Anche analizzandola dal punto di vista esclusivamente economico la pratica dell’incenerimento dei rifiuti si rivela assolutamente disastrosa, a tal punto che se in Italia gli inceneritori non fossero pesantemente sovvenzionati attraverso il denaro dei cittadini, la loro costruzione e gestione non avrebbe economicamente alcun senso. Negli Stati Uniti che possono essere considerati il paese dove nacque l’incenerimento, già nel 1993 il Wall Street Journal definiva l’uso degli inceneritori per smaltire i rifiuti urbani come un vero disastro per le amministrazioni pubbliche e per i contribuenti.
Mentre l’Italia continua a praticare investimenti colossali nella costruzione di nuovi impianti d’incenerimento, proponendo i forni inceneritori come l’unica e più moderna risorsa indispensabile per gestire il problema dello smaltimento dei rifiuti, la maggior parte degli altri Paesi hanno smesso da tempo di considerare quella dell’incenerimento come una strada sulla quale occorre investire e si stanno orientando in direzioni opposte che privilegiano la raccolta differenziata, il riciclaggio ed il riutilizzo. Perfino le nazioni storicamente più propense ad incenerire i rifiuti, come gli stati Uniti ed il Giappone, da anni non stanno più costruendo nuovi inceneritori ed hanno iniziato a demolire quelli vecchi. In Svezia la costruzione degli inceneritori è stata abbandonata a favore della raccolta differenziata dei rifiuti, mentre 62 paesi nel mondo già aderiscono all’Alleanza globale contro gli inceneritori (GAIA)......
Solamente in Italia i forni inceneritori, qualora contemplino il recupero energetico, sono impropriamente definiti termovalorizzatori al fine di accreditarli presso l’opinione pubblica di una falsa immagine positiva che invece non posseggono. In realtà gli inceneritori non valorizzano un bel nulla, anzi contribuiscono a dissipare l’energia, distruggendo i materiali riciclabili presenti nei rifiuti, recuperando solo un decimo dell’energia in essi contenuta, mentre tramite il riciclaggio potrebbe esserne recuperata oltre il 50%.
L’Italia è l’unico stato europeo che finanzia l’incenerimento dei rifiuti, equiparandoli di fatto alle fonti rinnovabili, incentivando in questo modo la produzione di rifiuti, anziché la loro riduzione come prevede la normativa europea. Nessun altro stato in Europa ha scelto una strada di questo genere, mentre al contrario alcuni stati come Germania, Austria, Belgio e Danimarca impongono ai gestori d’inceneritori il pagamento di una tassa per ogni tonnellata di rifiuti bruciati, disincentivando in questo modo l’incenerimento dei rifiuti e la loro produzione.
Gli incentivi statali all’incenerimento: la truffa dei Cip6
Dal 1992 i cittadini italiani finanziano la disastrosa pratica dell’incenerimento dei rifiuti, le centrali termoelettriche e le produzioni di gas e carbone da residui di raffineria, in maniera coattiva attraverso il pagamento delle proprie bollette energetiche. Tutto ciò in virtù di una delibera (la numero 6) del Comitato Interministeriale Prezzi (CIP) che nel 1992 stabilì una maggiorazione di circa il 7% del prezzo dell’elettricità pagato dai consumatori finali. Tale contributo, denominato componente tariffaria A3, avrebbe dovuto essere utilizzato per promuovere le fonti energetiche rinnovabili (solare ed eolico su tutte) orientando verso di esse l’interesse delle aziende produttrici di energia. Nella formulazione della norma accanto all’espressione “energie rinnovabili” fu però aggiunta l’estensione “o assimilate” senza che nessuno si sia mai premurato di fissare precisi criteri per stabilire quali fonti energetiche potessero essere assimilate a quelle rinnovabili.
Le conseguenze di una normativa priva di chiarezza, costruita volutamente per favorire gli interessi dei grandi produttori di energia, dei petrolieri e delle municipalizzate e multiutility a capitale pubblico/privato che si spartiscono il business dell’incenerimento, sono state fino ad oggi semplicemente disastrose.
Dal momento dell’introduzione dei Cip6 fino al 2003 i consumatori italiani hanno pagato attraverso le bollette dell’energia circa 30 miliardi di euro. Il 92% di questa enorme cifra è stato utilizzato per finanziare impianti inquinanti come inceneritori e centrali a fonti fossili, mentre solamente l’8% è stato destinato a sostenere quegli impianti che realmente utilizzano le fonti rinnovabili pulite1.
Dal 2003 ad oggi ai consumatori italiani sono stati sottratti per mezzo dei contributi Cip6 ulteriori 14 miliardi di euro, l’80% dei quali hanno continuato a finanziare gli impianti inquinanti, mentre alle fonti rinnovabili è rimasto meno del 20%. L’istituzione dei Cip6 si è perciò rivelata una vera e propria truffa ai danni dei consumatori, avendo determinato fino ad oggi l’esborso di circa 44 miliardi di euro, sottratti alle famiglie italiane nella misura di circa 60 euro l’anno di aggravio, accampando il nobile proposito di favorire lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili pulite, mentre in realtà la stragrande maggioranza di questi contributi sono stati utilizzati per finanziare le centrali a fonti fossili (nonostante i grandi petrolieri già accumulassero enormi profitti) e la pratica dell’incenerimento dei rifiuti che altrimenti sarebbe risultata economicamente insostenibile.
La creazione dei contributi Cip6, grazie al “trucco” delle energie “assimilate” contribuì al salvataggio della Edison la cui situazione economica era di grande difficoltà dopo il crack Montedison, in quanto si calcola che la società incassò nel biennio 2003/2004 oltre la metà dei fondi Cip6 destinati alle fonti assimilate2. La Sarlux del gruppo Saras – Moratti che produce elettricità ricavandola dagli scarti petroliferi più inquinanti, trovò nell’esistenza dei Cip6 perfino la ragione precipua della propria creazione, finalizzata unicamente a creare profitto attraverso l’utilizzo distorto della normativa. Nel 2004 la società costituì infatti attraverso i Cip6 circa i tre quarti dei propri ricavi.
Anche la lobby dell’incenerimento, con in testa Hera, ASM Brescia e AEM Milano, confluite dopo la fusione nel gruppo A2A ed ENIA, ha fino ad oggi ricavato dai contributi Cip6 per le fonti “assimilate” cospicui finanziamenti che le permettono di rivendere con profitto l’energia prodotta per mezzo degli inceneritori in maniera assolutamente antieconomica. Quanto i proventi derivanti dalla truffa delle “assimilate” siano importanti per coloro che costruiscono e gestiscono gli inceneritori è chiaramente dimostrato dalla reazione scomposta del sindaco di Torino Sergio Chiamparino3 il quale, temendo che in virtù della revisione della legge la società TRM potesse perdere i finanziamenti Cip6 per il nuovo inceneritore del Gerbido, è andato in escandescenze fino al punto di suggerire al governo di spacciare per biomasse le plastiche ed i materiali tossici. Così come dal fatto che nonostante numerosi procedimenti d’infrazione e messe in mora del nostro Paese da parte dell’Unione Europea nessun governo abbia ancora deciso di mettere la parola fine alla truffa delle assimilate.
Nel testo della nuova legge finanziaria 2008, l’articolo 30, pur mantenendo in essere i contributi Cip6 per tutti gli impianti già realizzati, sembra proporsi d’imporre qualche “paletto” alla concessione degli stessi, per tutti gli impianti in fase di costruzione e progettazione e prevede che “gli incentivi Cip6 siano destinati solo agli impianti realizzati e operativi, e non a quelli già autorizzati ma in costruzione o non ancora costruiti, per i quali si prevede però la possibilità di riconoscimento del diritto agli incentivi da parte del Ministro dello sviluppo economico”.
Ancora una volta, come spesso accade in Italia, anziché fare chiarezza sull’argomento e determinare una svolta, la nuova legge mantiene in essere i contributi per i 129 impianti che attualmente ne usufruiscono, limitandosi ad eliminare l’erogazione dei Cip6 per i 16 impianti di prossima costruzione autorizzati ma non ancora operativi e per tutti quelli non ancora autorizzati, lasciando però ampio spazio alla possibilità di deroghe e concessioni che di fatto potranno essere in grado di “aggirare la normativa” e dando la sensazione che in fondo non sia cambiato nulla. A dimostrazione di quanto sia fondata questa sensazione, lo scorso 31 gennaio 2008 il Presidente del Consiglio Romano Prodi, sfruttando l’onda emotiva dell’emergenza rifiuti in Campania, ha firmato un’ordinanza con la quale concede, in deroga alla legge vigente, i contributi Cip6 per la costruzione degli inceneritori di Acerra, Santa Maria di Fossa e Salerno (quest’ultimo ancora neppure in fase di progetto) ristabilendo di fatto la truffa delle “assimilate” anche per il futuro, trattandosi d’impianti che vedranno la luce fra molti anni ed usufruiranno degli incentivi fino ad oltre il 2020.
L’UE ci mette in mora
I vari provvedimenti che l’Unione Europea sta portando avanti nei confronti dell’Italia, contestandole di aver violato la normativa ambientale sono ad oggi circa una trentina. La truffa dei Cip6 è già stata oggetto di 4 procedure d’infrazione, (2004/43/46, 2005/50/61, 2005/40/51 e 2005/23/29) e di una lettera di messa in mora da parte della UE, relativa alla prima procedura d’infrazione. Il megainceneritore ASM di Brescia, a più riprese spacciato come modello da imitare in quanto miracolistico esempio d’incenerimento “pulito”, è stato messo in mora dalla Corte europea di giustizia che contesta al governo italiano l’inadempimento di ben 4 direttive europee sull’ambiente, fra le quali la mancanza della procedura di VIA che non è mai stata effettuata.
Nella direttiva 2006/12/CE del 5 aprile 2006 riguardante i rifiuti la UE ritiene “ auspicabile favorire il recupero dei rifiuti e l’utilizzazione dei materiali di recupero come materie prime per preservare le risorse naturali”. La pratica dell’incenerimento procede invece esattamente in direzione opposta, poiché sottrae al recupero e al riciclo materiali come la plastica, la carta ed il cartone, favorendo un più intenso sfruttamento delle risorse naturali.
Nella stessa direttiva del 2006 si auspica che “gli Stati membri adottino le misure appropriate per promuovere in primo luogo la prevenzione o la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti”. Già nel 2000 la UE prevedeva la stabilizzazione della produzione di rifiuti nell’ordine di 300 kg annui pro capite. In Italia la produzione annua di rifiuti pro capite ammonta mediamente a 563 kg4 con una spesa media di 123,12 euro a persona, ed è aumentata costantemente negli ultimi 10 anni di oltre il 20%. Nelle regioni dove l’incenerimento risulta particolarmente diffuso la produzione di rifiuti si manifesta ancora più alta rispetto al resto d’Italia, basti pensare a realtà come la Toscana o la provincia di Brescia, nella quale è attivo il più grande inceneritore d’Europa, dove vengono prodotti oltre 700 kg annui di rifiuti pro capite. La raccolta differenziata, indispensabile per consentire il recupero ed il riciclo dei rifiuti, come auspicato dalla direttiva UE, si aggira in Italia stando ai dati ufficiali (molte volte drogati attraverso artifizi ed alchimie) mediamente intorno al 25% e nonostante un progressivo modesto incremento avvenuto negli ultimi anni stenta a decollare, anche grazie alla costruzione di sempre nuovi inceneritori che annientando il riciclo ne praticano di fatto l’eutanasia.
Kyoto: l’inarrivabile obiettivo
In virtù del protocollo di Kyoto l’Italia avrebbe dovuto diminuire le proprie emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2012. Il nuovo pacchetto legislativo presentato dalla Commissione europea per ridurre le emissioni di Co2 della UE del 20% entro il 2020, presentato alla fine di gennaio e che dovrebbe essere approvato entro il 2008, chiede all’Italia di tagliare le emissioni Co2 nei settori non inclusi nel sistema di scambio di emissioni ( rifiuti, trasporti, edilizia) del 13% rispetto ai livelli del 2005.
L’Italia oltre ad essere lontanissima dalla possibilità di raggiungere questi obiettivi, ha fino ad oggi continuato a marciare in direzione diametralmente opposta a quanto convenuto e le emissioni di Co2 nel nostro paese sono aumentate del 13% nel periodo 1990/2005, anche grazie all’incenerimento dei rifiuti. Gli inceneritori a recupero energetico, sovvenzionati tramite i Cip6 con il prelievo coatto dalle tasche dei consumatori poiché economicamente insostenibili, producono infatti energia emettendo più Co2 rispetto alla media delle altre fonti energetiche. Per produrre un Kilowattora tramite l’incenerimento dei rifiuti solidi urbani si emettono 940 g di Co25, contro i 500 g degli impianti a gas tradizionali, i 650 g degli impianti termoelettrici a fonti fossili, gli 800 g degli impianti a carbone “pulito”, i 900 g degli impianti a carbone tradizionali e le emissioni zero derivanti dal solare e dall’eolico.
Gli investimenti colossali nella costruzione di nuovi inceneritori, assimilati dalla legge italiana alle fonti energetiche rinnovabili e pertanto cospicuamente sovvenzionati tramite Cip6 e certificati verdi, hanno contribuito e contribuiranno pertanto ad incrementare le emissioni di Co2 del nostro Paese, allontanandolo dalla possibilità di fare fronte agli impegni contratti in ambito internazionale per quanto concerne la produzione di gas serra ed esponendolo a tutte le conseguenze (sanzioni pecuniarie ed esborsi monetari) derivanti da questa inadempienza.
Conflitti d’interesse: le responsabilità di comuni, province ed enti
Se la pratica dell’incenerimento dei rifiuti in Italia sta continuando a proliferare, mettendo a repentaglio la salute di un sempre maggiore numero di cittadini ed impedendo la creazione di un ciclo virtuoso dei rifiuti volto a diminuire la loro quantità ed incrementare il riciclo ed il riutilizzo, lo si deve anche allo scarso grado di responsabilità delle autorità comunali e provinciali che hanno concesso e concedono con estrema leggerezza le autorizzazioni per la costruzione dei forni inceneritori. Così come pesanti responsabilità gravano su quegli enti (Arpa, USL) che dovrebbero tutelare la salute del cittadino e non lo fanno, in quanto schiavi delle pressioni politiche e finanziarie che ne condizionano l’operato fino al punto da costringerle al silenzio quando non perfino alla mistificazione dei dati.
I comuni e le province hanno ormai abdicato quasi completamente dalla loro funzione di amministrazione della cosa pubblica e salvaguardia della salute dei cittadini e dell’ambiente di loro competenza, per trasformarsi in società private che amministrano in maniera privatistica, acquistano derivati finanziari, partecipano a società quotate in borsa, si fondono fra loro per costituire multiutility dalle potenzialità finanziarie sempre più spaventose.
Come potrebbero i grandi comuni dell’Emilia Romagna valutare con obiettività, facendo fede al principio di precauzione, l’opportunità di costruire un nuovo inceneritore o di raddoppiare quello già esistente all’interno del territorio da loro amministrato, se la costruzione e gestione dell’impianto sarà competenza di Hera s.p.a.6 della quale essi stessi fanno parte?
Come avrebbe potuto l’amministrazione comunale bresciana, parte integrante della società ASM, valutare serenamente le ricadute negative del megainceneritore di Brescia, costruito e gestito dalla ASM stessa?
Come possono il comune di Torino e gli altri comuni coinvolti dalla costruzione del nuovo megainceneritore del Gerbido, salvaguardare e tutelare nel tempo la salute dei propri cittadini, se la società TRM deputata a costruire e gestire l’impianto è costituita dai comuni stessi ed i soggetti che hanno definito la necessità di costruire l’impianto e lo hanno affidato a TRM sono gli stessi che conducono la procedura di compatibilità ambientale e che successivamente avranno specifici compiti di controllo e intervento sull’impianto nel caso di malfunzionamenti o problemi?
Commistioni fra interesse pubblico e privato, conflitti d’interesse, coesistenza del controllore e del controllato all’interno di un unico soggetto, non rappresentano delle eccezioni ma sono ormai diventate “la regola” attraverso la quale le amministrazioni pubbliche e gli enti territoriali si rapportano con i cittadini con conseguenze a dir poco catastrofiche.
Può accadere così che un inceneritore come quello di Terni venga posto sotto sequestro dalla Procura della Repubblica ed i 32 operai che vi lavorano siano invitati a recarsi entro 48 ore presso uno studio medico per sottoporsi ad esame radiologico. Che un sindaco, come quello del capoluogo umbro, e la sua giunta (eletti al secondo mandato con il 70% dei voti) vengano accusati dalla magistratura di avere avvelenato i propri cittadini attraverso i fumi ed i liquami dell’inceneritore locale controllato dalla municipalizzata Asm. Un forno inceneritore dove senza autorizzazione veniva bruciato di tutto, dai rifiuti ospedalieri a quelli radioattivi.
Può accadere, come avvenuto a Treviso in occasione del devastante incendio della De Longhi, che per ore si sviluppi un rogo di materiali plastici senza che venga attivato nessun piano di emergenza per la sicurezza della popolazione ed i tecnici dell’Arpav (che dovrebbero salvaguardare la salute dei cittadini) dichiarino l’assoluta inesistenza del rischio diossina, salvo venire clamorosamente smentiti in un secondo tempo dalle analisi condotte a proprie spese da privati cittadini.
Può accadere, come in Val di Susa, che l’acciaieria Beltrame contamini i terreni circostanti per un raggio di molti chilometri con pesanti emissioni di diossina e pcb, ma riceva comunque dalla Provincia l’autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) sulla base di limiti di emissione innalzati oltre ogni logica, violando le normative nazionali e comunitarie. Così come può accadere che i dati raccolti dall’ASL dimostrino la pesante contaminazione di pascoli e terreni agricoli della Valle e la situazione venga risolta semplicemente facendo si che l’ASL interrompa i propri controlli.
In Italia quello dei rifiuti è diventato un vero e proprio mercato, attraverso la gestione del quale costruire profitti in regime di monopolio a bassissimo rischio d’impresa, attingendo al denaro dei contribuenti che non hanno alcuna voce in capitolo per quanto concerne le strategie e le decisioni che condizioneranno il loro futuro, sia dal punto di vista economico che da quello sanitario ed ambientale. I cittadini si ritrovano pertanto sempre più soli, abbandonati da quelle amministrazioni pubbliche che anziché tutelarli nei loro diritti perseguono il business degli inceneritori, costituendo società per azioni con ambizioni internazionali accanto ai grandi gruppi bancari7 ed ai colossi dell’energia. Vittime della colpevole disinformazione messa in atto dagli enti (Arpa, Asl) che avrebbero il dovere di tutelarne la salute, e oggetto delle menzogne di larga parte del mondo scientifico che, aggiogato al carrozzone del potere, mente spudoratamente mistificando in TV e sui giornali la realtà oggettiva concernente le reali conseguenze dal punto di vista sanitario ed ambientale determinate dagli impianti d’incenerimento dei rifiuti.
di Marco Cedolin
1 Fonte X Commissione della Camera dei Deputati 6 novembre 2003
2 Licenziare i padroni di Massimo Mucchetti – Feltrinelli Edizioni 2003
3 Cip6 in finanziaria – per Chiamparino “decisione improvvida” E. Gazzette – 18 dicembre 2006
4 Dati tratti dal Rapporto 2007 dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente
5 Dati ufficiali della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
6 Il Gruppo Hera è una multiutility quotata in borsa dal 2003 che incorpora le municipalizzate di Bologna, Ravenna, Forlì, Cesena, Rimini, Cesenatico, Faenza, Savignano, Imola, Lugo, Riccione, Ferrara e Modena.
7 Ansa-22/10/2007: Giuliano Zuccoli, Presidente di AEM Milano, parlando della neonata A2A ha vantato l’ambizione di conseguire una dimensione perlomeno europea. A2A controlla il pacchetto di maggioranza di Delmi s.p.a. accanto a Mediobanca, CRT e Banca popolare di Milano. Delmi in maniera paritetica con la francese EDF possiede il 61% di Edison s.p.a.
08 aprile 2011
07 aprile 2011
Giappone: mare radioattivo. Perché viene sottovalutata la contaminazione per catena alimentare?
Hidehiko Nishiyama, vice direttore dell'agenzia per la sicurezza nucleare giapponese, ha dichiarato ieri al briefing sulla situazione di crisi nucleare, che i livelli di iodio radioattivo nel mare, a 300 metri dalla centrale di Fukushima, sono 3.355 volte superiore al limite di legge.
Nel mare si trova il placton, e fin dalle scuole elementari ci insegnano che è base della catena alimentare. Cosa succede se cesio e altri radioisotopi vanno sul plancton?
Perché viene sottovalutata la contaminazione per catena alimentare?
Forse perché è il problema più grande, incontrollabile
Intervista a Ernesto Burgio, Comitato Scientifico ISDE
http://www.youtube.com/watch?v=vg8Vm7h6XVM
Il principale problema che ci si pone in questi giorni è : i modelli che normalmente utilizziamo per valutare i danni reali sulle popolazioni direttamente o indirettamente esposte a radiazioni ionizzanti, sono ancora validi o continuiamo a utilizzare dei modelli che sono vecchi, che sono insufficienti?
Quando ci troviamo di fronte a un incidente di grandi dimensioni (ormai siamo quasi a livello dell'incidente di Chernobyl) bisogna affrontare il problema in due direzioni: c'è la popolazione direttamente esposta e quella indirettamente esposta. Quest'ultima, ad esempio, può contaminarsi attraverso le catene alimentari.
Uno dei grandi problemi da affrontare è quanti radioisotopi come il cesio 137 che rimane a lungo nelle catene alimentari, sono realmente usciti dai reattori che sono stati danneggiati. Dobbiamo sperare che non si arrivi alla fusione definitiva, perché altrimenti la fuoriuscita sarà massivaanche di radioisotopi pesanti che rimangono nell'ambiente per migliaia di anni.
Ma anche ragionando ancora sul cesio il vero problema è che al momento in cui il cesio e altri radioisotopi vanno sul plancton, finiscono nel mare, è chiaro che per anni, probabilmente per decenni le catene alimentari sono inquinate…. Perché le catene alimentari sono il problema, probabilmente maggiore e enormemente sottovalutato? Perché chi introduce per via alimentare il cesio, se lo trova all'interno dell'organismo ed è come avere una piccola, apparentemente piccola, sorgente radioattiva che dall'interno va a colpire moltissime cellule…
Il vero problema su cui sappiamo poco è che molte di queste sostanze radioattive, vanno a marcare le cellule staminali e i gameti. Marcando i gameti, il danno che vediamo nel giro di pochi anni sulle popolazioni adulte di tutto il mondo è sempre da interpretare come qualcosa che si può amplificare nella generazione successiva.
di Massimo De Maio
Nel mare si trova il placton, e fin dalle scuole elementari ci insegnano che è base della catena alimentare. Cosa succede se cesio e altri radioisotopi vanno sul plancton?
Perché viene sottovalutata la contaminazione per catena alimentare?
Forse perché è il problema più grande, incontrollabile
http://www.youtube.com/watch?v=vg8Vm7h6XVM
Il principale problema che ci si pone in questi giorni è : i modelli che normalmente utilizziamo per valutare i danni reali sulle popolazioni direttamente o indirettamente esposte a radiazioni ionizzanti, sono ancora validi o continuiamo a utilizzare dei modelli che sono vecchi, che sono insufficienti?
Quando ci troviamo di fronte a un incidente di grandi dimensioni (ormai siamo quasi a livello dell'incidente di Chernobyl) bisogna affrontare il problema in due direzioni: c'è la popolazione direttamente esposta e quella indirettamente esposta. Quest'ultima, ad esempio, può contaminarsi attraverso le catene alimentari.
Uno dei grandi problemi da affrontare è quanti radioisotopi come il cesio 137 che rimane a lungo nelle catene alimentari, sono realmente usciti dai reattori che sono stati danneggiati. Dobbiamo sperare che non si arrivi alla fusione definitiva, perché altrimenti la fuoriuscita sarà massivaanche di radioisotopi pesanti che rimangono nell'ambiente per migliaia di anni.
Ma anche ragionando ancora sul cesio il vero problema è che al momento in cui il cesio e altri radioisotopi vanno sul plancton, finiscono nel mare, è chiaro che per anni, probabilmente per decenni le catene alimentari sono inquinate…. Perché le catene alimentari sono il problema, probabilmente maggiore e enormemente sottovalutato? Perché chi introduce per via alimentare il cesio, se lo trova all'interno dell'organismo ed è come avere una piccola, apparentemente piccola, sorgente radioattiva che dall'interno va a colpire moltissime cellule…
Il vero problema su cui sappiamo poco è che molte di queste sostanze radioattive, vanno a marcare le cellule staminali e i gameti. Marcando i gameti, il danno che vediamo nel giro di pochi anni sulle popolazioni adulte di tutto il mondo è sempre da interpretare come qualcosa che si può amplificare nella generazione successiva.
di Massimo De Maio
06 aprile 2011
Ripristinare la sovranità economica
VERSO LE BANCHE DI PROPRIETA' DELLO STATO
"E l'ora di dichiarare la sovranità economica dalle banche multinazionali che sono responsabili di gran parte della nostra crisi economica attuale. Ogni anno inviamo oltre un miliardo di dollari di dollari dei contribuenti dell’Oregon a banche estere e multinazionali sotto forma di depositi, solo per vedere che il denaro è investito altrove. È il momento di mettere i nostri soldi a lavorare per gli abitanti dell'Oregon "Rispondendo ad un bisogno non soddisfatto per il credito alle amministrazioni locali, alle imprese e ai consumatori locali, tre stati nel mese scorso hanno prfesentato degli atti per l’introduzione di banche di proprietà statale - Oregon, Washington e Maryland – unendosi a Illinois, Virginia, Massachusetts e Hawaii per portare il numero totale a sette.
Mentre Wall Street riporta profitti da record, le banche locali si dibattono, il credito per le piccole imprese e dei consumatori rimane contratto, ed i governi locali sono in bilico sulla bancarotta. Si parla addirittura di consentire a governi statali di presentare istanza di fallimento, qualcosa che la legislazione vigente vieta. Il governo federale e la Federal Reserve sono riusciti a trovare miliardi di dollari per puntellare le banche di Wall Street che hanno precipitato la crisi del credito, ma non hanno esteso questa generosità per i contribuenti e le amministrazioni locali che sono stati costretti a pagare il conto.
Nel mese di gennaio, il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke ha annunciato (1) che la Fed aveva escluso un piano di salvataggio della banca centrale per i governi statali e locali. Il deficit di bilancio di Stato collettivo per il 2011 è previsto a 140 miliardi di dollari, solo l'1% dei 12.300 miliardi dollari (2) la Fed è riuscita a raggranellare tra liquidità, prestiti a breve termine, e altre condizioni finanziarie per salvare Wall Street. Ma il presidente Bernanke ha detto che la Fed è limitata per statuto dal comprare il debito del governo municipale con scadenza di sei mesi o meno che sia direttamente assistito da imposte o altre entrate assicurate, una forma di debito che rappresenta meno del 2% del mercato globale municipale. I governi statali e municipali, a quanto pare, sono in proprio. (3)
Di fronte all’inazione federale e alla crescente crisi di bilancio locale, un numero crescente di Stati stanno valutando la possibilità di creare proprie banche di proprietà dello Stato, seguendo il modello del North Dakota, l'unico Stato che sembra essere sfuggito indenne alla crisi del credito. La Banca del Nord Dakota (BND) vecchia di 92 anni, attualmente l'unica banca di proprietà statale degli Stati Uniti, ha contribuito a evitare al North Dakota i disastri che incombono sui bilanci di altri Stati. Nel 2009, il North Dakota esibiva il maggiore avanzo di bilancio che avesse mai avuto. La BND contribuisce a finanziare non solo il governo locale ma anche banche e imprese locali, mettendo a disposizione i fondi per i prestiti alle banche commerciali di sostegno al credito delle piccole imprese.
Nell'ultimo mese, tre Stati hanno introdotto atti per le banche di proprietà statale, secondo il modello del Nord Dakota. L'11 gennaio, un disegno di legge per istituire una banca di proprietà statale è stata introdotta nella legislatura dello Stato dell’Oregon (4); Il 13 gennaio, un disegno di legge simile è stato introdotta nello Stato di Washington (discusso in un precedente articolo (5)) E il 4 febbraio, un simile atto è stato introdotto nella legislatura del Maryland (6) per uno studio di fattibilità. Essi si uniscono a Illinois (7), Virginia (8), Hawaii (9) e Massachusetts (10), Che hanno introdotto atti analoghi nel 2010.
Ampio sostegno
Le proposte di legge sono ampiamente sostenute da proprietari di piccole imprese. Il Seattle Times ha segnalato (11) il 3 febbraio che il 79% di 107 imprenditori interpellati dalla Main Street Alliance di Washington, ha sostenuto la proposta di legge dello Stato di Washington. Più della metà ha dichiarato di aver sperimentato una stretta del credito d'affari, e tre quarti di coloro hanno detto che potrebbero creare nuovi posti di lavoro se le loro esigenze di credito fossero soddisfatte. Un sondaggio condotto dalla Main Street Alliance dell’Oregon ha prodotto risultati simili (12). La loro indagine, che ha riguardato 115 aziende in 28 comuni, ha scoperto che due terzi dei piccoli imprenditori avevano ritardato o cancellato espansioni a causa di problemi di credito, al 41 per cento era stato negato il credito; e il 42 per cento avevano visto le loro condizioni di credito peggiorate. Tre quarti degli imprenditori intervistati ha sostenuto la proposta di legge dell'Oregon.
A sostenere l'idea (13) di una banca di proprietà statale è anche il tesoriere dello Stato dell’Oregon Ted Wheeler, con questa versione: egli pensa che l’Oregon può sbloccare una capacità supplementare di prestito in collaborazione con le istituzioni esistenti creando una banca "virtuale". Lo Stato non avrebbe bisogno di costruire nuovo banche di cemento e mattoni che richiedono centinaia di nuovi dipendenti al loro servizio. I nuovi strumenti procurati allo Stato per essere una "banca" potrebbero essere organizzati in modo rapido ed economico attraverso una cornice che lui chiama una "banca virtuale di sviluppo economico". In un editoriale (14) pubblicato su Oregonlive.com il 9 febbraio, ha scritto:
Le banche "creano" soldi sfruttando il loro capitale (15) nei prestiti. Ad una esigenza patrimoniale dell'8%, possono attirare capitale con un fattore di dodici, purché in grado di attrarre depositi sufficienti (raccolti o presi in prestito) per eliminare i controlli in uscita. Gli Stati danno via questo potere di leveraggio quando hanno messo i loro depositi nelle banche di Wall Street e investito lì i loro capitali.
I governi statali e municipali hanno asset dappertutto riposti in fondi separati per i tempi di congiuntura sfavorevole, che sono in gran parte investiti in banche di Wall Street per un rendimento molto modesto. Allo stesso tempo, gli Stati prendono in prestito da Wall Street a tassi d'interesse molto più alti e devono preoccuparsi di cose come il rating, le tasse in ritardo, e swap su tassi di interesse, che hanno dimostrato di essere investimenti molto buoni per Wall Street e investimenti molto cattivi per i governi locali.
Consolidando la loro attività nelle proprie banche di proprietà statale, i governi statali e locali sono in grado di sfruttare i propri fondi per finanziare le proprie operazioni, e possono fare questo in sostanza senza interessi, dal momento che possiedono la banca e avranno indietro gli interessi. La BND ha contribuito per più di 300 milioni di dollari alle le casse dello Stato negli ultimi dieci anni, un risultato notevole per uno Stato con una popolazione che è meno di un decimo della dimensione della Contea di Los Angeles.
Il crescente movimento per stabilire la sovranità economica locale attraverso le banche di proprietà statale è stata un'iniziativa popolare che è cresciuta spontaneamente in risposta a bisogni non soddisfatti per il credito locale. In Oregon, la spinta è venuta da un gruppo di volontariato attivo chiamato Oregonians for a State Bank (16) in collaborazione con il Working Families Party (17). A Washington, un ruolo importante è stato svolto dal Main Street Alliance, un progetto dell’Alliance for a Just Society (Ex NWFCO) (18). Il principale difensore legislative nello Stato di Washington è il Repubblicano Bob Hasegawa. In Maryland, la campagna è stata avviata dal Center for State Innovation (CSI) (19), con sede nel Wisconsin, in collaborazione con il Service Employees International-Union (SEIU) (20) e la Progressive States Network. Il Progressive Maryland (21) è un sostenitore di primo piano delle ONG. Analisi dettagliate delle iniziative nello Stato di Washington e dell’Oregon e dei loro benefici previsti sono stati effettuati da CSI (22). Per gli sforzi di base in altri Stati e per le petizioni che possono essere firmate, vedere http://publicbankinginstitute.org/state-info.htm.
di Ellen Brown
Ellen Brown è un avvocato e presidente del Public Banking Institute. Ha scritto undici libri, Tra cui Web of Debt: The Shocking Truth About Our Money System and How We Can Break Free (2010).(La ragnatela del debito: la scioccante verità sul nostro sistema monetario e come liberarsene)
"E l'ora di dichiarare la sovranità economica dalle banche multinazionali che sono responsabili di gran parte della nostra crisi economica attuale. Ogni anno inviamo oltre un miliardo di dollari di dollari dei contribuenti dell’Oregon a banche estere e multinazionali sotto forma di depositi, solo per vedere che il denaro è investito altrove. È il momento di mettere i nostri soldi a lavorare per gli abitanti dell'Oregon "Rispondendo ad un bisogno non soddisfatto per il credito alle amministrazioni locali, alle imprese e ai consumatori locali, tre stati nel mese scorso hanno prfesentato degli atti per l’introduzione di banche di proprietà statale - Oregon, Washington e Maryland – unendosi a Illinois, Virginia, Massachusetts e Hawaii per portare il numero totale a sette.
Mentre Wall Street riporta profitti da record, le banche locali si dibattono, il credito per le piccole imprese e dei consumatori rimane contratto, ed i governi locali sono in bilico sulla bancarotta. Si parla addirittura di consentire a governi statali di presentare istanza di fallimento, qualcosa che la legislazione vigente vieta. Il governo federale e la Federal Reserve sono riusciti a trovare miliardi di dollari per puntellare le banche di Wall Street che hanno precipitato la crisi del credito, ma non hanno esteso questa generosità per i contribuenti e le amministrazioni locali che sono stati costretti a pagare il conto.
Nel mese di gennaio, il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke ha annunciato (1) che la Fed aveva escluso un piano di salvataggio della banca centrale per i governi statali e locali. Il deficit di bilancio di Stato collettivo per il 2011 è previsto a 140 miliardi di dollari, solo l'1% dei 12.300 miliardi dollari (2) la Fed è riuscita a raggranellare tra liquidità, prestiti a breve termine, e altre condizioni finanziarie per salvare Wall Street. Ma il presidente Bernanke ha detto che la Fed è limitata per statuto dal comprare il debito del governo municipale con scadenza di sei mesi o meno che sia direttamente assistito da imposte o altre entrate assicurate, una forma di debito che rappresenta meno del 2% del mercato globale municipale. I governi statali e municipali, a quanto pare, sono in proprio. (3)
Di fronte all’inazione federale e alla crescente crisi di bilancio locale, un numero crescente di Stati stanno valutando la possibilità di creare proprie banche di proprietà dello Stato, seguendo il modello del North Dakota, l'unico Stato che sembra essere sfuggito indenne alla crisi del credito. La Banca del Nord Dakota (BND) vecchia di 92 anni, attualmente l'unica banca di proprietà statale degli Stati Uniti, ha contribuito a evitare al North Dakota i disastri che incombono sui bilanci di altri Stati. Nel 2009, il North Dakota esibiva il maggiore avanzo di bilancio che avesse mai avuto. La BND contribuisce a finanziare non solo il governo locale ma anche banche e imprese locali, mettendo a disposizione i fondi per i prestiti alle banche commerciali di sostegno al credito delle piccole imprese.
Nell'ultimo mese, tre Stati hanno introdotto atti per le banche di proprietà statale, secondo il modello del Nord Dakota. L'11 gennaio, un disegno di legge per istituire una banca di proprietà statale è stata introdotta nella legislatura dello Stato dell’Oregon (4); Il 13 gennaio, un disegno di legge simile è stato introdotta nello Stato di Washington (discusso in un precedente articolo (5)) E il 4 febbraio, un simile atto è stato introdotto nella legislatura del Maryland (6) per uno studio di fattibilità. Essi si uniscono a Illinois (7), Virginia (8), Hawaii (9) e Massachusetts (10), Che hanno introdotto atti analoghi nel 2010.
Ampio sostegno
Le proposte di legge sono ampiamente sostenute da proprietari di piccole imprese. Il Seattle Times ha segnalato (11) il 3 febbraio che il 79% di 107 imprenditori interpellati dalla Main Street Alliance di Washington, ha sostenuto la proposta di legge dello Stato di Washington. Più della metà ha dichiarato di aver sperimentato una stretta del credito d'affari, e tre quarti di coloro hanno detto che potrebbero creare nuovi posti di lavoro se le loro esigenze di credito fossero soddisfatte. Un sondaggio condotto dalla Main Street Alliance dell’Oregon ha prodotto risultati simili (12). La loro indagine, che ha riguardato 115 aziende in 28 comuni, ha scoperto che due terzi dei piccoli imprenditori avevano ritardato o cancellato espansioni a causa di problemi di credito, al 41 per cento era stato negato il credito; e il 42 per cento avevano visto le loro condizioni di credito peggiorate. Tre quarti degli imprenditori intervistati ha sostenuto la proposta di legge dell'Oregon.
A sostenere l'idea (13) di una banca di proprietà statale è anche il tesoriere dello Stato dell’Oregon Ted Wheeler, con questa versione: egli pensa che l’Oregon può sbloccare una capacità supplementare di prestito in collaborazione con le istituzioni esistenti creando una banca "virtuale". Lo Stato non avrebbe bisogno di costruire nuovo banche di cemento e mattoni che richiedono centinaia di nuovi dipendenti al loro servizio. I nuovi strumenti procurati allo Stato per essere una "banca" potrebbero essere organizzati in modo rapido ed economico attraverso una cornice che lui chiama una "banca virtuale di sviluppo economico". In un editoriale (14) pubblicato su Oregonlive.com il 9 febbraio, ha scritto:
Questo nuovo modello dovrebbe consolidare i vari programmi di prestito per lo sviluppo economico dell'Oregon, e consentire al governo dello Stato di intervenire come partecipante a nuovi prestiti, il che contribuirà a garantire a qualificati cittadini dell'Oregon ulteriori finanziamenti. Abbiamo anche strumenti di investimento strategico, quali l’Oregon Growth Account che potrebbero essere meglio utilizzati come parte di questo quadro.
Le banche "creano" soldi sfruttando il loro capitale (15) nei prestiti. Ad una esigenza patrimoniale dell'8%, possono attirare capitale con un fattore di dodici, purché in grado di attrarre depositi sufficienti (raccolti o presi in prestito) per eliminare i controlli in uscita. Gli Stati danno via questo potere di leveraggio quando hanno messo i loro depositi nelle banche di Wall Street e investito lì i loro capitali.
I governi statali e municipali hanno asset dappertutto riposti in fondi separati per i tempi di congiuntura sfavorevole, che sono in gran parte investiti in banche di Wall Street per un rendimento molto modesto. Allo stesso tempo, gli Stati prendono in prestito da Wall Street a tassi d'interesse molto più alti e devono preoccuparsi di cose come il rating, le tasse in ritardo, e swap su tassi di interesse, che hanno dimostrato di essere investimenti molto buoni per Wall Street e investimenti molto cattivi per i governi locali.
Consolidando la loro attività nelle proprie banche di proprietà statale, i governi statali e locali sono in grado di sfruttare i propri fondi per finanziare le proprie operazioni, e possono fare questo in sostanza senza interessi, dal momento che possiedono la banca e avranno indietro gli interessi. La BND ha contribuito per più di 300 milioni di dollari alle le casse dello Stato negli ultimi dieci anni, un risultato notevole per uno Stato con una popolazione che è meno di un decimo della dimensione della Contea di Los Angeles.
Il crescente movimento per stabilire la sovranità economica locale attraverso le banche di proprietà statale è stata un'iniziativa popolare che è cresciuta spontaneamente in risposta a bisogni non soddisfatti per il credito locale. In Oregon, la spinta è venuta da un gruppo di volontariato attivo chiamato Oregonians for a State Bank (16) in collaborazione con il Working Families Party (17). A Washington, un ruolo importante è stato svolto dal Main Street Alliance, un progetto dell’Alliance for a Just Society (Ex NWFCO) (18). Il principale difensore legislative nello Stato di Washington è il Repubblicano Bob Hasegawa. In Maryland, la campagna è stata avviata dal Center for State Innovation (CSI) (19), con sede nel Wisconsin, in collaborazione con il Service Employees International-Union (SEIU) (20) e la Progressive States Network. Il Progressive Maryland (21) è un sostenitore di primo piano delle ONG. Analisi dettagliate delle iniziative nello Stato di Washington e dell’Oregon e dei loro benefici previsti sono stati effettuati da CSI (22). Per gli sforzi di base in altri Stati e per le petizioni che possono essere firmate, vedere http://publicbankinginstitute.org/state-info.htm.
di Ellen Brown
Ellen Brown è un avvocato e presidente del Public Banking Institute. Ha scritto undici libri, Tra cui Web of Debt: The Shocking Truth About Our Money System and How We Can Break Free (2010).(La ragnatela del debito: la scioccante verità sul nostro sistema monetario e come liberarsene)
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08 aprile 2011
Inceneritori spa. Quando il cittadino è costretto a sovvenzionare il proprio avvelenamento
Anche analizzandola dal punto di vista esclusivamente economico la pratica dell’incenerimento dei rifiuti si rivela assolutamente disastrosa, a tal punto che se in Italia gli inceneritori non fossero pesantemente sovvenzionati attraverso il denaro dei cittadini, la loro costruzione e gestione non avrebbe economicamente alcun senso. Negli Stati Uniti che possono essere considerati il paese dove nacque l’incenerimento, già nel 1993 il Wall Street Journal definiva l’uso degli inceneritori per smaltire i rifiuti urbani come un vero disastro per le amministrazioni pubbliche e per i contribuenti.
Mentre l’Italia continua a praticare investimenti colossali nella costruzione di nuovi impianti d’incenerimento, proponendo i forni inceneritori come l’unica e più moderna risorsa indispensabile per gestire il problema dello smaltimento dei rifiuti, la maggior parte degli altri Paesi hanno smesso da tempo di considerare quella dell’incenerimento come una strada sulla quale occorre investire e si stanno orientando in direzioni opposte che privilegiano la raccolta differenziata, il riciclaggio ed il riutilizzo. Perfino le nazioni storicamente più propense ad incenerire i rifiuti, come gli stati Uniti ed il Giappone, da anni non stanno più costruendo nuovi inceneritori ed hanno iniziato a demolire quelli vecchi. In Svezia la costruzione degli inceneritori è stata abbandonata a favore della raccolta differenziata dei rifiuti, mentre 62 paesi nel mondo già aderiscono all’Alleanza globale contro gli inceneritori (GAIA)......
Solamente in Italia i forni inceneritori, qualora contemplino il recupero energetico, sono impropriamente definiti termovalorizzatori al fine di accreditarli presso l’opinione pubblica di una falsa immagine positiva che invece non posseggono. In realtà gli inceneritori non valorizzano un bel nulla, anzi contribuiscono a dissipare l’energia, distruggendo i materiali riciclabili presenti nei rifiuti, recuperando solo un decimo dell’energia in essi contenuta, mentre tramite il riciclaggio potrebbe esserne recuperata oltre il 50%.
L’Italia è l’unico stato europeo che finanzia l’incenerimento dei rifiuti, equiparandoli di fatto alle fonti rinnovabili, incentivando in questo modo la produzione di rifiuti, anziché la loro riduzione come prevede la normativa europea. Nessun altro stato in Europa ha scelto una strada di questo genere, mentre al contrario alcuni stati come Germania, Austria, Belgio e Danimarca impongono ai gestori d’inceneritori il pagamento di una tassa per ogni tonnellata di rifiuti bruciati, disincentivando in questo modo l’incenerimento dei rifiuti e la loro produzione.
Gli incentivi statali all’incenerimento: la truffa dei Cip6
Dal 1992 i cittadini italiani finanziano la disastrosa pratica dell’incenerimento dei rifiuti, le centrali termoelettriche e le produzioni di gas e carbone da residui di raffineria, in maniera coattiva attraverso il pagamento delle proprie bollette energetiche. Tutto ciò in virtù di una delibera (la numero 6) del Comitato Interministeriale Prezzi (CIP) che nel 1992 stabilì una maggiorazione di circa il 7% del prezzo dell’elettricità pagato dai consumatori finali. Tale contributo, denominato componente tariffaria A3, avrebbe dovuto essere utilizzato per promuovere le fonti energetiche rinnovabili (solare ed eolico su tutte) orientando verso di esse l’interesse delle aziende produttrici di energia. Nella formulazione della norma accanto all’espressione “energie rinnovabili” fu però aggiunta l’estensione “o assimilate” senza che nessuno si sia mai premurato di fissare precisi criteri per stabilire quali fonti energetiche potessero essere assimilate a quelle rinnovabili.
Le conseguenze di una normativa priva di chiarezza, costruita volutamente per favorire gli interessi dei grandi produttori di energia, dei petrolieri e delle municipalizzate e multiutility a capitale pubblico/privato che si spartiscono il business dell’incenerimento, sono state fino ad oggi semplicemente disastrose.
Dal momento dell’introduzione dei Cip6 fino al 2003 i consumatori italiani hanno pagato attraverso le bollette dell’energia circa 30 miliardi di euro. Il 92% di questa enorme cifra è stato utilizzato per finanziare impianti inquinanti come inceneritori e centrali a fonti fossili, mentre solamente l’8% è stato destinato a sostenere quegli impianti che realmente utilizzano le fonti rinnovabili pulite1.
Dal 2003 ad oggi ai consumatori italiani sono stati sottratti per mezzo dei contributi Cip6 ulteriori 14 miliardi di euro, l’80% dei quali hanno continuato a finanziare gli impianti inquinanti, mentre alle fonti rinnovabili è rimasto meno del 20%. L’istituzione dei Cip6 si è perciò rivelata una vera e propria truffa ai danni dei consumatori, avendo determinato fino ad oggi l’esborso di circa 44 miliardi di euro, sottratti alle famiglie italiane nella misura di circa 60 euro l’anno di aggravio, accampando il nobile proposito di favorire lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili pulite, mentre in realtà la stragrande maggioranza di questi contributi sono stati utilizzati per finanziare le centrali a fonti fossili (nonostante i grandi petrolieri già accumulassero enormi profitti) e la pratica dell’incenerimento dei rifiuti che altrimenti sarebbe risultata economicamente insostenibile.
La creazione dei contributi Cip6, grazie al “trucco” delle energie “assimilate” contribuì al salvataggio della Edison la cui situazione economica era di grande difficoltà dopo il crack Montedison, in quanto si calcola che la società incassò nel biennio 2003/2004 oltre la metà dei fondi Cip6 destinati alle fonti assimilate2. La Sarlux del gruppo Saras – Moratti che produce elettricità ricavandola dagli scarti petroliferi più inquinanti, trovò nell’esistenza dei Cip6 perfino la ragione precipua della propria creazione, finalizzata unicamente a creare profitto attraverso l’utilizzo distorto della normativa. Nel 2004 la società costituì infatti attraverso i Cip6 circa i tre quarti dei propri ricavi.
Anche la lobby dell’incenerimento, con in testa Hera, ASM Brescia e AEM Milano, confluite dopo la fusione nel gruppo A2A ed ENIA, ha fino ad oggi ricavato dai contributi Cip6 per le fonti “assimilate” cospicui finanziamenti che le permettono di rivendere con profitto l’energia prodotta per mezzo degli inceneritori in maniera assolutamente antieconomica. Quanto i proventi derivanti dalla truffa delle “assimilate” siano importanti per coloro che costruiscono e gestiscono gli inceneritori è chiaramente dimostrato dalla reazione scomposta del sindaco di Torino Sergio Chiamparino3 il quale, temendo che in virtù della revisione della legge la società TRM potesse perdere i finanziamenti Cip6 per il nuovo inceneritore del Gerbido, è andato in escandescenze fino al punto di suggerire al governo di spacciare per biomasse le plastiche ed i materiali tossici. Così come dal fatto che nonostante numerosi procedimenti d’infrazione e messe in mora del nostro Paese da parte dell’Unione Europea nessun governo abbia ancora deciso di mettere la parola fine alla truffa delle assimilate.
Nel testo della nuova legge finanziaria 2008, l’articolo 30, pur mantenendo in essere i contributi Cip6 per tutti gli impianti già realizzati, sembra proporsi d’imporre qualche “paletto” alla concessione degli stessi, per tutti gli impianti in fase di costruzione e progettazione e prevede che “gli incentivi Cip6 siano destinati solo agli impianti realizzati e operativi, e non a quelli già autorizzati ma in costruzione o non ancora costruiti, per i quali si prevede però la possibilità di riconoscimento del diritto agli incentivi da parte del Ministro dello sviluppo economico”.
Ancora una volta, come spesso accade in Italia, anziché fare chiarezza sull’argomento e determinare una svolta, la nuova legge mantiene in essere i contributi per i 129 impianti che attualmente ne usufruiscono, limitandosi ad eliminare l’erogazione dei Cip6 per i 16 impianti di prossima costruzione autorizzati ma non ancora operativi e per tutti quelli non ancora autorizzati, lasciando però ampio spazio alla possibilità di deroghe e concessioni che di fatto potranno essere in grado di “aggirare la normativa” e dando la sensazione che in fondo non sia cambiato nulla. A dimostrazione di quanto sia fondata questa sensazione, lo scorso 31 gennaio 2008 il Presidente del Consiglio Romano Prodi, sfruttando l’onda emotiva dell’emergenza rifiuti in Campania, ha firmato un’ordinanza con la quale concede, in deroga alla legge vigente, i contributi Cip6 per la costruzione degli inceneritori di Acerra, Santa Maria di Fossa e Salerno (quest’ultimo ancora neppure in fase di progetto) ristabilendo di fatto la truffa delle “assimilate” anche per il futuro, trattandosi d’impianti che vedranno la luce fra molti anni ed usufruiranno degli incentivi fino ad oltre il 2020.
L’UE ci mette in mora
I vari provvedimenti che l’Unione Europea sta portando avanti nei confronti dell’Italia, contestandole di aver violato la normativa ambientale sono ad oggi circa una trentina. La truffa dei Cip6 è già stata oggetto di 4 procedure d’infrazione, (2004/43/46, 2005/50/61, 2005/40/51 e 2005/23/29) e di una lettera di messa in mora da parte della UE, relativa alla prima procedura d’infrazione. Il megainceneritore ASM di Brescia, a più riprese spacciato come modello da imitare in quanto miracolistico esempio d’incenerimento “pulito”, è stato messo in mora dalla Corte europea di giustizia che contesta al governo italiano l’inadempimento di ben 4 direttive europee sull’ambiente, fra le quali la mancanza della procedura di VIA che non è mai stata effettuata.
Nella direttiva 2006/12/CE del 5 aprile 2006 riguardante i rifiuti la UE ritiene “ auspicabile favorire il recupero dei rifiuti e l’utilizzazione dei materiali di recupero come materie prime per preservare le risorse naturali”. La pratica dell’incenerimento procede invece esattamente in direzione opposta, poiché sottrae al recupero e al riciclo materiali come la plastica, la carta ed il cartone, favorendo un più intenso sfruttamento delle risorse naturali.
Nella stessa direttiva del 2006 si auspica che “gli Stati membri adottino le misure appropriate per promuovere in primo luogo la prevenzione o la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti”. Già nel 2000 la UE prevedeva la stabilizzazione della produzione di rifiuti nell’ordine di 300 kg annui pro capite. In Italia la produzione annua di rifiuti pro capite ammonta mediamente a 563 kg4 con una spesa media di 123,12 euro a persona, ed è aumentata costantemente negli ultimi 10 anni di oltre il 20%. Nelle regioni dove l’incenerimento risulta particolarmente diffuso la produzione di rifiuti si manifesta ancora più alta rispetto al resto d’Italia, basti pensare a realtà come la Toscana o la provincia di Brescia, nella quale è attivo il più grande inceneritore d’Europa, dove vengono prodotti oltre 700 kg annui di rifiuti pro capite. La raccolta differenziata, indispensabile per consentire il recupero ed il riciclo dei rifiuti, come auspicato dalla direttiva UE, si aggira in Italia stando ai dati ufficiali (molte volte drogati attraverso artifizi ed alchimie) mediamente intorno al 25% e nonostante un progressivo modesto incremento avvenuto negli ultimi anni stenta a decollare, anche grazie alla costruzione di sempre nuovi inceneritori che annientando il riciclo ne praticano di fatto l’eutanasia.
Kyoto: l’inarrivabile obiettivo
In virtù del protocollo di Kyoto l’Italia avrebbe dovuto diminuire le proprie emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2012. Il nuovo pacchetto legislativo presentato dalla Commissione europea per ridurre le emissioni di Co2 della UE del 20% entro il 2020, presentato alla fine di gennaio e che dovrebbe essere approvato entro il 2008, chiede all’Italia di tagliare le emissioni Co2 nei settori non inclusi nel sistema di scambio di emissioni ( rifiuti, trasporti, edilizia) del 13% rispetto ai livelli del 2005.
L’Italia oltre ad essere lontanissima dalla possibilità di raggiungere questi obiettivi, ha fino ad oggi continuato a marciare in direzione diametralmente opposta a quanto convenuto e le emissioni di Co2 nel nostro paese sono aumentate del 13% nel periodo 1990/2005, anche grazie all’incenerimento dei rifiuti. Gli inceneritori a recupero energetico, sovvenzionati tramite i Cip6 con il prelievo coatto dalle tasche dei consumatori poiché economicamente insostenibili, producono infatti energia emettendo più Co2 rispetto alla media delle altre fonti energetiche. Per produrre un Kilowattora tramite l’incenerimento dei rifiuti solidi urbani si emettono 940 g di Co25, contro i 500 g degli impianti a gas tradizionali, i 650 g degli impianti termoelettrici a fonti fossili, gli 800 g degli impianti a carbone “pulito”, i 900 g degli impianti a carbone tradizionali e le emissioni zero derivanti dal solare e dall’eolico.
Gli investimenti colossali nella costruzione di nuovi inceneritori, assimilati dalla legge italiana alle fonti energetiche rinnovabili e pertanto cospicuamente sovvenzionati tramite Cip6 e certificati verdi, hanno contribuito e contribuiranno pertanto ad incrementare le emissioni di Co2 del nostro Paese, allontanandolo dalla possibilità di fare fronte agli impegni contratti in ambito internazionale per quanto concerne la produzione di gas serra ed esponendolo a tutte le conseguenze (sanzioni pecuniarie ed esborsi monetari) derivanti da questa inadempienza.
Conflitti d’interesse: le responsabilità di comuni, province ed enti
Se la pratica dell’incenerimento dei rifiuti in Italia sta continuando a proliferare, mettendo a repentaglio la salute di un sempre maggiore numero di cittadini ed impedendo la creazione di un ciclo virtuoso dei rifiuti volto a diminuire la loro quantità ed incrementare il riciclo ed il riutilizzo, lo si deve anche allo scarso grado di responsabilità delle autorità comunali e provinciali che hanno concesso e concedono con estrema leggerezza le autorizzazioni per la costruzione dei forni inceneritori. Così come pesanti responsabilità gravano su quegli enti (Arpa, USL) che dovrebbero tutelare la salute del cittadino e non lo fanno, in quanto schiavi delle pressioni politiche e finanziarie che ne condizionano l’operato fino al punto da costringerle al silenzio quando non perfino alla mistificazione dei dati.
I comuni e le province hanno ormai abdicato quasi completamente dalla loro funzione di amministrazione della cosa pubblica e salvaguardia della salute dei cittadini e dell’ambiente di loro competenza, per trasformarsi in società private che amministrano in maniera privatistica, acquistano derivati finanziari, partecipano a società quotate in borsa, si fondono fra loro per costituire multiutility dalle potenzialità finanziarie sempre più spaventose.
Come potrebbero i grandi comuni dell’Emilia Romagna valutare con obiettività, facendo fede al principio di precauzione, l’opportunità di costruire un nuovo inceneritore o di raddoppiare quello già esistente all’interno del territorio da loro amministrato, se la costruzione e gestione dell’impianto sarà competenza di Hera s.p.a.6 della quale essi stessi fanno parte?
Come avrebbe potuto l’amministrazione comunale bresciana, parte integrante della società ASM, valutare serenamente le ricadute negative del megainceneritore di Brescia, costruito e gestito dalla ASM stessa?
Come possono il comune di Torino e gli altri comuni coinvolti dalla costruzione del nuovo megainceneritore del Gerbido, salvaguardare e tutelare nel tempo la salute dei propri cittadini, se la società TRM deputata a costruire e gestire l’impianto è costituita dai comuni stessi ed i soggetti che hanno definito la necessità di costruire l’impianto e lo hanno affidato a TRM sono gli stessi che conducono la procedura di compatibilità ambientale e che successivamente avranno specifici compiti di controllo e intervento sull’impianto nel caso di malfunzionamenti o problemi?
Commistioni fra interesse pubblico e privato, conflitti d’interesse, coesistenza del controllore e del controllato all’interno di un unico soggetto, non rappresentano delle eccezioni ma sono ormai diventate “la regola” attraverso la quale le amministrazioni pubbliche e gli enti territoriali si rapportano con i cittadini con conseguenze a dir poco catastrofiche.
Può accadere così che un inceneritore come quello di Terni venga posto sotto sequestro dalla Procura della Repubblica ed i 32 operai che vi lavorano siano invitati a recarsi entro 48 ore presso uno studio medico per sottoporsi ad esame radiologico. Che un sindaco, come quello del capoluogo umbro, e la sua giunta (eletti al secondo mandato con il 70% dei voti) vengano accusati dalla magistratura di avere avvelenato i propri cittadini attraverso i fumi ed i liquami dell’inceneritore locale controllato dalla municipalizzata Asm. Un forno inceneritore dove senza autorizzazione veniva bruciato di tutto, dai rifiuti ospedalieri a quelli radioattivi.
Può accadere, come avvenuto a Treviso in occasione del devastante incendio della De Longhi, che per ore si sviluppi un rogo di materiali plastici senza che venga attivato nessun piano di emergenza per la sicurezza della popolazione ed i tecnici dell’Arpav (che dovrebbero salvaguardare la salute dei cittadini) dichiarino l’assoluta inesistenza del rischio diossina, salvo venire clamorosamente smentiti in un secondo tempo dalle analisi condotte a proprie spese da privati cittadini.
Può accadere, come in Val di Susa, che l’acciaieria Beltrame contamini i terreni circostanti per un raggio di molti chilometri con pesanti emissioni di diossina e pcb, ma riceva comunque dalla Provincia l’autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) sulla base di limiti di emissione innalzati oltre ogni logica, violando le normative nazionali e comunitarie. Così come può accadere che i dati raccolti dall’ASL dimostrino la pesante contaminazione di pascoli e terreni agricoli della Valle e la situazione venga risolta semplicemente facendo si che l’ASL interrompa i propri controlli.
In Italia quello dei rifiuti è diventato un vero e proprio mercato, attraverso la gestione del quale costruire profitti in regime di monopolio a bassissimo rischio d’impresa, attingendo al denaro dei contribuenti che non hanno alcuna voce in capitolo per quanto concerne le strategie e le decisioni che condizioneranno il loro futuro, sia dal punto di vista economico che da quello sanitario ed ambientale. I cittadini si ritrovano pertanto sempre più soli, abbandonati da quelle amministrazioni pubbliche che anziché tutelarli nei loro diritti perseguono il business degli inceneritori, costituendo società per azioni con ambizioni internazionali accanto ai grandi gruppi bancari7 ed ai colossi dell’energia. Vittime della colpevole disinformazione messa in atto dagli enti (Arpa, Asl) che avrebbero il dovere di tutelarne la salute, e oggetto delle menzogne di larga parte del mondo scientifico che, aggiogato al carrozzone del potere, mente spudoratamente mistificando in TV e sui giornali la realtà oggettiva concernente le reali conseguenze dal punto di vista sanitario ed ambientale determinate dagli impianti d’incenerimento dei rifiuti.
di Marco Cedolin
1 Fonte X Commissione della Camera dei Deputati 6 novembre 2003
2 Licenziare i padroni di Massimo Mucchetti – Feltrinelli Edizioni 2003
3 Cip6 in finanziaria – per Chiamparino “decisione improvvida” E. Gazzette – 18 dicembre 2006
4 Dati tratti dal Rapporto 2007 dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente
5 Dati ufficiali della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
6 Il Gruppo Hera è una multiutility quotata in borsa dal 2003 che incorpora le municipalizzate di Bologna, Ravenna, Forlì, Cesena, Rimini, Cesenatico, Faenza, Savignano, Imola, Lugo, Riccione, Ferrara e Modena.
7 Ansa-22/10/2007: Giuliano Zuccoli, Presidente di AEM Milano, parlando della neonata A2A ha vantato l’ambizione di conseguire una dimensione perlomeno europea. A2A controlla il pacchetto di maggioranza di Delmi s.p.a. accanto a Mediobanca, CRT e Banca popolare di Milano. Delmi in maniera paritetica con la francese EDF possiede il 61% di Edison s.p.a.
Mentre l’Italia continua a praticare investimenti colossali nella costruzione di nuovi impianti d’incenerimento, proponendo i forni inceneritori come l’unica e più moderna risorsa indispensabile per gestire il problema dello smaltimento dei rifiuti, la maggior parte degli altri Paesi hanno smesso da tempo di considerare quella dell’incenerimento come una strada sulla quale occorre investire e si stanno orientando in direzioni opposte che privilegiano la raccolta differenziata, il riciclaggio ed il riutilizzo. Perfino le nazioni storicamente più propense ad incenerire i rifiuti, come gli stati Uniti ed il Giappone, da anni non stanno più costruendo nuovi inceneritori ed hanno iniziato a demolire quelli vecchi. In Svezia la costruzione degli inceneritori è stata abbandonata a favore della raccolta differenziata dei rifiuti, mentre 62 paesi nel mondo già aderiscono all’Alleanza globale contro gli inceneritori (GAIA)......
Solamente in Italia i forni inceneritori, qualora contemplino il recupero energetico, sono impropriamente definiti termovalorizzatori al fine di accreditarli presso l’opinione pubblica di una falsa immagine positiva che invece non posseggono. In realtà gli inceneritori non valorizzano un bel nulla, anzi contribuiscono a dissipare l’energia, distruggendo i materiali riciclabili presenti nei rifiuti, recuperando solo un decimo dell’energia in essi contenuta, mentre tramite il riciclaggio potrebbe esserne recuperata oltre il 50%.
L’Italia è l’unico stato europeo che finanzia l’incenerimento dei rifiuti, equiparandoli di fatto alle fonti rinnovabili, incentivando in questo modo la produzione di rifiuti, anziché la loro riduzione come prevede la normativa europea. Nessun altro stato in Europa ha scelto una strada di questo genere, mentre al contrario alcuni stati come Germania, Austria, Belgio e Danimarca impongono ai gestori d’inceneritori il pagamento di una tassa per ogni tonnellata di rifiuti bruciati, disincentivando in questo modo l’incenerimento dei rifiuti e la loro produzione.
Gli incentivi statali all’incenerimento: la truffa dei Cip6
Dal 1992 i cittadini italiani finanziano la disastrosa pratica dell’incenerimento dei rifiuti, le centrali termoelettriche e le produzioni di gas e carbone da residui di raffineria, in maniera coattiva attraverso il pagamento delle proprie bollette energetiche. Tutto ciò in virtù di una delibera (la numero 6) del Comitato Interministeriale Prezzi (CIP) che nel 1992 stabilì una maggiorazione di circa il 7% del prezzo dell’elettricità pagato dai consumatori finali. Tale contributo, denominato componente tariffaria A3, avrebbe dovuto essere utilizzato per promuovere le fonti energetiche rinnovabili (solare ed eolico su tutte) orientando verso di esse l’interesse delle aziende produttrici di energia. Nella formulazione della norma accanto all’espressione “energie rinnovabili” fu però aggiunta l’estensione “o assimilate” senza che nessuno si sia mai premurato di fissare precisi criteri per stabilire quali fonti energetiche potessero essere assimilate a quelle rinnovabili.
Le conseguenze di una normativa priva di chiarezza, costruita volutamente per favorire gli interessi dei grandi produttori di energia, dei petrolieri e delle municipalizzate e multiutility a capitale pubblico/privato che si spartiscono il business dell’incenerimento, sono state fino ad oggi semplicemente disastrose.
Dal momento dell’introduzione dei Cip6 fino al 2003 i consumatori italiani hanno pagato attraverso le bollette dell’energia circa 30 miliardi di euro. Il 92% di questa enorme cifra è stato utilizzato per finanziare impianti inquinanti come inceneritori e centrali a fonti fossili, mentre solamente l’8% è stato destinato a sostenere quegli impianti che realmente utilizzano le fonti rinnovabili pulite1.
Dal 2003 ad oggi ai consumatori italiani sono stati sottratti per mezzo dei contributi Cip6 ulteriori 14 miliardi di euro, l’80% dei quali hanno continuato a finanziare gli impianti inquinanti, mentre alle fonti rinnovabili è rimasto meno del 20%. L’istituzione dei Cip6 si è perciò rivelata una vera e propria truffa ai danni dei consumatori, avendo determinato fino ad oggi l’esborso di circa 44 miliardi di euro, sottratti alle famiglie italiane nella misura di circa 60 euro l’anno di aggravio, accampando il nobile proposito di favorire lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili pulite, mentre in realtà la stragrande maggioranza di questi contributi sono stati utilizzati per finanziare le centrali a fonti fossili (nonostante i grandi petrolieri già accumulassero enormi profitti) e la pratica dell’incenerimento dei rifiuti che altrimenti sarebbe risultata economicamente insostenibile.
La creazione dei contributi Cip6, grazie al “trucco” delle energie “assimilate” contribuì al salvataggio della Edison la cui situazione economica era di grande difficoltà dopo il crack Montedison, in quanto si calcola che la società incassò nel biennio 2003/2004 oltre la metà dei fondi Cip6 destinati alle fonti assimilate2. La Sarlux del gruppo Saras – Moratti che produce elettricità ricavandola dagli scarti petroliferi più inquinanti, trovò nell’esistenza dei Cip6 perfino la ragione precipua della propria creazione, finalizzata unicamente a creare profitto attraverso l’utilizzo distorto della normativa. Nel 2004 la società costituì infatti attraverso i Cip6 circa i tre quarti dei propri ricavi.
Anche la lobby dell’incenerimento, con in testa Hera, ASM Brescia e AEM Milano, confluite dopo la fusione nel gruppo A2A ed ENIA, ha fino ad oggi ricavato dai contributi Cip6 per le fonti “assimilate” cospicui finanziamenti che le permettono di rivendere con profitto l’energia prodotta per mezzo degli inceneritori in maniera assolutamente antieconomica. Quanto i proventi derivanti dalla truffa delle “assimilate” siano importanti per coloro che costruiscono e gestiscono gli inceneritori è chiaramente dimostrato dalla reazione scomposta del sindaco di Torino Sergio Chiamparino3 il quale, temendo che in virtù della revisione della legge la società TRM potesse perdere i finanziamenti Cip6 per il nuovo inceneritore del Gerbido, è andato in escandescenze fino al punto di suggerire al governo di spacciare per biomasse le plastiche ed i materiali tossici. Così come dal fatto che nonostante numerosi procedimenti d’infrazione e messe in mora del nostro Paese da parte dell’Unione Europea nessun governo abbia ancora deciso di mettere la parola fine alla truffa delle assimilate.
Nel testo della nuova legge finanziaria 2008, l’articolo 30, pur mantenendo in essere i contributi Cip6 per tutti gli impianti già realizzati, sembra proporsi d’imporre qualche “paletto” alla concessione degli stessi, per tutti gli impianti in fase di costruzione e progettazione e prevede che “gli incentivi Cip6 siano destinati solo agli impianti realizzati e operativi, e non a quelli già autorizzati ma in costruzione o non ancora costruiti, per i quali si prevede però la possibilità di riconoscimento del diritto agli incentivi da parte del Ministro dello sviluppo economico”.
Ancora una volta, come spesso accade in Italia, anziché fare chiarezza sull’argomento e determinare una svolta, la nuova legge mantiene in essere i contributi per i 129 impianti che attualmente ne usufruiscono, limitandosi ad eliminare l’erogazione dei Cip6 per i 16 impianti di prossima costruzione autorizzati ma non ancora operativi e per tutti quelli non ancora autorizzati, lasciando però ampio spazio alla possibilità di deroghe e concessioni che di fatto potranno essere in grado di “aggirare la normativa” e dando la sensazione che in fondo non sia cambiato nulla. A dimostrazione di quanto sia fondata questa sensazione, lo scorso 31 gennaio 2008 il Presidente del Consiglio Romano Prodi, sfruttando l’onda emotiva dell’emergenza rifiuti in Campania, ha firmato un’ordinanza con la quale concede, in deroga alla legge vigente, i contributi Cip6 per la costruzione degli inceneritori di Acerra, Santa Maria di Fossa e Salerno (quest’ultimo ancora neppure in fase di progetto) ristabilendo di fatto la truffa delle “assimilate” anche per il futuro, trattandosi d’impianti che vedranno la luce fra molti anni ed usufruiranno degli incentivi fino ad oltre il 2020.
L’UE ci mette in mora
I vari provvedimenti che l’Unione Europea sta portando avanti nei confronti dell’Italia, contestandole di aver violato la normativa ambientale sono ad oggi circa una trentina. La truffa dei Cip6 è già stata oggetto di 4 procedure d’infrazione, (2004/43/46, 2005/50/61, 2005/40/51 e 2005/23/29) e di una lettera di messa in mora da parte della UE, relativa alla prima procedura d’infrazione. Il megainceneritore ASM di Brescia, a più riprese spacciato come modello da imitare in quanto miracolistico esempio d’incenerimento “pulito”, è stato messo in mora dalla Corte europea di giustizia che contesta al governo italiano l’inadempimento di ben 4 direttive europee sull’ambiente, fra le quali la mancanza della procedura di VIA che non è mai stata effettuata.
Nella direttiva 2006/12/CE del 5 aprile 2006 riguardante i rifiuti la UE ritiene “ auspicabile favorire il recupero dei rifiuti e l’utilizzazione dei materiali di recupero come materie prime per preservare le risorse naturali”. La pratica dell’incenerimento procede invece esattamente in direzione opposta, poiché sottrae al recupero e al riciclo materiali come la plastica, la carta ed il cartone, favorendo un più intenso sfruttamento delle risorse naturali.
Nella stessa direttiva del 2006 si auspica che “gli Stati membri adottino le misure appropriate per promuovere in primo luogo la prevenzione o la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti”. Già nel 2000 la UE prevedeva la stabilizzazione della produzione di rifiuti nell’ordine di 300 kg annui pro capite. In Italia la produzione annua di rifiuti pro capite ammonta mediamente a 563 kg4 con una spesa media di 123,12 euro a persona, ed è aumentata costantemente negli ultimi 10 anni di oltre il 20%. Nelle regioni dove l’incenerimento risulta particolarmente diffuso la produzione di rifiuti si manifesta ancora più alta rispetto al resto d’Italia, basti pensare a realtà come la Toscana o la provincia di Brescia, nella quale è attivo il più grande inceneritore d’Europa, dove vengono prodotti oltre 700 kg annui di rifiuti pro capite. La raccolta differenziata, indispensabile per consentire il recupero ed il riciclo dei rifiuti, come auspicato dalla direttiva UE, si aggira in Italia stando ai dati ufficiali (molte volte drogati attraverso artifizi ed alchimie) mediamente intorno al 25% e nonostante un progressivo modesto incremento avvenuto negli ultimi anni stenta a decollare, anche grazie alla costruzione di sempre nuovi inceneritori che annientando il riciclo ne praticano di fatto l’eutanasia.
Kyoto: l’inarrivabile obiettivo
In virtù del protocollo di Kyoto l’Italia avrebbe dovuto diminuire le proprie emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2012. Il nuovo pacchetto legislativo presentato dalla Commissione europea per ridurre le emissioni di Co2 della UE del 20% entro il 2020, presentato alla fine di gennaio e che dovrebbe essere approvato entro il 2008, chiede all’Italia di tagliare le emissioni Co2 nei settori non inclusi nel sistema di scambio di emissioni ( rifiuti, trasporti, edilizia) del 13% rispetto ai livelli del 2005.
L’Italia oltre ad essere lontanissima dalla possibilità di raggiungere questi obiettivi, ha fino ad oggi continuato a marciare in direzione diametralmente opposta a quanto convenuto e le emissioni di Co2 nel nostro paese sono aumentate del 13% nel periodo 1990/2005, anche grazie all’incenerimento dei rifiuti. Gli inceneritori a recupero energetico, sovvenzionati tramite i Cip6 con il prelievo coatto dalle tasche dei consumatori poiché economicamente insostenibili, producono infatti energia emettendo più Co2 rispetto alla media delle altre fonti energetiche. Per produrre un Kilowattora tramite l’incenerimento dei rifiuti solidi urbani si emettono 940 g di Co25, contro i 500 g degli impianti a gas tradizionali, i 650 g degli impianti termoelettrici a fonti fossili, gli 800 g degli impianti a carbone “pulito”, i 900 g degli impianti a carbone tradizionali e le emissioni zero derivanti dal solare e dall’eolico.
Gli investimenti colossali nella costruzione di nuovi inceneritori, assimilati dalla legge italiana alle fonti energetiche rinnovabili e pertanto cospicuamente sovvenzionati tramite Cip6 e certificati verdi, hanno contribuito e contribuiranno pertanto ad incrementare le emissioni di Co2 del nostro Paese, allontanandolo dalla possibilità di fare fronte agli impegni contratti in ambito internazionale per quanto concerne la produzione di gas serra ed esponendolo a tutte le conseguenze (sanzioni pecuniarie ed esborsi monetari) derivanti da questa inadempienza.
Conflitti d’interesse: le responsabilità di comuni, province ed enti
Se la pratica dell’incenerimento dei rifiuti in Italia sta continuando a proliferare, mettendo a repentaglio la salute di un sempre maggiore numero di cittadini ed impedendo la creazione di un ciclo virtuoso dei rifiuti volto a diminuire la loro quantità ed incrementare il riciclo ed il riutilizzo, lo si deve anche allo scarso grado di responsabilità delle autorità comunali e provinciali che hanno concesso e concedono con estrema leggerezza le autorizzazioni per la costruzione dei forni inceneritori. Così come pesanti responsabilità gravano su quegli enti (Arpa, USL) che dovrebbero tutelare la salute del cittadino e non lo fanno, in quanto schiavi delle pressioni politiche e finanziarie che ne condizionano l’operato fino al punto da costringerle al silenzio quando non perfino alla mistificazione dei dati.
I comuni e le province hanno ormai abdicato quasi completamente dalla loro funzione di amministrazione della cosa pubblica e salvaguardia della salute dei cittadini e dell’ambiente di loro competenza, per trasformarsi in società private che amministrano in maniera privatistica, acquistano derivati finanziari, partecipano a società quotate in borsa, si fondono fra loro per costituire multiutility dalle potenzialità finanziarie sempre più spaventose.
Come potrebbero i grandi comuni dell’Emilia Romagna valutare con obiettività, facendo fede al principio di precauzione, l’opportunità di costruire un nuovo inceneritore o di raddoppiare quello già esistente all’interno del territorio da loro amministrato, se la costruzione e gestione dell’impianto sarà competenza di Hera s.p.a.6 della quale essi stessi fanno parte?
Come avrebbe potuto l’amministrazione comunale bresciana, parte integrante della società ASM, valutare serenamente le ricadute negative del megainceneritore di Brescia, costruito e gestito dalla ASM stessa?
Come possono il comune di Torino e gli altri comuni coinvolti dalla costruzione del nuovo megainceneritore del Gerbido, salvaguardare e tutelare nel tempo la salute dei propri cittadini, se la società TRM deputata a costruire e gestire l’impianto è costituita dai comuni stessi ed i soggetti che hanno definito la necessità di costruire l’impianto e lo hanno affidato a TRM sono gli stessi che conducono la procedura di compatibilità ambientale e che successivamente avranno specifici compiti di controllo e intervento sull’impianto nel caso di malfunzionamenti o problemi?
Commistioni fra interesse pubblico e privato, conflitti d’interesse, coesistenza del controllore e del controllato all’interno di un unico soggetto, non rappresentano delle eccezioni ma sono ormai diventate “la regola” attraverso la quale le amministrazioni pubbliche e gli enti territoriali si rapportano con i cittadini con conseguenze a dir poco catastrofiche.
Può accadere così che un inceneritore come quello di Terni venga posto sotto sequestro dalla Procura della Repubblica ed i 32 operai che vi lavorano siano invitati a recarsi entro 48 ore presso uno studio medico per sottoporsi ad esame radiologico. Che un sindaco, come quello del capoluogo umbro, e la sua giunta (eletti al secondo mandato con il 70% dei voti) vengano accusati dalla magistratura di avere avvelenato i propri cittadini attraverso i fumi ed i liquami dell’inceneritore locale controllato dalla municipalizzata Asm. Un forno inceneritore dove senza autorizzazione veniva bruciato di tutto, dai rifiuti ospedalieri a quelli radioattivi.
Può accadere, come avvenuto a Treviso in occasione del devastante incendio della De Longhi, che per ore si sviluppi un rogo di materiali plastici senza che venga attivato nessun piano di emergenza per la sicurezza della popolazione ed i tecnici dell’Arpav (che dovrebbero salvaguardare la salute dei cittadini) dichiarino l’assoluta inesistenza del rischio diossina, salvo venire clamorosamente smentiti in un secondo tempo dalle analisi condotte a proprie spese da privati cittadini.
Può accadere, come in Val di Susa, che l’acciaieria Beltrame contamini i terreni circostanti per un raggio di molti chilometri con pesanti emissioni di diossina e pcb, ma riceva comunque dalla Provincia l’autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) sulla base di limiti di emissione innalzati oltre ogni logica, violando le normative nazionali e comunitarie. Così come può accadere che i dati raccolti dall’ASL dimostrino la pesante contaminazione di pascoli e terreni agricoli della Valle e la situazione venga risolta semplicemente facendo si che l’ASL interrompa i propri controlli.
In Italia quello dei rifiuti è diventato un vero e proprio mercato, attraverso la gestione del quale costruire profitti in regime di monopolio a bassissimo rischio d’impresa, attingendo al denaro dei contribuenti che non hanno alcuna voce in capitolo per quanto concerne le strategie e le decisioni che condizioneranno il loro futuro, sia dal punto di vista economico che da quello sanitario ed ambientale. I cittadini si ritrovano pertanto sempre più soli, abbandonati da quelle amministrazioni pubbliche che anziché tutelarli nei loro diritti perseguono il business degli inceneritori, costituendo società per azioni con ambizioni internazionali accanto ai grandi gruppi bancari7 ed ai colossi dell’energia. Vittime della colpevole disinformazione messa in atto dagli enti (Arpa, Asl) che avrebbero il dovere di tutelarne la salute, e oggetto delle menzogne di larga parte del mondo scientifico che, aggiogato al carrozzone del potere, mente spudoratamente mistificando in TV e sui giornali la realtà oggettiva concernente le reali conseguenze dal punto di vista sanitario ed ambientale determinate dagli impianti d’incenerimento dei rifiuti.
di Marco Cedolin
1 Fonte X Commissione della Camera dei Deputati 6 novembre 2003
2 Licenziare i padroni di Massimo Mucchetti – Feltrinelli Edizioni 2003
3 Cip6 in finanziaria – per Chiamparino “decisione improvvida” E. Gazzette – 18 dicembre 2006
4 Dati tratti dal Rapporto 2007 dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente
5 Dati ufficiali della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
6 Il Gruppo Hera è una multiutility quotata in borsa dal 2003 che incorpora le municipalizzate di Bologna, Ravenna, Forlì, Cesena, Rimini, Cesenatico, Faenza, Savignano, Imola, Lugo, Riccione, Ferrara e Modena.
7 Ansa-22/10/2007: Giuliano Zuccoli, Presidente di AEM Milano, parlando della neonata A2A ha vantato l’ambizione di conseguire una dimensione perlomeno europea. A2A controlla il pacchetto di maggioranza di Delmi s.p.a. accanto a Mediobanca, CRT e Banca popolare di Milano. Delmi in maniera paritetica con la francese EDF possiede il 61% di Edison s.p.a.
07 aprile 2011
Giappone: mare radioattivo. Perché viene sottovalutata la contaminazione per catena alimentare?
Hidehiko Nishiyama, vice direttore dell'agenzia per la sicurezza nucleare giapponese, ha dichiarato ieri al briefing sulla situazione di crisi nucleare, che i livelli di iodio radioattivo nel mare, a 300 metri dalla centrale di Fukushima, sono 3.355 volte superiore al limite di legge.
Nel mare si trova il placton, e fin dalle scuole elementari ci insegnano che è base della catena alimentare. Cosa succede se cesio e altri radioisotopi vanno sul plancton?
Perché viene sottovalutata la contaminazione per catena alimentare?
Forse perché è il problema più grande, incontrollabile
Intervista a Ernesto Burgio, Comitato Scientifico ISDE
http://www.youtube.com/watch?v=vg8Vm7h6XVM
Il principale problema che ci si pone in questi giorni è : i modelli che normalmente utilizziamo per valutare i danni reali sulle popolazioni direttamente o indirettamente esposte a radiazioni ionizzanti, sono ancora validi o continuiamo a utilizzare dei modelli che sono vecchi, che sono insufficienti?
Quando ci troviamo di fronte a un incidente di grandi dimensioni (ormai siamo quasi a livello dell'incidente di Chernobyl) bisogna affrontare il problema in due direzioni: c'è la popolazione direttamente esposta e quella indirettamente esposta. Quest'ultima, ad esempio, può contaminarsi attraverso le catene alimentari.
Uno dei grandi problemi da affrontare è quanti radioisotopi come il cesio 137 che rimane a lungo nelle catene alimentari, sono realmente usciti dai reattori che sono stati danneggiati. Dobbiamo sperare che non si arrivi alla fusione definitiva, perché altrimenti la fuoriuscita sarà massivaanche di radioisotopi pesanti che rimangono nell'ambiente per migliaia di anni.
Ma anche ragionando ancora sul cesio il vero problema è che al momento in cui il cesio e altri radioisotopi vanno sul plancton, finiscono nel mare, è chiaro che per anni, probabilmente per decenni le catene alimentari sono inquinate…. Perché le catene alimentari sono il problema, probabilmente maggiore e enormemente sottovalutato? Perché chi introduce per via alimentare il cesio, se lo trova all'interno dell'organismo ed è come avere una piccola, apparentemente piccola, sorgente radioattiva che dall'interno va a colpire moltissime cellule…
Il vero problema su cui sappiamo poco è che molte di queste sostanze radioattive, vanno a marcare le cellule staminali e i gameti. Marcando i gameti, il danno che vediamo nel giro di pochi anni sulle popolazioni adulte di tutto il mondo è sempre da interpretare come qualcosa che si può amplificare nella generazione successiva.
di Massimo De Maio
Nel mare si trova il placton, e fin dalle scuole elementari ci insegnano che è base della catena alimentare. Cosa succede se cesio e altri radioisotopi vanno sul plancton?
Perché viene sottovalutata la contaminazione per catena alimentare?
Forse perché è il problema più grande, incontrollabile
http://www.youtube.com/watch?v=vg8Vm7h6XVM
Il principale problema che ci si pone in questi giorni è : i modelli che normalmente utilizziamo per valutare i danni reali sulle popolazioni direttamente o indirettamente esposte a radiazioni ionizzanti, sono ancora validi o continuiamo a utilizzare dei modelli che sono vecchi, che sono insufficienti?
Quando ci troviamo di fronte a un incidente di grandi dimensioni (ormai siamo quasi a livello dell'incidente di Chernobyl) bisogna affrontare il problema in due direzioni: c'è la popolazione direttamente esposta e quella indirettamente esposta. Quest'ultima, ad esempio, può contaminarsi attraverso le catene alimentari.
Uno dei grandi problemi da affrontare è quanti radioisotopi come il cesio 137 che rimane a lungo nelle catene alimentari, sono realmente usciti dai reattori che sono stati danneggiati. Dobbiamo sperare che non si arrivi alla fusione definitiva, perché altrimenti la fuoriuscita sarà massivaanche di radioisotopi pesanti che rimangono nell'ambiente per migliaia di anni.
Ma anche ragionando ancora sul cesio il vero problema è che al momento in cui il cesio e altri radioisotopi vanno sul plancton, finiscono nel mare, è chiaro che per anni, probabilmente per decenni le catene alimentari sono inquinate…. Perché le catene alimentari sono il problema, probabilmente maggiore e enormemente sottovalutato? Perché chi introduce per via alimentare il cesio, se lo trova all'interno dell'organismo ed è come avere una piccola, apparentemente piccola, sorgente radioattiva che dall'interno va a colpire moltissime cellule…
Il vero problema su cui sappiamo poco è che molte di queste sostanze radioattive, vanno a marcare le cellule staminali e i gameti. Marcando i gameti, il danno che vediamo nel giro di pochi anni sulle popolazioni adulte di tutto il mondo è sempre da interpretare come qualcosa che si può amplificare nella generazione successiva.
di Massimo De Maio
06 aprile 2011
Ripristinare la sovranità economica
VERSO LE BANCHE DI PROPRIETA' DELLO STATO
"E l'ora di dichiarare la sovranità economica dalle banche multinazionali che sono responsabili di gran parte della nostra crisi economica attuale. Ogni anno inviamo oltre un miliardo di dollari di dollari dei contribuenti dell’Oregon a banche estere e multinazionali sotto forma di depositi, solo per vedere che il denaro è investito altrove. È il momento di mettere i nostri soldi a lavorare per gli abitanti dell'Oregon "Rispondendo ad un bisogno non soddisfatto per il credito alle amministrazioni locali, alle imprese e ai consumatori locali, tre stati nel mese scorso hanno prfesentato degli atti per l’introduzione di banche di proprietà statale - Oregon, Washington e Maryland – unendosi a Illinois, Virginia, Massachusetts e Hawaii per portare il numero totale a sette.
Mentre Wall Street riporta profitti da record, le banche locali si dibattono, il credito per le piccole imprese e dei consumatori rimane contratto, ed i governi locali sono in bilico sulla bancarotta. Si parla addirittura di consentire a governi statali di presentare istanza di fallimento, qualcosa che la legislazione vigente vieta. Il governo federale e la Federal Reserve sono riusciti a trovare miliardi di dollari per puntellare le banche di Wall Street che hanno precipitato la crisi del credito, ma non hanno esteso questa generosità per i contribuenti e le amministrazioni locali che sono stati costretti a pagare il conto.
Nel mese di gennaio, il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke ha annunciato (1) che la Fed aveva escluso un piano di salvataggio della banca centrale per i governi statali e locali. Il deficit di bilancio di Stato collettivo per il 2011 è previsto a 140 miliardi di dollari, solo l'1% dei 12.300 miliardi dollari (2) la Fed è riuscita a raggranellare tra liquidità, prestiti a breve termine, e altre condizioni finanziarie per salvare Wall Street. Ma il presidente Bernanke ha detto che la Fed è limitata per statuto dal comprare il debito del governo municipale con scadenza di sei mesi o meno che sia direttamente assistito da imposte o altre entrate assicurate, una forma di debito che rappresenta meno del 2% del mercato globale municipale. I governi statali e municipali, a quanto pare, sono in proprio. (3)
Di fronte all’inazione federale e alla crescente crisi di bilancio locale, un numero crescente di Stati stanno valutando la possibilità di creare proprie banche di proprietà dello Stato, seguendo il modello del North Dakota, l'unico Stato che sembra essere sfuggito indenne alla crisi del credito. La Banca del Nord Dakota (BND) vecchia di 92 anni, attualmente l'unica banca di proprietà statale degli Stati Uniti, ha contribuito a evitare al North Dakota i disastri che incombono sui bilanci di altri Stati. Nel 2009, il North Dakota esibiva il maggiore avanzo di bilancio che avesse mai avuto. La BND contribuisce a finanziare non solo il governo locale ma anche banche e imprese locali, mettendo a disposizione i fondi per i prestiti alle banche commerciali di sostegno al credito delle piccole imprese.
Nell'ultimo mese, tre Stati hanno introdotto atti per le banche di proprietà statale, secondo il modello del Nord Dakota. L'11 gennaio, un disegno di legge per istituire una banca di proprietà statale è stata introdotta nella legislatura dello Stato dell’Oregon (4); Il 13 gennaio, un disegno di legge simile è stato introdotta nello Stato di Washington (discusso in un precedente articolo (5)) E il 4 febbraio, un simile atto è stato introdotto nella legislatura del Maryland (6) per uno studio di fattibilità. Essi si uniscono a Illinois (7), Virginia (8), Hawaii (9) e Massachusetts (10), Che hanno introdotto atti analoghi nel 2010.
Ampio sostegno
Le proposte di legge sono ampiamente sostenute da proprietari di piccole imprese. Il Seattle Times ha segnalato (11) il 3 febbraio che il 79% di 107 imprenditori interpellati dalla Main Street Alliance di Washington, ha sostenuto la proposta di legge dello Stato di Washington. Più della metà ha dichiarato di aver sperimentato una stretta del credito d'affari, e tre quarti di coloro hanno detto che potrebbero creare nuovi posti di lavoro se le loro esigenze di credito fossero soddisfatte. Un sondaggio condotto dalla Main Street Alliance dell’Oregon ha prodotto risultati simili (12). La loro indagine, che ha riguardato 115 aziende in 28 comuni, ha scoperto che due terzi dei piccoli imprenditori avevano ritardato o cancellato espansioni a causa di problemi di credito, al 41 per cento era stato negato il credito; e il 42 per cento avevano visto le loro condizioni di credito peggiorate. Tre quarti degli imprenditori intervistati ha sostenuto la proposta di legge dell'Oregon.
A sostenere l'idea (13) di una banca di proprietà statale è anche il tesoriere dello Stato dell’Oregon Ted Wheeler, con questa versione: egli pensa che l’Oregon può sbloccare una capacità supplementare di prestito in collaborazione con le istituzioni esistenti creando una banca "virtuale". Lo Stato non avrebbe bisogno di costruire nuovo banche di cemento e mattoni che richiedono centinaia di nuovi dipendenti al loro servizio. I nuovi strumenti procurati allo Stato per essere una "banca" potrebbero essere organizzati in modo rapido ed economico attraverso una cornice che lui chiama una "banca virtuale di sviluppo economico". In un editoriale (14) pubblicato su Oregonlive.com il 9 febbraio, ha scritto:
Le banche "creano" soldi sfruttando il loro capitale (15) nei prestiti. Ad una esigenza patrimoniale dell'8%, possono attirare capitale con un fattore di dodici, purché in grado di attrarre depositi sufficienti (raccolti o presi in prestito) per eliminare i controlli in uscita. Gli Stati danno via questo potere di leveraggio quando hanno messo i loro depositi nelle banche di Wall Street e investito lì i loro capitali.
I governi statali e municipali hanno asset dappertutto riposti in fondi separati per i tempi di congiuntura sfavorevole, che sono in gran parte investiti in banche di Wall Street per un rendimento molto modesto. Allo stesso tempo, gli Stati prendono in prestito da Wall Street a tassi d'interesse molto più alti e devono preoccuparsi di cose come il rating, le tasse in ritardo, e swap su tassi di interesse, che hanno dimostrato di essere investimenti molto buoni per Wall Street e investimenti molto cattivi per i governi locali.
Consolidando la loro attività nelle proprie banche di proprietà statale, i governi statali e locali sono in grado di sfruttare i propri fondi per finanziare le proprie operazioni, e possono fare questo in sostanza senza interessi, dal momento che possiedono la banca e avranno indietro gli interessi. La BND ha contribuito per più di 300 milioni di dollari alle le casse dello Stato negli ultimi dieci anni, un risultato notevole per uno Stato con una popolazione che è meno di un decimo della dimensione della Contea di Los Angeles.
Il crescente movimento per stabilire la sovranità economica locale attraverso le banche di proprietà statale è stata un'iniziativa popolare che è cresciuta spontaneamente in risposta a bisogni non soddisfatti per il credito locale. In Oregon, la spinta è venuta da un gruppo di volontariato attivo chiamato Oregonians for a State Bank (16) in collaborazione con il Working Families Party (17). A Washington, un ruolo importante è stato svolto dal Main Street Alliance, un progetto dell’Alliance for a Just Society (Ex NWFCO) (18). Il principale difensore legislative nello Stato di Washington è il Repubblicano Bob Hasegawa. In Maryland, la campagna è stata avviata dal Center for State Innovation (CSI) (19), con sede nel Wisconsin, in collaborazione con il Service Employees International-Union (SEIU) (20) e la Progressive States Network. Il Progressive Maryland (21) è un sostenitore di primo piano delle ONG. Analisi dettagliate delle iniziative nello Stato di Washington e dell’Oregon e dei loro benefici previsti sono stati effettuati da CSI (22). Per gli sforzi di base in altri Stati e per le petizioni che possono essere firmate, vedere http://publicbankinginstitute.org/state-info.htm.
di Ellen Brown
Ellen Brown è un avvocato e presidente del Public Banking Institute. Ha scritto undici libri, Tra cui Web of Debt: The Shocking Truth About Our Money System and How We Can Break Free (2010).(La ragnatela del debito: la scioccante verità sul nostro sistema monetario e come liberarsene)
"E l'ora di dichiarare la sovranità economica dalle banche multinazionali che sono responsabili di gran parte della nostra crisi economica attuale. Ogni anno inviamo oltre un miliardo di dollari di dollari dei contribuenti dell’Oregon a banche estere e multinazionali sotto forma di depositi, solo per vedere che il denaro è investito altrove. È il momento di mettere i nostri soldi a lavorare per gli abitanti dell'Oregon "Rispondendo ad un bisogno non soddisfatto per il credito alle amministrazioni locali, alle imprese e ai consumatori locali, tre stati nel mese scorso hanno prfesentato degli atti per l’introduzione di banche di proprietà statale - Oregon, Washington e Maryland – unendosi a Illinois, Virginia, Massachusetts e Hawaii per portare il numero totale a sette.
Mentre Wall Street riporta profitti da record, le banche locali si dibattono, il credito per le piccole imprese e dei consumatori rimane contratto, ed i governi locali sono in bilico sulla bancarotta. Si parla addirittura di consentire a governi statali di presentare istanza di fallimento, qualcosa che la legislazione vigente vieta. Il governo federale e la Federal Reserve sono riusciti a trovare miliardi di dollari per puntellare le banche di Wall Street che hanno precipitato la crisi del credito, ma non hanno esteso questa generosità per i contribuenti e le amministrazioni locali che sono stati costretti a pagare il conto.
Nel mese di gennaio, il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke ha annunciato (1) che la Fed aveva escluso un piano di salvataggio della banca centrale per i governi statali e locali. Il deficit di bilancio di Stato collettivo per il 2011 è previsto a 140 miliardi di dollari, solo l'1% dei 12.300 miliardi dollari (2) la Fed è riuscita a raggranellare tra liquidità, prestiti a breve termine, e altre condizioni finanziarie per salvare Wall Street. Ma il presidente Bernanke ha detto che la Fed è limitata per statuto dal comprare il debito del governo municipale con scadenza di sei mesi o meno che sia direttamente assistito da imposte o altre entrate assicurate, una forma di debito che rappresenta meno del 2% del mercato globale municipale. I governi statali e municipali, a quanto pare, sono in proprio. (3)
Di fronte all’inazione federale e alla crescente crisi di bilancio locale, un numero crescente di Stati stanno valutando la possibilità di creare proprie banche di proprietà dello Stato, seguendo il modello del North Dakota, l'unico Stato che sembra essere sfuggito indenne alla crisi del credito. La Banca del Nord Dakota (BND) vecchia di 92 anni, attualmente l'unica banca di proprietà statale degli Stati Uniti, ha contribuito a evitare al North Dakota i disastri che incombono sui bilanci di altri Stati. Nel 2009, il North Dakota esibiva il maggiore avanzo di bilancio che avesse mai avuto. La BND contribuisce a finanziare non solo il governo locale ma anche banche e imprese locali, mettendo a disposizione i fondi per i prestiti alle banche commerciali di sostegno al credito delle piccole imprese.
Nell'ultimo mese, tre Stati hanno introdotto atti per le banche di proprietà statale, secondo il modello del Nord Dakota. L'11 gennaio, un disegno di legge per istituire una banca di proprietà statale è stata introdotta nella legislatura dello Stato dell’Oregon (4); Il 13 gennaio, un disegno di legge simile è stato introdotta nello Stato di Washington (discusso in un precedente articolo (5)) E il 4 febbraio, un simile atto è stato introdotto nella legislatura del Maryland (6) per uno studio di fattibilità. Essi si uniscono a Illinois (7), Virginia (8), Hawaii (9) e Massachusetts (10), Che hanno introdotto atti analoghi nel 2010.
Ampio sostegno
Le proposte di legge sono ampiamente sostenute da proprietari di piccole imprese. Il Seattle Times ha segnalato (11) il 3 febbraio che il 79% di 107 imprenditori interpellati dalla Main Street Alliance di Washington, ha sostenuto la proposta di legge dello Stato di Washington. Più della metà ha dichiarato di aver sperimentato una stretta del credito d'affari, e tre quarti di coloro hanno detto che potrebbero creare nuovi posti di lavoro se le loro esigenze di credito fossero soddisfatte. Un sondaggio condotto dalla Main Street Alliance dell’Oregon ha prodotto risultati simili (12). La loro indagine, che ha riguardato 115 aziende in 28 comuni, ha scoperto che due terzi dei piccoli imprenditori avevano ritardato o cancellato espansioni a causa di problemi di credito, al 41 per cento era stato negato il credito; e il 42 per cento avevano visto le loro condizioni di credito peggiorate. Tre quarti degli imprenditori intervistati ha sostenuto la proposta di legge dell'Oregon.
A sostenere l'idea (13) di una banca di proprietà statale è anche il tesoriere dello Stato dell’Oregon Ted Wheeler, con questa versione: egli pensa che l’Oregon può sbloccare una capacità supplementare di prestito in collaborazione con le istituzioni esistenti creando una banca "virtuale". Lo Stato non avrebbe bisogno di costruire nuovo banche di cemento e mattoni che richiedono centinaia di nuovi dipendenti al loro servizio. I nuovi strumenti procurati allo Stato per essere una "banca" potrebbero essere organizzati in modo rapido ed economico attraverso una cornice che lui chiama una "banca virtuale di sviluppo economico". In un editoriale (14) pubblicato su Oregonlive.com il 9 febbraio, ha scritto:
Questo nuovo modello dovrebbe consolidare i vari programmi di prestito per lo sviluppo economico dell'Oregon, e consentire al governo dello Stato di intervenire come partecipante a nuovi prestiti, il che contribuirà a garantire a qualificati cittadini dell'Oregon ulteriori finanziamenti. Abbiamo anche strumenti di investimento strategico, quali l’Oregon Growth Account che potrebbero essere meglio utilizzati come parte di questo quadro.
Le banche "creano" soldi sfruttando il loro capitale (15) nei prestiti. Ad una esigenza patrimoniale dell'8%, possono attirare capitale con un fattore di dodici, purché in grado di attrarre depositi sufficienti (raccolti o presi in prestito) per eliminare i controlli in uscita. Gli Stati danno via questo potere di leveraggio quando hanno messo i loro depositi nelle banche di Wall Street e investito lì i loro capitali.
I governi statali e municipali hanno asset dappertutto riposti in fondi separati per i tempi di congiuntura sfavorevole, che sono in gran parte investiti in banche di Wall Street per un rendimento molto modesto. Allo stesso tempo, gli Stati prendono in prestito da Wall Street a tassi d'interesse molto più alti e devono preoccuparsi di cose come il rating, le tasse in ritardo, e swap su tassi di interesse, che hanno dimostrato di essere investimenti molto buoni per Wall Street e investimenti molto cattivi per i governi locali.
Consolidando la loro attività nelle proprie banche di proprietà statale, i governi statali e locali sono in grado di sfruttare i propri fondi per finanziare le proprie operazioni, e possono fare questo in sostanza senza interessi, dal momento che possiedono la banca e avranno indietro gli interessi. La BND ha contribuito per più di 300 milioni di dollari alle le casse dello Stato negli ultimi dieci anni, un risultato notevole per uno Stato con una popolazione che è meno di un decimo della dimensione della Contea di Los Angeles.
Il crescente movimento per stabilire la sovranità economica locale attraverso le banche di proprietà statale è stata un'iniziativa popolare che è cresciuta spontaneamente in risposta a bisogni non soddisfatti per il credito locale. In Oregon, la spinta è venuta da un gruppo di volontariato attivo chiamato Oregonians for a State Bank (16) in collaborazione con il Working Families Party (17). A Washington, un ruolo importante è stato svolto dal Main Street Alliance, un progetto dell’Alliance for a Just Society (Ex NWFCO) (18). Il principale difensore legislative nello Stato di Washington è il Repubblicano Bob Hasegawa. In Maryland, la campagna è stata avviata dal Center for State Innovation (CSI) (19), con sede nel Wisconsin, in collaborazione con il Service Employees International-Union (SEIU) (20) e la Progressive States Network. Il Progressive Maryland (21) è un sostenitore di primo piano delle ONG. Analisi dettagliate delle iniziative nello Stato di Washington e dell’Oregon e dei loro benefici previsti sono stati effettuati da CSI (22). Per gli sforzi di base in altri Stati e per le petizioni che possono essere firmate, vedere http://publicbankinginstitute.org/state-info.htm.
di Ellen Brown
Ellen Brown è un avvocato e presidente del Public Banking Institute. Ha scritto undici libri, Tra cui Web of Debt: The Shocking Truth About Our Money System and How We Can Break Free (2010).(La ragnatela del debito: la scioccante verità sul nostro sistema monetario e come liberarsene)
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