24 giugno 2011
Cia e Mossad: prima la campagna mediatica poi la guerra
Una delle gazzette-internet, a cui non ci va di fare propaganda, legata all’intelligence di Usa e “Israele” ne anticiperà la destinazione finale il giorno 16 aprendo così : “… l’accordo passato sotto silenzio in Europa è di quelli che cambiano la geopolitica del Mediterraneo, perché nave dopo nave Teheran costruirà la sua prima base in Medio-Oriente. Dalla fine di febbraio Iran e Siria si impegneranno a lavorare alla costruzione di un porto di appoggio per la marina militare di Ahmadinejad. La base stando a quanto previsto avrà anche un deposito di armi che sarà gestito dalla Guardia Rivoluzionaria Pasdaran. Si partirà dall’allargamento delle strutture per poi passare all’abbassamento del fondo marino (dragaggio ndr) e all’installazione di tutta la strumentazione necessaria a trasformare la zona in area militare. In questo modo potranno presto attraccare anche i sommergibili iraniani. Teheran sarà in grado di gestire con questo accordo da nord e da est un possibile conflitto con Israele. L’Iran ora è a soli 287 km dal confine con Israele…”.
Il tono allarmato dell’ “informatore” che ha redatto l’articolo non fa altro che portare allo scoperto, l’urgente necessità di Cia e Mossad di accendere la miccia per il “fuoco alle polveri” di una campagna di stampa “internazionale” contro il presidente Bashar al Assad.
Obama, dal canto suo, minaccerà le prime sanzioni unilaterali contro la Siria già da gennaio e le applicherà a marzo, dopo aver dichiarato, dalla Casa Bianca, che Damasco rappresenta una minaccia di straordinaria gravità per gli interessi degli Stati Uniti.
Naturalmente la responsabilità dell’approdo delle navi militari iraniane a Latakia sarà scaricato anche sull’Egitto del dopo Mubarak e su Hamas che per celebrare l’avvenimento - si sosterrà in un numero successivo - il 24 febbraio sparerà una grandinata di razzi sul Negev.
Si farà in tempo a ricordare, sul web, che il porto siriano è a una distanza di soli 72 km da quello di Tartus dove è in costruzione una base di appoggio navale per Mosca e dare allarmato risalto anche all’acquisto da parte di Damasco di 76 missili antinave Yakhont con un raggio operativo di 300 km capaci di forare la più sofistica difesa navale Usa (Aegis ndr) e di creare il vuoto anche sulle rotte delle unità navali militari e commerciali di “Israele”.
Notizia corrispondente a verità ma che omette di rivelare i retroscena dell’acquisto siriano.
Una cessione autorizzata con molti mal di pancia da Medvedev.
L’Iran, dal canto suo, ha elaborato un missile balistico per impiego navale il “Khalije Fars” altrettanto veloce (mach 3) ed accurato nella fase finale di volo, con eguale portata in miglia marine ma con un potere di distruzione a bersaglio 3 volte superiore a quello fornito dalla Russia a Damasco dopo un lungo tira e molla che ha visto prevalere l’apparato industriale e militare che sostiene il premier Putin sulla “melina-niet” di Medvedev.
Una tecnologia che inevitabilmente finirà per arrivare nelle mani delle forze armate della Siria.
La testata bellica del “Khalije Fars” è di 650 kg contro i 220-230 kg delloYakhont.
Insomma nelle stanze del Cremlino si mastica amaro, da una parte contro il “kombinat” e quello che in Occidente viene sprezzatamene definito il “clan dei siloviki” e dall’altra per i crescenti successi militari dell’ Iran.
La Siria sta gettando le basi di un sonoro rafforzamento della sua deterrenza. Il Paese di Bashar al Assad acquisisce la capacità di prendere decisioni politiche più confacenti alla sua strategia militare nel Vicino Oriente.
La pluridecennale collaborazione militare tra i due Paesi che ha continuato a funzionare alla perfezione con la presidenza Putin manifesterà i primi inciampi con l’ex di Gazprom nel 2009 dopo il rifiuto del Cremlino di consegnare alla Siria l’Iskander B.
Un missile terra-terra estremamente avanzato capace di colpire con un cep di 5-10 metri qualunque obbiettivo militare in “Israele” oltre che di superare ogni contromisura elettronica per l’intercettazione in volo con un carico bellico di 1.000 kg .
Un’arma - secondo l’allora governo Olmert - sufficiente a modificare in profondità gli equilibri militari nel Vicino e Medio Oriente. Cosa non lontana dal vero se fosse stato fornito da Mosca a Damasco in quantità numeriche adeguate.
L’Iran, legato da un patto militare con la Siria, ha costruito alla periferia di Hama e Dayr az Zawr due fabbriche che sfornano ogni anno decine di missili balistici M 600, su piattaforme mobili, capaci di colpire con una portata di 280-300 km e con ottima precisione a bersaglio dalla Giudea al Negev, tecnologicamente modellati sul “Fatah 110” con una carica bellica di 0.5 tonnellate.
Gli esperti militari indipendenti indicano la messa in campo annuale di 70-80 M 600. Insomma, se attaccata la Siria potrebbe portare, per la prima volta dal ’67, la guerra ben dentro il territorio nemico, a casa dell’aggressore. Dal canto suo l’Iran non farà niente per nascondere l’irritazione nata dalla decisione del Cremlino di vedersi negato il sistema di difesa aerea S 300 pm1- pm 2 che avrebbe permesso a Teheran di dormire sonni tranquilli anche in caso di un massiccio e protratto attacco aereonavale Usa e di ridicolizzare le ricorrenti minacce israeliane.
Decisione presa da Medvedev e che costerà alla Russia oltre 500 milioni di dollari di penali, in sede giudiziale internazionale, per omesso rispetto di un accordo commerciale sottoscritto in aggiunta alla perdita per mancate forniture militari per altri 850 milioni di dollari all’industria Npo Almaz e al kombinat Rosoboronoexport.
Le frizioni con Teheran arriveranno a impedire il sorvolo dell’Ilyuschin di Medvedev dello spazio aereo dell’Iran.
Il rallentamento nei lavori di ultimazione della centrale atomica di Bushekr, i problemi di avviamento dell’impianto da parte di Rosatom saranno interpretati da Teheran come facenti parte di un piano della presidenza pro-tempore di Mosca intenzionalmente diretto a rallentare il programma nucleare dell’Iran per le continue pressioni di Usa, Israele e cosiddetta “comunità internazionale”.
Pressioni che a Mosca, sotto la presidenza Medvedev, trovano con frequenza una solida accoglienza. Le motivazioni? Molte.
Lo Start, l’ingresso nel Wto, la manifesta incapacità del soggetto a guidare la Russia, l’aggressività, anche corruttiva (Eltsin docet) dell’Occidente, il “liberalismo” assorbito durante la permanenza a Gazprom con Andrey Miller, un ebreo tedesco.
Insomma, Medvedev come un bidone di vodka nelle stanze del Cremlino, anche se più presentabile di Eltsin.
Il 25 febbraio 2011 la Alvand e la Kharg arrivano a Latakia, Al Jazeera e Al Arabya cominceranno a lanciare i primi flash di disordini a Dara’a, in Siria, a un tiro di sputo dal confine con la Giordania, il 17 marzo.
Il mukhabarat di Abdallah, meglio conosciuto come “re caccola” inizierà a far muovere sul terreno di confine con la Siria gruppi armati di tagliagole e mercenari finanziati dai Saud.
Il 18 marzo arriveranno le prime notizie di una “rivolta popolare” nel sud della Siria,
A fine mese Abdallah durante una manifestazione pubblica riceverà la prima, inaspettata scarica di scarpe e pietre da giordani e palestinesi.
Nel Kurdistan Cia e Mossad recluteranno “volontari” da spostare sul confine est della Siria appoggiandosi alla logistica delle basi Usa in Iraq.
Damasco risponderà con la chiusura degli attraversamenti e il controllo delle linee di confine inviando blindati e unità scelte della Guardia Repubblicana a sud e a nord est di Damasco.
I tagliagole e i mercenari reclutati dai petrodollari wahabiti troveranno l’appoggio di qualche gruppo di opposizione locale. Qualche centinaio di miliziani. Mentre le principali città della Siria, Damasco in testa, saranno percorse da gigantesche manifestazioni di appoggio popolare a Bashar al Assad.
L’Alvan e il Kharg a Latakia segnano la fine definitiva delle speranze occidentali di poter staccare Damasco dall’alleanza politica e militare con Teheran, di isolare Hizbollah in Libano e ridurre la contestata influenza dell’Iran al solo Golfo Persico.
La campagna di stampa di Al Jazeera e Al Arabya e degli “internauti” contro la Siria scatterà con un sincronismo perfetto, che troverà sponda in tutti i media dell’Occidente e nei governi europei di Portogallo, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia con Frattini in gran spolvero. Una campagna di stampa che sta andando avanti da mesi e segnala, a ben vedere, al di là delle intenti intimidatori e terroristici che persegue, rozzezze descrittive con accenti parossistici, un supporto visivo inesistente oltre ad una colossale confusione con inevitabili scivolamenti nell’improponibile e nel ridicolo.
di Giancarlo Chetoni
23 giugno 2011
E qui casca l’asino. Politici: inguaribili bugiardi
È stata una casualità, ma non sempre il caso è casuale. In questi giorni di referendum e di commenti post referendum ho letto, in parziale sovrapposizione, due libri che, con stili e intenti lontanissimi tra loro, trattano in sostanza dello stesso argomento. I politici e alcune inclinazioni del loro modo di essere che ci sono di fronte agli occhi tutti i giorni ma che si enfatizzano quando qualche ludo cartaceo è in atto.
I due libri in questione sono Inguaribili bugiardi di Gerardo Antelmo e Andrea Pesciarelli, con vignette di Alfio Krancic, dell’editore Gremese e E qui casca l’asino di Paola Cantù edito da Bollati Boringhieri.
Inguaribili bugiardi è un libro che, come esplicita il sottotitolo, Viaggio semiserio tra le contraddizioni dei nostri politici (e non solo), vuole stigmatizzare, in modo ironico, uno dei tratti principali dei nostri politici: l’incoerenza.
Incoerenza che si evidenzia in dichiarazioni che cambiano nel tempo in maniera costante e spesso in modo grottesco, attraverso piroette verbali che trasformano il bianco in nero e viceversa.
L’antica polemica sul garantismo a intermittenza che trasforma in forcaioli anche i più strenui sostenitori delle garanzie per l’imputato in funzione dello schieramento di appartenenza dell’indagato.
Le dichiarazioni favorevoli alle privatizzazioni che diventano all’improvviso riflusso statalista.
Le alleanze indossate come abiti stagionali da dismettere ai primi mutamenti climatici.
Smentite ai giornalisti poche ore dopo dichiarazioni roboanti.
La vita di tutti i giorni ci mette costantemente sotto gli occhi atteggiamenti di questo tipo, tanto da aver anestetizzato le nostre coscienze che il tentativo ironico del libro vorrebbe, in qualche modo, tra un sorriso e l’altro, risvegliare.
Ed è qui però che le intenzioni del libro s’inceppano. La realtà ha, di molto, superato la fantasia degli autori, entrambi giornalisti parlamentari.
I brevi profili bipartisan che sono abbozzati risultano così un poco piatti, quasi un’enumerazione delle marachelle dei vari leader, passati al settaccio e vivisezionati nelle loro dichiarazioni incoerenti.
Forse per scrivere brevi, sintetici, corrosivi, sardonici profili bisogna essere dotati di un umorismo che, francamente, mi sembra manchi ai due autori che rappresentano un repertorio documentato ma privo di vis comica, vuoi anche perché, come dicevo, i nostri politici, da per loro, fanno ridere.
E scrivere un pezzo divertente su un comico è impresa che reputo ardua.
A tratti sembra quasi che i due, abbiano preso ad esempio, nel tentativo di emularli, non riuscendovi, i pezzi giornalistici, ormai diventati un punto di riferimento, di Rizzo e Stella che, nelle pagine del Corriere della Sera, costruiscono i loro articoli con una carica barricadera (Rizzo) e con un sornione stile canzonatorio (Stella) del tutto sconosciuti a Antelmo e Pesciarelli.
Tutto il peso, quindi, della satira politica e di costume, è scaricato sulle vignette di Alfio Krancic che sono, l’unica cosa veramente pregevole. Con il consueto tratto nitido della sua matita e con l’ironia bonaria che lo contraddistingue, Krancic racconta visivamente quello che le parole non sono state capaci di esprimere.
Lontano dalle volgarità e dalla becera satira d’assalto sa dosare le caricature e le brevi frasi delle vignette strappandoci ogni volta, non grasse risate, che solitamente albergano nei recessi più cupi ed esasperati della nostra anima, ma lievi sorrisi che sono la testimonianza che la comicità delle sue vignette ha solleticato la parte del nostro cuore più sottile e meno cattiva. Sa evidentemente ridere di se stesso e così sbeffeggia, senza offesa, gli altri. Un grande per troppo tempo scarsamente valorizzato.
E qui casca l’asino è di tutt’altra natura. È un testo serio anche se scritto con leggerezza e candore, pregio sommo in un mondo accademico autoreferenziale che non sa nemmeno dove sia di casa uno stile piano, chiaro, leggibile, capace di suscitare interesse e curiosità nel lettore non specialista e agevolarlo nel suo compito.
Paola Cantù, ricercatrice nel campo della logica e della filosofia della matematica presso l’Universitè de Provence di Marsiglia, si pone un intento scientifico, anch’esso dichiarato dal sottotitolo Errori di ragionamento nel dibattito pubblico.
Selezionando discorsi di politici, articoli di giornalisti, brani di libri di autori noti, la ricercatrice fa affiorare tutte le cosiddette fallacie in cui incappano non solo i politici ma anche i giornalisti, gli scrittori e gli uomini pubblici.
Le fallacie, ci spiega, sono quelle parti del ragionamento che sono false, o meglio servono nel dibattito pubblico per prevalere sull’avversario con espedienti, piuttosto che con la forza del ragionamento.
Non sempre, anche se io penso che non sia così, le fallacie sono utilizzate a bella posta o in modo truffaldino, talvolta vengono introdotte inconsapevolmente o in modo del tutto ingenuo. Resta il fatto che di fallacie si tratta.
Esistono però delle regole precise dell’argomentare che partono da un assunto “Le regole dell’argomentazione sono come scale: servono per andare da qualche parte. Alcune sono fragili e poco stabili: provate a salirci, e rischiate di trovarvi per terra. Altre sono ben fatte, solide e sicure, però provate a collocarle su un terreno incerto e fangoso, e di nuovo cercando di salire vi ritrovate per terra”.
Quello che appare certo è che la combinazione buone scale su solide basi non sembra molto frequente.
È da qui che parte la rassegna, davvero cospicua, di esempi che costituiscono il percorso logico che ci mette di fronte ad un vero e proprio ginepraio di fallacie.
Alcune sono evidenti, e anche se giudicate erronee dalla teoria sono una prassi comune, come ad esempio quella che viene chiamata fallacia d’autorità che consiste nel difendere una certa tesi sulla base del fatto che l’ha detta qualcuno di autorevole e potente.
Altre, come tutte le incongruenze logiche, più difficili da scovare e rilevabili solo dopo attenta lettura, cosa non semplice nell’istantaneo che costituisce solitamente l’orizzonte temporale del dibattito politico.
Tra gli esempi, costruiti per capitoli, più evocativi cito: Fallace Fallaci… La rabbia e l’orgoglio di Oriana in cui è evidenziata la ridda d’incongruenze che rendono il testo assolutamente improponibile da un punto di vista logico, La vera storia italiana. Il rotocalco elettorale di Silvio Berlusconi che fa le pulci al primo programma elettorale di Forza Italia e che ne rileva, da un lato la capacità comunicativa, dall’altro l’inconsistenza argomentativa e Morire di satira. Le invettive di Beppe Grillo e i proiettili del TG2, tanto per ricordarci che di fallacie può morire anche la satira che spesso si presenta come altro dalla politica che prende in giro.
Lo scopo della Cantù non è tanto quello, facile, di mostrare i politici e i potenti in mutande, prendendone le distanze, ma quanto quello di porre l’attenzione, come dovremmo fare tutti noi, su ciò che viene detto e come, per essere più sensibili e partecipativi. Per pretendere da parte dei leader un argomentare più serio, più calibrato, più rispettoso.
Perché se una cosa viene detta bene e ha basi solide di ragionamento, con molta probabilità, verrà anche fatta bene.
Quest’analisi poi non vuole essere autoassolutoria, vuole invece stimolare ognuno di noi per migliorarci, visto che tutti sono chiamati ad argomentare o a sostenere qualche tesi nel corso della loro vita.
Insomma una ricerca approfondita, seria, scritta bene, forse un po’ ingenua, visto che probabilmente non può bastare il pretendere dai nostri politici correttezza logica nelle loro argomentazioni. Ma senza dubbio un primo passo verso un miglioramento generale che non può che essere auspicato.
Resta alla fine di questa lettura incrociata un senso d’inversione di significato che i due libri inducono, se messi a confronto.
Inguaribili bugiardi, che dovrebbe essere un libro semiserio, se si eccettuano le vignette di Krancic, appare noioso e ripetitivo, forse supponente nel suo moralismo strisciante.
E qui casca l’asino, che dovrebbe essere ed è un testo serio, con solide basi scientifiche e che potrebbe scoraggiare il lettore in cerca di lievità, ha una carica gioiosa, semiseria, quasi comica in certi accenti e sottolineature, e ci spinge ad un compassionevole sorriso ironico.
Certo qualcuno potrebbe obiettare che se tutto l’argomentare si riduce a regola logica, in cui è considerato un errore anche la fallacia d’accento che mette in rilievo alcune parole in una frase con un’accentuazione positiva o negativa, il dibattito caldo, teso, accalorato e vuoto, così come siamo abituati ad interpretarlo, diventerebbe un discutere privo di toni, senza accenti, senza nemmeno tutti quegli espedienti truffaldini per prevalere che ne costituiscono il sale, seppur malato e che lo rendono divertente.
E qui forse sta l’ingenuità della Cantù, credere che si possa educare a un ragionar scientifico, asettico, carico di presupposti veri da cui si deducono tesi coerenti e solide un tipo come Di Pietro, ad esempio, che ha fatto dell’incolta e fallace oratoria il suo cavallo di battaglia.
E il testo mi strappa un ultimo tardivo sorriso. Ve l’immaginate Di Pietro che, alle prese con un contraddittore che utilizza argomenti da trivio, intrinsecamente falsi, gli ribatte: “La prego, esimio collega, dall’astenersi da argomentazioni basate su evidenti incongruenze logiche. La sfido a usare argomenti non basati su evidenti fallacie, quali: anfibolia, associazioni illusorie, modus tollendo tollens capovolto, diversioni spiritose”.
Roba da sbellicarsi dalle risa.
di Mario Grossi -
22 giugno 2011
Attenti. La Grecia è vicina
Giornata disastrosa per le borse del Vecchio e del Nuovo Continente. Il minacciato declassamento da parte dell’agenzia di rating Moody’s di tre importanti istituti di credito transalpini, Bnp Paribas, Credit Agricole e Societé Generale, molto esposti sul “fronte ellenico”, ha provocato l’affondamento di tutti i titoli scambiati nelle principali piazze d’occidente.
Il vicepresidente della Bce, Vitor Constancio, ha dichiarato al proposito che la maggiore minaccia alla stabilità della zona euro è dovuta proprio alla crisi debitoria del paese balcanico. «La Grecia – ha precisato Constancio – potrebbe provocare un effetto contagio, e questo è il motivo per il quale siamo contrari a ogni sorta di default che porti al taglio del valore nominale e dei tassi d’interesse sui titoli di stato».
Anche l’euro infatti ha pesantemente risentito della montante “sindrome greca”, mentre i prezzi di ore e argento hanno subito un’impennata. La peggiore performance borsistica l’ha fatta registrare Milano, con -2,16%, ma l’economia messa peggio, naturalmente, resta quella d’Oltreionio. Atene infatti è letteralmente ridotta alla canna del gas, con i bond a due anni che, dopo l’ingenerosa raffica di downgrade effettuata da Moody’s e da Standard & Poor’s, hanno sfondato il muro del 28%. I titoli decennali invece sono schizzati a 1700 punti rispetto a quelli tedeschi.
Insomma Atene, è messa più o meno come l’Argentina d’inizio millennio e tutto fa prevedere che il paese egeo seguirà a breve le sorti della compagna di sventura sudamericana. Ad Atene infatti, proprio mentre veniva dibattuto il piano di contenimento del debito, s’è verificato un tentato assalto al palazzo del Parlamento in Piazza Syntagma.
I manifestanti, infuriati per l’ennesima manovra lacrime e sangue imposta da Papandreou, hanno caricato il muro di contenimento eretto dalla polizia a difesa dell’istituzione, provocando la dura reazione delle forze dell’ordine. Il bilancio della giornata di scontri è stato di dodici feriti e quaranta arresti, e per un pelo non c’è scappato il morto. Non era la prima volta che le vie della capitale ellenica diventavano teatro d’incidenti e barricate, ma questa volta la cosa si è fatta molto seria, tanto che il primo ministro, George Papandreou, ha annunciato un rimpasto con successivo voto di fiducia. In altre parole, il leader socialista, incalzato dalla piazza, ha dato il via alla formazione di un governo di “larghe intese”. Un esecutivo di unità nazionale aperto anche al contributo delle forze d’opposizione, insomma. Il tutto finalizzato ad affrontare la gravissima crisi economico sociale in cui versa il paese.
La condizione base per la formazione del nuovo gabinetto è consistita nell’adozione di programmi e obbiettivi ben delineati. Tradotto dal politichese voleva dire appoggio incondizionato al piano di austerità imposto dall’Ue e dall’Fmi. Ma i mercati rimangono scettici, e la situazione per Zorba si fa sempre più delicata, come del resto già evidenziato dalla stessa Bce, che ha sottolineato come le difficoltà per il programma di ristrutturazione del debito olimpico “sono molto cresciute” rispetto a sei mesi fa.
Difficoltà esacerbate dal forte attrito sorto tra la posizione della Merkel, che preme per un consolidamento, quella della Bce, decisamente contraria a tale ipotesi, e quella di Moody’s e Standard & Poor’s che non si sa bene cosa vogliono di preciso ma che intendono comunque guadagnarci. Recentemente il ministro delle finanze tedesco, Schauble, ha dichiarato che l’Eurogruppo prenderà una decisione definitiva nel vertice programmato per il prossimo 20 giugno: «Bisogna aver pazienza fino ad allora».
Insomma, mentre i mercati continentali vacillano, la Grecia affonda nella palta e i timori sul debito sovrano dell’area Euro aumentano di giorno in giorno, Germania e Bce si accapigliano come due vecchie comari. Il risultato è stata l’improvvisa impennata delle scommesse degli speculatori internazionali sul crac ellenico. Il primo default di Eurolandia, insomma, si profila minaccioso all’orizzonte. La cosa che più inquieta è che non sarà neppure l’ultimo.
di Angelo Spaziano
24 giugno 2011
Cia e Mossad: prima la campagna mediatica poi la guerra
Una delle gazzette-internet, a cui non ci va di fare propaganda, legata all’intelligence di Usa e “Israele” ne anticiperà la destinazione finale il giorno 16 aprendo così : “… l’accordo passato sotto silenzio in Europa è di quelli che cambiano la geopolitica del Mediterraneo, perché nave dopo nave Teheran costruirà la sua prima base in Medio-Oriente. Dalla fine di febbraio Iran e Siria si impegneranno a lavorare alla costruzione di un porto di appoggio per la marina militare di Ahmadinejad. La base stando a quanto previsto avrà anche un deposito di armi che sarà gestito dalla Guardia Rivoluzionaria Pasdaran. Si partirà dall’allargamento delle strutture per poi passare all’abbassamento del fondo marino (dragaggio ndr) e all’installazione di tutta la strumentazione necessaria a trasformare la zona in area militare. In questo modo potranno presto attraccare anche i sommergibili iraniani. Teheran sarà in grado di gestire con questo accordo da nord e da est un possibile conflitto con Israele. L’Iran ora è a soli 287 km dal confine con Israele…”.
Il tono allarmato dell’ “informatore” che ha redatto l’articolo non fa altro che portare allo scoperto, l’urgente necessità di Cia e Mossad di accendere la miccia per il “fuoco alle polveri” di una campagna di stampa “internazionale” contro il presidente Bashar al Assad.
Obama, dal canto suo, minaccerà le prime sanzioni unilaterali contro la Siria già da gennaio e le applicherà a marzo, dopo aver dichiarato, dalla Casa Bianca, che Damasco rappresenta una minaccia di straordinaria gravità per gli interessi degli Stati Uniti.
Naturalmente la responsabilità dell’approdo delle navi militari iraniane a Latakia sarà scaricato anche sull’Egitto del dopo Mubarak e su Hamas che per celebrare l’avvenimento - si sosterrà in un numero successivo - il 24 febbraio sparerà una grandinata di razzi sul Negev.
Si farà in tempo a ricordare, sul web, che il porto siriano è a una distanza di soli 72 km da quello di Tartus dove è in costruzione una base di appoggio navale per Mosca e dare allarmato risalto anche all’acquisto da parte di Damasco di 76 missili antinave Yakhont con un raggio operativo di 300 km capaci di forare la più sofistica difesa navale Usa (Aegis ndr) e di creare il vuoto anche sulle rotte delle unità navali militari e commerciali di “Israele”.
Notizia corrispondente a verità ma che omette di rivelare i retroscena dell’acquisto siriano.
Una cessione autorizzata con molti mal di pancia da Medvedev.
L’Iran, dal canto suo, ha elaborato un missile balistico per impiego navale il “Khalije Fars” altrettanto veloce (mach 3) ed accurato nella fase finale di volo, con eguale portata in miglia marine ma con un potere di distruzione a bersaglio 3 volte superiore a quello fornito dalla Russia a Damasco dopo un lungo tira e molla che ha visto prevalere l’apparato industriale e militare che sostiene il premier Putin sulla “melina-niet” di Medvedev.
Una tecnologia che inevitabilmente finirà per arrivare nelle mani delle forze armate della Siria.
La testata bellica del “Khalije Fars” è di 650 kg contro i 220-230 kg delloYakhont.
Insomma nelle stanze del Cremlino si mastica amaro, da una parte contro il “kombinat” e quello che in Occidente viene sprezzatamene definito il “clan dei siloviki” e dall’altra per i crescenti successi militari dell’ Iran.
La Siria sta gettando le basi di un sonoro rafforzamento della sua deterrenza. Il Paese di Bashar al Assad acquisisce la capacità di prendere decisioni politiche più confacenti alla sua strategia militare nel Vicino Oriente.
La pluridecennale collaborazione militare tra i due Paesi che ha continuato a funzionare alla perfezione con la presidenza Putin manifesterà i primi inciampi con l’ex di Gazprom nel 2009 dopo il rifiuto del Cremlino di consegnare alla Siria l’Iskander B.
Un missile terra-terra estremamente avanzato capace di colpire con un cep di 5-10 metri qualunque obbiettivo militare in “Israele” oltre che di superare ogni contromisura elettronica per l’intercettazione in volo con un carico bellico di 1.000 kg .
Un’arma - secondo l’allora governo Olmert - sufficiente a modificare in profondità gli equilibri militari nel Vicino e Medio Oriente. Cosa non lontana dal vero se fosse stato fornito da Mosca a Damasco in quantità numeriche adeguate.
L’Iran, legato da un patto militare con la Siria, ha costruito alla periferia di Hama e Dayr az Zawr due fabbriche che sfornano ogni anno decine di missili balistici M 600, su piattaforme mobili, capaci di colpire con una portata di 280-300 km e con ottima precisione a bersaglio dalla Giudea al Negev, tecnologicamente modellati sul “Fatah 110” con una carica bellica di 0.5 tonnellate.
Gli esperti militari indipendenti indicano la messa in campo annuale di 70-80 M 600. Insomma, se attaccata la Siria potrebbe portare, per la prima volta dal ’67, la guerra ben dentro il territorio nemico, a casa dell’aggressore. Dal canto suo l’Iran non farà niente per nascondere l’irritazione nata dalla decisione del Cremlino di vedersi negato il sistema di difesa aerea S 300 pm1- pm 2 che avrebbe permesso a Teheran di dormire sonni tranquilli anche in caso di un massiccio e protratto attacco aereonavale Usa e di ridicolizzare le ricorrenti minacce israeliane.
Decisione presa da Medvedev e che costerà alla Russia oltre 500 milioni di dollari di penali, in sede giudiziale internazionale, per omesso rispetto di un accordo commerciale sottoscritto in aggiunta alla perdita per mancate forniture militari per altri 850 milioni di dollari all’industria Npo Almaz e al kombinat Rosoboronoexport.
Le frizioni con Teheran arriveranno a impedire il sorvolo dell’Ilyuschin di Medvedev dello spazio aereo dell’Iran.
Il rallentamento nei lavori di ultimazione della centrale atomica di Bushekr, i problemi di avviamento dell’impianto da parte di Rosatom saranno interpretati da Teheran come facenti parte di un piano della presidenza pro-tempore di Mosca intenzionalmente diretto a rallentare il programma nucleare dell’Iran per le continue pressioni di Usa, Israele e cosiddetta “comunità internazionale”.
Pressioni che a Mosca, sotto la presidenza Medvedev, trovano con frequenza una solida accoglienza. Le motivazioni? Molte.
Lo Start, l’ingresso nel Wto, la manifesta incapacità del soggetto a guidare la Russia, l’aggressività, anche corruttiva (Eltsin docet) dell’Occidente, il “liberalismo” assorbito durante la permanenza a Gazprom con Andrey Miller, un ebreo tedesco.
Insomma, Medvedev come un bidone di vodka nelle stanze del Cremlino, anche se più presentabile di Eltsin.
Il 25 febbraio 2011 la Alvand e la Kharg arrivano a Latakia, Al Jazeera e Al Arabya cominceranno a lanciare i primi flash di disordini a Dara’a, in Siria, a un tiro di sputo dal confine con la Giordania, il 17 marzo.
Il mukhabarat di Abdallah, meglio conosciuto come “re caccola” inizierà a far muovere sul terreno di confine con la Siria gruppi armati di tagliagole e mercenari finanziati dai Saud.
Il 18 marzo arriveranno le prime notizie di una “rivolta popolare” nel sud della Siria,
A fine mese Abdallah durante una manifestazione pubblica riceverà la prima, inaspettata scarica di scarpe e pietre da giordani e palestinesi.
Nel Kurdistan Cia e Mossad recluteranno “volontari” da spostare sul confine est della Siria appoggiandosi alla logistica delle basi Usa in Iraq.
Damasco risponderà con la chiusura degli attraversamenti e il controllo delle linee di confine inviando blindati e unità scelte della Guardia Repubblicana a sud e a nord est di Damasco.
I tagliagole e i mercenari reclutati dai petrodollari wahabiti troveranno l’appoggio di qualche gruppo di opposizione locale. Qualche centinaio di miliziani. Mentre le principali città della Siria, Damasco in testa, saranno percorse da gigantesche manifestazioni di appoggio popolare a Bashar al Assad.
L’Alvan e il Kharg a Latakia segnano la fine definitiva delle speranze occidentali di poter staccare Damasco dall’alleanza politica e militare con Teheran, di isolare Hizbollah in Libano e ridurre la contestata influenza dell’Iran al solo Golfo Persico.
La campagna di stampa di Al Jazeera e Al Arabya e degli “internauti” contro la Siria scatterà con un sincronismo perfetto, che troverà sponda in tutti i media dell’Occidente e nei governi europei di Portogallo, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia con Frattini in gran spolvero. Una campagna di stampa che sta andando avanti da mesi e segnala, a ben vedere, al di là delle intenti intimidatori e terroristici che persegue, rozzezze descrittive con accenti parossistici, un supporto visivo inesistente oltre ad una colossale confusione con inevitabili scivolamenti nell’improponibile e nel ridicolo.
di Giancarlo Chetoni
23 giugno 2011
E qui casca l’asino. Politici: inguaribili bugiardi
È stata una casualità, ma non sempre il caso è casuale. In questi giorni di referendum e di commenti post referendum ho letto, in parziale sovrapposizione, due libri che, con stili e intenti lontanissimi tra loro, trattano in sostanza dello stesso argomento. I politici e alcune inclinazioni del loro modo di essere che ci sono di fronte agli occhi tutti i giorni ma che si enfatizzano quando qualche ludo cartaceo è in atto.
I due libri in questione sono Inguaribili bugiardi di Gerardo Antelmo e Andrea Pesciarelli, con vignette di Alfio Krancic, dell’editore Gremese e E qui casca l’asino di Paola Cantù edito da Bollati Boringhieri.
Inguaribili bugiardi è un libro che, come esplicita il sottotitolo, Viaggio semiserio tra le contraddizioni dei nostri politici (e non solo), vuole stigmatizzare, in modo ironico, uno dei tratti principali dei nostri politici: l’incoerenza.
Incoerenza che si evidenzia in dichiarazioni che cambiano nel tempo in maniera costante e spesso in modo grottesco, attraverso piroette verbali che trasformano il bianco in nero e viceversa.
L’antica polemica sul garantismo a intermittenza che trasforma in forcaioli anche i più strenui sostenitori delle garanzie per l’imputato in funzione dello schieramento di appartenenza dell’indagato.
Le dichiarazioni favorevoli alle privatizzazioni che diventano all’improvviso riflusso statalista.
Le alleanze indossate come abiti stagionali da dismettere ai primi mutamenti climatici.
Smentite ai giornalisti poche ore dopo dichiarazioni roboanti.
La vita di tutti i giorni ci mette costantemente sotto gli occhi atteggiamenti di questo tipo, tanto da aver anestetizzato le nostre coscienze che il tentativo ironico del libro vorrebbe, in qualche modo, tra un sorriso e l’altro, risvegliare.
Ed è qui però che le intenzioni del libro s’inceppano. La realtà ha, di molto, superato la fantasia degli autori, entrambi giornalisti parlamentari.
I brevi profili bipartisan che sono abbozzati risultano così un poco piatti, quasi un’enumerazione delle marachelle dei vari leader, passati al settaccio e vivisezionati nelle loro dichiarazioni incoerenti.
Forse per scrivere brevi, sintetici, corrosivi, sardonici profili bisogna essere dotati di un umorismo che, francamente, mi sembra manchi ai due autori che rappresentano un repertorio documentato ma privo di vis comica, vuoi anche perché, come dicevo, i nostri politici, da per loro, fanno ridere.
E scrivere un pezzo divertente su un comico è impresa che reputo ardua.
A tratti sembra quasi che i due, abbiano preso ad esempio, nel tentativo di emularli, non riuscendovi, i pezzi giornalistici, ormai diventati un punto di riferimento, di Rizzo e Stella che, nelle pagine del Corriere della Sera, costruiscono i loro articoli con una carica barricadera (Rizzo) e con un sornione stile canzonatorio (Stella) del tutto sconosciuti a Antelmo e Pesciarelli.
Tutto il peso, quindi, della satira politica e di costume, è scaricato sulle vignette di Alfio Krancic che sono, l’unica cosa veramente pregevole. Con il consueto tratto nitido della sua matita e con l’ironia bonaria che lo contraddistingue, Krancic racconta visivamente quello che le parole non sono state capaci di esprimere.
Lontano dalle volgarità e dalla becera satira d’assalto sa dosare le caricature e le brevi frasi delle vignette strappandoci ogni volta, non grasse risate, che solitamente albergano nei recessi più cupi ed esasperati della nostra anima, ma lievi sorrisi che sono la testimonianza che la comicità delle sue vignette ha solleticato la parte del nostro cuore più sottile e meno cattiva. Sa evidentemente ridere di se stesso e così sbeffeggia, senza offesa, gli altri. Un grande per troppo tempo scarsamente valorizzato.
E qui casca l’asino è di tutt’altra natura. È un testo serio anche se scritto con leggerezza e candore, pregio sommo in un mondo accademico autoreferenziale che non sa nemmeno dove sia di casa uno stile piano, chiaro, leggibile, capace di suscitare interesse e curiosità nel lettore non specialista e agevolarlo nel suo compito.
Paola Cantù, ricercatrice nel campo della logica e della filosofia della matematica presso l’Universitè de Provence di Marsiglia, si pone un intento scientifico, anch’esso dichiarato dal sottotitolo Errori di ragionamento nel dibattito pubblico.
Selezionando discorsi di politici, articoli di giornalisti, brani di libri di autori noti, la ricercatrice fa affiorare tutte le cosiddette fallacie in cui incappano non solo i politici ma anche i giornalisti, gli scrittori e gli uomini pubblici.
Le fallacie, ci spiega, sono quelle parti del ragionamento che sono false, o meglio servono nel dibattito pubblico per prevalere sull’avversario con espedienti, piuttosto che con la forza del ragionamento.
Non sempre, anche se io penso che non sia così, le fallacie sono utilizzate a bella posta o in modo truffaldino, talvolta vengono introdotte inconsapevolmente o in modo del tutto ingenuo. Resta il fatto che di fallacie si tratta.
Esistono però delle regole precise dell’argomentare che partono da un assunto “Le regole dell’argomentazione sono come scale: servono per andare da qualche parte. Alcune sono fragili e poco stabili: provate a salirci, e rischiate di trovarvi per terra. Altre sono ben fatte, solide e sicure, però provate a collocarle su un terreno incerto e fangoso, e di nuovo cercando di salire vi ritrovate per terra”.
Quello che appare certo è che la combinazione buone scale su solide basi non sembra molto frequente.
È da qui che parte la rassegna, davvero cospicua, di esempi che costituiscono il percorso logico che ci mette di fronte ad un vero e proprio ginepraio di fallacie.
Alcune sono evidenti, e anche se giudicate erronee dalla teoria sono una prassi comune, come ad esempio quella che viene chiamata fallacia d’autorità che consiste nel difendere una certa tesi sulla base del fatto che l’ha detta qualcuno di autorevole e potente.
Altre, come tutte le incongruenze logiche, più difficili da scovare e rilevabili solo dopo attenta lettura, cosa non semplice nell’istantaneo che costituisce solitamente l’orizzonte temporale del dibattito politico.
Tra gli esempi, costruiti per capitoli, più evocativi cito: Fallace Fallaci… La rabbia e l’orgoglio di Oriana in cui è evidenziata la ridda d’incongruenze che rendono il testo assolutamente improponibile da un punto di vista logico, La vera storia italiana. Il rotocalco elettorale di Silvio Berlusconi che fa le pulci al primo programma elettorale di Forza Italia e che ne rileva, da un lato la capacità comunicativa, dall’altro l’inconsistenza argomentativa e Morire di satira. Le invettive di Beppe Grillo e i proiettili del TG2, tanto per ricordarci che di fallacie può morire anche la satira che spesso si presenta come altro dalla politica che prende in giro.
Lo scopo della Cantù non è tanto quello, facile, di mostrare i politici e i potenti in mutande, prendendone le distanze, ma quanto quello di porre l’attenzione, come dovremmo fare tutti noi, su ciò che viene detto e come, per essere più sensibili e partecipativi. Per pretendere da parte dei leader un argomentare più serio, più calibrato, più rispettoso.
Perché se una cosa viene detta bene e ha basi solide di ragionamento, con molta probabilità, verrà anche fatta bene.
Quest’analisi poi non vuole essere autoassolutoria, vuole invece stimolare ognuno di noi per migliorarci, visto che tutti sono chiamati ad argomentare o a sostenere qualche tesi nel corso della loro vita.
Insomma una ricerca approfondita, seria, scritta bene, forse un po’ ingenua, visto che probabilmente non può bastare il pretendere dai nostri politici correttezza logica nelle loro argomentazioni. Ma senza dubbio un primo passo verso un miglioramento generale che non può che essere auspicato.
Resta alla fine di questa lettura incrociata un senso d’inversione di significato che i due libri inducono, se messi a confronto.
Inguaribili bugiardi, che dovrebbe essere un libro semiserio, se si eccettuano le vignette di Krancic, appare noioso e ripetitivo, forse supponente nel suo moralismo strisciante.
E qui casca l’asino, che dovrebbe essere ed è un testo serio, con solide basi scientifiche e che potrebbe scoraggiare il lettore in cerca di lievità, ha una carica gioiosa, semiseria, quasi comica in certi accenti e sottolineature, e ci spinge ad un compassionevole sorriso ironico.
Certo qualcuno potrebbe obiettare che se tutto l’argomentare si riduce a regola logica, in cui è considerato un errore anche la fallacia d’accento che mette in rilievo alcune parole in una frase con un’accentuazione positiva o negativa, il dibattito caldo, teso, accalorato e vuoto, così come siamo abituati ad interpretarlo, diventerebbe un discutere privo di toni, senza accenti, senza nemmeno tutti quegli espedienti truffaldini per prevalere che ne costituiscono il sale, seppur malato e che lo rendono divertente.
E qui forse sta l’ingenuità della Cantù, credere che si possa educare a un ragionar scientifico, asettico, carico di presupposti veri da cui si deducono tesi coerenti e solide un tipo come Di Pietro, ad esempio, che ha fatto dell’incolta e fallace oratoria il suo cavallo di battaglia.
E il testo mi strappa un ultimo tardivo sorriso. Ve l’immaginate Di Pietro che, alle prese con un contraddittore che utilizza argomenti da trivio, intrinsecamente falsi, gli ribatte: “La prego, esimio collega, dall’astenersi da argomentazioni basate su evidenti incongruenze logiche. La sfido a usare argomenti non basati su evidenti fallacie, quali: anfibolia, associazioni illusorie, modus tollendo tollens capovolto, diversioni spiritose”.
Roba da sbellicarsi dalle risa.
di Mario Grossi -
22 giugno 2011
Attenti. La Grecia è vicina
Giornata disastrosa per le borse del Vecchio e del Nuovo Continente. Il minacciato declassamento da parte dell’agenzia di rating Moody’s di tre importanti istituti di credito transalpini, Bnp Paribas, Credit Agricole e Societé Generale, molto esposti sul “fronte ellenico”, ha provocato l’affondamento di tutti i titoli scambiati nelle principali piazze d’occidente.
Il vicepresidente della Bce, Vitor Constancio, ha dichiarato al proposito che la maggiore minaccia alla stabilità della zona euro è dovuta proprio alla crisi debitoria del paese balcanico. «La Grecia – ha precisato Constancio – potrebbe provocare un effetto contagio, e questo è il motivo per il quale siamo contrari a ogni sorta di default che porti al taglio del valore nominale e dei tassi d’interesse sui titoli di stato».
Anche l’euro infatti ha pesantemente risentito della montante “sindrome greca”, mentre i prezzi di ore e argento hanno subito un’impennata. La peggiore performance borsistica l’ha fatta registrare Milano, con -2,16%, ma l’economia messa peggio, naturalmente, resta quella d’Oltreionio. Atene infatti è letteralmente ridotta alla canna del gas, con i bond a due anni che, dopo l’ingenerosa raffica di downgrade effettuata da Moody’s e da Standard & Poor’s, hanno sfondato il muro del 28%. I titoli decennali invece sono schizzati a 1700 punti rispetto a quelli tedeschi.
Insomma Atene, è messa più o meno come l’Argentina d’inizio millennio e tutto fa prevedere che il paese egeo seguirà a breve le sorti della compagna di sventura sudamericana. Ad Atene infatti, proprio mentre veniva dibattuto il piano di contenimento del debito, s’è verificato un tentato assalto al palazzo del Parlamento in Piazza Syntagma.
I manifestanti, infuriati per l’ennesima manovra lacrime e sangue imposta da Papandreou, hanno caricato il muro di contenimento eretto dalla polizia a difesa dell’istituzione, provocando la dura reazione delle forze dell’ordine. Il bilancio della giornata di scontri è stato di dodici feriti e quaranta arresti, e per un pelo non c’è scappato il morto. Non era la prima volta che le vie della capitale ellenica diventavano teatro d’incidenti e barricate, ma questa volta la cosa si è fatta molto seria, tanto che il primo ministro, George Papandreou, ha annunciato un rimpasto con successivo voto di fiducia. In altre parole, il leader socialista, incalzato dalla piazza, ha dato il via alla formazione di un governo di “larghe intese”. Un esecutivo di unità nazionale aperto anche al contributo delle forze d’opposizione, insomma. Il tutto finalizzato ad affrontare la gravissima crisi economico sociale in cui versa il paese.
La condizione base per la formazione del nuovo gabinetto è consistita nell’adozione di programmi e obbiettivi ben delineati. Tradotto dal politichese voleva dire appoggio incondizionato al piano di austerità imposto dall’Ue e dall’Fmi. Ma i mercati rimangono scettici, e la situazione per Zorba si fa sempre più delicata, come del resto già evidenziato dalla stessa Bce, che ha sottolineato come le difficoltà per il programma di ristrutturazione del debito olimpico “sono molto cresciute” rispetto a sei mesi fa.
Difficoltà esacerbate dal forte attrito sorto tra la posizione della Merkel, che preme per un consolidamento, quella della Bce, decisamente contraria a tale ipotesi, e quella di Moody’s e Standard & Poor’s che non si sa bene cosa vogliono di preciso ma che intendono comunque guadagnarci. Recentemente il ministro delle finanze tedesco, Schauble, ha dichiarato che l’Eurogruppo prenderà una decisione definitiva nel vertice programmato per il prossimo 20 giugno: «Bisogna aver pazienza fino ad allora».
Insomma, mentre i mercati continentali vacillano, la Grecia affonda nella palta e i timori sul debito sovrano dell’area Euro aumentano di giorno in giorno, Germania e Bce si accapigliano come due vecchie comari. Il risultato è stata l’improvvisa impennata delle scommesse degli speculatori internazionali sul crac ellenico. Il primo default di Eurolandia, insomma, si profila minaccioso all’orizzonte. La cosa che più inquieta è che non sarà neppure l’ultimo.
di Angelo Spaziano