21 maggio 2011

Tutti i vizi e i segreti che internet sa di noi


A TRADIMENTO Expedia mi chiede se voglio andare in vacanza con l'ex fidanzata. Non lo dice proprio così, ma mi suggerisce il suo nome per il secondo biglietto d'aereo. Se lo ricorda da un vecchio acquisto, l'impertinente sito di viaggi. Lo stesso fa Amazon per la consegna dei libri. Se li hai fatti spedire a un indirizzo che non frequenti più, lui insiste. Persino il sito delle contravvenzioni del comune di Roma prova a inchiodarti al passato. Vado a controllare una multa e, accanto al verbale, ora hanno messo la foto dell'infrazione. In bianco e nero, sgranata, ma ineluttabile: sono proprio io in sella. Con la compagna di allora. Dio perdona, Internet no. Soprattutto non dimentica niente. Ci conosce meglio di una madre, di un amico, di uno psicanalista. Ed è in grado di mettere insieme così tante tessere di quel mosaico caotico che è la vita da ricostruirlo a un livello di dettaglio impensabile nell'èra Pre-Web. Così ho chiesto alla rete di scrivere la mia biografia, non per il suo trascurabile interesse, ma per quello enorme che a redigerla sia un algoritmo. Utilizzando fonti aperte, informazioni a disposizione di tutti. Avessi interpellato i Servizi segreti avrei ottenuto un ritratto meno vivido. Provare per credere.

Se fai il giornalista, in teoria, sei più esposto di un impiegato del catasto. Ma non è detto, perché l’impiegato potrebbe avere una pirotecnica doppia vita telematica: condividere tutto su Facebook, commentare i blog altrui, affidare a Twitter in tempo reale la propria opinione
sull’universo mondo. Insomma, cose che io non faccio. Perché alla fine i pixel con cui la rete comporrà il nostro ritratto digitale, ad alta o a bassissima risoluzione, siamo noi a fornirglieli. Talvolta in maniera attiva, riempendo questionari, firmando petizioni, e così via. Più spesso in modo passivo, semplicemente navigando, comprando o essendo taggati in foto altrui. Per cominciare, dunque, c’è Google. Il grado zero è l’egosurfing, ovvero controllare ciò che in rete si dice di noi digitando «nome cognome». Nel mio caso escono 102 mila risultati, ma le quotazioni cambiano con i giorni. Ai primi posti una voce di Wikipedia in inglese che fino a qualche tempo fa sosteneva erroneamente che fossi il capo di Repubblica.it (approfitto per scusarmi col titolare). Verso il fondo spunta invece un messaggio che spedii il 27 maggio 1996 a un gruppo di discussione sulla pubblicità online. Per quel che ne sapevo allora era come attaccare un annuncio in una bacheca dell’università. Quel che ho imparato poi è che nessuno l’avrebbe mai rimosso e anzi sarebbe stato imbalsamato a futura memoria. Avessi chiesto istruzioni per confezionare una bomba sarebbe stato lo stesso.

Se poi, come me e altri 170 milioni di persone nel mondo, usate la posta di Gmail, le cose si complicano. Nel senso che tutto quello che scrivete potrà essere usato, pubblicitariamente parlando, contro di voi perché il sistema analizza i testi per accoppiarci pubblicità pertinenti. Dunque se dite a un amico che sarebbe bello trascorrere un finesettimana a Palermo aspettatevi, per dire, annunci su una suite scontata all’hotel Delle Palme. Per vedere come vi hanno etichettato c’è Google Ads Preferences. Di me il software ha capito che sono un maschio e tra gli interessi desunti dal mio comportamento online ci sono cinema, spartiti musicali, giornalismo. E in tv mi piacerebbero «crime stories e legal show» (nego l’addebito). Ma Google è ormai un mondo. Mette a disposizione un programma per scrivere, un calendario, un sistema di notifiche personalizzate e tanto altro. Gratis, o meglio, pagando in moneta di privacy. Lui ti offre un servizio, tu gli affidi la tua vita digitale. Ciò che scrivi, dove vai e quando, quello che ti interessa sapere. Così, seppure in forma anonima, il cyber-leviatano riutilizzerà quella messe di dati per recapitarti l’inserzione giusta. Sono andato a verificare nel Dashboard, la «scatola nera» di tutti i miei rapporti con il motore di ricerca. Ed è come guardarsi l’anima allo specchio. Dal momento che ho attivato anche la Cronologia, ovvero il registro storico di ogni ricerca eseguita, sanno esattamente cosa ho visto in questi anni. Il resoconto inizia alle 18.16 del 22 maggio 2007 e le parole chiave, credeteci o no, erano «nietzsche memoria troppo buona» (magari mi sono fatto suggestionare e volevo sancire con una citazione del filosofo l’aver attivato quella specie di panopticon volontario).

Ogni singola query è stata messa a verbale. Ci sono anche tutti gli indirizzi che ho cercato su Mappe. I video che ho guardato, dalla clip di The Ballad of John and Yoko all’ultimo disco dei Virginiana Miller. Per non dire di quelli che ho caricato su YouTube. Così come le foto che, tanto tempo fa, ho condiviso sugli album digitali Picasa. E i titoli che ho scaricato su Libri. Ce n’è già abbastanza per ricostruire la mia esistenza, avendo del gran tempo da perdere, minuto per minuto.

Per accedere al sancta sanctorum però bisogna possedere la parola chiave. Serve un hacker bravo o, banalmente, averla lasciata memorizzata nel pc. Tuttavia, anche limitandosi alle informazioni aperte i risultati sono stupefacenti. Se non avete familiarità con la sintassi dei motori di ricerca ci sono compagnie specializzate in web listening. Di solito lo fanno per le aziende, per capire che «reputazione» ha un marchio o un certo prodotto. Li ho sfidati a sguinzagliare i loro software specializzati perché portassero a casa i dati più succosi sul mio conto. Dopo meno di un giorno l’emiliana TheDotCompany mi ha recapitato un rapportino che sembra vergato da un funzionario della Digos. Contiene: luogo e data di nascita, numeri di telefono di lavoro e di casa, qualifica professionale esatta, il nome di mio padre e l’annotazione che «I genitori e il nipote vivono a Viareggio». Un’impeccabile biografia lavorativa e poi «Il sistema di correlazione di keyword e contenuti suggerisce orientamento politico Pd/Rifondazione Comunista e forti legami con il mondo sindacale», credo desunti dal fatto che ho scritto un libro sugli immigrati e l’ho presentato in varie feste dell’Unità. In parallelo anche Expert System di Modena, specialista nella tecnologia semantiche per la comprensione e l’analisi delle informazioni, era sulle mie tracce. In una decina di slide riassume le organizzazioni, le persone (vince il mio amico Raffaele Oriani, con 319 ricorrenze), le località, gli argomenti con cui ho più a che fare (Internet 206, immigrazione 150, editoria 137, etc.) e un’enoteca che frequento. I segugi milanesi della FreedataLabs ricavano addirittura profili psicologici dalle parole che uso. Dicono che solo il 6% appartiene a categorie emozionali e mi dipingono come uno molto «teso all’obiettivo», «curioso» ma anche «introverso», con venature di «tristezza». Così parlò lo strizzacervelli automatico.

Joel Stein, un collega di Time che ha fatto lo stesso esperimento, è stato più bravo nel rinvenire tracce economiche di sé. La Alliance Data, società di marketing digitale, sa che è un ebreo di 39 anni, con laurea e stipendio da oltre 125 mila dollari. Che ne spende in media 25 per ogni acquisto online ma il 10 ottobre 2010 ne ha sborsati 180 per biancheria intima. «Sono dati che in Italia sarebbe impossibile avere senza l’ordine di un magistrato» mi tranquillizza Andrea Santagata, numero due di Banzai, tra le più grandi web company nazionali, «perché abbiamo una legge sulla privacy molto più stringente. In ogni caso alla pubblicità non interessa sapere come ti chiami, ma conoscere il tuo profilo per mirare i messaggi». Tutto vero, e da tenere a mente per non finire arruolati nel già affollato partito delle teorie della cospirazione. Ma quanto detto sin qui lo è altrettanto. Anzi, non c’è stato neppure tempo di parlare di Last. fm che sa che musica ascolto (se ti piacciono i Wilco ti piaceranno anche i Golden Smog e The Autumn Defense). O di Ibs che, sapendo quali libri acquisto me ne consiglia altri, per proprietà transitiva: se David Foster Wallace, allora George Saunders. O di infinite altre destinazioni online che, per il solo fatto di aver interagito con loro, hanno creato dei dossier da cui inferire la mia personalità. È una tragedia? Neanche per sogno. Internet è l’invenzione più strepitosa e benemerita dell’ultimo secolo. Basta essere consapevoli e comportarsi di conseguenza. Per quanto riguarda infine la sconveniente insistenza di Expedia ho estirpato il cookie, il pezzetto di codice che ricordava al sito i miei viaggi precedenti. E adesso il computer non si impiccia più in cose che non lo riguardano.

di RICCARDO STAGLIANO'

20 maggio 2011

Cosa accadrebbe se si pensasse che gli Stati Uniti sono vicini al default?

Se vuoi vedere il debito Usa in tempo reale vai al link
http://www.usdebtclock.org/


http://www.comedonchisciotte.org/images/geithner_obama.jpg

Lunedì il governo degli Stati Uniti ha raggiunto il limite dettato dal suo statuto per la concessione dei prestiti (14,29 trilioni di dollari), il cosiddetto "tetto del debito". Ciò significa che il Segretario del Tesoro, Timothy Geithner, ha iniziato a mettere in opera il piano emergenziale per mantenere in sella il governo e per pagare i possessori dei bond mentre la Casa Bianca e il Congresso stanno elaborando i dettagli finali dell’accordo sul bilancio. Ma le manovre contabili di Geithner funzioneranno solo per un breve periodo. Se per l’inizio di agosto non verrà raggiunto un compromesso sul bilancio, "l’ultimo prestatore” e gli Stati Uniti andranno in default.

Alcuni parlamentari Repubblicani credono che un default non sarebbe così grave e che i possessori di titoli e i beneficiari della Social Security avranno gli assegni solo un po’ di tempo più tardi. Ma questa gente davvero non comprende come stanno le cose e quello che è realmente in gioco. Con le parole di Greg Ip, dell’Economist: "I debiti del Tesoro sono il fondamento di una vasta e complessa rete di relazioni finanziarie in tutto il mondo che verrebbero sconquassate anche da un default tecnico." La sola allusione al fatto che gli Stati Uniti ritardino i pagamenti ai possessori delle obbligazione sconvolgerebbe i mercati e causerebbe un danno irreversibile alle casse del Tesoro. E porterebbe la quotazione del dollaro in picchiata e, probabilmente, sarebbe la fine del ruolo del dollaro come divisa di riserva del pianeta. Ecco un estratto da un post di un economista, Menzie Chinn, che riassume tutto perfettamente:

"....se tutto questo provocherà una contrazione del valore del dollaro, impedirebbe di poter alzare il tetto del debito in modo opportuno. In quasi tutti i modelli che ho analizzato, causerebbe una migrazione dal debito degli Stati Uniti o – anche se ci andassimo solo vicini – aumenterebbe il premio di rischio concesso agli investitori e, da quel momento in poi, il totale degli interessi pagati dal Tesoro USA. È il colmo dell’irresponsabilità fare richieste irrealistiche per la riduzione del deficit basate solamente sui tagli alla spesa, rischiando così lo scatenarsi di una crisi. ("What Would Really Bring about a Dollar Dive?, Econbrowser)

Quasi tutti gli economisti dicono la stessa identica cosa. Il Parlamento sta giocando con la dinamite.

La cosa divenuta palese nel corso delle negoziazioni sul bilancio è che i Repubblicani non hanno neanche la più remota idea di come funzioni il mercato finanziario. Naturalmente i Democratici non è che siano messi molto meglio, ma almeno (occasionalmente) tengono in considerazione il consiglio degli esperti. I Repubblicani no. Sembra proprio che ci sia tanto orgoglio nelle loro zucche vuote. Credono che minacciare di far saltare l’economia sia un’ottima strategia per provocare i tagli alle spese correnti. Non riescono a capire che la loro gazzarra da galline potrebbe ritorcersi contro e cambiare la percezione che gli USA siano un posto sicuro dove gli investitori possano investire i propri capitali. E questo pensiero non sembra assolutamente passare per la loro testa.

Un altro estratto da una lettera di Geithner (al Senatore Michael Bennet), dove avverte delle "conseguenze economiche catastrofiche" che si verificheranno se il limite del debito non verrà alzato velocemente:

"Il ruolo particolare delle emissioni del Tesoro nel sistema finanziario globale comporta il fatto che le conseguenze del default sarebbero davvero severe. Le emissioni del Tesoro sono un punto fermo nelle pagine dei bilanci di quasi tutte le più grandi compagnie di assicurazione, delle banche, dei fondi che investono a breve termine e nei fondi pensione di tutto il mondo. Sono anche molto usate dalle istituzioni finanziarie come collaterali (http://it.wikipedia.org/wiki/Collateralized_debt_obligation) per reperire nel mercato finanziario il flusso di cassa necessario per le loro operazioni giornaliere."

Geithner sta spiegando il funzionamento delle “banche d’affari” e come si affidino ai collaterali con la tripla A. Se le emissioni del Tesoro, finora considerati gli investimenti più sicuri al mondo, soffriranno un abbassamento del rating a causa del default o del calo della fiducia degli investitori, tutto questo porterebbe a una serie di tagli nei rendimenti (http://en.wikipedia.org/wiki/Haircut_(finance)) che darebbero il via a una nuova crisi.

Geithner ancora:

"Un default del debito del Tesoro potrebbe portare a domandarsi della solvibilità dei fondi d’investimento e delle istituzioni finanziarie che hanno le emissioni del Tesoro nel loro portafoglio, cosa che provocherebbe un assalto ai fondi che investono a breve termine (http://en.wikipedia.org/wiki/Money_market_fund) e all’intero sistemo finanziario, qualcosa di simile a quello che è successo sulla scia del collasso di Lehman Brothers. Come hanno dimostrato le recenti crisi finanziarie, un contraccolpo improvviso alla fiducia sui mercati finanziari può scatenare un timore che minaccerebbe la salute dell’intera economia globale e il lavoro di milioni di Americani."

Geithner non sta esagerando. Questo è quello che accadrà. Perché? Perché è quello che è successo nel 2008 e, sfortunatamente, da allora niente è cambiato. Se gli Stati Uniti andranno in default, allora il premio per il rischio che il Tesoro dovrà concedere salirebbe e le quotazioni dei titoli scenderebbero. Questo significa che i trilioni di dollari che sono stati scambiati per le emissioni del Tesoro nel mercato dei pronti contro termine (http://it.wikipedia.org/wiki/Pronti_contro_termine) - dove le istituzioni finanziarie scambiano liquidità con garanzie collaterali di primo livello – andrebbero riprezzati e questo causerebbe perdite consistenti per i possessori di emissioni del Tesoro. Queste perdite si riverberebbero nei mercati dei capitali e in quello dei titoli di credito, iniziando a far saltare il domino costruito dopo il fallimento della Lehman Brothers. In conclusione, nessuna delle riforme Dodd-Frank ha aumentato la stabilità del mercato finanziario. Il sistema è soggetto al collasso così come lo era nel settembre del 2008.

Di nuovo Geithner:

"I titoli del Tesoro ricoprono un ruolo peculiare nel sistema finanziario globale proprio perché sono considerati un investimento privo di rischio. […] Un default metterebbe in discussione lo status delle emissioni del Tesoro che sono ora ritenute un pilastro del sistema finanziario, mettendo a repentaglio questo ruolo e i benefici economici che ne derivano."

Questo è un punto molto importante e potrebbe essere d’aiuto fare un’analogia.

Diciamo che io ho bisogno di liquidi per finanziare degli affari. Così vado al banco dei pegni con la mia Jaguar customizzata, il mio dipinto di Vermeer autentico e la mia collezione di monete d’oro rinascimentali. Il gestore dà un’occhiata al mio tesoro e mi dice che può prestarmi 25.000 dollari per una settimana, ma che gliene dovrò rendergli 26.000 per avere la mia roba indietro. Allora dico, “Va bene” e prendo a prestito i soldi. Questo mi permette di continuare i miei affari. Poi, una settimana dopo, torno dal monte dei pegni e restituisco i soldi.

Fino qui tutto a posto?

La settimana seguente torno da lui e cerco di chiudere la stessa trattativa. Ma questa volta il gestore ha fatto una piccola ricerca e ha scoperto che la mia Jaguar customizzata è un vecchio modello di una Yugo riverniciata a meraviglia, il mio Vermeer originale è un lavoro di un falsario che ho preso al mercatino delle pulci e la mia collezione di monete d’oro rinascimentali è in verità una manciata di spiccioli della slot machine placcati di pirite. Così il gestore, tutto stizzito, mi dice che mi presterà solo la metà di quanto concesso la volta prima, 12.500 dollari. Ma questo per me è un grosso problema, perché così non ho abbastanza denaro per finanziare le mie operazioni o per pagare i miei dipendenti.
E allora devo dare fondo ai miei risparmi (il capitale bancario) e questo mi renderà quasi impossibile prestare del denaro a chi me lo richiedesse. Col passare del tempo sarò forzato a vendere una parte sempre più grande delle mie proprietà (asset) solamente per rimanere a galla.

Questo è esattamente quello che è successo alle banche nel corso della crisi finanziaria. Le compagnie finanziarie che hanno concesso il valore corrispondente alle obbligazioni garantite (la mia Jaguar) hanno cominciato a preoccuparsi del fatto che questi titoli contenevano al suo interno prestiti tossici di categoria subprime (la mia Yugo). E allora hanno ridotto il totale dei soldi prestati in cambio delle obbligazioni. I cosiddetti haircut hanno avviato un panico al rallentatore che è durato oltre un anno, facendo perdere quasi 4 trilioni di dollari al sistema delle banche d’affari.
Il problema era complicato dal fatto che nessuno sapeva quali contenitori finanziari avessero in sé i mutui peggiori o quale banca avesse il peggior assortimento di obbligazioni. E così il prestito interbancario cominciò a fermarsi, il LIBOR (ndt: tasso interbancario ‘lettera’ su Londra, http://it.wikipedia.org/wiki/LIBOR) salì alle stelle e li mercato del credito andò in stallo. Quando Lehman Brothers andò in default il 15 settembre del 2008, la voragine si aprì sempre più e l’intero sistema finanziario collassò di conseguenza.

Se gli Stati Uniti andranno in default sul suo debito, le emissioni del Tesoro saranno riprezzate, le maggior banche del paese scopriranno che abbiamo meno capitale di quanto si pensasse prima e il sistema finanziario patirà le conseguenze di un altro collasso. Solo che questa volta andrà molto peggio, perché le emissioni del Tesoro non saranno a quel punto considerati investimenti di punta privi di rischio su cui vengono poi misurati tutti gli altri asset finanziari. Questo significa che gli Stati Uniti dovranno pagare interessi più alti per adempiere a quanto pattuito e questo renderà sempre più difficile uscire dalla recessione.

Wall Street e il mondo degli affari hanno compreso la gravità della situazione e questo è il motivo per cui hanno cercato di scoraggiare il gioco al rialzo dei Repubblicani. Ma i membri del Parlamento del Tea Party hanno scrollato le spalle e sono rimasti ostinatamente sulle loro posizioni. La loro idea era che Obama avrebbe capito di essere nelle loro mani e che avrebbe ceduto. Non è così che funziona il potere?

Questa è una lezione che gli attivisti politici devono imparare. Il Tea Party è riuscito a trovare una strategia "asimmetrica" perfettamente legale per ottenere un cambio a loro vantaggio, ossia individuare le vulnerabilità del sistema e sfruttarne le debolezze per plasmare la politica. Non c’è alcuna ragione per cui la sinistra non debba fare lo stesso gioco, a condizione che abbia la volontà di sporcarsi le mani.
di Mike Whitney

Mike Whitney vive dello Stato di Washington.

Fonte: http://www.counterpunch.org/whitney05182011.html

18 maggio 2011

Al Qaeda: il database





Poco prima della sua morte prematura, l’ex Ministro degli Esteri Robin Cook disse alla House of Commons che ‘Al Qaeda’ non è in realtà un gruppo terroristico ma un database internazionale di mujaheddin e di trafficanti d’armi usati dalla CIA e dai Sauditi per fornire guerriglieri, armi e soldi nell’Afghanistan occupato dai Sovietici.
Grazie alla concessione di World Affairs, un giornale con sede a Nuova New Delhi, vi posso presentare un importante estratto da un articolo di Pierre-Henry Bunel nel numero Aprile-Giugno 2004, un ex agente dell’intelligence militare francese.
Wayne Madsen Report
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Sentii per la prima volta parlare di Al Qaida quando stavo frequentando il corso Command and Staff in Giordania. All’epoca ero un ufficiale francese e le forze armate francesi avevano contatti frequenti e stavano cooperando con la Giordania […].

Due dei miei colleghi giordani erano esperti di computer. Erano ufficiali di difesa aerea. Usando lo slang del linguaggio del computer, mi raccontarono una serie di barzellette sulle punizioni agli studenti.

Ad esempio, quando uno di noi era in ritardo alla fermata dell’autobus per lasciare lo Staff College, i due ufficiali dicevano sempre: “Sarai segnato nel ‘Q eidat il-Maaloomaat”, che voleva dire “Sarai registrato nell’archivio delle informazioni”. Con il significato: “Riceverai un avvertimento”. Se il caso era ancora più grave, parlavano quasi sempre di “Q eidat i-Taaleemaat”, che voleva dire ‘l’archivio delle iniziative’. Che voleva dire ‘che saresti stato punito’. Per i casi peggiori parlavano sempre di registrazione in ‘Al Qaida’.

Nei primi anni ’80 la Banca Islamica per lo Sviluppo (IBD), che è situata a Jeddah in Arabia Saudita, come il Segretariato Permanente dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, acquistò un nuovo sistema computerizzato per far fronte alle richieste di elaborazione e di elaborazione. Al tempo il sistema era più sofisticato di quanto fosse realmente necessario.

Fu deciso di usare una parte della memoria del sistema per ospitare il database della Conferenza Islamica. Era possibile per i paesi coinvolti accedere al database via telefono: un Intranet, in linguaggio moderno. I governi dei paesi membri così come alcune delle ambasciate nel mondo erano connesse a quella rete

[Secondo quanto riferito da un maggiore pakistano] il database era diviso in due parti, i file delle informazioni da cui i partecipanti alle riunioni potevano prelevare e inviare i dati richiesti, e i file delle iniziative dove le decisioni prese nelle precedenti sessioni venivano registrate e immagazzinate. In arabo questi file erano chiamati ‘Q eidat il-Maaloomaat’ e ‘Q eidat i-Taaleemaat’. Questi due file erano a sua volta all’interno di un altro file chiamato in arabo ‘Q eidat ilmu’ti’aat’, che è l’esatta traduzione della parola inglese ‘database’. Ma gli arabi usano comunemente la parola ‘Al Qaida’ che in arabo significa “la base”. La base aerea militare di Riad in Arabia Saudita è chiamata ‘q eidat’ riyadh al ‘askariya’. ‘Q eida’ significa ‘una base’ e “Al Qaida” significa ‘la base’.

Nella metà degli anni ’80 Al Qaida era un database presente nei computer dedicato alle comunicazioni del segretariato della Conferenza Islamica.

Nei primi anni ’90, ero un ufficiale dell’intelligence militare al Quartier Generale delle Forze di Pronto Intervento francesi. A causa della mia conoscenza nell’arabo il mio lavoro era quello di tradurre molti fax e lettere sequestrate o intercettate dai nostri servizi segreti […].

Abbiamo spesso intercettato materiale spedito da network islamici che operava nel Regno Unito o in Belgio.

Questi documenti contenevano direttive inviate a gruppi armati islamici in Algeria o in Francia. I messaggi citavano dichiarazioni che potevano essere usate nella redazione di opuscoli o depliant o per essere inseriti in video o nastri da spedire ai media. Le fonti più frequentemente citate erano le Nazioni Unite, le nazioni non allineate, l’UNHCR e… Al Qaida.

Al Qaida rimaneva l’archivio della Conferenza Islamica. Non tutti i paesi membri della Conferenza sono ‘stati canaglia e molti gruppi islamici possono prelevare informazione dai database. Era perfettamente normale per Osama Bin Laden essere collegato a questo network. Egli è il membro di un’importante famiglia nel mondo bancario e degli affari.

A causa della presenza degli ‘stati canaglia’, divenne semplice per i gruppi terroristi usare le e-mail dell’archivio. A questo proposito l’e-mail di Al Qaida fu usata, con qualche interfaccia di sistema che garantiva la segretezza, dalle famiglie dei mujaheddin per tenere attivi i collegamenti con i loro figli che venivano addestrati in Afghanistan o in Libia o nella valle della Beqa’ in Libano. Oppure ovunque in azione nei campi di battaglia dove gli estremisti sponsorizzati da tutti gli ‘stati canaglia’ combattevano. E gli ‘stati canaglia comprendevano l’Arabia Saudita. Quando Osama bin Laden era un agente americano in Afghanistan, l’Intranet di Al Qaida era un buon sistema di comunicazione che usava messaggi coperti o in codice.

Incontrare ‘Al Qaeda’

Al Qaida non era un gruppo terrorista e neppure una proprietà privata di Osama bin Laden… Le azioni dei terroristi in Turchia nel 2003 furono compiute da turchi e le motivazioni erano locali e non internazionali, unificate o condivise. Questi crimini misero il governo turco in una posizione complicata di fronte ai britannici e a Israele. Ma gli attacchi avevano certamente l’intenzione di ‘punire’ il Primo Ministro Erdogan per essere un politico islamico all’acqua di rose.

[…] Nel Terzo Mondo l’opinione comune è che le nazioni che usano armi di distruzione di massa per scopi economici al servizio dell’imperialismo sono a tutti gli effetti ‘stati canaglia’, in particolar modo gli Stati Uniti e gli altri paesi della NATO.

Qualche lobby economica islamica sta ingaggiando una lotta con le lobby economiche ‘liberali’. Usano i gruppi di terroristi locali che dichiarano di operare per Al Qaida. D’altra parte, gli eserciti nazionali invadono le nazioni indipendenti sotto l’egida del Consiglio delle Nazioni Unite e combattono guerre preventive. E i veri sostenitori di queste guerre non sono i governi, ma le lobby che si nascondono dietro di loro.

La verità è che non esiste alcun esercito o gruppo terrorista islamico chiamato Al Qaida. E un qualsiasi servizio d’intelligence informato lo sa. Ma esiste una campagna di propaganda per far credere al pubblico di essere in presenza di un’entità ben definita che rappresenta il ‘diavolo’ solo per portare lo ‘spettatore televisivo’ a accettare una leadership internazionale unificata per una guerra al terrorismo. La nazione dietro questa propaganda sono gli Stati Uniti e i lobbisti per la guerra USA contro il terrorismo sono solo interessati a fare soldi.”

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In un altro esempio di quello che succede a quelli che sfidano il sistema, nel dicembre del 2001 il maggiore Pierre-Henri Bunel è stato condannato da una corte militare francese segreta per aver passato documenti riservati che identificavano gli obbiettivi potenziali dei bombardamenti NATO in Serbia a un agente serbo durante la guerra del Kossovo nel 1998. Il caso di Bunel fu trasferito a una corte civile per tenere i dettagli della causa anch’essi riservati. Conoscendo il carattere e la psicologia di Bunel, il sistema “gliel’ha fatta pagare” per aver detto la verità su Al Qaeda e su chi c’era effettivamente dietro gli attacchi terroristi che vengono comunemente attribuiti a quel gruppo. È degno di nota il fatto che il governo jugoslavo, con cui il governo francese asserisce che Bunel abbia condiviso le informazioni, ha dichiarato che i guerriglieri albanesi e bosniaci nei Balcani erano spalleggiate da elementi di ‘Al Qaeda’. Noi sappiamo che questi guerriglieri erano spalleggiati dai soldi forniti dal Bosnian Defense Fund, un’entità costituita da un fondo speciale alla Riggs Bank, influenzata da Bush, e diretta da Richard Perle e da Douglas Feith.

Il maggiore francese Pierre-Henri Bunel, che sapeva la verità su ‘Al Qaeda’, un altro obbiettivo dei neo-con.

di Pierre-Henry Bunel

Fonte: http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=24738

21 maggio 2011

Tutti i vizi e i segreti che internet sa di noi


A TRADIMENTO Expedia mi chiede se voglio andare in vacanza con l'ex fidanzata. Non lo dice proprio così, ma mi suggerisce il suo nome per il secondo biglietto d'aereo. Se lo ricorda da un vecchio acquisto, l'impertinente sito di viaggi. Lo stesso fa Amazon per la consegna dei libri. Se li hai fatti spedire a un indirizzo che non frequenti più, lui insiste. Persino il sito delle contravvenzioni del comune di Roma prova a inchiodarti al passato. Vado a controllare una multa e, accanto al verbale, ora hanno messo la foto dell'infrazione. In bianco e nero, sgranata, ma ineluttabile: sono proprio io in sella. Con la compagna di allora. Dio perdona, Internet no. Soprattutto non dimentica niente. Ci conosce meglio di una madre, di un amico, di uno psicanalista. Ed è in grado di mettere insieme così tante tessere di quel mosaico caotico che è la vita da ricostruirlo a un livello di dettaglio impensabile nell'èra Pre-Web. Così ho chiesto alla rete di scrivere la mia biografia, non per il suo trascurabile interesse, ma per quello enorme che a redigerla sia un algoritmo. Utilizzando fonti aperte, informazioni a disposizione di tutti. Avessi interpellato i Servizi segreti avrei ottenuto un ritratto meno vivido. Provare per credere.

Se fai il giornalista, in teoria, sei più esposto di un impiegato del catasto. Ma non è detto, perché l’impiegato potrebbe avere una pirotecnica doppia vita telematica: condividere tutto su Facebook, commentare i blog altrui, affidare a Twitter in tempo reale la propria opinione
sull’universo mondo. Insomma, cose che io non faccio. Perché alla fine i pixel con cui la rete comporrà il nostro ritratto digitale, ad alta o a bassissima risoluzione, siamo noi a fornirglieli. Talvolta in maniera attiva, riempendo questionari, firmando petizioni, e così via. Più spesso in modo passivo, semplicemente navigando, comprando o essendo taggati in foto altrui. Per cominciare, dunque, c’è Google. Il grado zero è l’egosurfing, ovvero controllare ciò che in rete si dice di noi digitando «nome cognome». Nel mio caso escono 102 mila risultati, ma le quotazioni cambiano con i giorni. Ai primi posti una voce di Wikipedia in inglese che fino a qualche tempo fa sosteneva erroneamente che fossi il capo di Repubblica.it (approfitto per scusarmi col titolare). Verso il fondo spunta invece un messaggio che spedii il 27 maggio 1996 a un gruppo di discussione sulla pubblicità online. Per quel che ne sapevo allora era come attaccare un annuncio in una bacheca dell’università. Quel che ho imparato poi è che nessuno l’avrebbe mai rimosso e anzi sarebbe stato imbalsamato a futura memoria. Avessi chiesto istruzioni per confezionare una bomba sarebbe stato lo stesso.

Se poi, come me e altri 170 milioni di persone nel mondo, usate la posta di Gmail, le cose si complicano. Nel senso che tutto quello che scrivete potrà essere usato, pubblicitariamente parlando, contro di voi perché il sistema analizza i testi per accoppiarci pubblicità pertinenti. Dunque se dite a un amico che sarebbe bello trascorrere un finesettimana a Palermo aspettatevi, per dire, annunci su una suite scontata all’hotel Delle Palme. Per vedere come vi hanno etichettato c’è Google Ads Preferences. Di me il software ha capito che sono un maschio e tra gli interessi desunti dal mio comportamento online ci sono cinema, spartiti musicali, giornalismo. E in tv mi piacerebbero «crime stories e legal show» (nego l’addebito). Ma Google è ormai un mondo. Mette a disposizione un programma per scrivere, un calendario, un sistema di notifiche personalizzate e tanto altro. Gratis, o meglio, pagando in moneta di privacy. Lui ti offre un servizio, tu gli affidi la tua vita digitale. Ciò che scrivi, dove vai e quando, quello che ti interessa sapere. Così, seppure in forma anonima, il cyber-leviatano riutilizzerà quella messe di dati per recapitarti l’inserzione giusta. Sono andato a verificare nel Dashboard, la «scatola nera» di tutti i miei rapporti con il motore di ricerca. Ed è come guardarsi l’anima allo specchio. Dal momento che ho attivato anche la Cronologia, ovvero il registro storico di ogni ricerca eseguita, sanno esattamente cosa ho visto in questi anni. Il resoconto inizia alle 18.16 del 22 maggio 2007 e le parole chiave, credeteci o no, erano «nietzsche memoria troppo buona» (magari mi sono fatto suggestionare e volevo sancire con una citazione del filosofo l’aver attivato quella specie di panopticon volontario).

Ogni singola query è stata messa a verbale. Ci sono anche tutti gli indirizzi che ho cercato su Mappe. I video che ho guardato, dalla clip di The Ballad of John and Yoko all’ultimo disco dei Virginiana Miller. Per non dire di quelli che ho caricato su YouTube. Così come le foto che, tanto tempo fa, ho condiviso sugli album digitali Picasa. E i titoli che ho scaricato su Libri. Ce n’è già abbastanza per ricostruire la mia esistenza, avendo del gran tempo da perdere, minuto per minuto.

Per accedere al sancta sanctorum però bisogna possedere la parola chiave. Serve un hacker bravo o, banalmente, averla lasciata memorizzata nel pc. Tuttavia, anche limitandosi alle informazioni aperte i risultati sono stupefacenti. Se non avete familiarità con la sintassi dei motori di ricerca ci sono compagnie specializzate in web listening. Di solito lo fanno per le aziende, per capire che «reputazione» ha un marchio o un certo prodotto. Li ho sfidati a sguinzagliare i loro software specializzati perché portassero a casa i dati più succosi sul mio conto. Dopo meno di un giorno l’emiliana TheDotCompany mi ha recapitato un rapportino che sembra vergato da un funzionario della Digos. Contiene: luogo e data di nascita, numeri di telefono di lavoro e di casa, qualifica professionale esatta, il nome di mio padre e l’annotazione che «I genitori e il nipote vivono a Viareggio». Un’impeccabile biografia lavorativa e poi «Il sistema di correlazione di keyword e contenuti suggerisce orientamento politico Pd/Rifondazione Comunista e forti legami con il mondo sindacale», credo desunti dal fatto che ho scritto un libro sugli immigrati e l’ho presentato in varie feste dell’Unità. In parallelo anche Expert System di Modena, specialista nella tecnologia semantiche per la comprensione e l’analisi delle informazioni, era sulle mie tracce. In una decina di slide riassume le organizzazioni, le persone (vince il mio amico Raffaele Oriani, con 319 ricorrenze), le località, gli argomenti con cui ho più a che fare (Internet 206, immigrazione 150, editoria 137, etc.) e un’enoteca che frequento. I segugi milanesi della FreedataLabs ricavano addirittura profili psicologici dalle parole che uso. Dicono che solo il 6% appartiene a categorie emozionali e mi dipingono come uno molto «teso all’obiettivo», «curioso» ma anche «introverso», con venature di «tristezza». Così parlò lo strizzacervelli automatico.

Joel Stein, un collega di Time che ha fatto lo stesso esperimento, è stato più bravo nel rinvenire tracce economiche di sé. La Alliance Data, società di marketing digitale, sa che è un ebreo di 39 anni, con laurea e stipendio da oltre 125 mila dollari. Che ne spende in media 25 per ogni acquisto online ma il 10 ottobre 2010 ne ha sborsati 180 per biancheria intima. «Sono dati che in Italia sarebbe impossibile avere senza l’ordine di un magistrato» mi tranquillizza Andrea Santagata, numero due di Banzai, tra le più grandi web company nazionali, «perché abbiamo una legge sulla privacy molto più stringente. In ogni caso alla pubblicità non interessa sapere come ti chiami, ma conoscere il tuo profilo per mirare i messaggi». Tutto vero, e da tenere a mente per non finire arruolati nel già affollato partito delle teorie della cospirazione. Ma quanto detto sin qui lo è altrettanto. Anzi, non c’è stato neppure tempo di parlare di Last. fm che sa che musica ascolto (se ti piacciono i Wilco ti piaceranno anche i Golden Smog e The Autumn Defense). O di Ibs che, sapendo quali libri acquisto me ne consiglia altri, per proprietà transitiva: se David Foster Wallace, allora George Saunders. O di infinite altre destinazioni online che, per il solo fatto di aver interagito con loro, hanno creato dei dossier da cui inferire la mia personalità. È una tragedia? Neanche per sogno. Internet è l’invenzione più strepitosa e benemerita dell’ultimo secolo. Basta essere consapevoli e comportarsi di conseguenza. Per quanto riguarda infine la sconveniente insistenza di Expedia ho estirpato il cookie, il pezzetto di codice che ricordava al sito i miei viaggi precedenti. E adesso il computer non si impiccia più in cose che non lo riguardano.

di RICCARDO STAGLIANO'

20 maggio 2011

Cosa accadrebbe se si pensasse che gli Stati Uniti sono vicini al default?

Se vuoi vedere il debito Usa in tempo reale vai al link
http://www.usdebtclock.org/


http://www.comedonchisciotte.org/images/geithner_obama.jpg

Lunedì il governo degli Stati Uniti ha raggiunto il limite dettato dal suo statuto per la concessione dei prestiti (14,29 trilioni di dollari), il cosiddetto "tetto del debito". Ciò significa che il Segretario del Tesoro, Timothy Geithner, ha iniziato a mettere in opera il piano emergenziale per mantenere in sella il governo e per pagare i possessori dei bond mentre la Casa Bianca e il Congresso stanno elaborando i dettagli finali dell’accordo sul bilancio. Ma le manovre contabili di Geithner funzioneranno solo per un breve periodo. Se per l’inizio di agosto non verrà raggiunto un compromesso sul bilancio, "l’ultimo prestatore” e gli Stati Uniti andranno in default.

Alcuni parlamentari Repubblicani credono che un default non sarebbe così grave e che i possessori di titoli e i beneficiari della Social Security avranno gli assegni solo un po’ di tempo più tardi. Ma questa gente davvero non comprende come stanno le cose e quello che è realmente in gioco. Con le parole di Greg Ip, dell’Economist: "I debiti del Tesoro sono il fondamento di una vasta e complessa rete di relazioni finanziarie in tutto il mondo che verrebbero sconquassate anche da un default tecnico." La sola allusione al fatto che gli Stati Uniti ritardino i pagamenti ai possessori delle obbligazione sconvolgerebbe i mercati e causerebbe un danno irreversibile alle casse del Tesoro. E porterebbe la quotazione del dollaro in picchiata e, probabilmente, sarebbe la fine del ruolo del dollaro come divisa di riserva del pianeta. Ecco un estratto da un post di un economista, Menzie Chinn, che riassume tutto perfettamente:

"....se tutto questo provocherà una contrazione del valore del dollaro, impedirebbe di poter alzare il tetto del debito in modo opportuno. In quasi tutti i modelli che ho analizzato, causerebbe una migrazione dal debito degli Stati Uniti o – anche se ci andassimo solo vicini – aumenterebbe il premio di rischio concesso agli investitori e, da quel momento in poi, il totale degli interessi pagati dal Tesoro USA. È il colmo dell’irresponsabilità fare richieste irrealistiche per la riduzione del deficit basate solamente sui tagli alla spesa, rischiando così lo scatenarsi di una crisi. ("What Would Really Bring about a Dollar Dive?, Econbrowser)

Quasi tutti gli economisti dicono la stessa identica cosa. Il Parlamento sta giocando con la dinamite.

La cosa divenuta palese nel corso delle negoziazioni sul bilancio è che i Repubblicani non hanno neanche la più remota idea di come funzioni il mercato finanziario. Naturalmente i Democratici non è che siano messi molto meglio, ma almeno (occasionalmente) tengono in considerazione il consiglio degli esperti. I Repubblicani no. Sembra proprio che ci sia tanto orgoglio nelle loro zucche vuote. Credono che minacciare di far saltare l’economia sia un’ottima strategia per provocare i tagli alle spese correnti. Non riescono a capire che la loro gazzarra da galline potrebbe ritorcersi contro e cambiare la percezione che gli USA siano un posto sicuro dove gli investitori possano investire i propri capitali. E questo pensiero non sembra assolutamente passare per la loro testa.

Un altro estratto da una lettera di Geithner (al Senatore Michael Bennet), dove avverte delle "conseguenze economiche catastrofiche" che si verificheranno se il limite del debito non verrà alzato velocemente:

"Il ruolo particolare delle emissioni del Tesoro nel sistema finanziario globale comporta il fatto che le conseguenze del default sarebbero davvero severe. Le emissioni del Tesoro sono un punto fermo nelle pagine dei bilanci di quasi tutte le più grandi compagnie di assicurazione, delle banche, dei fondi che investono a breve termine e nei fondi pensione di tutto il mondo. Sono anche molto usate dalle istituzioni finanziarie come collaterali (http://it.wikipedia.org/wiki/Collateralized_debt_obligation) per reperire nel mercato finanziario il flusso di cassa necessario per le loro operazioni giornaliere."

Geithner sta spiegando il funzionamento delle “banche d’affari” e come si affidino ai collaterali con la tripla A. Se le emissioni del Tesoro, finora considerati gli investimenti più sicuri al mondo, soffriranno un abbassamento del rating a causa del default o del calo della fiducia degli investitori, tutto questo porterebbe a una serie di tagli nei rendimenti (http://en.wikipedia.org/wiki/Haircut_(finance)) che darebbero il via a una nuova crisi.

Geithner ancora:

"Un default del debito del Tesoro potrebbe portare a domandarsi della solvibilità dei fondi d’investimento e delle istituzioni finanziarie che hanno le emissioni del Tesoro nel loro portafoglio, cosa che provocherebbe un assalto ai fondi che investono a breve termine (http://en.wikipedia.org/wiki/Money_market_fund) e all’intero sistemo finanziario, qualcosa di simile a quello che è successo sulla scia del collasso di Lehman Brothers. Come hanno dimostrato le recenti crisi finanziarie, un contraccolpo improvviso alla fiducia sui mercati finanziari può scatenare un timore che minaccerebbe la salute dell’intera economia globale e il lavoro di milioni di Americani."

Geithner non sta esagerando. Questo è quello che accadrà. Perché? Perché è quello che è successo nel 2008 e, sfortunatamente, da allora niente è cambiato. Se gli Stati Uniti andranno in default, allora il premio per il rischio che il Tesoro dovrà concedere salirebbe e le quotazioni dei titoli scenderebbero. Questo significa che i trilioni di dollari che sono stati scambiati per le emissioni del Tesoro nel mercato dei pronti contro termine (http://it.wikipedia.org/wiki/Pronti_contro_termine) - dove le istituzioni finanziarie scambiano liquidità con garanzie collaterali di primo livello – andrebbero riprezzati e questo causerebbe perdite consistenti per i possessori di emissioni del Tesoro. Queste perdite si riverberebbero nei mercati dei capitali e in quello dei titoli di credito, iniziando a far saltare il domino costruito dopo il fallimento della Lehman Brothers. In conclusione, nessuna delle riforme Dodd-Frank ha aumentato la stabilità del mercato finanziario. Il sistema è soggetto al collasso così come lo era nel settembre del 2008.

Di nuovo Geithner:

"I titoli del Tesoro ricoprono un ruolo peculiare nel sistema finanziario globale proprio perché sono considerati un investimento privo di rischio. […] Un default metterebbe in discussione lo status delle emissioni del Tesoro che sono ora ritenute un pilastro del sistema finanziario, mettendo a repentaglio questo ruolo e i benefici economici che ne derivano."

Questo è un punto molto importante e potrebbe essere d’aiuto fare un’analogia.

Diciamo che io ho bisogno di liquidi per finanziare degli affari. Così vado al banco dei pegni con la mia Jaguar customizzata, il mio dipinto di Vermeer autentico e la mia collezione di monete d’oro rinascimentali. Il gestore dà un’occhiata al mio tesoro e mi dice che può prestarmi 25.000 dollari per una settimana, ma che gliene dovrò rendergli 26.000 per avere la mia roba indietro. Allora dico, “Va bene” e prendo a prestito i soldi. Questo mi permette di continuare i miei affari. Poi, una settimana dopo, torno dal monte dei pegni e restituisco i soldi.

Fino qui tutto a posto?

La settimana seguente torno da lui e cerco di chiudere la stessa trattativa. Ma questa volta il gestore ha fatto una piccola ricerca e ha scoperto che la mia Jaguar customizzata è un vecchio modello di una Yugo riverniciata a meraviglia, il mio Vermeer originale è un lavoro di un falsario che ho preso al mercatino delle pulci e la mia collezione di monete d’oro rinascimentali è in verità una manciata di spiccioli della slot machine placcati di pirite. Così il gestore, tutto stizzito, mi dice che mi presterà solo la metà di quanto concesso la volta prima, 12.500 dollari. Ma questo per me è un grosso problema, perché così non ho abbastanza denaro per finanziare le mie operazioni o per pagare i miei dipendenti.
E allora devo dare fondo ai miei risparmi (il capitale bancario) e questo mi renderà quasi impossibile prestare del denaro a chi me lo richiedesse. Col passare del tempo sarò forzato a vendere una parte sempre più grande delle mie proprietà (asset) solamente per rimanere a galla.

Questo è esattamente quello che è successo alle banche nel corso della crisi finanziaria. Le compagnie finanziarie che hanno concesso il valore corrispondente alle obbligazioni garantite (la mia Jaguar) hanno cominciato a preoccuparsi del fatto che questi titoli contenevano al suo interno prestiti tossici di categoria subprime (la mia Yugo). E allora hanno ridotto il totale dei soldi prestati in cambio delle obbligazioni. I cosiddetti haircut hanno avviato un panico al rallentatore che è durato oltre un anno, facendo perdere quasi 4 trilioni di dollari al sistema delle banche d’affari.
Il problema era complicato dal fatto che nessuno sapeva quali contenitori finanziari avessero in sé i mutui peggiori o quale banca avesse il peggior assortimento di obbligazioni. E così il prestito interbancario cominciò a fermarsi, il LIBOR (ndt: tasso interbancario ‘lettera’ su Londra, http://it.wikipedia.org/wiki/LIBOR) salì alle stelle e li mercato del credito andò in stallo. Quando Lehman Brothers andò in default il 15 settembre del 2008, la voragine si aprì sempre più e l’intero sistema finanziario collassò di conseguenza.

Se gli Stati Uniti andranno in default sul suo debito, le emissioni del Tesoro saranno riprezzate, le maggior banche del paese scopriranno che abbiamo meno capitale di quanto si pensasse prima e il sistema finanziario patirà le conseguenze di un altro collasso. Solo che questa volta andrà molto peggio, perché le emissioni del Tesoro non saranno a quel punto considerati investimenti di punta privi di rischio su cui vengono poi misurati tutti gli altri asset finanziari. Questo significa che gli Stati Uniti dovranno pagare interessi più alti per adempiere a quanto pattuito e questo renderà sempre più difficile uscire dalla recessione.

Wall Street e il mondo degli affari hanno compreso la gravità della situazione e questo è il motivo per cui hanno cercato di scoraggiare il gioco al rialzo dei Repubblicani. Ma i membri del Parlamento del Tea Party hanno scrollato le spalle e sono rimasti ostinatamente sulle loro posizioni. La loro idea era che Obama avrebbe capito di essere nelle loro mani e che avrebbe ceduto. Non è così che funziona il potere?

Questa è una lezione che gli attivisti politici devono imparare. Il Tea Party è riuscito a trovare una strategia "asimmetrica" perfettamente legale per ottenere un cambio a loro vantaggio, ossia individuare le vulnerabilità del sistema e sfruttarne le debolezze per plasmare la politica. Non c’è alcuna ragione per cui la sinistra non debba fare lo stesso gioco, a condizione che abbia la volontà di sporcarsi le mani.
di Mike Whitney

Mike Whitney vive dello Stato di Washington.

Fonte: http://www.counterpunch.org/whitney05182011.html

18 maggio 2011

Al Qaeda: il database





Poco prima della sua morte prematura, l’ex Ministro degli Esteri Robin Cook disse alla House of Commons che ‘Al Qaeda’ non è in realtà un gruppo terroristico ma un database internazionale di mujaheddin e di trafficanti d’armi usati dalla CIA e dai Sauditi per fornire guerriglieri, armi e soldi nell’Afghanistan occupato dai Sovietici.
Grazie alla concessione di World Affairs, un giornale con sede a Nuova New Delhi, vi posso presentare un importante estratto da un articolo di Pierre-Henry Bunel nel numero Aprile-Giugno 2004, un ex agente dell’intelligence militare francese.
Wayne Madsen Report
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Sentii per la prima volta parlare di Al Qaida quando stavo frequentando il corso Command and Staff in Giordania. All’epoca ero un ufficiale francese e le forze armate francesi avevano contatti frequenti e stavano cooperando con la Giordania […].

Due dei miei colleghi giordani erano esperti di computer. Erano ufficiali di difesa aerea. Usando lo slang del linguaggio del computer, mi raccontarono una serie di barzellette sulle punizioni agli studenti.

Ad esempio, quando uno di noi era in ritardo alla fermata dell’autobus per lasciare lo Staff College, i due ufficiali dicevano sempre: “Sarai segnato nel ‘Q eidat il-Maaloomaat”, che voleva dire “Sarai registrato nell’archivio delle informazioni”. Con il significato: “Riceverai un avvertimento”. Se il caso era ancora più grave, parlavano quasi sempre di “Q eidat i-Taaleemaat”, che voleva dire ‘l’archivio delle iniziative’. Che voleva dire ‘che saresti stato punito’. Per i casi peggiori parlavano sempre di registrazione in ‘Al Qaida’.

Nei primi anni ’80 la Banca Islamica per lo Sviluppo (IBD), che è situata a Jeddah in Arabia Saudita, come il Segretariato Permanente dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, acquistò un nuovo sistema computerizzato per far fronte alle richieste di elaborazione e di elaborazione. Al tempo il sistema era più sofisticato di quanto fosse realmente necessario.

Fu deciso di usare una parte della memoria del sistema per ospitare il database della Conferenza Islamica. Era possibile per i paesi coinvolti accedere al database via telefono: un Intranet, in linguaggio moderno. I governi dei paesi membri così come alcune delle ambasciate nel mondo erano connesse a quella rete

[Secondo quanto riferito da un maggiore pakistano] il database era diviso in due parti, i file delle informazioni da cui i partecipanti alle riunioni potevano prelevare e inviare i dati richiesti, e i file delle iniziative dove le decisioni prese nelle precedenti sessioni venivano registrate e immagazzinate. In arabo questi file erano chiamati ‘Q eidat il-Maaloomaat’ e ‘Q eidat i-Taaleemaat’. Questi due file erano a sua volta all’interno di un altro file chiamato in arabo ‘Q eidat ilmu’ti’aat’, che è l’esatta traduzione della parola inglese ‘database’. Ma gli arabi usano comunemente la parola ‘Al Qaida’ che in arabo significa “la base”. La base aerea militare di Riad in Arabia Saudita è chiamata ‘q eidat’ riyadh al ‘askariya’. ‘Q eida’ significa ‘una base’ e “Al Qaida” significa ‘la base’.

Nella metà degli anni ’80 Al Qaida era un database presente nei computer dedicato alle comunicazioni del segretariato della Conferenza Islamica.

Nei primi anni ’90, ero un ufficiale dell’intelligence militare al Quartier Generale delle Forze di Pronto Intervento francesi. A causa della mia conoscenza nell’arabo il mio lavoro era quello di tradurre molti fax e lettere sequestrate o intercettate dai nostri servizi segreti […].

Abbiamo spesso intercettato materiale spedito da network islamici che operava nel Regno Unito o in Belgio.

Questi documenti contenevano direttive inviate a gruppi armati islamici in Algeria o in Francia. I messaggi citavano dichiarazioni che potevano essere usate nella redazione di opuscoli o depliant o per essere inseriti in video o nastri da spedire ai media. Le fonti più frequentemente citate erano le Nazioni Unite, le nazioni non allineate, l’UNHCR e… Al Qaida.

Al Qaida rimaneva l’archivio della Conferenza Islamica. Non tutti i paesi membri della Conferenza sono ‘stati canaglia e molti gruppi islamici possono prelevare informazione dai database. Era perfettamente normale per Osama Bin Laden essere collegato a questo network. Egli è il membro di un’importante famiglia nel mondo bancario e degli affari.

A causa della presenza degli ‘stati canaglia’, divenne semplice per i gruppi terroristi usare le e-mail dell’archivio. A questo proposito l’e-mail di Al Qaida fu usata, con qualche interfaccia di sistema che garantiva la segretezza, dalle famiglie dei mujaheddin per tenere attivi i collegamenti con i loro figli che venivano addestrati in Afghanistan o in Libia o nella valle della Beqa’ in Libano. Oppure ovunque in azione nei campi di battaglia dove gli estremisti sponsorizzati da tutti gli ‘stati canaglia’ combattevano. E gli ‘stati canaglia comprendevano l’Arabia Saudita. Quando Osama bin Laden era un agente americano in Afghanistan, l’Intranet di Al Qaida era un buon sistema di comunicazione che usava messaggi coperti o in codice.

Incontrare ‘Al Qaeda’

Al Qaida non era un gruppo terrorista e neppure una proprietà privata di Osama bin Laden… Le azioni dei terroristi in Turchia nel 2003 furono compiute da turchi e le motivazioni erano locali e non internazionali, unificate o condivise. Questi crimini misero il governo turco in una posizione complicata di fronte ai britannici e a Israele. Ma gli attacchi avevano certamente l’intenzione di ‘punire’ il Primo Ministro Erdogan per essere un politico islamico all’acqua di rose.

[…] Nel Terzo Mondo l’opinione comune è che le nazioni che usano armi di distruzione di massa per scopi economici al servizio dell’imperialismo sono a tutti gli effetti ‘stati canaglia’, in particolar modo gli Stati Uniti e gli altri paesi della NATO.

Qualche lobby economica islamica sta ingaggiando una lotta con le lobby economiche ‘liberali’. Usano i gruppi di terroristi locali che dichiarano di operare per Al Qaida. D’altra parte, gli eserciti nazionali invadono le nazioni indipendenti sotto l’egida del Consiglio delle Nazioni Unite e combattono guerre preventive. E i veri sostenitori di queste guerre non sono i governi, ma le lobby che si nascondono dietro di loro.

La verità è che non esiste alcun esercito o gruppo terrorista islamico chiamato Al Qaida. E un qualsiasi servizio d’intelligence informato lo sa. Ma esiste una campagna di propaganda per far credere al pubblico di essere in presenza di un’entità ben definita che rappresenta il ‘diavolo’ solo per portare lo ‘spettatore televisivo’ a accettare una leadership internazionale unificata per una guerra al terrorismo. La nazione dietro questa propaganda sono gli Stati Uniti e i lobbisti per la guerra USA contro il terrorismo sono solo interessati a fare soldi.”

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In un altro esempio di quello che succede a quelli che sfidano il sistema, nel dicembre del 2001 il maggiore Pierre-Henri Bunel è stato condannato da una corte militare francese segreta per aver passato documenti riservati che identificavano gli obbiettivi potenziali dei bombardamenti NATO in Serbia a un agente serbo durante la guerra del Kossovo nel 1998. Il caso di Bunel fu trasferito a una corte civile per tenere i dettagli della causa anch’essi riservati. Conoscendo il carattere e la psicologia di Bunel, il sistema “gliel’ha fatta pagare” per aver detto la verità su Al Qaeda e su chi c’era effettivamente dietro gli attacchi terroristi che vengono comunemente attribuiti a quel gruppo. È degno di nota il fatto che il governo jugoslavo, con cui il governo francese asserisce che Bunel abbia condiviso le informazioni, ha dichiarato che i guerriglieri albanesi e bosniaci nei Balcani erano spalleggiate da elementi di ‘Al Qaeda’. Noi sappiamo che questi guerriglieri erano spalleggiati dai soldi forniti dal Bosnian Defense Fund, un’entità costituita da un fondo speciale alla Riggs Bank, influenzata da Bush, e diretta da Richard Perle e da Douglas Feith.

Il maggiore francese Pierre-Henri Bunel, che sapeva la verità su ‘Al Qaeda’, un altro obbiettivo dei neo-con.

di Pierre-Henry Bunel

Fonte: http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=24738