Meno male che ci sono gli italiani. Meno male che ci sono i referendum. E meno male che il risultato è stato chiaro. Non c’è un’Italia divisa in due. Non ci sono più leggi inumane, privilegi di… E non c’è più alcun dubbio: è finita l’era Berlusconi. C’è ancora – speriamo per poco – un Governo. C’è un’opposizione rinvigorita che ancora deve fare mente locale. E c’è un Paese che non ne può più.
L’importanza di questo referendum, solo intuita durante la campagna elettorale, è stata lampante per tutti appena chiuse le urne. Quando sono iniziati ad arrivare i dati ufficiali, non c’è stato nulla da interpretare: il quorum c’è, il Sì ha vinto.
Il dato elettorale dei partecipanti al voto non è di destra, di centro o di sinistra, non è voluto dai vertici e/o dalla base di questo o quel partito, non è ostile o favorevole alle casalinghe di Vigevano o all’intellettuale-artista-pop star.
E’ stato un voto di cervello, perché si parlava di questioni importanti, ed è stato un voto di pancia, con una parte sempre crescente di italiani che fanno ormai il contrario di ciò che dice il Presidente del Consiglio. “Andate al mare e non votate” ha detto quello, a mezza bocca, una volta sola e in 24 milioni si sono precipitati alle urne, nonostante la domenica estiva e il lunedì lavorativo. E’ stato un voto popolare insomma, fuori da ogni schema.
Il raggiungimento del quorum e la vittoria del Sì non hanno padrini né madrine. Non ci sono simboli di partito né liste precotte, non ci sono rappresentanti e non ci sono rappresentati, nessuno deve decidere al posto di nessun altro. Gli slogan e le strumentalizzazioni sono a zero.
Quando parliamo di referendum, parliamo di democrazia diretta. In Italia ci siamo regalati solo quello abrogativo, ma già è qualcosa. Ci è consentito di cancellare leggi che riteniamo ingiuste e l’abbiamo cancellate con un risultato incontrovertibile. Altro che amministrative, altro che vittoria di Pisapia o De Magistris. Vai a capire, a Napoli e Milano, quali indicazioni siano arrivate dai poteri forti, dai gruppi di potere, dalle consorterie, dal partito X o dal partito Y, dal leader Tizio o dal leader Caio.
Col referendum i giochi sono chiari. Nessuna analisi e nessun grafico, niente orientamenti o indici di gradimento. Nessun sondaggio commissionato al guru di turno. La maggioranza degli italiani vuole che l’acqua sia pubblica, che non venga costruita più una centrale nucleare e che i politici, anche al Governo, possano essere giudicati come tutti gli altri cittadini.
Rimane il quesito: è giusto che qualsiasi persona, al di là dell’istruzione e della competenza, possa decidere su temi così importanti e delicati? Certo, sarebbe meglio che di nucleare e di acqua e di leggi se ne occupassero tecnici specializzati, guidati da politici avveduti e preparati. Idea nobile, chissà se un giorno…
Ma l’Italia degli ultimi venti anni è ben altra cosa. Ogni decisione è presa, nel migliore dei casi, per l’interesse di pochi. Spesso a sostenerla c’è un votificio, che ci ostiniamo ancora a chiamare Parlamento, in cui soubrette e saltimbanchi cercano di vendere il proprio consenso al miglior offerente, rendendo vane le ragioni di quella minoranza – trasversale – che sogna ancora un Paese normale.
I quesiti erano cinque in realtà, lo sapevamo tutti. E gli italiani sono riusciti dove i partiti avevano fallito: abrogare il berlusconismo. Chi ancora tentenna davanti all’idea di una grande alleanza che possa ricostruire il Paese e perde tempo nel cercarsi di orientare in un mondo che, da oggi 13 Giugno, non esiste più, penso saprà che 26 milioni di persone, dopo aver dato la definitiva spallata, si aspettano qualcosa di concreto e di nuovo.
di Graziano Lanzidei