La catastrofe giapponese ripropone tramite la discussione sul nucleare il tema dell'energia. Le risorse energetiche infatti sono l’elemento sostanziale per ogni interpretazione del modello di sviluppo economico. Quest’ultimo se si ritiene illimitato nell’espansione dei mercati per mezzo dell’allargamento dei consumi, non è dato in fisica giacché le risorse naturali per definizione sono scarse e limitate. In effetti, le flebili voci ambientaliste sembrano spesso ispirate più all’utopismo irrealistico, che ad una consapevolezza politica, fondata sulla contraddizione ingenerata tra la cultura e la natura dall’utilitarismo economicista e il pragmatismo tecnologico. D’altra parte le patologie prodotte dal modello di sviluppo industriale sono oggi di tale portata, che è credibile, finanche popolare, proporre un mutamento di paradigma capace di superare la modernità sul piano della sostenibilità ecologica e la responsabilità sociale e politica. Nella fattispecie, il sistema energetico italiano si fonda essenzialmente sulle fonti fossili: gas naturale, petrolio e suoi derivati, carbone. Ben il 67% dei 318 TWh di energia complessivamente consumati proviene, infatti, da centrali termoelettriche, equamente insediate nel territorio nazionale. Le fonti rinnovabili contribuiscono per il 16-17%. Prevalente è l’idroelettrica, prodotta soprattutto in centrali dell’Italia del Nord, che occupa una quota del 15%. Il residuo 2% viene dalla geotermia, dalle biomasse e dai rifiuti e, in misura minore, dall’eolico che fornisce, insieme al fotovoltaico, 1.183 GWh d’energia e che appare in crescita. A completare l’offerta ci sono infine le importazioni dirette di energia dai paesi confinanti, che pesano per un 16%. Il rifornimento avviene soprattutto da Francia e Svizzera, seguite da Austria, Slovenia e, in misura ridotta, Grecia. Dall’esame di questi sommari dati, spiccano agli occhi tre evidenze: l’elevato utilizzo di combustibili fossili, il ridotto apporto delle fonti pulite e rinnovabili, la notevole dipendenza dall’estero del nostro sistema energetico. Partiamo da quest’ultimo aspetto. Poveri di risorse tradizionali, siamo costretti ad approvvigionarci largamente dall’estero, acquistando sia combustibili sia elettricità. In tal senso, la localizzazione delle esigenze energetiche contribuirebbe ad un processo di consapevolezza ecologica delle fonti e responsabilizzazione sociale e politica dal basso verso l’alto, attivando un modello sussidiario e comunitario di autonomia e indipendenza che avrebbe un impatto virtuoso in efficienza ed efficacia economica. Altra evidenza, si è detto, è l’eccessivo utilizzo di fonti fossili. Escluse le importazioni di elettricità, ricorriamo per l’81% della nostra produzione alle fonti non rinnovabili, con pesanti conseguenze ambientali: è noto che, a livello mondiale, oltre il 75% dell’emissione di anidride carbonica (il principale gas responsabile del cosiddetto effetto serra) è imputabile alla combustione di fonti fossili (essenzialmente carbone e petrolio). Sappiamo delle controversie tra i paesi industrializzati occidentali e i Paesi emergenti sulla reale volontà di adottare la riduzione delle emissioni di gas serra, che ha visto recentemente a Copenhagen l’ultimo - ma non ultimo - atto internazionale. La tendenza, in effetti, è ad un continuo aumento della domanda di energia, anche se, in linea con gli altri paesi più industrializzati, negli ultimi anni il tasso di crescita si è stabilizzato su una media del 2-3%: merito sia di un uso più efficiente dell’energia, sia dello spostamento della nostra economia verso un terziario avanzato, a più bassa intensità energetica. Da questo punto di vista sarebbe auspicabile un mutamento di paradigma socio-economico. In un contesto di tarda o post-modernità, con una economia sempre più smaterializzata, declinare la tecnologia e le priorità socio-culturali su priorità in controtendenza - oggi percepite nell’opinione pubblica - incentrate sulla qualità della vita, la sua sacralità e quindi armonia naturale, è praticabile anche in termini di consenso diffuso.
Le fonti energetiche rinnovabili sono quelle fonti il cui utilizzo non ne comporta l’estinzione: sono quindi tendenzialmente infinite ed, in genere, pulite (la valutazione sull’impatto ambientale e salutare va fatta in relazione all’intero ciclo di vita). Sono il sole, il vento, l’energia idraulica, le maree, la geotermia e le biomasse. In Italia la miopia politica e culturale, indotta dai forti interessi economici dominanti, si è concentrata quasi completamente sulle fonti rinnovabili “convenzionali”, vale a dire energia idraulica, geotermica e da biomasse. Minoritario resta invece l’apporto di sole e vento (che solo in questi ultimi anni sta diffondendosi), inesistente quello dell’energia marina, mentre l’idrogeno resta ad uno stato ancora di studio con aspetti molto contraddittori in merito alle implicazioni ecologiche di tale prodotto energetico. Le speranze concrete per il futuro sono essenzialmente due: sole e vento. Sono fonti veramente rinnovabili, eterne, pulite, gratuite e senza padrone. Sebbene da secoli l’uomo sfrutti la potenza del vento, è solo negli ultimi decenni che ne riesce a trarne anche elettricità. Il potenziale mondiale è enorme: secondo gli studi, da 20 a 50mila TWh, ben al di sopra, quindi, dell’attuale fabbisogno globale del Pianeta.
La forte domanda si accompagna ad un progressivo affinamento della tecnologia eolica: dai primi generatori a due o anche una sola pala, siamo ormai assestati su quelli a tre pale, le cui dimensioni sono progressivamente aumentate. Ciò ha consentito un aumento della potenza (in 20 anni aumentata di 60 volte) ma non parallelamente dei costi (aumentati solo di 10 volte), grazie alle economie di scala. Caso esemplare dei vantaggi offerti dalle nuove FER anche a livello economico e occupazionale è quello della Danimarca. I danesi, che soddisfano con l’eolico il 20% del loro fabbisogno nazionale, hanno oggi il primato mondiale nel settore, con tre grandi imprese tra le prime dieci del pianeta ed una quota di mercato pari al 50% delle richieste mondiali. Quella eolica rappresenta oggi la prima industria della Danimarca, con 25.000 nuovi occupati. Interessante è anche il sistema di gestione degli impianti, affidati, sulla base di un azionariato popolare, a migliaia di piccoli investitori privati. In Italia gli impianti sono quasi tutti concentrati sui rilievi dell’Appennino centro-meridionale (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania. Tra i limiti che ostacolano una maggiore diffusione degli aerogeneratori, oltre alla basilare diversa esposizione ai venti, ci sono le resistenze locali (spesso animate da un risentito provincialismo), dovute all’innegabile impatto paesaggistico, all’inquinamento acustico e alle interferenze elettromagnetiche. Ancor più del vento, infatti, è il Sole, fonte di vita per eccellenza, che potrà risolvere i nostri problemi energetici. Il potenziale teorico è sconfinato: a seconda degli studi, 10-15.000 volte l’attuale fabbisogno mondiale. Tutto sta nel riuscire a “catturare” le radiazioni solari e a trasformarle in energia: una sfida tecnologica che negli ultimi anni sta registrando crescenti successi. L’energia solare può essere utilizzata per produrre calore o elettricità. Il primo uso è quello del cosiddetto “solare termico”, con i collettori per l’acqua calda per usi sanitari e per il riscaldamento degli edifici. Nelle realizzazioni più avanzate, si accompagna ad un termico passivo, che cattura il calore solare grazie ad una buona progettazione degli edifici. Paradossalmente, la loro diffusione è maggiore in paesi con insolazione minore: Germania ed Austria, mentre l’Italia, inondata dal sole per almeno otto mesi all’anno, è in un incomprensibile ritardo. C’è poi il solare fotovoltaico, per produrre elettricità. Si fonda sulle celle solari a base di silicio che, esposte alle radiazioni solari, originano cariche elettriche. L’efficienza di conversione delle celle è oggetto di un continuo affinamento tecnologico. Elettricità dal sole è poi prodotta anche grazie agli impianti a concentrazione, che moltiplicano la temperatura delle radiazioni solari grazie alla concentrazione dei raggi su un unico punto, utilizzando il sistema degli specchi di Archimede.
L’efficienza dei vari sistemi è ancora da perfezionare. I costi economici, in particolare, non sono ancora competitivi, e restano più alti di quelli dell’energia prodotta con fonti fossili, ma la valutazione sulla convenienza va presa su parametri non riduttivamente economicistici, ovviamente. Con l’attuale tendenza alla riduzione dei costi unitari, si conta, ad esempio, sull’assoluta competitività entro un arco di 10 anni. Il solare, resta, indubbiamente, la grande speranza. È una fonte pulita, veramente rinnovabile, eterna, gratuita e largamente diffusa. Non presenta, inoltre, problemi di impatto, se non, per le grandi centrali, per lo spazio richiesto. Ma la sua vera diffusione non sembra legata ai grandi impianti, quanto invece a piccoli impianti, in grado di soddisfare le esigenze dei singoli nuclei abitativi. Ma il discorso sulle fonti rinnovabili va reso completo con una “settima fonte”, forse la più “strategica”: il risparmio energetico conseguente ad un uso razionale della risorsa. A differenza del risparmio da “sobrietà”, che è centrale nella logica di una scelta di stile di vita critico verso i consumi superflui, il risparmio da uso razionale dell’energia consente di disegnare un quadro di operatività economica sostenibile con un minore dispendio di risorse, grazie alla sensibilità culturale, imprenditoriale e l’indipendenza del “politico” dai ricatti dei gruppi d’interesse consolidati.
Fonti rinnovabili e contenimento dei consumi tramite una diversa consapevolezza e un uso razionale dell’energia sono la realistica alternativa alle centrali a fonti fossili. Sono obiettivi possibili, che richiedono una lugimirante volontà politica e consapevolezza sociale. Il territorio è il luogo naturale di questa grande battaglia, che coinvolge lo stile di vita individuale in un contesto comunitario e partecipativo, solidale perché sussidiario. Le ricadute, sarebbero positive non solo per la devastata salute del nostro pianeta, ma anche per i risvolti strategici, economici e occupazionali. Una vera rivoluzione fattuale, per mutare l’attuale modello di sviluppo.