11 maggio 2011

Sulla parola







Le contraddizioni e le omissioni della versione ufficiale sull'uccisione di bin Laden inducono al dubbio. Dal black-out di venti minuti durante la diretta del blitz ai nuovi video trovati nel computer dello sceicco identici a quelli del 2007

Il presidente Obama sembra avere fretta di calare il sipario sull'uccisione di bin Laden: una vicenda che con il passare dei giorni, invece di chiarirsi, si va sempre più confondendo sotto il peso di omissioni, contraddizioni, dubbi e sospetti. Non possiamo mostrare le prove, ma fidatevi della nostra parola, dice in sostanza l'amministrazione Usa.

La stessa amministrazione che aveva detto che durante il blitz bin Laden aveva sparato ai Navy Seals facendosi scudo della moglie. Poi invece è venuto fuori che lo sceicco era disarmato.
La stessa amministrazione che aveva affermato di aver sepolto in mare il suo cadavere nel rispetto della tradizione islamica. Poi è emerso che questa pratica è contraria alla religione musulmana.

La stessa amministrazione che aveva dichiarato di aver seguito in diretta da Washington ''minuto per minuto'' il blitz di Abbottabad. Poi si è scoperto, per ammissione dello stesso capo della Cia, che né lui né il presidente né i suoi collaboratori immortalati nella famosa foto della Situation room della Casa Bianca hanno ''visto'' l'uccisione di bin Laden per un imprevisto black-out della diretta avvenuto proprio al momento dell'irruzione e durato oltre venti minuti.

La stessa amministrazione che, nei giorni scorsi, ha reso pubblici cinque nuovi video ''trovati'' nel computer di bin Laden, presentandoli come prova definitiva della versione ufficiale dei fatti di Abbottabad. Ma anche questi video hanno suscitato perplessità.

Se le immagini di un vecchio bin Laden 'privato' che si riguarda compiaciuto alla tv convincono poco per l'inquadratura di spalle che non mostra il volto (ma solo un mezzo profilo che qualcuno giudica un falso), dubbi ancor maggiori sorgono sugli altri quattro filmati in cui un Osama 'pubblico', truccato e con la barba tinta, prova diversi set per un videomessaggio mai pubblicato.

Lo sceicco immortalato in questi ultimi video, che secondo il Pentagono sarebbero stati girati ''tra il 9 ottobre e il 5 novembre 2010'', risulta infatti inspiegabilmente identico a quello apparso in un vecchio video del 7 settembre 2007: cambia solo il colore dello sfondo e il mantello dorato slacciato. Per il resto, sembrano girati nello stesso periodo, non a più di tre anni l'uno dall'altro.

Un filmato, quello diffuso alla vigilia del sesto anniversario dell'11 settembre, che già all'epoca aveva suscitato forti dubbi sulla sua autenticità, come del resto tutti i video di bin Laden successivi a quelli di fine 2001 resi pubblici dal Site Institute o dall'Intel Center: agenzie private al servizio del governo Usa, ufficialmente dedite al monitoraggio professionale dei siti jihadisti.

Il video del 2007, infatti, oltre a a presentare sospetti tagli di montaggio e a mostrare per la prima volta un bin Laden incredibilmente ringiovanito rispetto ai video del 2001 grazie a tinte e trucchi (lasciando stupito chi immaginava che la sindrome di Peter Pan colpisse solo dittatori turkmeni e premier italiani) era stato ''scoperto'' dal Site Institute prima che venisse postato sui siti qaedisti.

I video di bin Laden, i nuovi come i vecchi, sarebbero dunque dei falsi fabbricati dallo stesso governo Usa? Per quanto bizzarra sembri questa ipotesi, un anno fa ex agenti della Cia hanno raccontato al Washington Post che in passato l'Ufficio servizi tecnici dell'agenzia ha fatto proprio questo.

Dunque, fidarsi o no del governo degli Stati Uniti? Le bufale propagandistiche del salvataggio della soldatessa Jessica Lynch o dell'eroica morte della star del football Pat Tillmam – per non parlare di falsi storici accertati come l'operazione Northwoods o l'incidente del Golfo del Tonchino – dimostrano che la mistificazione della realtà non è sconosciuta ai governanti americani.


di Enrico Piovesana

La democrazia



Giovanni ha 54 anni, lavora saltuariamente e mangia quando capita. Questo mese è impegnato al banco del pesce di un grande ipermercato, dopo una lunga pausa passata a peregrinare fra le agenzie interinali, che aveva fatto seguito ai tre mesi trascorsi nel magazzino di uno spedizioniere, e prima dell’estate, quando scadrà il contratto bimestrale, gli toccherà ricominciare tutto daccapo.
Giovanni ha due figli ormai grandi. Giacomo, il più vecchio, gli ha sempre dato grandi soddisfazioni, intelligente, studioso, grande lavoratore, si é sposato cinque anni prima e da allora abita in un appartamento molto elegante poco fuori Milano. Lavora nella pubblicità, ha un ufficio tutto suo in centro e frequenta bella gente, di quella che la vedi sempre allegra, sicura di sé e padrona del proprio destino.
Farlo studiare è costato grandi sacrifici, ma a quei tempi Giovanni aveva una piccola cartoleria e tirando un poco la cinghia aveva potuto permetterselo. E ne è valsa eccome la pena, dal momento che oggi Giacomo è una persona felice e realizzata. Beh, proprio felice forse no, dal momento che con Cristina le cose non vanno molto bene e parlano sempre più spesso di separazione, ma realizzato sicuramente. Anche se in agenzia la concorrenza sta facendosi sempre più feroce e le rate del mutuo sono davvero pesanti e quel bel Touareg grigio metallizzato la settimana scorsa se lo sono portato via quelli delle riscossioni......


Caterina invece, fin da piccola è sempre stata una testa matta, ribelle come pochi, sempre lì a contestare, a pretendere, a creare qualche problema. Adesso vive negli Stati Uniti, a Detroit, fa la cameriera in un fast food e non si fa sentire molto spesso, se non per chiedere soldi. Ma dopo che quel brutto male si è portato via sua moglie, sembra a causa dei tanti anni passati a lavorare in tintoria, e con il sopravvenire della disoccupazione, Giovanni di soldi ne vede sempre meno e bastano a malapena per tirare avanti, fra poco dovrà rinunciare anche alla vecchia Panda, costa troppo farla riparare e in fondo sono pochi i posti dove deve andare.
Forse anche per questo Caterina telefona sempre meno e quando lo fa si tratta di conversazioni formali, fra loro non vi è modo di comunicare, quasi parlassero due lingue diverse. Lei è giovane e sta in America, ma anche lì la vita è dura, ah se lo avesse ascoltato e avesse continuato a studiare, oggi, già oggi, chissà.


La voce dello scrutatore, al quale ha appena consegnato il documento d'identità, lo distoglie dalle sue riflessioni.
-Rossi Giovanni, vada pure, cabina 3.-

Per tutta la vita è sempre stato un indeciso, probabilmente stava scritto dentro al suo dna che dovesse essere così. Non c'era nulla al mondo che riuscisse a turbarlo, quanto il dovere prendere una decisione. Anche nelle piccole cose di tutti i giorni il dubbio era sempre lì, in agguato e lo tormentava senza dargli tregua, come un tarlo che penetrava sempre più in profondità nel suo cervello e gli ripeteva -forse hai sbagliato-, -secondo me avresti dovuto scegliere diversamente-, -sei sicuro che non ti pentirai di avere fatto questa scelta?-
Ogni decisione era per lui una tortura impietosa, anche scegliere un paio di scarpe, decidere se pagare in contanti o con la carta di credito, domandarsi se fosse meglio andare a fare una passeggiata oppure restare a casa a guardare la Tv, ordinare dentro ad un ristorante, quando ancora poteva permetterselo.

Ma ormai era lì, cabina 3.
Aveva deciso di votare il Popolo delle Libertà, come la volta precedente, ma tutto a un tratto non se la sentì. A ben pensarci cosa aveva fatto quel Berlusconi per lui? Un mare di promesse mai mantenute, mentre tutto continuava ad andare a rotoli. Lavoro, ripresa economica, nuove prospettive, la meritocrazia, il paese più moderno. Tutte belle parole, ma invece solo tagli, licenziamenti, delocalizzazioni, aumenti dei prezzi e un paese dove non si riesce più a tirare avanti. Mentre lui lì, a spassarsela con le ragazzine, ad acquistare ville, a fare feste faraoniche.
La democrazia non è qualcosa dove tutti sono costretti a fare la fame ed una minoranza mangia fino a fare indigestione.

Perché allora non votare la Lega Nord, che lì a Milano avrebbe continuato ad andare forte. In fondo lui era un cittadino del nord e chi meglio della lega avrebbe potuto tutelare i suoi interessi?
Ma quel Bossi è al governo da un mucchio di tempo e per lui che sta al nord non è davvero cambiato nulla. Il campo rom vicino a casa sua continua ad essere esattamente dovera prima, per non parlare degli extracomunitari che gli portano via il lavoro, accettando stipendi da fame ancora più bassi del suo e poi la notte schiamazzano e si accoltellano per la strada. Quel Bossi è bravo solo a gridare, ma poi fa tutto quello che gli comandano. Padroni a casa nostra, dice lui, ma poi lItalia è piena di basi militari americane e invece di spendere i soldi per aiutare i cittadini, preferiscono andare a fare le missioni militari allestero.
La democrazia non significa fare promesse a vanvera, urlare e strepitare, per poi disattendere tutto quello che si era promesso e comportarsi come gli altri.


Forse quel Fini, si certo, é una persona che ispira fiducia, sempre elegante, abbronzato, moderato nei toni, pronto ad esternazioni di buon senso.
Ma anche lui è stato al governo un mucchio di tempo, come Casini, e non hanno assolutamente fatto altro che parole e poi ancora parole.
Democrazia non significa parlare, parlare e non fare mai nulla di concreto


A pensarci bene perché non votare Bersani? Si tratta di un uomo con una certa cultura, sempre sorridente, con il viso bonario, i modi semplici. Però è stato proprio il suo partito a introdurre l'euro, ed è anche grazie all'euro che i prezzi sono quasi raddoppiati. Senza contare che il centro sinsitra predica laccoglienza e promette di difendere i poveri, ma quando era al governo ha aumentato le tasse ed i poveri hanno continuato a diventare sempre più poveri.
Gli amici di suo figlio hanno detto che lo voteranno, ma loro sono tutti avvocati, gente dello spettacolo, giornalisti di successo, mica poveracci come lui. E adesso che ricorda, fu proprio il PD a far costruire linceneritore vicino a casa di sua sorella. Termovalorizzatore lo chiamano, quellimpianto tossico che lha costretta a cambiare appartamento, svendendo il suo, con il mutuo ancora mezzo da pagare.
La democrazia deve tutelare il cittadino, non rendere la sua vita simile ad una via crucis.

Ci sarebbe anche quel Di Pietro, quello di mani pulite, dei giudici, della legalità. La legalità è una grande cosa e lui si esprime con franchezza, come uno del popolo.
Ma quando era al governo lasciò varare lindulto che con la legalità aveva davvero poco a che fare e tutti i suoi discorsi sono solo invettive contro Berlusconi, come quelli di quel Travaglio che va in TV e vende libri a profusione, parlando sempre della stessa cosa.
Democrazia non significa solamente parlar male degli altri, ma piuttosto ascoltare quello che domandano i cittadini.

E quel Nichi Vendola? LObama bianco, lo chiamano. Vuole difendere lambiente, i poveri, vuole la pace, è di sinistra, ma una sinistra che sta al passo con i tempi, amica degli industriali, delle banche, forse troppo amica.
A parte che Obama, anche quello nero, non gli sta poi così simpatico, dal momento che sta facendo più guerre lui di quante non ne abbia fatte Bush che era un guerrafondaio, questo Nichi Vendola proprio non lo convince.
Ma quale ambiente se ha letto che sta facendo costruire inceneritori e centrali turbogas e quale pace se quelli della sinistra quando erano al governo hanno votato le missioni militari come Berlusconi. Per non parlare della guerra in Libia che vogliono tutti, tranne gli italiani.

Avrebbe potuto anche votare qualche partito minore, ma che senso avrebbe avuto dare il voto a qualcuno che lo avrebbe raccolto per portarlo a coloro che aveva rifiutato?

Fare la democrazia non significa raccogliere i voti del popolo, per fare tutto quello che il popolo non vuole, fidando sul fatto che comunque il popolo offrirà nuovamente il proprio consenso, perché tanto i candidati sono sempre gli stessi. Fare la democrazia significa

Dopo tutte queste considerazioni si accorse che gli restava solo più un'alternativa, non votare.
Richiudere la scheda, dopo averla lasciata intonsa e depositarla nell'urna ostentando naturalezza. Nessuno si sarebbe accorto di nulla e la tortura sarebbe finita.
Ma rinunciare al diritto/ dovere del voto sarebbe stato come astenersi dal partecipare alla società nella quale viveva. Si sarebbe trattato di un atto di vigliaccheria, un disimpegno privo di senso. Certo, nessuno lo avrebbe saputo, ma lui doveva convivere con la sua coscienza, che gli avrebbe ricordato il suo gesto, tutte le sere prima di addormentarsi e tutte le mattine, appena sveglio.
La democrazia è una cosa seria, la base di ogni società civile che si rispetti, lunica alternativa alla barbarie.

Lo sparo risuonò fragoroso nel silenzio della piccola aula, tutti si girarono sbigottiti nella direzione dalla quale era provenuto il botto, qualcuno urlò, altri rimasero con la bocca spalancata per lo stupore.
State calmi!
Esclamò il presidente del seggio, che alzatosi dalla seggiola si avvicinò alle cabine con passo deciso.
Presto qualcuno chiami un'ambulanza, nella cabina 3 c'è un uomo ferito, perde sangue, fate presto!
Anzi, anzi. Lasciate perdere, credo che luomo sia morto.
di Marco Cedolin

10 maggio 2011

La leggenda degli statunitensi che volevano catturare Mussolini vivo







Prendendo spunto da un recentissimo libro dello storico francese Pierre Milza: “Gli ultimi giorni di Mussolini”, Longanesi 2011, ha ripreso fiato una vecchia e ricorrente tesi, quella che asserisce la volontà inglese di uccidere il Duce in contrapposizione a quella americana di volerlo invece catturare vivo. Da qui tutto un corollario di spy story e fiumi d’inchiostro che evidentemente fanno vendere bene libri ed articoli.
Per la verità l’opera del Milza, professore a Sciences-Po, l’Istituto di Studi politici di Parigi, non offre sostanziali novità in merito a questo argomento e la sua stessa ricostruzione degli ultimi giorni di Mussolini è più che altro un compendio ed un riassunto di quanto è stato pubblicato, in questi ultimi 65 anni, da storici o protagonisti e comprimari di quegli eventi.
Tutti vecchi resoconti in buona parte mistificati e soprattutto contraddittori tra una versione e l’altra, pur se rilasciati da protagonisti che asserivano di aver partecipato allo stesso avvenimento. All’autore, tutto al più, si può riconoscere la mancanza di faziosità, che non è poco e l’esposizione delle varie versioni storiche con un minimo di prudenza, compresa la tesi, da lui privilegiata, dell’operato inglese per far fuori Mussolini e di quello americano nel volerlo catturare vivo.
Su Il Giornale, Francesco Perfetti, con un articolo in tre puntate dal 7 al 10 aprile: “Gli americani volevano evitare l’uccisione di Mussolini” ha tratto lo spunto dal libro del Milza per rilanciare la tesi degli americani che volevano “salvare” il Duce.
Una tesi questa, tanto cara agli ambienti del destrismo nazionale, che ha radici antiche, laddove una storiografia superficiale ha inteso dipingere gli Stati Uniti, in procinto di vincere la guerra, interessati ad assicurarsi un ingerenza in Europa, scalzando quindi in Italia il predominio britannico e intenti ad assicurarsi forze che li potessero supportare contro il comunismo.
Questi aspetti, per altro in buona parte veri, non tengono però conto che la politica internazionale statunitense viaggiava su un “doppio binario”, perché all’interno dell’amministrazione americana erano anche prevalenti forze di natura “mondialista”, lobby in grado di elaborare disegni di portata epocale, tra i quali Jalta, finalizzati ad obbiettivi di natura planetaria che trascendevano gli stessi aspetti geopolitici di carattere nazionale. Questo significa che l’operato dei servizi segreti Usa nel “salvare” o nell’assicurarsi, ad esempio, la collaborazione di tanti ufficiali tedeschi o ex esponenti del fascismo, era di portata tattica, contingente, transitoria, così come di portata tattica fu il contrasto con i Sovietici nel dopoguerra, perché la sostanza degli accordi di Jalta era invece di livello strategico e contemplava il dominio in condominio Usa - Urss sull’Europa, finalizzato al dissolvimento delle sue entità e culture.
Vediamo allora come, in realtà, stanno le cose, ma prima di addentrarci in una pur sommaria ricostruzione di quegli avvenimenti, sgombriamo subito il campo da ogni equivoco, esprimendo alcune premesse, che nel proseguo cercheremo di illustrare meglio:
1. Gli inglesi volevano Mussolini morto ed in questo senso mossero le loro Intelligence, ma non furono gli inglesi a sopprimerlo, per il semplice motivo che non ce ne fu bisogno in quanto fecero tutto il gruppetto di partigiani comunisti coordinati da Luigi Longo. In ogni caso non ci sono prove che a Bonzanigo, in casa dei contadini De Maria, quel mattino del 28 aprile (perché fu al mattino che venne ammazzato Mussolini!) arrivarono Special force inglesi.
2. Gli americani ufficialmente volevano catturare Mussolini vivo per poterlo poi processare con uno di quei loro spettacoli da baraccone, ma in realtà, proprio nelle ultime ore cruciali durante le quali si risolse quella vicenda, arrivarono dalla Svizzera ove era il quartier generale dell’Oss americano per l’area italiana, ordini segretissimi di lasciar catturare Mussolini dai partigiani.
Detto questo, occorre poi, aver presente anche il quadro complessivo di tutta la situazione del tempo. Un quadro che ci indica come Mussolini, lasciata la Prefettura di Como prima dell’alba del 26 aprile 1945 fini per trovarsi in un crocevia di morte, visto che lo volevano ammazzare un po’ tutti, nonostante si sia poi asserito il contrario.
Quindi, senza dimenticare il particolare non da poco che i tedeschi finirono per abbandonare Mussolini al suo destino, probabilmente in ottemperanza a certi impegni che avevano preso con gli Alleati durante le trattative segrete di resa delle loro divisioni in Italia, la morte del Duce, per prima cosa, non era sgradita al Re, il quale non poteva non paventare che un Mussolini sopravvissuto, lo avrebbe chiamato in causa nelle responsabilità della guerra. Una guerra che Vittorio Emanuele III aveva non solo approvato, ma anche sollecitato, tanto più essendo a conoscenza di una certa “intesa” segreta con gli inglesi per la quale, dopo qualche scontro militare più che altro di facciata, ci si sarebbe seduti ad un promesso tavolo della pace.
Tanto meno era sgradita alle componenti cosiddette “moderate” della Resistenza, con in prima fila gli ambienti industriali e finanziari del paese, minacciati dalla profonda e drastica riforma socialista dell’economia, propugnata da Mussolini e di cui già, durante la Rsi, si erano gettate le basi politiche e sociali e i presupposti legislativi per attuarla.
Scontato poi che lo volevano morto i comunisti, per evidenti ragioni politiche avallate da Stalin.
E Stalin aveva più che una ragione per tacitare per sempre Mussolini (e Nicola Bombacci). In particolare per non far emergere i tanti accordi intercorsi tra l’Italia e l’Urss durante il Ventennio, accordi anche segreti che avevano preservato il nostro paese dagli attentati terroristici da parte di cellule comuniste, ma soprattutto per celare quanto accadde in quel primo semestre del 1943 laddove i sovietici, nonostante Stalingrado, attraversando un momento di crisi, in termini di risorse umane da gettare nella guerra e non fidandosi delle strategie belliche anglo americane, erano propensi a trovare una specie di accordo – armistizio con i tedeschi. Un desiderio questo che si incontrava con quello di Mussolini, che da tempo coltivava la stessa intenzione in virtù di una visione geopolitica euro asiatica. Una strategia geopolitica che consentisse all’Italia, vaso di coccio tra vasi di ferro, di sottrarsi ad una egemonia di stampo euro atlantico, laddove la possibilità di un accordo tra tedeschi e inglesi, da sempre sognato da Hitler, se si fosse realizzato lo sarebbe stato contro i nostri interessi. Già nel 1939, alle soglie della guerra, Mussolini aveva temuto che potessero realizzarsi una delle tre eventualità, tutte deleterie per il nostro paese, estremamente debole sul piano economico finanziario e su quello militare, vale a dire:
a) l’esplosione di un conflitto con esiti favorevoli ai tedeschi, che ce li avrebbe portati, oltre che nei balcani, a ridosso dei confini occidentali, nostra naturale antemurale in Europa; b) un esito della guerra favorevole agli inglesi, da sempre nostri reali nemici, a cui avremmo dovuto sottometterci nel mediterraneo abbandonando anche l’Africa; c) un possibile accordo anglo tedesco, su scala mondiale, con spartizione delle aree geopolitiche nel senso di un dominio tedesco nel continente e un dominio britannico sui mari e nell’Impero.
Solo il mantenimento degli equilibri in Europa e quindi tenere lontana la guerra, era per Mussolini l’unica scappatoia alla nostra difficile situazione internazionale. Ma come sappiamo questo non fu possibile ed alla fine Mussolini, con la guerra oramai alle porte di casa, fu costretto ad intervenire, schierandosi dalla parte del male “geopoliticamente” minore, cioè i tedeschi, oltretutto a noi ideologicamente accumunati da una Weltanschauung sulle basi della quale si poteva salvare l’Europa dal disfacimento, materiale, morale e spirituale con cui l’Occidente la minacciava.
Per finire lo volevano morto gli inglesi per i quali Mussolini era stato il vero avversario “geopolitico” ed in particolare Churchill preoccupato che emergessero i contenuti della sua segreta richiesta all’Italia, a ridosso del 10 giugno 1940, di entrare in guerra prospettando un imminente, ma falso, tavolo della pace, nel quale l’Italia avrebbe potuto porsi come forza mediatrice.
Più volte, su queste stesse pagine, abbiamo ricostruito quegli avvenimenti e quindi non ci ritorneremo su, ricordiamo solo che Churchill in realtà, non pensava minimamente ad una possibile pace, ma anzi il suo intento, in prospettiva di un sicuro, ma non imminente intervento americano, era quello di allargare a dismisura il teatro bellico, coinvolgendo anche l’Italia, proprio per evitare che tendenze verso la pace, anche interne all’Inghilterra stessa, potessero venire incontro all’altrettanto desiderio tedesco di addivenire ad una composizione del conflitto.
Mussolini, dal canto suo, non poteva non accettare questa richiesta, visto e considerato che comunque, il nostro intervento in guerra era inevitabile, pena correre rischi bellici ancora peggiori. Fu così che Mussolini, con il sostegno del Savoia, pensò di affrontare quella tragica situazione imbarcandosi in un “ doppio gioco” che alla fine lo avrebbe travolto.
Le documentazioni comprovanti quanto sopra, cioè il famoso carteggio Mussolini/Churchill, come noto vennero recuperate e fatte sparire dallo statista britannico, ma le testimonianze in proposito e spicchi di verità filtrati in vari ambiti non ammettono dubbi. Il segreto del “Carteggio” comunque è attestato anche da questa telefonata, registrata segretamente dai tedeschi,svoltasi tra Mussolini e Clara Petacci il 22 marzo 1945. Mussolini, riferendosi a Pavolini che era ancora ignaro dell’esatta portata della documentazione in mano al Duce (ne verrà messo a parte pochi giorni dopo), dice a Clara: “Lui non conosce gli avvenimenti accaduti pochi giorni prima della nostra entrata in guerra. Non ne ho parlato con nessuno. E Churchill ancora meno. Bisognerà raccontare una buona volta questa storia. Chi dovrebbe parlarne oggi? In tutto la sanno cinque persone!”.
Gli inglesi negli ultimi giorni di aprile, sguinzagliarono le loro Special Force per recuperare tutte le documentazioni e intercettare il Duce per eliminarlo. In pratica però, questo non fu necessario perché, come ricostruì Renzo De Felice, fecero tutto il gruppetto milanese dei partigiani Comunisti.
In quelle tragiche ore la strada alla eliminazione di Mussolini era già stata spianata dall’agente di collegamento tra il CLNAI e gli Alleati, ovvero l’ufficiale italo inglese Max Salvadori, il quale si premunì di far presente ai dirigenti della resistenza, che loro potevano disporre di Mussolini come meglio ritenevano opportuno, fino all’arrivo delle forze armate Alleate. In pratica un implicito invito a liquidare Mussolini al più presto.
Tutto questo trova anche conferma in una confidenza che ebbe a fare Leo Valiani alcuni anni addietro allo storico Alessandro De Felice, al quale disse che la morte di Mussolini doveva rimanere un mistero, laddove “gli inglesi avevano suonato la musica e i comunisti erano andati a tempo”.
Ma se queste erano le posizioni delle varie forze in campo in quei tragici giorni di fine aprile ’45, quali erano le vere intenzioni degli Americani, apparentemente dediti alla cattura di Mussolini vivo?
Per qualche ingenuo, a cui la storia non ha insegnata nulla, nonostante le innumerevoli e abominevoli stragi di inermi popolazioni civili e quant’altro, perpetrate dagli americani, tanto per illustrare quali erano i veri sentimenti di costoro nei confronti del Duce, cominciamo con il ricordare la registrazione di una telefonata intercontinentale, intercorsa tra Churchill e Roosevelt il 29 luglio 1943, nel momento in cui Mussolini era da pochi giorni prigioniero di Badoglio.
Nel loro edificante colloquio, questi due campioni di umanità, si trovarono concordi nel ritenere che non fosse opportuno che Mussolini arrivasse vivo ad un processo, per cui sarebbe stato meglio che gli accadesse “qualcosa” mentre era prigioniero di Badoglio. Ma Mussolini, come sappiamo, venne poi liberato al Gran Sasso dai tedeschi, molto probabilmente dietro uno “scambio” intercorso tra questi e il governo badogliano, in modo tale che in cambio Badoglio e i Savoia furono lasciati tranquillamente fuggire per la via tiburtina.
Gli americani il 21 aprile, occupata Bologna e sfondata la linea del fronte, anche in virtù del fatto che i tedeschi oramai praticamente non combattevano più, si apprestavano a raggiungere le località del Nord. Arrivarono però a Milano e Como solo tra il 29 e il 30 aprile, oramai a cose fatte, ma nel frattempo alcune loro missioni avevano avuto l’ordine di occuparsi della cattura di Mussolini.
Tra queste la più vicina alle località interessate e la più conosciuta è quella del capitano Emil Q. Daddario, quello che, oltretutto, firmò (ingenuamente?) il famoso lasciapassare a Walter Audisio Valerio, per recarsi a Dongo a prelevare Mussolini con gli altri prigionieri fascisti.
In realtà Daddario, oltre che “ingenuo” si rivelò anche estremamente lento.
Scrive lo storico Alessandro De Felice nel suo “Il gioco delle ombre”:
“Daddario non fece alcuno sforzo per cercare Mussolini: gli ordini che aveva ricevuto da Dulles, in combutta con Wolff, non erano di catturare l’ex dittatore, ma di lasciarlo prendere dai partigiani. Finito questo bel lavoro, Wolff rientrò a Bolzano, passando per la Svizzera”.
Ed ancora, A. De Felice, espone meglio tutta la situazione:
“... è necessaria una premessa legata alla caccia anglo-americana verso il Duce: la sua morte è uno dei primi esempi di operazioni sporche che caratterizzano le azioni dello spionaggio stile Cia… nel ventesimo secolo. Tre diverse unità si lanciano alla ricerca dell’ex Presidente del Consiglio fascista.
La prima è la XXXIV Divisione Usa – unità celere - guidata dal Generale Browne Bolty e diretta a Como. Vi è poi una seconda unità formata da ex-fascisti passati agli ordini del governo monarchico del Sud ed organizzata dal Luogotenente di Cadorna a Como, Colonnello barone Sardagna. A Lugano Donald Jones dell’Oss, appresa la notizia dell’arresto di Mussolini, ordina a due suoi agenti di andare immediatamente a Como per il trasferimento dei poteri al CLN e per prendere in custodia il Duce, ammesso, e non concesso, che Allen Dulles volesse veramente vivo il leader repubblicano-sociale e non fosse, invece al servizio a sua volta dell’intelligence britannica interessata alla soppressione fisica dell’ex-dittatore socialrivoluzionario italiano.
I due agenti dell’Oss sono il Capitano Giovanni Dessy... e Salvatore Guastoni.
Vi è una terza unità comandata dal Maggiore Usa Albert William Phillips del C.I.C. (Counter Intelligence Corps), che arriva a Como la notte del 27 aprile ’45 con il compito militare, avuto dalla V Armata, di prendere Mussolini vivo. Vi è un altro agente del Cic, John MacDonough, che è un emissario della I Divisione corazzata americana, il quale manda a Sardagna un messaggio volto a trasferire Mussolini a Blevio, un paesino della riva orientale del lago poco distante da Como. “Quella sera, al posto di confine di Chiasso, il maggiore Phillips ricevette l’ordine di attendere l’arrivo di altri ufficiali dell’OSS e del CIC da Lugano, ma alle 21, quando arrivarono, costoro gli dissero, forse intenzionalmente ingannandolo, che Mussolini era già stato catturato e che ormai lo stavano trasportando a Milano” (P. Tompkins, Dalle carte segrete del Duce. In Momenti e protagonisti dell’Italia fascista, National Archives di Washington, M. Tropea Editore, Milano, 2001). Vedere: A. De Felice, “Il gioco delle ombre”.
In effetti considerando poi il modo di operare di Guastoni a Como, vi troveremo la stessa strana analogia riscontrata con lento pede Daddario: il Guastoni perde parte della giornata del 26 aprile e tutta la notte successiva a mediare una resa dei fascisti disinteressandosi di Mussolini, come se più che altro la sua preoccupazione fosse quella di evitare che il Duce, isolato a Menaggio, potesse ricongiungersi con i suoi uomini rimasti a Como. E che le cose stessero proprio in questa maniera lo attestano alcuni stralci di “La cronaca degli avvenimenti che condussero alla cattura di M.” scritto il I maggio 1945 proprio da Giovanni Dessy e reperibile presso il National Archives and Records Administration. Scrisse il Dessy nella sua relazione, riferendosi ai noti avvenimenti del 26 aprile a Como che portarono alla resa dei comandanti fascisti presenti in città:
“... il dottor Guastoni si mise immediatamente in contatto con il vice console americano per sondare il punto di vista degli Alleati (...). Da una parte quindi vi era l’assoluta necessità di bloccare le forze fasciste che erano ancora padrone della situazione perché erano ancora più numerose e con armi migliori (...). Nello stesso tempo, era assolutamente necessario impedire a tutte le forze delle Brigate Nere, che stavano convergendo su Como di arrivare nella zona di Menaggio (...) .Ottenere la smobilitazione e il disarmo di tutte le forze fasciste radunate a Como o in arrivo, così da prevenire la formazione di un gruppo di forte resistenza attorno a Mussolini (...)”.
Questi erano i veri ordini che avevano avuto nelle ultime ore gli agenti americani, ordini segreti, non palesi a tutti le loro forze armate e quindi se, per caso, gli fosse capitato veramente di prendere il Duce vivo, sarebbero sorte imbarazzanti e problematiche situazioni.
Marino Vigano, valente ricercatore storico, preciserà: “Per di più, a Jones (Donald Jones viceconsole a Lugano, n.d.r.), vennero date istruzioni di stare alla larga dal Duce” (M. Viganò “Mussolini, i gerarchi e la fuga in Svizzera 1944-‘45”, in Nuova Storia Contemporanea N. 3 - maggio giugno 2001).
Da quanto riportato traspare quindi un ambiguo operare degli americani: ufficialmente le loro missioni si muovevano per catturare Mussolini vivo, ma in realtà dietro evidenti ordini segreti dell’ultimo minuto, lasciarono campo libero a chi voleva ucciderlo immediatamente.
Lo storico Alessandro De Felice, come abbiamo visto, suppone che il capo dell’Oss statunitense Allen Dulles fosse in realtà colluso con l’intelligence inglese e scrive, anche in base ai diari dell’ex-Capo della Gestapo Heinrich Müller (poi al servizio della Cia), che la “strana” passività dell’intelligence statunitense verso la cattura di Mussolini ed il relativo laissez faire ai britannici con la completa mano libera a questi ultimi, si spiega con un accordo sotto banco tra Intelligence.
Infatti, a proposito dei due Dulles, Allen Welch – Direttore della Cia -, e John Foster – fratello del precedente ed attorney e Segretario di Stato Usa durante la Presidenza di Eisenhower – il Müller osservava: “I fratelli Dulles sono stati anglofili sin dalla loro infanzia. Il loro zio fu Lansing, Segretario di Stato sotto Wilson. Noi lo abbiamo conosciuto come l’uomo che il governo inglese [lett. “Whitehall” è la strada londinese dove hanno sede i ministeri del British Government (N.d.R)] pagò per spingere l’America in guerra nello stesso schieramento (dell’Intesa anglo-francese, N.d.R.). I nipoti furono influenzati dal loro zio ed evidentemente non hanno alcun problema nel prendere bustarelle. A questo punto, essere filo-britannici è un punto di raffinatezza ed uno trova tutti i generi di sostenitori inglesi nell’aristocrazia americana. Essi usavano prendere lezioni di linguaggio in modo che sembrassero parlare come un inglese! “.
A nostro avviso però il Dulles, più che altro, era interno a certe strategie mondialiste, quelle stesse che consentirono agli Alleati di avere una strategia bellica alquanto univoca, a differenza delle nazioni dell’Asse che si muovevano ciascuna per suo conto. Erano state appunto certe influenze “massoniche” che avevano consentito il coordinamento della strategia bellica anglo americana che pur avrebbe dovuto avere interessi e resupposti geopolitici divergenti.
Dulles infatti, oltre ad essere avvocato del potente “mondialista” Averell Harriman, era più che altro inclinato verso Consorterie trans e over nazionali. Il fratello poi era membro del CFA, particolare questo che la dice lunga, più di ogni altra considerazione.
Quindi è oramai accertato che dalla Svizzera arrivarono ordini segretissimi delle ultime ore a ponte Chiasso, che “consigliarono” di non interessarsi di Mussolini e questo proprio mentre a Como andava in onda la pagliacciata delle "trattative di resa" tra gli agenti americani Dessì e Guastoni e i comandanti fascisti ivi arrivati il giorno prima e poi arresisi ignominiosamente.
Tanti sono i fili che portano a queste conclusioni, e che costringeranno prima o poi gli storici a rivedere l’operato dell’Oss americano, diretto dalla Svizzera da Dulles e operativo in Italia anche con il famoso James J. Angleton, colui che si mise in tasca e sfruttò ad uso e consumo dell’occupazione americana e delle successive strategie atlantiche tanti uomini del neofascismo.
Non si dimentichi infine un certo ruolo giocato dai servizi segreti del Vaticano, diretti al tempo dal
pro-segretario di Stato vaticano monsignor Giovanni B. M. Montini assecondato dal suo “fido Togliatti” (i veri ruoli di Montini, il futuro Papa vicino ad ambienti d’alta finanza americana e di Togliatti dovranno prima o poi essere ben delineati, così come deve essere ancora tutta scritta la segreta storia della famosa “missione Nemo”, una congrega di spie americane interne anche alla stessa Rsi e ad ambienti ecclesiastici). La poco edificante resa dei comandanti fascisti in Como, la notte del 27 aprile 1945, venne appunto realizzata anche attraverso queste connivenze e la sosta di Mussolini in Arcivescovado il pomeriggio del 25 aprile, il suo colloquio privato con il Cardinale Schuster, hanno probabilmente avuto un seguito nella successiva cattura di Mussolini.
Prove concrete però, se ci sono, sono celate negli inaccessibili archivi americani (non quelli desecretabili a uso degli ingenui) e Vaticani, per cui è meglio non andare oltre certe congetture.
Per concludere, sarebbe anche ora di finirla con tutte quelle storielle, veri fumetti per sprovveduti, che ripropongono ogni volta i fantasiosi racconti di Giovanni Bruno Lonati, il partigiano Giacomo, che asserì di aver ucciso lui Mussolini in partecipazione con un misterioso capitano inglese, certo John. Una ridicola spy story (da noi smontata pezzo per pezzo, vedi: Rinascita 15.8.2008 e 26.10.2010), che però fa ancora cassetta, citata anche nel libro del Milza e questo, per lo storico francese, non costituisce certo un titolo di merito.
di: Maurizio Barozzi

11 maggio 2011

Sulla parola







Le contraddizioni e le omissioni della versione ufficiale sull'uccisione di bin Laden inducono al dubbio. Dal black-out di venti minuti durante la diretta del blitz ai nuovi video trovati nel computer dello sceicco identici a quelli del 2007

Il presidente Obama sembra avere fretta di calare il sipario sull'uccisione di bin Laden: una vicenda che con il passare dei giorni, invece di chiarirsi, si va sempre più confondendo sotto il peso di omissioni, contraddizioni, dubbi e sospetti. Non possiamo mostrare le prove, ma fidatevi della nostra parola, dice in sostanza l'amministrazione Usa.

La stessa amministrazione che aveva detto che durante il blitz bin Laden aveva sparato ai Navy Seals facendosi scudo della moglie. Poi invece è venuto fuori che lo sceicco era disarmato.
La stessa amministrazione che aveva affermato di aver sepolto in mare il suo cadavere nel rispetto della tradizione islamica. Poi è emerso che questa pratica è contraria alla religione musulmana.

La stessa amministrazione che aveva dichiarato di aver seguito in diretta da Washington ''minuto per minuto'' il blitz di Abbottabad. Poi si è scoperto, per ammissione dello stesso capo della Cia, che né lui né il presidente né i suoi collaboratori immortalati nella famosa foto della Situation room della Casa Bianca hanno ''visto'' l'uccisione di bin Laden per un imprevisto black-out della diretta avvenuto proprio al momento dell'irruzione e durato oltre venti minuti.

La stessa amministrazione che, nei giorni scorsi, ha reso pubblici cinque nuovi video ''trovati'' nel computer di bin Laden, presentandoli come prova definitiva della versione ufficiale dei fatti di Abbottabad. Ma anche questi video hanno suscitato perplessità.

Se le immagini di un vecchio bin Laden 'privato' che si riguarda compiaciuto alla tv convincono poco per l'inquadratura di spalle che non mostra il volto (ma solo un mezzo profilo che qualcuno giudica un falso), dubbi ancor maggiori sorgono sugli altri quattro filmati in cui un Osama 'pubblico', truccato e con la barba tinta, prova diversi set per un videomessaggio mai pubblicato.

Lo sceicco immortalato in questi ultimi video, che secondo il Pentagono sarebbero stati girati ''tra il 9 ottobre e il 5 novembre 2010'', risulta infatti inspiegabilmente identico a quello apparso in un vecchio video del 7 settembre 2007: cambia solo il colore dello sfondo e il mantello dorato slacciato. Per il resto, sembrano girati nello stesso periodo, non a più di tre anni l'uno dall'altro.

Un filmato, quello diffuso alla vigilia del sesto anniversario dell'11 settembre, che già all'epoca aveva suscitato forti dubbi sulla sua autenticità, come del resto tutti i video di bin Laden successivi a quelli di fine 2001 resi pubblici dal Site Institute o dall'Intel Center: agenzie private al servizio del governo Usa, ufficialmente dedite al monitoraggio professionale dei siti jihadisti.

Il video del 2007, infatti, oltre a a presentare sospetti tagli di montaggio e a mostrare per la prima volta un bin Laden incredibilmente ringiovanito rispetto ai video del 2001 grazie a tinte e trucchi (lasciando stupito chi immaginava che la sindrome di Peter Pan colpisse solo dittatori turkmeni e premier italiani) era stato ''scoperto'' dal Site Institute prima che venisse postato sui siti qaedisti.

I video di bin Laden, i nuovi come i vecchi, sarebbero dunque dei falsi fabbricati dallo stesso governo Usa? Per quanto bizzarra sembri questa ipotesi, un anno fa ex agenti della Cia hanno raccontato al Washington Post che in passato l'Ufficio servizi tecnici dell'agenzia ha fatto proprio questo.

Dunque, fidarsi o no del governo degli Stati Uniti? Le bufale propagandistiche del salvataggio della soldatessa Jessica Lynch o dell'eroica morte della star del football Pat Tillmam – per non parlare di falsi storici accertati come l'operazione Northwoods o l'incidente del Golfo del Tonchino – dimostrano che la mistificazione della realtà non è sconosciuta ai governanti americani.


di Enrico Piovesana

La democrazia



Giovanni ha 54 anni, lavora saltuariamente e mangia quando capita. Questo mese è impegnato al banco del pesce di un grande ipermercato, dopo una lunga pausa passata a peregrinare fra le agenzie interinali, che aveva fatto seguito ai tre mesi trascorsi nel magazzino di uno spedizioniere, e prima dell’estate, quando scadrà il contratto bimestrale, gli toccherà ricominciare tutto daccapo.
Giovanni ha due figli ormai grandi. Giacomo, il più vecchio, gli ha sempre dato grandi soddisfazioni, intelligente, studioso, grande lavoratore, si é sposato cinque anni prima e da allora abita in un appartamento molto elegante poco fuori Milano. Lavora nella pubblicità, ha un ufficio tutto suo in centro e frequenta bella gente, di quella che la vedi sempre allegra, sicura di sé e padrona del proprio destino.
Farlo studiare è costato grandi sacrifici, ma a quei tempi Giovanni aveva una piccola cartoleria e tirando un poco la cinghia aveva potuto permetterselo. E ne è valsa eccome la pena, dal momento che oggi Giacomo è una persona felice e realizzata. Beh, proprio felice forse no, dal momento che con Cristina le cose non vanno molto bene e parlano sempre più spesso di separazione, ma realizzato sicuramente. Anche se in agenzia la concorrenza sta facendosi sempre più feroce e le rate del mutuo sono davvero pesanti e quel bel Touareg grigio metallizzato la settimana scorsa se lo sono portato via quelli delle riscossioni......


Caterina invece, fin da piccola è sempre stata una testa matta, ribelle come pochi, sempre lì a contestare, a pretendere, a creare qualche problema. Adesso vive negli Stati Uniti, a Detroit, fa la cameriera in un fast food e non si fa sentire molto spesso, se non per chiedere soldi. Ma dopo che quel brutto male si è portato via sua moglie, sembra a causa dei tanti anni passati a lavorare in tintoria, e con il sopravvenire della disoccupazione, Giovanni di soldi ne vede sempre meno e bastano a malapena per tirare avanti, fra poco dovrà rinunciare anche alla vecchia Panda, costa troppo farla riparare e in fondo sono pochi i posti dove deve andare.
Forse anche per questo Caterina telefona sempre meno e quando lo fa si tratta di conversazioni formali, fra loro non vi è modo di comunicare, quasi parlassero due lingue diverse. Lei è giovane e sta in America, ma anche lì la vita è dura, ah se lo avesse ascoltato e avesse continuato a studiare, oggi, già oggi, chissà.


La voce dello scrutatore, al quale ha appena consegnato il documento d'identità, lo distoglie dalle sue riflessioni.
-Rossi Giovanni, vada pure, cabina 3.-

Per tutta la vita è sempre stato un indeciso, probabilmente stava scritto dentro al suo dna che dovesse essere così. Non c'era nulla al mondo che riuscisse a turbarlo, quanto il dovere prendere una decisione. Anche nelle piccole cose di tutti i giorni il dubbio era sempre lì, in agguato e lo tormentava senza dargli tregua, come un tarlo che penetrava sempre più in profondità nel suo cervello e gli ripeteva -forse hai sbagliato-, -secondo me avresti dovuto scegliere diversamente-, -sei sicuro che non ti pentirai di avere fatto questa scelta?-
Ogni decisione era per lui una tortura impietosa, anche scegliere un paio di scarpe, decidere se pagare in contanti o con la carta di credito, domandarsi se fosse meglio andare a fare una passeggiata oppure restare a casa a guardare la Tv, ordinare dentro ad un ristorante, quando ancora poteva permetterselo.

Ma ormai era lì, cabina 3.
Aveva deciso di votare il Popolo delle Libertà, come la volta precedente, ma tutto a un tratto non se la sentì. A ben pensarci cosa aveva fatto quel Berlusconi per lui? Un mare di promesse mai mantenute, mentre tutto continuava ad andare a rotoli. Lavoro, ripresa economica, nuove prospettive, la meritocrazia, il paese più moderno. Tutte belle parole, ma invece solo tagli, licenziamenti, delocalizzazioni, aumenti dei prezzi e un paese dove non si riesce più a tirare avanti. Mentre lui lì, a spassarsela con le ragazzine, ad acquistare ville, a fare feste faraoniche.
La democrazia non è qualcosa dove tutti sono costretti a fare la fame ed una minoranza mangia fino a fare indigestione.

Perché allora non votare la Lega Nord, che lì a Milano avrebbe continuato ad andare forte. In fondo lui era un cittadino del nord e chi meglio della lega avrebbe potuto tutelare i suoi interessi?
Ma quel Bossi è al governo da un mucchio di tempo e per lui che sta al nord non è davvero cambiato nulla. Il campo rom vicino a casa sua continua ad essere esattamente dovera prima, per non parlare degli extracomunitari che gli portano via il lavoro, accettando stipendi da fame ancora più bassi del suo e poi la notte schiamazzano e si accoltellano per la strada. Quel Bossi è bravo solo a gridare, ma poi fa tutto quello che gli comandano. Padroni a casa nostra, dice lui, ma poi lItalia è piena di basi militari americane e invece di spendere i soldi per aiutare i cittadini, preferiscono andare a fare le missioni militari allestero.
La democrazia non significa fare promesse a vanvera, urlare e strepitare, per poi disattendere tutto quello che si era promesso e comportarsi come gli altri.


Forse quel Fini, si certo, é una persona che ispira fiducia, sempre elegante, abbronzato, moderato nei toni, pronto ad esternazioni di buon senso.
Ma anche lui è stato al governo un mucchio di tempo, come Casini, e non hanno assolutamente fatto altro che parole e poi ancora parole.
Democrazia non significa parlare, parlare e non fare mai nulla di concreto


A pensarci bene perché non votare Bersani? Si tratta di un uomo con una certa cultura, sempre sorridente, con il viso bonario, i modi semplici. Però è stato proprio il suo partito a introdurre l'euro, ed è anche grazie all'euro che i prezzi sono quasi raddoppiati. Senza contare che il centro sinsitra predica laccoglienza e promette di difendere i poveri, ma quando era al governo ha aumentato le tasse ed i poveri hanno continuato a diventare sempre più poveri.
Gli amici di suo figlio hanno detto che lo voteranno, ma loro sono tutti avvocati, gente dello spettacolo, giornalisti di successo, mica poveracci come lui. E adesso che ricorda, fu proprio il PD a far costruire linceneritore vicino a casa di sua sorella. Termovalorizzatore lo chiamano, quellimpianto tossico che lha costretta a cambiare appartamento, svendendo il suo, con il mutuo ancora mezzo da pagare.
La democrazia deve tutelare il cittadino, non rendere la sua vita simile ad una via crucis.

Ci sarebbe anche quel Di Pietro, quello di mani pulite, dei giudici, della legalità. La legalità è una grande cosa e lui si esprime con franchezza, come uno del popolo.
Ma quando era al governo lasciò varare lindulto che con la legalità aveva davvero poco a che fare e tutti i suoi discorsi sono solo invettive contro Berlusconi, come quelli di quel Travaglio che va in TV e vende libri a profusione, parlando sempre della stessa cosa.
Democrazia non significa solamente parlar male degli altri, ma piuttosto ascoltare quello che domandano i cittadini.

E quel Nichi Vendola? LObama bianco, lo chiamano. Vuole difendere lambiente, i poveri, vuole la pace, è di sinistra, ma una sinistra che sta al passo con i tempi, amica degli industriali, delle banche, forse troppo amica.
A parte che Obama, anche quello nero, non gli sta poi così simpatico, dal momento che sta facendo più guerre lui di quante non ne abbia fatte Bush che era un guerrafondaio, questo Nichi Vendola proprio non lo convince.
Ma quale ambiente se ha letto che sta facendo costruire inceneritori e centrali turbogas e quale pace se quelli della sinistra quando erano al governo hanno votato le missioni militari come Berlusconi. Per non parlare della guerra in Libia che vogliono tutti, tranne gli italiani.

Avrebbe potuto anche votare qualche partito minore, ma che senso avrebbe avuto dare il voto a qualcuno che lo avrebbe raccolto per portarlo a coloro che aveva rifiutato?

Fare la democrazia non significa raccogliere i voti del popolo, per fare tutto quello che il popolo non vuole, fidando sul fatto che comunque il popolo offrirà nuovamente il proprio consenso, perché tanto i candidati sono sempre gli stessi. Fare la democrazia significa

Dopo tutte queste considerazioni si accorse che gli restava solo più un'alternativa, non votare.
Richiudere la scheda, dopo averla lasciata intonsa e depositarla nell'urna ostentando naturalezza. Nessuno si sarebbe accorto di nulla e la tortura sarebbe finita.
Ma rinunciare al diritto/ dovere del voto sarebbe stato come astenersi dal partecipare alla società nella quale viveva. Si sarebbe trattato di un atto di vigliaccheria, un disimpegno privo di senso. Certo, nessuno lo avrebbe saputo, ma lui doveva convivere con la sua coscienza, che gli avrebbe ricordato il suo gesto, tutte le sere prima di addormentarsi e tutte le mattine, appena sveglio.
La democrazia è una cosa seria, la base di ogni società civile che si rispetti, lunica alternativa alla barbarie.

Lo sparo risuonò fragoroso nel silenzio della piccola aula, tutti si girarono sbigottiti nella direzione dalla quale era provenuto il botto, qualcuno urlò, altri rimasero con la bocca spalancata per lo stupore.
State calmi!
Esclamò il presidente del seggio, che alzatosi dalla seggiola si avvicinò alle cabine con passo deciso.
Presto qualcuno chiami un'ambulanza, nella cabina 3 c'è un uomo ferito, perde sangue, fate presto!
Anzi, anzi. Lasciate perdere, credo che luomo sia morto.
di Marco Cedolin

10 maggio 2011

La leggenda degli statunitensi che volevano catturare Mussolini vivo







Prendendo spunto da un recentissimo libro dello storico francese Pierre Milza: “Gli ultimi giorni di Mussolini”, Longanesi 2011, ha ripreso fiato una vecchia e ricorrente tesi, quella che asserisce la volontà inglese di uccidere il Duce in contrapposizione a quella americana di volerlo invece catturare vivo. Da qui tutto un corollario di spy story e fiumi d’inchiostro che evidentemente fanno vendere bene libri ed articoli.
Per la verità l’opera del Milza, professore a Sciences-Po, l’Istituto di Studi politici di Parigi, non offre sostanziali novità in merito a questo argomento e la sua stessa ricostruzione degli ultimi giorni di Mussolini è più che altro un compendio ed un riassunto di quanto è stato pubblicato, in questi ultimi 65 anni, da storici o protagonisti e comprimari di quegli eventi.
Tutti vecchi resoconti in buona parte mistificati e soprattutto contraddittori tra una versione e l’altra, pur se rilasciati da protagonisti che asserivano di aver partecipato allo stesso avvenimento. All’autore, tutto al più, si può riconoscere la mancanza di faziosità, che non è poco e l’esposizione delle varie versioni storiche con un minimo di prudenza, compresa la tesi, da lui privilegiata, dell’operato inglese per far fuori Mussolini e di quello americano nel volerlo catturare vivo.
Su Il Giornale, Francesco Perfetti, con un articolo in tre puntate dal 7 al 10 aprile: “Gli americani volevano evitare l’uccisione di Mussolini” ha tratto lo spunto dal libro del Milza per rilanciare la tesi degli americani che volevano “salvare” il Duce.
Una tesi questa, tanto cara agli ambienti del destrismo nazionale, che ha radici antiche, laddove una storiografia superficiale ha inteso dipingere gli Stati Uniti, in procinto di vincere la guerra, interessati ad assicurarsi un ingerenza in Europa, scalzando quindi in Italia il predominio britannico e intenti ad assicurarsi forze che li potessero supportare contro il comunismo.
Questi aspetti, per altro in buona parte veri, non tengono però conto che la politica internazionale statunitense viaggiava su un “doppio binario”, perché all’interno dell’amministrazione americana erano anche prevalenti forze di natura “mondialista”, lobby in grado di elaborare disegni di portata epocale, tra i quali Jalta, finalizzati ad obbiettivi di natura planetaria che trascendevano gli stessi aspetti geopolitici di carattere nazionale. Questo significa che l’operato dei servizi segreti Usa nel “salvare” o nell’assicurarsi, ad esempio, la collaborazione di tanti ufficiali tedeschi o ex esponenti del fascismo, era di portata tattica, contingente, transitoria, così come di portata tattica fu il contrasto con i Sovietici nel dopoguerra, perché la sostanza degli accordi di Jalta era invece di livello strategico e contemplava il dominio in condominio Usa - Urss sull’Europa, finalizzato al dissolvimento delle sue entità e culture.
Vediamo allora come, in realtà, stanno le cose, ma prima di addentrarci in una pur sommaria ricostruzione di quegli avvenimenti, sgombriamo subito il campo da ogni equivoco, esprimendo alcune premesse, che nel proseguo cercheremo di illustrare meglio:
1. Gli inglesi volevano Mussolini morto ed in questo senso mossero le loro Intelligence, ma non furono gli inglesi a sopprimerlo, per il semplice motivo che non ce ne fu bisogno in quanto fecero tutto il gruppetto di partigiani comunisti coordinati da Luigi Longo. In ogni caso non ci sono prove che a Bonzanigo, in casa dei contadini De Maria, quel mattino del 28 aprile (perché fu al mattino che venne ammazzato Mussolini!) arrivarono Special force inglesi.
2. Gli americani ufficialmente volevano catturare Mussolini vivo per poterlo poi processare con uno di quei loro spettacoli da baraccone, ma in realtà, proprio nelle ultime ore cruciali durante le quali si risolse quella vicenda, arrivarono dalla Svizzera ove era il quartier generale dell’Oss americano per l’area italiana, ordini segretissimi di lasciar catturare Mussolini dai partigiani.
Detto questo, occorre poi, aver presente anche il quadro complessivo di tutta la situazione del tempo. Un quadro che ci indica come Mussolini, lasciata la Prefettura di Como prima dell’alba del 26 aprile 1945 fini per trovarsi in un crocevia di morte, visto che lo volevano ammazzare un po’ tutti, nonostante si sia poi asserito il contrario.
Quindi, senza dimenticare il particolare non da poco che i tedeschi finirono per abbandonare Mussolini al suo destino, probabilmente in ottemperanza a certi impegni che avevano preso con gli Alleati durante le trattative segrete di resa delle loro divisioni in Italia, la morte del Duce, per prima cosa, non era sgradita al Re, il quale non poteva non paventare che un Mussolini sopravvissuto, lo avrebbe chiamato in causa nelle responsabilità della guerra. Una guerra che Vittorio Emanuele III aveva non solo approvato, ma anche sollecitato, tanto più essendo a conoscenza di una certa “intesa” segreta con gli inglesi per la quale, dopo qualche scontro militare più che altro di facciata, ci si sarebbe seduti ad un promesso tavolo della pace.
Tanto meno era sgradita alle componenti cosiddette “moderate” della Resistenza, con in prima fila gli ambienti industriali e finanziari del paese, minacciati dalla profonda e drastica riforma socialista dell’economia, propugnata da Mussolini e di cui già, durante la Rsi, si erano gettate le basi politiche e sociali e i presupposti legislativi per attuarla.
Scontato poi che lo volevano morto i comunisti, per evidenti ragioni politiche avallate da Stalin.
E Stalin aveva più che una ragione per tacitare per sempre Mussolini (e Nicola Bombacci). In particolare per non far emergere i tanti accordi intercorsi tra l’Italia e l’Urss durante il Ventennio, accordi anche segreti che avevano preservato il nostro paese dagli attentati terroristici da parte di cellule comuniste, ma soprattutto per celare quanto accadde in quel primo semestre del 1943 laddove i sovietici, nonostante Stalingrado, attraversando un momento di crisi, in termini di risorse umane da gettare nella guerra e non fidandosi delle strategie belliche anglo americane, erano propensi a trovare una specie di accordo – armistizio con i tedeschi. Un desiderio questo che si incontrava con quello di Mussolini, che da tempo coltivava la stessa intenzione in virtù di una visione geopolitica euro asiatica. Una strategia geopolitica che consentisse all’Italia, vaso di coccio tra vasi di ferro, di sottrarsi ad una egemonia di stampo euro atlantico, laddove la possibilità di un accordo tra tedeschi e inglesi, da sempre sognato da Hitler, se si fosse realizzato lo sarebbe stato contro i nostri interessi. Già nel 1939, alle soglie della guerra, Mussolini aveva temuto che potessero realizzarsi una delle tre eventualità, tutte deleterie per il nostro paese, estremamente debole sul piano economico finanziario e su quello militare, vale a dire:
a) l’esplosione di un conflitto con esiti favorevoli ai tedeschi, che ce li avrebbe portati, oltre che nei balcani, a ridosso dei confini occidentali, nostra naturale antemurale in Europa; b) un esito della guerra favorevole agli inglesi, da sempre nostri reali nemici, a cui avremmo dovuto sottometterci nel mediterraneo abbandonando anche l’Africa; c) un possibile accordo anglo tedesco, su scala mondiale, con spartizione delle aree geopolitiche nel senso di un dominio tedesco nel continente e un dominio britannico sui mari e nell’Impero.
Solo il mantenimento degli equilibri in Europa e quindi tenere lontana la guerra, era per Mussolini l’unica scappatoia alla nostra difficile situazione internazionale. Ma come sappiamo questo non fu possibile ed alla fine Mussolini, con la guerra oramai alle porte di casa, fu costretto ad intervenire, schierandosi dalla parte del male “geopoliticamente” minore, cioè i tedeschi, oltretutto a noi ideologicamente accumunati da una Weltanschauung sulle basi della quale si poteva salvare l’Europa dal disfacimento, materiale, morale e spirituale con cui l’Occidente la minacciava.
Per finire lo volevano morto gli inglesi per i quali Mussolini era stato il vero avversario “geopolitico” ed in particolare Churchill preoccupato che emergessero i contenuti della sua segreta richiesta all’Italia, a ridosso del 10 giugno 1940, di entrare in guerra prospettando un imminente, ma falso, tavolo della pace, nel quale l’Italia avrebbe potuto porsi come forza mediatrice.
Più volte, su queste stesse pagine, abbiamo ricostruito quegli avvenimenti e quindi non ci ritorneremo su, ricordiamo solo che Churchill in realtà, non pensava minimamente ad una possibile pace, ma anzi il suo intento, in prospettiva di un sicuro, ma non imminente intervento americano, era quello di allargare a dismisura il teatro bellico, coinvolgendo anche l’Italia, proprio per evitare che tendenze verso la pace, anche interne all’Inghilterra stessa, potessero venire incontro all’altrettanto desiderio tedesco di addivenire ad una composizione del conflitto.
Mussolini, dal canto suo, non poteva non accettare questa richiesta, visto e considerato che comunque, il nostro intervento in guerra era inevitabile, pena correre rischi bellici ancora peggiori. Fu così che Mussolini, con il sostegno del Savoia, pensò di affrontare quella tragica situazione imbarcandosi in un “ doppio gioco” che alla fine lo avrebbe travolto.
Le documentazioni comprovanti quanto sopra, cioè il famoso carteggio Mussolini/Churchill, come noto vennero recuperate e fatte sparire dallo statista britannico, ma le testimonianze in proposito e spicchi di verità filtrati in vari ambiti non ammettono dubbi. Il segreto del “Carteggio” comunque è attestato anche da questa telefonata, registrata segretamente dai tedeschi,svoltasi tra Mussolini e Clara Petacci il 22 marzo 1945. Mussolini, riferendosi a Pavolini che era ancora ignaro dell’esatta portata della documentazione in mano al Duce (ne verrà messo a parte pochi giorni dopo), dice a Clara: “Lui non conosce gli avvenimenti accaduti pochi giorni prima della nostra entrata in guerra. Non ne ho parlato con nessuno. E Churchill ancora meno. Bisognerà raccontare una buona volta questa storia. Chi dovrebbe parlarne oggi? In tutto la sanno cinque persone!”.
Gli inglesi negli ultimi giorni di aprile, sguinzagliarono le loro Special Force per recuperare tutte le documentazioni e intercettare il Duce per eliminarlo. In pratica però, questo non fu necessario perché, come ricostruì Renzo De Felice, fecero tutto il gruppetto milanese dei partigiani Comunisti.
In quelle tragiche ore la strada alla eliminazione di Mussolini era già stata spianata dall’agente di collegamento tra il CLNAI e gli Alleati, ovvero l’ufficiale italo inglese Max Salvadori, il quale si premunì di far presente ai dirigenti della resistenza, che loro potevano disporre di Mussolini come meglio ritenevano opportuno, fino all’arrivo delle forze armate Alleate. In pratica un implicito invito a liquidare Mussolini al più presto.
Tutto questo trova anche conferma in una confidenza che ebbe a fare Leo Valiani alcuni anni addietro allo storico Alessandro De Felice, al quale disse che la morte di Mussolini doveva rimanere un mistero, laddove “gli inglesi avevano suonato la musica e i comunisti erano andati a tempo”.
Ma se queste erano le posizioni delle varie forze in campo in quei tragici giorni di fine aprile ’45, quali erano le vere intenzioni degli Americani, apparentemente dediti alla cattura di Mussolini vivo?
Per qualche ingenuo, a cui la storia non ha insegnata nulla, nonostante le innumerevoli e abominevoli stragi di inermi popolazioni civili e quant’altro, perpetrate dagli americani, tanto per illustrare quali erano i veri sentimenti di costoro nei confronti del Duce, cominciamo con il ricordare la registrazione di una telefonata intercontinentale, intercorsa tra Churchill e Roosevelt il 29 luglio 1943, nel momento in cui Mussolini era da pochi giorni prigioniero di Badoglio.
Nel loro edificante colloquio, questi due campioni di umanità, si trovarono concordi nel ritenere che non fosse opportuno che Mussolini arrivasse vivo ad un processo, per cui sarebbe stato meglio che gli accadesse “qualcosa” mentre era prigioniero di Badoglio. Ma Mussolini, come sappiamo, venne poi liberato al Gran Sasso dai tedeschi, molto probabilmente dietro uno “scambio” intercorso tra questi e il governo badogliano, in modo tale che in cambio Badoglio e i Savoia furono lasciati tranquillamente fuggire per la via tiburtina.
Gli americani il 21 aprile, occupata Bologna e sfondata la linea del fronte, anche in virtù del fatto che i tedeschi oramai praticamente non combattevano più, si apprestavano a raggiungere le località del Nord. Arrivarono però a Milano e Como solo tra il 29 e il 30 aprile, oramai a cose fatte, ma nel frattempo alcune loro missioni avevano avuto l’ordine di occuparsi della cattura di Mussolini.
Tra queste la più vicina alle località interessate e la più conosciuta è quella del capitano Emil Q. Daddario, quello che, oltretutto, firmò (ingenuamente?) il famoso lasciapassare a Walter Audisio Valerio, per recarsi a Dongo a prelevare Mussolini con gli altri prigionieri fascisti.
In realtà Daddario, oltre che “ingenuo” si rivelò anche estremamente lento.
Scrive lo storico Alessandro De Felice nel suo “Il gioco delle ombre”:
“Daddario non fece alcuno sforzo per cercare Mussolini: gli ordini che aveva ricevuto da Dulles, in combutta con Wolff, non erano di catturare l’ex dittatore, ma di lasciarlo prendere dai partigiani. Finito questo bel lavoro, Wolff rientrò a Bolzano, passando per la Svizzera”.
Ed ancora, A. De Felice, espone meglio tutta la situazione:
“... è necessaria una premessa legata alla caccia anglo-americana verso il Duce: la sua morte è uno dei primi esempi di operazioni sporche che caratterizzano le azioni dello spionaggio stile Cia… nel ventesimo secolo. Tre diverse unità si lanciano alla ricerca dell’ex Presidente del Consiglio fascista.
La prima è la XXXIV Divisione Usa – unità celere - guidata dal Generale Browne Bolty e diretta a Como. Vi è poi una seconda unità formata da ex-fascisti passati agli ordini del governo monarchico del Sud ed organizzata dal Luogotenente di Cadorna a Como, Colonnello barone Sardagna. A Lugano Donald Jones dell’Oss, appresa la notizia dell’arresto di Mussolini, ordina a due suoi agenti di andare immediatamente a Como per il trasferimento dei poteri al CLN e per prendere in custodia il Duce, ammesso, e non concesso, che Allen Dulles volesse veramente vivo il leader repubblicano-sociale e non fosse, invece al servizio a sua volta dell’intelligence britannica interessata alla soppressione fisica dell’ex-dittatore socialrivoluzionario italiano.
I due agenti dell’Oss sono il Capitano Giovanni Dessy... e Salvatore Guastoni.
Vi è una terza unità comandata dal Maggiore Usa Albert William Phillips del C.I.C. (Counter Intelligence Corps), che arriva a Como la notte del 27 aprile ’45 con il compito militare, avuto dalla V Armata, di prendere Mussolini vivo. Vi è un altro agente del Cic, John MacDonough, che è un emissario della I Divisione corazzata americana, il quale manda a Sardagna un messaggio volto a trasferire Mussolini a Blevio, un paesino della riva orientale del lago poco distante da Como. “Quella sera, al posto di confine di Chiasso, il maggiore Phillips ricevette l’ordine di attendere l’arrivo di altri ufficiali dell’OSS e del CIC da Lugano, ma alle 21, quando arrivarono, costoro gli dissero, forse intenzionalmente ingannandolo, che Mussolini era già stato catturato e che ormai lo stavano trasportando a Milano” (P. Tompkins, Dalle carte segrete del Duce. In Momenti e protagonisti dell’Italia fascista, National Archives di Washington, M. Tropea Editore, Milano, 2001). Vedere: A. De Felice, “Il gioco delle ombre”.
In effetti considerando poi il modo di operare di Guastoni a Como, vi troveremo la stessa strana analogia riscontrata con lento pede Daddario: il Guastoni perde parte della giornata del 26 aprile e tutta la notte successiva a mediare una resa dei fascisti disinteressandosi di Mussolini, come se più che altro la sua preoccupazione fosse quella di evitare che il Duce, isolato a Menaggio, potesse ricongiungersi con i suoi uomini rimasti a Como. E che le cose stessero proprio in questa maniera lo attestano alcuni stralci di “La cronaca degli avvenimenti che condussero alla cattura di M.” scritto il I maggio 1945 proprio da Giovanni Dessy e reperibile presso il National Archives and Records Administration. Scrisse il Dessy nella sua relazione, riferendosi ai noti avvenimenti del 26 aprile a Como che portarono alla resa dei comandanti fascisti presenti in città:
“... il dottor Guastoni si mise immediatamente in contatto con il vice console americano per sondare il punto di vista degli Alleati (...). Da una parte quindi vi era l’assoluta necessità di bloccare le forze fasciste che erano ancora padrone della situazione perché erano ancora più numerose e con armi migliori (...). Nello stesso tempo, era assolutamente necessario impedire a tutte le forze delle Brigate Nere, che stavano convergendo su Como di arrivare nella zona di Menaggio (...) .Ottenere la smobilitazione e il disarmo di tutte le forze fasciste radunate a Como o in arrivo, così da prevenire la formazione di un gruppo di forte resistenza attorno a Mussolini (...)”.
Questi erano i veri ordini che avevano avuto nelle ultime ore gli agenti americani, ordini segreti, non palesi a tutti le loro forze armate e quindi se, per caso, gli fosse capitato veramente di prendere il Duce vivo, sarebbero sorte imbarazzanti e problematiche situazioni.
Marino Vigano, valente ricercatore storico, preciserà: “Per di più, a Jones (Donald Jones viceconsole a Lugano, n.d.r.), vennero date istruzioni di stare alla larga dal Duce” (M. Viganò “Mussolini, i gerarchi e la fuga in Svizzera 1944-‘45”, in Nuova Storia Contemporanea N. 3 - maggio giugno 2001).
Da quanto riportato traspare quindi un ambiguo operare degli americani: ufficialmente le loro missioni si muovevano per catturare Mussolini vivo, ma in realtà dietro evidenti ordini segreti dell’ultimo minuto, lasciarono campo libero a chi voleva ucciderlo immediatamente.
Lo storico Alessandro De Felice, come abbiamo visto, suppone che il capo dell’Oss statunitense Allen Dulles fosse in realtà colluso con l’intelligence inglese e scrive, anche in base ai diari dell’ex-Capo della Gestapo Heinrich Müller (poi al servizio della Cia), che la “strana” passività dell’intelligence statunitense verso la cattura di Mussolini ed il relativo laissez faire ai britannici con la completa mano libera a questi ultimi, si spiega con un accordo sotto banco tra Intelligence.
Infatti, a proposito dei due Dulles, Allen Welch – Direttore della Cia -, e John Foster – fratello del precedente ed attorney e Segretario di Stato Usa durante la Presidenza di Eisenhower – il Müller osservava: “I fratelli Dulles sono stati anglofili sin dalla loro infanzia. Il loro zio fu Lansing, Segretario di Stato sotto Wilson. Noi lo abbiamo conosciuto come l’uomo che il governo inglese [lett. “Whitehall” è la strada londinese dove hanno sede i ministeri del British Government (N.d.R)] pagò per spingere l’America in guerra nello stesso schieramento (dell’Intesa anglo-francese, N.d.R.). I nipoti furono influenzati dal loro zio ed evidentemente non hanno alcun problema nel prendere bustarelle. A questo punto, essere filo-britannici è un punto di raffinatezza ed uno trova tutti i generi di sostenitori inglesi nell’aristocrazia americana. Essi usavano prendere lezioni di linguaggio in modo che sembrassero parlare come un inglese! “.
A nostro avviso però il Dulles, più che altro, era interno a certe strategie mondialiste, quelle stesse che consentirono agli Alleati di avere una strategia bellica alquanto univoca, a differenza delle nazioni dell’Asse che si muovevano ciascuna per suo conto. Erano state appunto certe influenze “massoniche” che avevano consentito il coordinamento della strategia bellica anglo americana che pur avrebbe dovuto avere interessi e resupposti geopolitici divergenti.
Dulles infatti, oltre ad essere avvocato del potente “mondialista” Averell Harriman, era più che altro inclinato verso Consorterie trans e over nazionali. Il fratello poi era membro del CFA, particolare questo che la dice lunga, più di ogni altra considerazione.
Quindi è oramai accertato che dalla Svizzera arrivarono ordini segretissimi delle ultime ore a ponte Chiasso, che “consigliarono” di non interessarsi di Mussolini e questo proprio mentre a Como andava in onda la pagliacciata delle "trattative di resa" tra gli agenti americani Dessì e Guastoni e i comandanti fascisti ivi arrivati il giorno prima e poi arresisi ignominiosamente.
Tanti sono i fili che portano a queste conclusioni, e che costringeranno prima o poi gli storici a rivedere l’operato dell’Oss americano, diretto dalla Svizzera da Dulles e operativo in Italia anche con il famoso James J. Angleton, colui che si mise in tasca e sfruttò ad uso e consumo dell’occupazione americana e delle successive strategie atlantiche tanti uomini del neofascismo.
Non si dimentichi infine un certo ruolo giocato dai servizi segreti del Vaticano, diretti al tempo dal
pro-segretario di Stato vaticano monsignor Giovanni B. M. Montini assecondato dal suo “fido Togliatti” (i veri ruoli di Montini, il futuro Papa vicino ad ambienti d’alta finanza americana e di Togliatti dovranno prima o poi essere ben delineati, così come deve essere ancora tutta scritta la segreta storia della famosa “missione Nemo”, una congrega di spie americane interne anche alla stessa Rsi e ad ambienti ecclesiastici). La poco edificante resa dei comandanti fascisti in Como, la notte del 27 aprile 1945, venne appunto realizzata anche attraverso queste connivenze e la sosta di Mussolini in Arcivescovado il pomeriggio del 25 aprile, il suo colloquio privato con il Cardinale Schuster, hanno probabilmente avuto un seguito nella successiva cattura di Mussolini.
Prove concrete però, se ci sono, sono celate negli inaccessibili archivi americani (non quelli desecretabili a uso degli ingenui) e Vaticani, per cui è meglio non andare oltre certe congetture.
Per concludere, sarebbe anche ora di finirla con tutte quelle storielle, veri fumetti per sprovveduti, che ripropongono ogni volta i fantasiosi racconti di Giovanni Bruno Lonati, il partigiano Giacomo, che asserì di aver ucciso lui Mussolini in partecipazione con un misterioso capitano inglese, certo John. Una ridicola spy story (da noi smontata pezzo per pezzo, vedi: Rinascita 15.8.2008 e 26.10.2010), che però fa ancora cassetta, citata anche nel libro del Milza e questo, per lo storico francese, non costituisce certo un titolo di merito.
di: Maurizio Barozzi