con i suoi canoni e i suoi precetti, non è più il "luogo" nel quale ci si deve confrontare, ma diventa la "gabbia" dalla quale ci si deve liberare. Contro il popolo, in nome del popolo. "Dispotismo democratico", l'aveva definito Alexis de Tocqueville. Scriveva dall'America, due secoli fa. È una formula perfetta per l'Italia di oggi.
di massimo giannini

Lettera aperta a Benigni

Caro Roberto Benigni,

Con la Sua incursione a Sanremo, molti nostri compatrioti hanno provato, forse per la prima volta, il brivido di un'idea; hanno percepito la "gravità" della bellezza, la rilevanza nella storia e nel mondo della nostra, malconcia, nazione.

Condivido con essi il sentimento di riconoscenza nei Suoi confronti, per averci ricordato che possiamo andare fieri di essere italiani, che siamo figli di Dante, Petrarca, Leonardo da Vinci, Raffaello e Giuseppe Verdi, e che in Italia la cultura è nata prima ancora delle istituzioni politiche.

In effetti, i più grandi uomini di cultura, come Dante, Petrarca e Verdi, furono attivi politici (Dante come l'equivalente di un presidente del consiglio attuale; Petrarca condusse la diplomazia tra Firenze e Venezia, anche se gli costò la vita; Verdi fu senatore, e le sue opere avevano ispirato la resistenza popolare contro gli austriaci). Ai tempi di Dante, e della Firenze rinascimentale, in cui si chiosava Dante nelle chiese e nelle piazze, come fece anche Lei anni addietro, la parola "politica" non era una parolaccia, come è diventata recentemente, ma indicava la partecipazione del cittadino alla vita della città (polis).

Per noi che il 17 marzo festeggeremo il 150enario dell’unità d'Italia, e che annoveriamo tra i nostri avi degli eroi del Risorgimento (tra cui mio nonno, Michele Gorini, che combattè a Roma in quella battaglia del Vascello a margine della quale Mameli fu per errore ferito mortalmente ad una gamba), è importante, e di profonda rigenerazione morale, sapere che c’è un’altra Italia rispetto a quella che compare tutti i giorni sulle prima pagine dei giornali: c'è l'Italia fondata da giovani "pronti alla morte" per darci un futuro migliore, una nazione sovrana e non più schiava di imperi o di invasori stranieri.

Come Lei sa, il nostro movimento, rifacendosi al Rinascimento italiano, si batte in tutto il mondo per una "nuova politica", come l'ha definita l'economista e leader democratico americano Lyndon LaRouche anni fa, quando diede vita al suo movimento giovanile (LYM - LaRouche Youth Movement) che oggi mette in campo sei candidati al Congresso USA, e altri candidati in Germania e Francia, tutti tra i 20 e 30 anni, proprio per esprimere in modo esemplare la loro capacità di guida politica della nazione. Sono questi gli statisti del futuro, giovani che credono fermamente nella verità, nella passione per la scienza, per la musica, per ciò che distingue l'uomo dalle bestie, quell'uomo che nel racconto dantesco Ulisse esortò a non vivere "come bruti", ma a "seguir virtute e canoscenza".

Credo che, avendo commosso tantissimi e avendoli fatti sentire italiani con una certa freschezza d'animo, la Sua ode vada nella direzione della rapida creazione di una generazione di politici degni di questo nome, e degni dei nostri padri fondatori, anche in Italia.

Così come Le abbiamo espresso la nostra gratitudine per questo, non possiamo però non tacere che i modelli che Lei ha offerto sono da respingere nel più deciso dei modi. L'idea dell'Impero Romano e quella di Mazzini padre della Patria sono non solo falsi modelli, ma non corrispondono all'anima risorgimentale vera, quella che dobbiamo rilanciare se vogliamo un futuro per l'Italia. È vero che Scipione impedì il "governo mondiale" dei Fenici, ma l'unica cosa buona che Roma ha tramandato è ciò che assimilò dai Greci; espressione massima quel Cicerone che fu soppresso agli albori dell' Impero da Lei incautamente elogiato.

Così come il Mazzini figlio di quel Romanticismo di marca britannica, che nel rilanciare i fasti del modello imperiale romano rinato nel dominio britannico sul mondo e la sua utopia di "democrazia pura" trascinò tanti giovani patrioti, in avventure folli tese a ritardare il riscatto nazionale poi guidato dal Cavour. Quel Cavour che Lei purtroppo nemmeno ha menzionato e che rappresenta il vero Genio del Risorgimento, definito "l'unico vero statista europeo" dai nostri avversari.

Per questo, è necessario un secondo Risorgimento che rilanci l'idea prometeica dell'Italia e degli Italiani, questa volta non contro gli austriaci, ma contro le forze che a livello finanziario ne rappresentano l'eredità imperiale: la Banca Centrale Europea, il gruppo bancario Inter-Alpha, il Fondo Monetario Internazionale, ecc. responsabili della speculazione in derivati ed hedge fund, della crisi scoppiata nel 2007 ed anche dei salvataggi bancari degli ultimi anni, che non fanno che aggravarla.

Per far risorgere dalle ceneri la nostra economia, e dunque le speranze delle giovani generazioni, oggi votate al pessimismo e al nichilismo del"no future", occorrerà adottare le soluzioni proposte da LaRouche più di dieci anni fa: il ripristino della separazione tra banche ordinarie e banche d'affari, sancita dalla Legge Glass-Steagall durante la prima presidenza di Franklin D. Roosevelt nel 1933, per mettere fine alla Grande Depressione e aumentare la potenza industriale degli Stati Uniti (grazie alla quale, espressa essenzialmente in una superiorità logistica, e non grazie a Churchill, fu sconfitto il nazismo), la sostituzione dell'attuale sistema finanziario speculativo e usuraio con un sistema creditizio (la cosiddetta Nuova Bretton Woods presentata da LaRouche per la prima volta a Roma nel 1997) e grandi progetti infrastrutturali ad alta tecnologia (quali il NAWAPA, il Transaqua, il Ponte Terrestre Eurasiatico), che daranno lavoro in pochi mesi a decine di milioni di disoccupati, in Italia e nel mondo.

Ma il fondamento di tutto questo, come sanno i poeti "superni legislatori del mondo", è un'immagine dell'Uomo diversa da quella che va oggi per la maggiore: è la "viva immagine del Creatore" affermata dal Rinascimento, è la concezione dell'Umanità intorno alla quale dibatterono i nostri avi del Risorgimento; è la visione di un Uomo che pensa e agisce oltre l'orizzonte del dolore e del piacere, che sente il brivido delle idee e, de esse ispirato, dà pienezza alla sua esistenza battendosi per la promozione del Bene Comune, dei viventi e delle future generazioni.

Spero che Lei, così come i nostri tanti lettori, ci sosterrete in questo sforzo, e che l'Italia scopra presto tra i suoi figli tanti Mameli, impegnati in prima persona nel difendere, assieme alla propria dignità, la calpesta e derisa sovranità nazionale. Se saremo riusciti in questo intento, potremo prevenire una catastrofe demografica globale ed epocale, e potremo davvero dire di essere orgogliosi di essere italiani.

Liliana Gorini , presidente di MoviSol

28 febbraio 2011

Un film già visto! La Libia come l'Iran...


http://blog.panorama.it/foto/files/2011/02/gheddafi-22-large.jpg


A scorrere oggi le immagini delle televisioni, a leggere i giornali compresi quelli di "sinistra" si rivede lo stesso film dei dittatori cattivissimi che opprimono i loro popoli e si dedicano a sadici spargimenti di sangue. Questo film l'abbiamo visto prima e durante la prima guerra dell'Irak (Desert Storm), della guerra per il Kossovo e per la disintegrazione della Jugoslavia, della seconda guerra contro l'Irak alla ricerca di armi di distruzione di massa che non si trovarono mai, della guerra contro l'Afghanistan alla ricerca di Bin Laden e dei terroristi che avrebbero fatto crollare le Torri gemelle, delle manifestazioni in Iran contro Ahmadinjed. C'è una novità importante: alla batteria massmediatica occidentale si sono unite le due emittenti televisive arabe AlJazeera e Al Arabia che hanno assunto il monopolio della informazione di quanto avviene da quelle parti tutto rigorosamente nello interesse dei plurimiliardari feudatari dell'Arabia Saudita e della nuova borghesia "liberista" che in tutto il Nord Africa e nella penisola arabica vorrebbe fare affari con gli occidentali, arricchirsi e che è sempre più insofferente per le quote di reddito che in Iran ed in Libia sono assorbite dal welfare, dai salari e dagli investimenti sociali.
Altre informazioni non possiamo averne. Abbiamo già visto nel 2003 le cannonate del carro armato americano contro le finestre del decimo piano dell'Hotel Palestine Ginevra abitato da giornalisti. Abbiamo visto il terrore sul viso di Giuliana Sgrena ferita e salvata dalla morte dall'eroico Calipari. Ad oggi 400 giornalisti sono stati uccisi nelle zone di guerra. I pochi che riescono a seguire il fronte o lavorano nelle zone occupate debbono essere autorizzati dai Comandi Militari USA ed i loro servizi vengono rigorosamente censurati.-
Tutto quello che abbiamo saputo o che sappiamo delle zone "calde" del pianeta dove gli americani portano la loro "pace" assieme a pacchetti di "diritti umani" viene filtrato dai servizi di informazione. I servizi ammettono soltanto giornalismo "embedded", militante anzi....militarizzato.
Oggi la Stampa di Torino portava a grandissimi titoli questa dichiarazione di Gheddafi: "Chi non è con me deve morire!" frase smentita ieri sera da un giornalista di rai new24 attribuendola ad un errore di traduzione. In effetti Gheddafi ha detto: " Se il popolo non mi vuole, merito di morire!. Nonostante la correzione la frase manomessa è stata riportata da tutta la stampa italiana e credo mondiale e l'intervento di correzione è stato ignorato. Montagna di menzogne si sommano a montagne di menzogne. Alcune di queste sono anche grossolane e ridicole come quella delle fosse comuni che non erano altro che immagini vecchie di un anno del cimitero di Tripoli. Ma la scienza della disinformazione non bada a queste quisquilie. Anche se la notizie è falsa in modo strepitoso viene messa in circolo lo stesso sulla base di un principio di sedimentazione di un linguaggio, di una cultura dell'avvenimento che qui sarebbe troppo lungo discutere. Insomma anche se falsa si incide nella memoria del pubblico.
La rivolta popolare o meglio il golpe contro il despota Gheddavi, è mossa dalle stesse forze che si agitano contro Ahmadinjed e ne reclamano la morte; è la borghesia che vorrebbe fare affari con l'Occidente, arricchirsi e che non sopporta il monopolio statale
sul petrolio e sul metano e vorrebbe che i proventi non fossero tutti investiti in sanità, pensioni, opere pubbliche, salari, scuola...La Libia ha dato sicurezza e benessere a tutti i suoi abitanti e per quaranta anni ha assorbito per quasi la metà della sua popolazione immigrati dai paesi poveri dell'africa. Anche centinaia di migliaia di egiziani lavorano in Libia. E' stato ricordato che il reddito procapite è il più alto dell'Africa, la vita media è di 77 anni pari a tre volte quella africana ed il livello di scolarizzazione assai alto.
Alla insofferenza della borghesia che vorrebbe arricchirsi subito bisogna sommare un dato
regionale e tribale. La Libia è l'unione di tre regioni. La Cirenaica, la Tripolitania ed il Fezzan. La Cirenaica è luogo in cui era radicata la monarchia e non ha mai accettato del tutto di essere governata da Tripoli. Sul risentimento dei cirenaici e sulle pretese della borghesia si è costruito il blocco di forze, sostenuto dagli USA, che forse sta per abbattere Gheddafi.
Purtroppo il regime non ha tenuto conto che 42 anni sono tanti, tantissimi e che il potere si corrompe ed invecchia. Lo stesso Gheddafi è molto invecchiato. Fa impressione vedere che il secondo uomo della Libia è uno dei figli di Gheddafi e che non si vede non emerge un gruppo dirigente che pure c'è stato se ha fatto moderna e forte la Nazione. Oggi il regime non ha una classe dirigente in grado di proporsi e di cimentarsi con il futuro. Questo pesa, pesa l'idea di Gheddafi di sentirsi eterno ed insostituibile se non con qualcuno del suo stesso sangue. Ma i suoi oppositori sono una pure e semplice riedizione del colonialismo e dei suoi ascari che Gheddafi scacciò con la rivoluzione indolore di quaranta anni fa. La libia peggiorerebbe se passasse dalla gestione arcaica del potere di Gheddafi a quella del principe ereditario di re idris e dei petrolieri e generali USA che gli stanno dietro.
Può darsi che diventi un protettorato USA come l'Irak.

di Pietro Ancona

01 marzo 2011

L'ideologia dell'anti-stato

Dichiarato ufficialmente "contumace" alla ripresa del processo Mediaset, il presidente del Consiglio si lancia nel suo Vietnam giudiziario con una dissennata dichiarazione di guerra. E seleziona con precisione chirurgica i suoi "nemici": il presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Sono loro, le due massime istituzioni di garanzia, che gli impediscono di governare. Se "non gli piacciono" le leggi varate dal Consiglio dei ministri, Giorgio Napolitano le rinvia alle Camere, gli "ermellini rossi" le respingono.

Si avvera dunque la facile profezia che avevamo formulato solo una settimana fa. Altro che senso dello Stato, altro che tregua istituzionale: Silvio Berlusconi si prepara a consumare quel che resta della legislatura all'insegna del conflitto permanente. C'è da chiedersi perché lo fa. C'è da chiedersi quale vantaggio possa trarre lui stesso, da un'aggressione sistematica che destabilizza gli equilibri costituzionali e avvelena le relazioni istituzionali. Le sue parole, da questo punto di vista, si prestano a un doppio livello di analisi possibile.

In primo luogo c'è la strategia politica. Risolto con una scandalosa compravendita il duello contro Gianfranco Fini, rinsaldata a suon di prebende un'esangue maggioranza aritmetica, neutralizzato momentaneamente l'assedio dell'opposizione parlamentare, il premier ha ora un bisogno disperato di trovare altri "contro-poteri" e di additarli all'opinione pubblica come ostacoli insormontabili sul cammino della "modernizzazione". Sa che non potrà fare le "grandi riforme" promesse in campagna elettorale. Non potrà varare la storica "rivoluzione fiscale" che consentirà ai contribuenti di pagare meno tasse, perché non ha il coraggio di stanare l'evasione. Non potrà varare un serio pacchetto di "scossa" all'economia, perché non sa trovare le risorse necessarie. Non potrà varare un vero riordino della giustizia nell'interesse di tutti i cittadini, perché la sua unica ossessione è un "ordinamento ad personam" che consenta solo a lui di salvarsi dai suoi processi.

Il suo carniere è vuoto. E resterà vuoto di qui alla fine della legislatura, anticipata o naturale che sia. Per questo deve trovare un capro espiatorio, sul quale scaricare i suoi fallimenti e travestirli da "impedimenti". Il Quirinale e la Consulta sono due bersagli ottimali. Con il suo attacco frontale, il Cavaliere sta dicendo agli italiani: sappiate che se non sono riuscito a risolvere i vostri problemi la colpa non è mia, ma di chi ha demolito le mie leggi. Quello di Berlusconi è solo un gigantesco alibi, che nasconde una colossale bugia. Ma solo di questo, oggi, può vivere il suo sfibrato governo e la sua disastrata coalizione: alibi e bugie, su cui galleggiare fino al 2013, per poi tentare il grande salto sul Colle più alto. A dispetto degli scandali privati di cui è stato protagonista e dei disastri pubblici di cui è stato artefice.

In secondo luogo c'è la "filosofia" politica. E qui, purtroppo, il presidente del Consiglio non fa altro che confermare la natura tecnicamente eversiva del suo modo di intendere il governo e la dialettica tra i poteri, la Carta costituzionale e lo Stato di diritto. In una parola, la democrazia. È tecnicamente eversiva l'idea che il presidente della Repubblica o la Consulta possano rinviare o bocciare una legge "perché non gli piace": non lo sfiora nemmeno il dubbio che l'uno o l'altra, nel giudicare sulla legittimità di una norma, agiscano semplicemente in base alle prerogative fissate dalla Costituzione agli articoli 74, 87 e 134. È tecnicamente eversiva l'idea che in Parlamento "lavorano al massimo 50 persone, mentre tutti gli altri stanno lì a fare pettegolezzo": non lo sfiora nemmeno il sospetto che la trasfigurazione delle Camere in volgare "votificio" sia esattamente il risultato della torsione delle regole che lui stesso ha voluto e causato, con decreti omnibus piovuti sulle assemblee legislative e imposti a colpi di fiducia.

Ma qui sta davvero l'essenza del berlusconismo. Cioè quell'impasto deforme di plebiscitarismo e populismo, di violenza anti-politica e onnipotenza carismatica. Da questa miscela esplosiva, con tutta evidenza, nasce l'Anti-Stato che ormai il Cavaliere incarna, in tutte le sue forme più esasperate e conflittuali. In questa dimensione distruttiva, la stessa democrazia, con i suoi canoni e i suoi precetti, non è più il "luogo" nel quale ci si deve confrontare, ma diventa la "gabbia" dalla quale ci si deve liberare. Contro il popolo, in nome del popolo. "Dispotismo democratico", l'aveva definito Alexis de Tocqueville. Scriveva dall'America, due secoli fa. È una formula perfetta per l'Italia di oggi.
di massimo giannini

Lettera aperta a Benigni

Caro Roberto Benigni,

Con la Sua incursione a Sanremo, molti nostri compatrioti hanno provato, forse per la prima volta, il brivido di un'idea; hanno percepito la "gravità" della bellezza, la rilevanza nella storia e nel mondo della nostra, malconcia, nazione.

Condivido con essi il sentimento di riconoscenza nei Suoi confronti, per averci ricordato che possiamo andare fieri di essere italiani, che siamo figli di Dante, Petrarca, Leonardo da Vinci, Raffaello e Giuseppe Verdi, e che in Italia la cultura è nata prima ancora delle istituzioni politiche.

In effetti, i più grandi uomini di cultura, come Dante, Petrarca e Verdi, furono attivi politici (Dante come l'equivalente di un presidente del consiglio attuale; Petrarca condusse la diplomazia tra Firenze e Venezia, anche se gli costò la vita; Verdi fu senatore, e le sue opere avevano ispirato la resistenza popolare contro gli austriaci). Ai tempi di Dante, e della Firenze rinascimentale, in cui si chiosava Dante nelle chiese e nelle piazze, come fece anche Lei anni addietro, la parola "politica" non era una parolaccia, come è diventata recentemente, ma indicava la partecipazione del cittadino alla vita della città (polis).

Per noi che il 17 marzo festeggeremo il 150enario dell’unità d'Italia, e che annoveriamo tra i nostri avi degli eroi del Risorgimento (tra cui mio nonno, Michele Gorini, che combattè a Roma in quella battaglia del Vascello a margine della quale Mameli fu per errore ferito mortalmente ad una gamba), è importante, e di profonda rigenerazione morale, sapere che c’è un’altra Italia rispetto a quella che compare tutti i giorni sulle prima pagine dei giornali: c'è l'Italia fondata da giovani "pronti alla morte" per darci un futuro migliore, una nazione sovrana e non più schiava di imperi o di invasori stranieri.

Come Lei sa, il nostro movimento, rifacendosi al Rinascimento italiano, si batte in tutto il mondo per una "nuova politica", come l'ha definita l'economista e leader democratico americano Lyndon LaRouche anni fa, quando diede vita al suo movimento giovanile (LYM - LaRouche Youth Movement) che oggi mette in campo sei candidati al Congresso USA, e altri candidati in Germania e Francia, tutti tra i 20 e 30 anni, proprio per esprimere in modo esemplare la loro capacità di guida politica della nazione. Sono questi gli statisti del futuro, giovani che credono fermamente nella verità, nella passione per la scienza, per la musica, per ciò che distingue l'uomo dalle bestie, quell'uomo che nel racconto dantesco Ulisse esortò a non vivere "come bruti", ma a "seguir virtute e canoscenza".

Credo che, avendo commosso tantissimi e avendoli fatti sentire italiani con una certa freschezza d'animo, la Sua ode vada nella direzione della rapida creazione di una generazione di politici degni di questo nome, e degni dei nostri padri fondatori, anche in Italia.

Così come Le abbiamo espresso la nostra gratitudine per questo, non possiamo però non tacere che i modelli che Lei ha offerto sono da respingere nel più deciso dei modi. L'idea dell'Impero Romano e quella di Mazzini padre della Patria sono non solo falsi modelli, ma non corrispondono all'anima risorgimentale vera, quella che dobbiamo rilanciare se vogliamo un futuro per l'Italia. È vero che Scipione impedì il "governo mondiale" dei Fenici, ma l'unica cosa buona che Roma ha tramandato è ciò che assimilò dai Greci; espressione massima quel Cicerone che fu soppresso agli albori dell' Impero da Lei incautamente elogiato.

Così come il Mazzini figlio di quel Romanticismo di marca britannica, che nel rilanciare i fasti del modello imperiale romano rinato nel dominio britannico sul mondo e la sua utopia di "democrazia pura" trascinò tanti giovani patrioti, in avventure folli tese a ritardare il riscatto nazionale poi guidato dal Cavour. Quel Cavour che Lei purtroppo nemmeno ha menzionato e che rappresenta il vero Genio del Risorgimento, definito "l'unico vero statista europeo" dai nostri avversari.

Per questo, è necessario un secondo Risorgimento che rilanci l'idea prometeica dell'Italia e degli Italiani, questa volta non contro gli austriaci, ma contro le forze che a livello finanziario ne rappresentano l'eredità imperiale: la Banca Centrale Europea, il gruppo bancario Inter-Alpha, il Fondo Monetario Internazionale, ecc. responsabili della speculazione in derivati ed hedge fund, della crisi scoppiata nel 2007 ed anche dei salvataggi bancari degli ultimi anni, che non fanno che aggravarla.

Per far risorgere dalle ceneri la nostra economia, e dunque le speranze delle giovani generazioni, oggi votate al pessimismo e al nichilismo del"no future", occorrerà adottare le soluzioni proposte da LaRouche più di dieci anni fa: il ripristino della separazione tra banche ordinarie e banche d'affari, sancita dalla Legge Glass-Steagall durante la prima presidenza di Franklin D. Roosevelt nel 1933, per mettere fine alla Grande Depressione e aumentare la potenza industriale degli Stati Uniti (grazie alla quale, espressa essenzialmente in una superiorità logistica, e non grazie a Churchill, fu sconfitto il nazismo), la sostituzione dell'attuale sistema finanziario speculativo e usuraio con un sistema creditizio (la cosiddetta Nuova Bretton Woods presentata da LaRouche per la prima volta a Roma nel 1997) e grandi progetti infrastrutturali ad alta tecnologia (quali il NAWAPA, il Transaqua, il Ponte Terrestre Eurasiatico), che daranno lavoro in pochi mesi a decine di milioni di disoccupati, in Italia e nel mondo.

Ma il fondamento di tutto questo, come sanno i poeti "superni legislatori del mondo", è un'immagine dell'Uomo diversa da quella che va oggi per la maggiore: è la "viva immagine del Creatore" affermata dal Rinascimento, è la concezione dell'Umanità intorno alla quale dibatterono i nostri avi del Risorgimento; è la visione di un Uomo che pensa e agisce oltre l'orizzonte del dolore e del piacere, che sente il brivido delle idee e, de esse ispirato, dà pienezza alla sua esistenza battendosi per la promozione del Bene Comune, dei viventi e delle future generazioni.

Spero che Lei, così come i nostri tanti lettori, ci sosterrete in questo sforzo, e che l'Italia scopra presto tra i suoi figli tanti Mameli, impegnati in prima persona nel difendere, assieme alla propria dignità, la calpesta e derisa sovranità nazionale. Se saremo riusciti in questo intento, potremo prevenire una catastrofe demografica globale ed epocale, e potremo davvero dire di essere orgogliosi di essere italiani.

Liliana Gorini , presidente di MoviSol

28 febbraio 2011

Un film già visto! La Libia come l'Iran...


http://blog.panorama.it/foto/files/2011/02/gheddafi-22-large.jpg


A scorrere oggi le immagini delle televisioni, a leggere i giornali compresi quelli di "sinistra" si rivede lo stesso film dei dittatori cattivissimi che opprimono i loro popoli e si dedicano a sadici spargimenti di sangue. Questo film l'abbiamo visto prima e durante la prima guerra dell'Irak (Desert Storm), della guerra per il Kossovo e per la disintegrazione della Jugoslavia, della seconda guerra contro l'Irak alla ricerca di armi di distruzione di massa che non si trovarono mai, della guerra contro l'Afghanistan alla ricerca di Bin Laden e dei terroristi che avrebbero fatto crollare le Torri gemelle, delle manifestazioni in Iran contro Ahmadinjed. C'è una novità importante: alla batteria massmediatica occidentale si sono unite le due emittenti televisive arabe AlJazeera e Al Arabia che hanno assunto il monopolio della informazione di quanto avviene da quelle parti tutto rigorosamente nello interesse dei plurimiliardari feudatari dell'Arabia Saudita e della nuova borghesia "liberista" che in tutto il Nord Africa e nella penisola arabica vorrebbe fare affari con gli occidentali, arricchirsi e che è sempre più insofferente per le quote di reddito che in Iran ed in Libia sono assorbite dal welfare, dai salari e dagli investimenti sociali.
Altre informazioni non possiamo averne. Abbiamo già visto nel 2003 le cannonate del carro armato americano contro le finestre del decimo piano dell'Hotel Palestine Ginevra abitato da giornalisti. Abbiamo visto il terrore sul viso di Giuliana Sgrena ferita e salvata dalla morte dall'eroico Calipari. Ad oggi 400 giornalisti sono stati uccisi nelle zone di guerra. I pochi che riescono a seguire il fronte o lavorano nelle zone occupate debbono essere autorizzati dai Comandi Militari USA ed i loro servizi vengono rigorosamente censurati.-
Tutto quello che abbiamo saputo o che sappiamo delle zone "calde" del pianeta dove gli americani portano la loro "pace" assieme a pacchetti di "diritti umani" viene filtrato dai servizi di informazione. I servizi ammettono soltanto giornalismo "embedded", militante anzi....militarizzato.
Oggi la Stampa di Torino portava a grandissimi titoli questa dichiarazione di Gheddafi: "Chi non è con me deve morire!" frase smentita ieri sera da un giornalista di rai new24 attribuendola ad un errore di traduzione. In effetti Gheddafi ha detto: " Se il popolo non mi vuole, merito di morire!. Nonostante la correzione la frase manomessa è stata riportata da tutta la stampa italiana e credo mondiale e l'intervento di correzione è stato ignorato. Montagna di menzogne si sommano a montagne di menzogne. Alcune di queste sono anche grossolane e ridicole come quella delle fosse comuni che non erano altro che immagini vecchie di un anno del cimitero di Tripoli. Ma la scienza della disinformazione non bada a queste quisquilie. Anche se la notizie è falsa in modo strepitoso viene messa in circolo lo stesso sulla base di un principio di sedimentazione di un linguaggio, di una cultura dell'avvenimento che qui sarebbe troppo lungo discutere. Insomma anche se falsa si incide nella memoria del pubblico.
La rivolta popolare o meglio il golpe contro il despota Gheddavi, è mossa dalle stesse forze che si agitano contro Ahmadinjed e ne reclamano la morte; è la borghesia che vorrebbe fare affari con l'Occidente, arricchirsi e che non sopporta il monopolio statale
sul petrolio e sul metano e vorrebbe che i proventi non fossero tutti investiti in sanità, pensioni, opere pubbliche, salari, scuola...La Libia ha dato sicurezza e benessere a tutti i suoi abitanti e per quaranta anni ha assorbito per quasi la metà della sua popolazione immigrati dai paesi poveri dell'africa. Anche centinaia di migliaia di egiziani lavorano in Libia. E' stato ricordato che il reddito procapite è il più alto dell'Africa, la vita media è di 77 anni pari a tre volte quella africana ed il livello di scolarizzazione assai alto.
Alla insofferenza della borghesia che vorrebbe arricchirsi subito bisogna sommare un dato
regionale e tribale. La Libia è l'unione di tre regioni. La Cirenaica, la Tripolitania ed il Fezzan. La Cirenaica è luogo in cui era radicata la monarchia e non ha mai accettato del tutto di essere governata da Tripoli. Sul risentimento dei cirenaici e sulle pretese della borghesia si è costruito il blocco di forze, sostenuto dagli USA, che forse sta per abbattere Gheddafi.
Purtroppo il regime non ha tenuto conto che 42 anni sono tanti, tantissimi e che il potere si corrompe ed invecchia. Lo stesso Gheddafi è molto invecchiato. Fa impressione vedere che il secondo uomo della Libia è uno dei figli di Gheddafi e che non si vede non emerge un gruppo dirigente che pure c'è stato se ha fatto moderna e forte la Nazione. Oggi il regime non ha una classe dirigente in grado di proporsi e di cimentarsi con il futuro. Questo pesa, pesa l'idea di Gheddafi di sentirsi eterno ed insostituibile se non con qualcuno del suo stesso sangue. Ma i suoi oppositori sono una pure e semplice riedizione del colonialismo e dei suoi ascari che Gheddafi scacciò con la rivoluzione indolore di quaranta anni fa. La libia peggiorerebbe se passasse dalla gestione arcaica del potere di Gheddafi a quella del principe ereditario di re idris e dei petrolieri e generali USA che gli stanno dietro.
Può darsi che diventi un protettorato USA come l'Irak.

di Pietro Ancona