12 luglio 2011

L’autorità in declino




Può svilupparsi una società senza padri, senza maestri, senza figure d’autorità, senza miti condivisi?
Viene da chiederselo dopo aver letto lo studio “I miti che non funzionano più”, firmata dal Censis, istituzione invece ottimamente funzionante nello studio della società italiana.
Il suo responsabile per le Politiche sociali, Francesco Maietta, è netto: “L’eccesso di individualismo e di libertà (…) ha infranto le figure simbolo dell’autorità: il padre, l’insegnante, il sacerdote”.
Potremmo aggiungercene, a dire il vero, tante altre: i politici, gli operatori della giustizia, i bigliettai, chiunque insomma si trovi a ricordare una norma, da cui consegue un comportamento. Tutti costoro faticano oggi a svolgere il proprio lavoro.
La negazione dell’autorità, non è però sorretta (come in passato) da una visione del futuro, da un “mito” che suggerisca di disobbedire all’autorità in nome di qualcosa di giusto e migliore, che si realizzerà più in là. Nulla del genere è in corso.
Come osserva il rapporto, anche i miti trainanti che hanno indebolito le figure simbolo dell’autorità, mobilitano sempre meno gli italiani: cala la spinta ai consumi, la nascita di imprese individuali, la fiducia in un benessere continuo. L’individuo che avversa l’autorità non sembra credere che ciò renderà la sua vita più prospera.
In questo quadro di disincanto, ha perso fascino anche il mito del “mai sotto padrone”. È diminuito il numero degli imprenditori, così come quello dei lavoratori autonomi. Sotto padrone dunque, ma anche senza illusioni e con poche aspettative.
L’indebolimento del “soggetto” che non intraprende e non spera, cresce assieme a quello del padre, non più ritenuto dal 39% degli italiani rappresentante delle regole e del senso del limite nelle famiglie e nel rapporto con i figli.
I disincantati dal padre salgono al 45% tra i laureati, anziani e residenti nelle grandi città. Il padre è però più presente nella vita con i figli, nella cura dei bambini.
I giovani padri dedicano ai figli almeno un’ora e 24 minuti al giorno, rispetto ai 15 minuti appena dedicati ai figli dal 42% dei padri di venti anni fa. Questo tempo è però riservato soprattutto al gioco. D’altra parte i bimbi apprendono molto dal gioco: anch’esso ha le sue regole, da imparare se si vuole anche vincere.
Gli insegnanti non sono messi meglio. Delusi e scoraggiati, sono convinti per più dell’82% che gli obiettivi della scuola non vengono realizzati, a cominciare dal primo di essi: l’educazione ai valori e alle regole della convivenza civile.
La maggioranza dei docenti considera gli alunni “maestri” nell’arte di arrangiarsi, con scarso senso civico, e pressappochisti. Inoltre il rapporto con le famiglie è sempre più conflittuale: l’autorità dei maestri non è affatto riconosciuta, e la rivolta dilaga, coinvolgendo Tribunali e stampa.
Indebolita è anche l’autorità dei sacerdoti e della dottrina morale della Chiesa. Ma proprio da loro, come anche dai “nuovi padri”, che oggi giocano coi loro bambini, nasce la nuova indicazione (che il Censis fa propria) dell’orizzontalità.
Se le gerarchie verticali non funzionano più, si propone di muoverci verso relazioni “orizzontali”, di servizio. I preti oggi contano non per le omelie, ma per la loro assistenza ai malati del quartiere, e in quanto presidio sociale nella comunità.
L’autorità (per ora il padre, il prete) scende insomma dal piedistallo e si fa servizio.
Provvedere ai bisogni (mettendo tra parentesi norme e sacrifici), basterà a reggere lo sviluppo di una società incalzata da una concorrenza globale? Speriamo, e vedremo.

di Claudio Risé

10 luglio 2011

Arrestare gli speculatori finanziari killer?

Ti insegno un bel gioco. Ti fai prestare un miliardo di dollari da un tuo amico, senza garanzie, poi fai dire a un altro tuo amico che il Portogallo è morto. Lui lo dice, le obbligazioni portoghesi crollano in Borsa e tu avevi scommesso il miliardo di dollari che le azioni crollavano. Li chiamano derivati. Derivati un cazzo! Hai guadagnato un miliardo secco in un giorno solo facendo sudare un po’ il tuo computer, che è un bene sennò gli viene la pancetta.

Michael Moore ha cercato di arrestare i dirigenti delle maggiori banche e istituzioni finanziarie Usa. La legge Usa consente veramente a un cittadino di arrestare un criminale se lo coglie sul fatto. E Moore ha tentato veramente di arrestare i boss dei peggiori trust di malvagi speculatori… Nel suo ultimo film, Capitalismo, una storia d’amore, lo vediamo circondare i palazzi della finanza con un nastro di quelli usati dalla polizia americana, con su scritto “luogo del crimine”.
La storia è molto semplice, a partire dagli anni ’80, una lobby di speculatori finanziari si è comprata un treno di politici e ha ottenuto la cancellazione di buona parte dei sistemi di controllo che ponevano un limite alle speculazioni. Finalmente libera dai controlli, la lobby degli speculatori ha creato delle cose chiamate “prodotti finanziari innovativi” e li ha venduti alle vecchiette. Una truffa colossale, il più grande bottino della storia del mondo. I brooker finanziari al bar, tra di loro, chiamavano “spazzatura” la roba che vendevano ai gonzi. Li vendevano alle famiglie americane e poi ridevano.

C’è un po’ di gente che a questo punto si è chiesta: ma se Tizio sa che la Grecia è sull’orlo del fallimento, aiuta il governo a falsificare i bilanci ordendo un complotto alimentato a mazzette, e poi presta alla Grecia dei soldi e poi questo Tizio convince il governo greco a spendere i soldi che gli ha appena prestato non per sanare l’economia ma per comprare i cacciabombardieri che lo stesso Tizio produce allora possiamo dire che Tizio è uno stronzo? In subordine una domanda cruciale: esiste la possibilità per il popolo greco di considerare questo prestito una truffa, un crimine e non pagare Tizio perché è uno sporco speculatore corruttore e anzi chiedergli i danni morali e materiali e espropriare tutte le sue proprietà? Come racconta il film Debtocracy.

I precedenti legali ci sono. Quando Bush conquistò l’Iraq decise che il nuovo Stato, controllato dagli Usa non avrebbe pagato i debiti di Saddam e quindi il debito del nuovo Iraq fu abbattuto dell’80% e tutte le proprietà personali di Saddam furono espropriate.
Lo stesso face l’Ecuador, dimostrando con una commissione d’inchiesta che lavorò per mesi, che il debito dello Stato derivava dalla corruzione e dalle falsificazioni orchestrate da alcune lobby finanziarie che avevano appoggiato governi corrotti e incapaci per trarne vantaggio.

Vi ricorda qualche cosa? Ma come si fa?
Allora, mettiamo che Vauro diventa presidente del Consiglio e Celentano ministro delle finanze.
Non credo che potremmo fare come l’Ecuador.
La situazione in Ecuador era esplosa. In Italia il sistema ancora, stranamente, regge.

Credo che dovremo fare invece i conti con il reale potere delle lobby. E’ la storia dell’allearsi con il nemico secondario per far fuori il nemico principale. Hai presente il libro cinese “L’arte della guerra?”.
Sto addirittura parlando di strategia…
Proprio perché la situazione italiana è un casino tocca essere strategici.
Se ci impegniamo veramente possiamo realisticamente ottenere una cosa molto utile entro un anno: una grande alleanza civile con le persone di buon senso per una razionalizzazione del sistema.
Tagli veri ai privilegi della Casta, basta burocrazia schizofrenica, efficienza energetica e amministrativa, basta sprechi, una giustizia che funziona.
Si potrebbe costruire un programma perfetto proponendo solo le 50 ottime leggi che giacciono da anni in parlamento bloccate dalla Casta.
In una cosa così ci sta persino la Confindustria che deve fare i conti con migliaia di imprese che stanno fallendo.

I vampiri finanziari non hanno limiti. Vogliono un’ecatombe e la macelleria sociale. Non conviene ai lavoratori, non conviene agli imprenditori, non conviene al popolo!
E quando abbiamo fatto il lifting all’Italia, e abbiamo sbloccato la giustizia e ripristinato i servizi sociali e consolidato con i risultati (finalmente) il sostegno popolare a questa Mutazione del Sistema! possiamo andare dagli speculatori e dire: “Adesso ci ridate indietro i soldi”.
Ma solo un governo che ha saputo riconquistare la fiducia degli italiani può fare un passo simile e non essere pugnalato dal Mastella di turno.
Sarà dura ma non c’è un piano B.
di Jacopo Fo

09 luglio 2011

Le province degli ipocriti




Sibari, che chiede di diventare capoluogo vantandosi di produrre «l' agrume migliore del mondo, le clementine», può tornare a sperare. E così Breno, 5.014 abitanti, capitale dei Camuni e della Valcamonica. E con loro Cassino e Guidonia, Busto Arsizio e Nola, Pinerolo e Melfi e tutte le altre aspiranti metropoli che sognano di avere finalmente lo status: cos' hanno meno di Tortolì e Lanusei, che capoluoghi già sono? La bocciatura alla Camera della proposta di legge costituzionale per sopprimere le Province è il via libera ai cattivi pensieri e alle piccole megalomanie coltivate dai notabili locali. E a un nuovo incremento di quegli enti che già un secolo fa l' allora sindaco di Milano Emilio Caldara bollava come «buoni solo per i manicomi e per le strade», ma che da 59 che erano nel 1861 (il criterio era semplice: ciascuna doveva poter essere attraversata in una giornata di cavallo) sono via via saliti a 110. Garantendo oggi 40 poltrone presidenziali al Pd, 36 al Pdl, 13 alla Lega, 5 all' Udc, 2 a Mpa e Margherita e così via. Dicono oggi quanti hanno votato contro la proposta dipietrista (leghisti e pidiellini, con molte dissociazioni) o l' hanno affossata astenendosi (i democratici, nonostante i «malpancisti») che non si possono affrontare questi temi con l' accetta, che occorre riflettere sui vuoti che si creerebbero, che è necessario stare alla larga dalle «tirate demagogiche» e così via... Insomma: pazienza. Tutti argomenti seri se questi pensosi statisti non li avessero già svuotati in decennali bla-bla. Soppresse già alla Costituente dalla Commissione dei 75, ma resuscitate dall' Assemblea in attesa delle Regioni, le Province avevano quella data di scadenza: il 1970. Ma quando le Regioni arrivarono, Ugo La Malfa invocò inutilmente la soppressione dei «doppioni»: il Parlamento decise di aspettare il consolidamento dei nuovi enti. Campa cavallo... Quarant' anni dopo, non c' è occasione in cui il problema non sia affrontato con il rinvio a un «ridisegno complessivo», a una «riscrittura delle competenze», a una «grande riforma» che tenga dentro tutto. Basti rileggere quanto decise la Camera il 12 ottobre 2009 quando finalmente, per la cocciutaggine di Massimo Donadi e dell' Italia dei Valori, l' abolizione delle Province, sventolata in campagna elettorale da Silvio Berlusconi e, sia pure con accenti diversi, da Walter Veltroni, arrivò finalmente in Aula. La delibera di Montecitorio diceva che la riforma degli enti locali era «urgente e necessaria al fine di rimuovere la giungla amministrativa e di ridurre i costi della politica», denunciava la «proliferazione di innumerevoli enti» e «un intreccio inestricabile di funzioni che genera inefficienza e rende difficile la decisione amministrativa» e rinviava tutto al sorgere del mitico sole dell' avvenire berlusconian-federalista. E cioè alla «imminente presentazione di un disegno di legge recante la Carta delle autonomie locali». Da allora sono passati, inutilmente, altri due lunghi anni e mentre la crisi azzannava i cittadini, gli artigiani, le piccole e grandi imprese causando crolli apocalittici, disperazione e suicidi, i palazzi del potere davano qui una sforbiciatina del tre per cento, lì del tre per mille. E quelle epocali riforme che dovevano ridisegnare tutto per restituire al Paese la forza, l' efficienza, la stima in un classe dirigente credibile, tutte cose necessarie per affrontare questi tempi bui, dove sono? Sempre lì torniamo: taglia taglia, hanno tagliato i tagli.
di Stella Gian Antonio

12 luglio 2011

L’autorità in declino




Può svilupparsi una società senza padri, senza maestri, senza figure d’autorità, senza miti condivisi?
Viene da chiederselo dopo aver letto lo studio “I miti che non funzionano più”, firmata dal Censis, istituzione invece ottimamente funzionante nello studio della società italiana.
Il suo responsabile per le Politiche sociali, Francesco Maietta, è netto: “L’eccesso di individualismo e di libertà (…) ha infranto le figure simbolo dell’autorità: il padre, l’insegnante, il sacerdote”.
Potremmo aggiungercene, a dire il vero, tante altre: i politici, gli operatori della giustizia, i bigliettai, chiunque insomma si trovi a ricordare una norma, da cui consegue un comportamento. Tutti costoro faticano oggi a svolgere il proprio lavoro.
La negazione dell’autorità, non è però sorretta (come in passato) da una visione del futuro, da un “mito” che suggerisca di disobbedire all’autorità in nome di qualcosa di giusto e migliore, che si realizzerà più in là. Nulla del genere è in corso.
Come osserva il rapporto, anche i miti trainanti che hanno indebolito le figure simbolo dell’autorità, mobilitano sempre meno gli italiani: cala la spinta ai consumi, la nascita di imprese individuali, la fiducia in un benessere continuo. L’individuo che avversa l’autorità non sembra credere che ciò renderà la sua vita più prospera.
In questo quadro di disincanto, ha perso fascino anche il mito del “mai sotto padrone”. È diminuito il numero degli imprenditori, così come quello dei lavoratori autonomi. Sotto padrone dunque, ma anche senza illusioni e con poche aspettative.
L’indebolimento del “soggetto” che non intraprende e non spera, cresce assieme a quello del padre, non più ritenuto dal 39% degli italiani rappresentante delle regole e del senso del limite nelle famiglie e nel rapporto con i figli.
I disincantati dal padre salgono al 45% tra i laureati, anziani e residenti nelle grandi città. Il padre è però più presente nella vita con i figli, nella cura dei bambini.
I giovani padri dedicano ai figli almeno un’ora e 24 minuti al giorno, rispetto ai 15 minuti appena dedicati ai figli dal 42% dei padri di venti anni fa. Questo tempo è però riservato soprattutto al gioco. D’altra parte i bimbi apprendono molto dal gioco: anch’esso ha le sue regole, da imparare se si vuole anche vincere.
Gli insegnanti non sono messi meglio. Delusi e scoraggiati, sono convinti per più dell’82% che gli obiettivi della scuola non vengono realizzati, a cominciare dal primo di essi: l’educazione ai valori e alle regole della convivenza civile.
La maggioranza dei docenti considera gli alunni “maestri” nell’arte di arrangiarsi, con scarso senso civico, e pressappochisti. Inoltre il rapporto con le famiglie è sempre più conflittuale: l’autorità dei maestri non è affatto riconosciuta, e la rivolta dilaga, coinvolgendo Tribunali e stampa.
Indebolita è anche l’autorità dei sacerdoti e della dottrina morale della Chiesa. Ma proprio da loro, come anche dai “nuovi padri”, che oggi giocano coi loro bambini, nasce la nuova indicazione (che il Censis fa propria) dell’orizzontalità.
Se le gerarchie verticali non funzionano più, si propone di muoverci verso relazioni “orizzontali”, di servizio. I preti oggi contano non per le omelie, ma per la loro assistenza ai malati del quartiere, e in quanto presidio sociale nella comunità.
L’autorità (per ora il padre, il prete) scende insomma dal piedistallo e si fa servizio.
Provvedere ai bisogni (mettendo tra parentesi norme e sacrifici), basterà a reggere lo sviluppo di una società incalzata da una concorrenza globale? Speriamo, e vedremo.

di Claudio Risé

10 luglio 2011

Arrestare gli speculatori finanziari killer?

Ti insegno un bel gioco. Ti fai prestare un miliardo di dollari da un tuo amico, senza garanzie, poi fai dire a un altro tuo amico che il Portogallo è morto. Lui lo dice, le obbligazioni portoghesi crollano in Borsa e tu avevi scommesso il miliardo di dollari che le azioni crollavano. Li chiamano derivati. Derivati un cazzo! Hai guadagnato un miliardo secco in un giorno solo facendo sudare un po’ il tuo computer, che è un bene sennò gli viene la pancetta.

Michael Moore ha cercato di arrestare i dirigenti delle maggiori banche e istituzioni finanziarie Usa. La legge Usa consente veramente a un cittadino di arrestare un criminale se lo coglie sul fatto. E Moore ha tentato veramente di arrestare i boss dei peggiori trust di malvagi speculatori… Nel suo ultimo film, Capitalismo, una storia d’amore, lo vediamo circondare i palazzi della finanza con un nastro di quelli usati dalla polizia americana, con su scritto “luogo del crimine”.
La storia è molto semplice, a partire dagli anni ’80, una lobby di speculatori finanziari si è comprata un treno di politici e ha ottenuto la cancellazione di buona parte dei sistemi di controllo che ponevano un limite alle speculazioni. Finalmente libera dai controlli, la lobby degli speculatori ha creato delle cose chiamate “prodotti finanziari innovativi” e li ha venduti alle vecchiette. Una truffa colossale, il più grande bottino della storia del mondo. I brooker finanziari al bar, tra di loro, chiamavano “spazzatura” la roba che vendevano ai gonzi. Li vendevano alle famiglie americane e poi ridevano.

C’è un po’ di gente che a questo punto si è chiesta: ma se Tizio sa che la Grecia è sull’orlo del fallimento, aiuta il governo a falsificare i bilanci ordendo un complotto alimentato a mazzette, e poi presta alla Grecia dei soldi e poi questo Tizio convince il governo greco a spendere i soldi che gli ha appena prestato non per sanare l’economia ma per comprare i cacciabombardieri che lo stesso Tizio produce allora possiamo dire che Tizio è uno stronzo? In subordine una domanda cruciale: esiste la possibilità per il popolo greco di considerare questo prestito una truffa, un crimine e non pagare Tizio perché è uno sporco speculatore corruttore e anzi chiedergli i danni morali e materiali e espropriare tutte le sue proprietà? Come racconta il film Debtocracy.

I precedenti legali ci sono. Quando Bush conquistò l’Iraq decise che il nuovo Stato, controllato dagli Usa non avrebbe pagato i debiti di Saddam e quindi il debito del nuovo Iraq fu abbattuto dell’80% e tutte le proprietà personali di Saddam furono espropriate.
Lo stesso face l’Ecuador, dimostrando con una commissione d’inchiesta che lavorò per mesi, che il debito dello Stato derivava dalla corruzione e dalle falsificazioni orchestrate da alcune lobby finanziarie che avevano appoggiato governi corrotti e incapaci per trarne vantaggio.

Vi ricorda qualche cosa? Ma come si fa?
Allora, mettiamo che Vauro diventa presidente del Consiglio e Celentano ministro delle finanze.
Non credo che potremmo fare come l’Ecuador.
La situazione in Ecuador era esplosa. In Italia il sistema ancora, stranamente, regge.

Credo che dovremo fare invece i conti con il reale potere delle lobby. E’ la storia dell’allearsi con il nemico secondario per far fuori il nemico principale. Hai presente il libro cinese “L’arte della guerra?”.
Sto addirittura parlando di strategia…
Proprio perché la situazione italiana è un casino tocca essere strategici.
Se ci impegniamo veramente possiamo realisticamente ottenere una cosa molto utile entro un anno: una grande alleanza civile con le persone di buon senso per una razionalizzazione del sistema.
Tagli veri ai privilegi della Casta, basta burocrazia schizofrenica, efficienza energetica e amministrativa, basta sprechi, una giustizia che funziona.
Si potrebbe costruire un programma perfetto proponendo solo le 50 ottime leggi che giacciono da anni in parlamento bloccate dalla Casta.
In una cosa così ci sta persino la Confindustria che deve fare i conti con migliaia di imprese che stanno fallendo.

I vampiri finanziari non hanno limiti. Vogliono un’ecatombe e la macelleria sociale. Non conviene ai lavoratori, non conviene agli imprenditori, non conviene al popolo!
E quando abbiamo fatto il lifting all’Italia, e abbiamo sbloccato la giustizia e ripristinato i servizi sociali e consolidato con i risultati (finalmente) il sostegno popolare a questa Mutazione del Sistema! possiamo andare dagli speculatori e dire: “Adesso ci ridate indietro i soldi”.
Ma solo un governo che ha saputo riconquistare la fiducia degli italiani può fare un passo simile e non essere pugnalato dal Mastella di turno.
Sarà dura ma non c’è un piano B.
di Jacopo Fo

09 luglio 2011

Le province degli ipocriti




Sibari, che chiede di diventare capoluogo vantandosi di produrre «l' agrume migliore del mondo, le clementine», può tornare a sperare. E così Breno, 5.014 abitanti, capitale dei Camuni e della Valcamonica. E con loro Cassino e Guidonia, Busto Arsizio e Nola, Pinerolo e Melfi e tutte le altre aspiranti metropoli che sognano di avere finalmente lo status: cos' hanno meno di Tortolì e Lanusei, che capoluoghi già sono? La bocciatura alla Camera della proposta di legge costituzionale per sopprimere le Province è il via libera ai cattivi pensieri e alle piccole megalomanie coltivate dai notabili locali. E a un nuovo incremento di quegli enti che già un secolo fa l' allora sindaco di Milano Emilio Caldara bollava come «buoni solo per i manicomi e per le strade», ma che da 59 che erano nel 1861 (il criterio era semplice: ciascuna doveva poter essere attraversata in una giornata di cavallo) sono via via saliti a 110. Garantendo oggi 40 poltrone presidenziali al Pd, 36 al Pdl, 13 alla Lega, 5 all' Udc, 2 a Mpa e Margherita e così via. Dicono oggi quanti hanno votato contro la proposta dipietrista (leghisti e pidiellini, con molte dissociazioni) o l' hanno affossata astenendosi (i democratici, nonostante i «malpancisti») che non si possono affrontare questi temi con l' accetta, che occorre riflettere sui vuoti che si creerebbero, che è necessario stare alla larga dalle «tirate demagogiche» e così via... Insomma: pazienza. Tutti argomenti seri se questi pensosi statisti non li avessero già svuotati in decennali bla-bla. Soppresse già alla Costituente dalla Commissione dei 75, ma resuscitate dall' Assemblea in attesa delle Regioni, le Province avevano quella data di scadenza: il 1970. Ma quando le Regioni arrivarono, Ugo La Malfa invocò inutilmente la soppressione dei «doppioni»: il Parlamento decise di aspettare il consolidamento dei nuovi enti. Campa cavallo... Quarant' anni dopo, non c' è occasione in cui il problema non sia affrontato con il rinvio a un «ridisegno complessivo», a una «riscrittura delle competenze», a una «grande riforma» che tenga dentro tutto. Basti rileggere quanto decise la Camera il 12 ottobre 2009 quando finalmente, per la cocciutaggine di Massimo Donadi e dell' Italia dei Valori, l' abolizione delle Province, sventolata in campagna elettorale da Silvio Berlusconi e, sia pure con accenti diversi, da Walter Veltroni, arrivò finalmente in Aula. La delibera di Montecitorio diceva che la riforma degli enti locali era «urgente e necessaria al fine di rimuovere la giungla amministrativa e di ridurre i costi della politica», denunciava la «proliferazione di innumerevoli enti» e «un intreccio inestricabile di funzioni che genera inefficienza e rende difficile la decisione amministrativa» e rinviava tutto al sorgere del mitico sole dell' avvenire berlusconian-federalista. E cioè alla «imminente presentazione di un disegno di legge recante la Carta delle autonomie locali». Da allora sono passati, inutilmente, altri due lunghi anni e mentre la crisi azzannava i cittadini, gli artigiani, le piccole e grandi imprese causando crolli apocalittici, disperazione e suicidi, i palazzi del potere davano qui una sforbiciatina del tre per cento, lì del tre per mille. E quelle epocali riforme che dovevano ridisegnare tutto per restituire al Paese la forza, l' efficienza, la stima in un classe dirigente credibile, tutte cose necessarie per affrontare questi tempi bui, dove sono? Sempre lì torniamo: taglia taglia, hanno tagliato i tagli.
di Stella Gian Antonio