Quel giorno, con l’esito favorevole del referendum irlandese, è caduto l’ultimo ostacolo che si frapponeva alla piena operatività del Trattato di Lisbona, cioè il documento che sancisce definitivamente la soppressione della sovranità dei singoli Stati nazionali europei e che segna la nascita di un unico Stato per tutto il continente europeo: lo Stato Unione Europea.
Fin dalla sua origine, l’Ue è stata pensata per essere un organismo di tipo statuale: uno Stato a tutti gli effetti, destinato a sostituirsi ai precedenti Stati nazionali. E di questo obiettivo non è mai stato fatto mistero, benchè esso sia ignoto alla gran parte dell’opinione pubblica.
Un episodio dal quale è emerso in modo eclatante il carattere statuale dell’Ue è stata la decisione di dotare la stessa di una Costituzione, per la redazione della quale fu creata una Commissione (assemblea costituente) presieduta da Giscard d’Estaing e Giuliano Amato. La Costituzione fu poi affossata, nel 2005, dai referendum in Francia e nei Paesi Bassi, ma – indipendentemente da tale fallimento – il significato rimane: gli Stati si dotano di una Costituzione (tant’è vero che può dirsi che non esiste Stato senza Costituzione), mentre gli enti sovranazionali, o comunque non statuali, non hanno Costituzione, tutt’al più hanno una statuto o un atto costitutivo!
Avere scritto la Costituzione dell’Ue ha significato affermare il suo carattere di Stato. Ma rinunciare agli Stati nazionali in favore di un nuovo unico Stato europeo è una scelta di enorme importanza per il presente e per il futuro dell’Europa, una scelta che dovrebbe essere accuratamente studiata, discussa, condivisa, ed altrettanto importante sarebbe conoscere ed approvare quel “nuovo” che andrà a sostituire il “vecchio”, cioè la struttura dell’Ue., i suoi organi, i suoi poteri, il bilanciamento tra essi, i fini che essa si pone, ecc. Sappiamo invece che nulla di tutto ciò è accaduto: nessuno ha chiesto ai popoli del Vecchio Continente, ad esempio, quali principi e quale ideologia dovranno reggere il nuovo Stato europeo, oppure come questo dovrà collocarsi nello scacchiere geopolitico, oppure ancora se esso dovrà privilegiare l’efficientismo liberal-capitalistico a discapito dei diritti sociali o viceversa, e così via. Parimenti, pochissimi cittadini europei (praticamente nessuno) sanno come è strutturata il meccanismo di formazione delle decisioni all’interno dell’Ue, ben pochi sanno che il Parlamento Europeo (unico organismo dell’Unione eletto direttamente da popolo) è pressochè privo di potere e che la potestà legislativa è concentrata nelle mani di organi (il Consiglio e la Commissione) sforniti di legittimazione popolare, il cui operato è insindacabile e che sono privi di qualsiasi responsabilità. E naturalmente nessuno conosce i nomi degli oscuri burocrati che costituiscono i gruppi di lavoro della Commissione, i quali scrivono le future leggi dell’Europa, oppure i nomi dei giudici della Corte di Giustizia, il cui potere è ormai sconfinato.
Insomma, tutto viene calato dall’alto, deciso ed imposto ai popoli europei prescindendo dalla loro volontà, dalla loro approvazione e persino dalla loro consapevolezza.
Questo percorso di soppressione degli Stati nazionali in favore di un unico Stato europeo si è completato il 2 ottobre 2009. Proprio nel momento in cui i nostri politicanti si riempiono la bocca parlando di costituzione repubblicana e di festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, lo Stato Repubblica Italiana (così come gli altri Stati nazionali europei) è cessato, tutti i poteri e le funzioni che caratterizzano la sovranità sono stati trasferiti all’Ue.
È quindi indispensabile conoscere il contenuto del Trattato di Lisbona poichè esso fissa i caratteri del nuovo Stato del quale, da quella data, tutti siamo cittadini (o, se preferite, sudditi). Però va detto che il testo del Trattato (che sostanzialmente recepisce pressochè tutto il contenuto della Costituzione bocciata dai referendum in Francia e nei Paesi Bassi) è inverosimilmente lungo (centinaia di pagine) e complicato, praticamente ogni riga costituisce un rinvio ad altri documenti e ad altri testi legislativi: un testo cioè illeggibile ed incomprensibile. E’ bene chiarire che il carattere volutamente illeggibile del testo del Trattato è stato ufficialmente e pubblicamente dichiarato da Giuliano Amato durante un discorso al Centro per la Riforma Europea a Londra il 12 luglio 2007. E’ certo dunque che, con il loro consueto modus operandi arrogante ed illiberale, i “burattinai” dell’Ue hanno volutamente creato un testo inaccessibile per impedire all’opinione pubblica di sapere che cosa stesse accadendo, e quindi di poter decidere il proprio destino.
Non a caso, quando il Parlamento italiano ha ratificato il Trattato (8 agosto 2008), qualcuno ha commentato: se lo conoscessero, non lo voterebbero! Ma il voto parlamentare è stato favorevole all’unanimità, nessun contrario, nessun astenuto. Prima del voto, nessun dibattito, nessuna prima serata televisiva. Il voto con il quale veniva messo in liquidazione lo Stato italiano è passato quasi inosservato.
Questa difficoltà di lettura del testo del Trattato è, evidentemente, anche una difficoltà di esposizione, ed infatti dal 2007 ad oggi si è scritto tutto ed il contrario di tutto sul Trattato di Lisbona, vi sono stati visti i contenuti più disparati e contrastanti. Ancora recentemente, ad esempio, dopo il referendum irlandese, si è letto un comunicato della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea che loda l’esito del referendum affermando che il Trattato conterrebbe dei principi che, in realtà, gli sono totalmente estranei! Difficile dire se quei Vescovi fossero solo ignoranti o non piuttosto in mala fede…
Proviamo dunque e cimentarci nella non facile impresa di delineare il punti salienti dal Trattato, e, quindi, i tratti fondamentali dello Stato Ue del quale, oggi, tutti facciamo parte.
Per quanto riguarda gli organi e la ripartizione del poteri, nulla muta rispetto ad oggi: i poteri legislativo ed esecutivo rimarranno concentrati nelle mani di organi privi di legittimazione popolare. Il potere giudiziario sarà assegnato alla Corte di Giustizia, i cui giudici, parimenti, anch’essi non sono eletti dal popolo. Ne emerge l’immagine di uno Stato rigidamente oligarchico, gestito da una minuscola elite che non risponde ad alcuno del suo operato, mentre i cittadini europei continueranno ad eleggere un Parlamento le cui funzioni, rispetto alle attuali, muteranno assai poco ed in misura non significativa.
Lo Stato sarà rappresentato verso l’esterno da un Presidente che – inutile dirlo – non sarà eletto dai cittadini.
Saranno istituita una Procura europea ed una Polizia europea (Europolice) ed il nuovo Stato avrà una sua legislazione penale. Sicuramente proseguirà la promulgazione, già ampiamente avviata, di leggi liberticide che – come già oggi – tenderanno a controllare e ad omologare le opinioni e le idee.
La politica economica sarà retta dal principio della “libera concorrenza senza distorsioni”. È l’applicazione della dottrina del liberal-capitalismo, che esclude la possibilità di interventi correttivi degli organi pubblici e che arriva al punto di sancire il divieto di sciopero se ostacola (testualmente) “il libero movimento dei servizi”: formula vaghissima nella quale può rientrare di tutto! Questo divieto fa il paio con una sorprendente norma che, in caso di sommosse o insurrezioni, legittima da parte delle forze dell’ordine (e dell’esercito) l’uccisione dei partecipanti! Una norma decisamente ancora da indagare a fondo…
Quel che è certo, è che sicuramente è lecito attendersi una normativa sociale e di tutela dei lavoratori assai meno incisiva di quella attualmente in vigore in Italia. E’ prevedibile la liberalizzazione dei salari.
Da un punto di vista ideologico, basti ricordare che il Trattato dà forza giuridica obbligatoria alla Carta di Nizza del 2000, cioè il documento, aspramente criticato da Giovanni Paolo II, che non considera la sessualità un dato di natura ma una scelta culturale soggettiva e che dissocia il concetto di famiglia da quello di matrimonio tra uomo e donna, aprendo la strada alle unioni omosessuali con pari diritti (compresa l’adozione di bambini) rispetto a quelle tradizionali. Nulla muta rispetto ai tradizionali orientamenti dell’Ue favorevoli all’aborto ed all’eutanasia.
La politica estera sarà affidata ad un “Alto Rappresentante per gli affari esteri”, e l’Unione potrà decidere interventi militari, non solo con carattere difensivo ma anche offensivo. Gli ex Stati nazionali perderanno quindi anche la loro indipendenza militare. E nulla permette di escludere la leva obbligatorie europea. È, questo, un altro capitolo semplicemente sconcertante!
In materia di immigrazione, l’Unione avrà frontiere esterne comuni e deciderà chi potrà entrare e chi no, senza possibilità per i cittadini di fare sentire la loro opinione.
Credo che queste poche righe, nella quali mi sono sforzato di essere il più oggettivo possibile, siano sufficienti per delineare lo scenario. È questa l’Europa dei banchieri e dei mercanti. È l’Europa, senza etica e senza morale, utile al grande capitale che non vuole vincoli. Ce l’hanno costruita addosso. E noi non ce ne siamo accorti.
09 settembre 2011
Il Trattato di Lisbona: una truffa coperta dalla disinformazione
08 settembre 2011
11/9: la versione ufficiale sta crollando nel modo in cui sono crollate le torri
Che cosa pensereste se la polizia, dopo una sospetta esplosione che ha fatto crollare una casa uccidendo chi vi abitava, per prima cosa rimovesse e distruggesse tutto ciò che resta? È quanto hanno fatto, dieci anni fa, le autorità statunitensi: ordinarono di rimuovere subito le strutture in acciaio delle torri crollate l'11 settembre a New York.
Nessun dubbio, nella versione ufficiale, che la causa fosse l'incendio provocato dall'impatto degli aerei dirottati dai terroristi. Le 300mila tonnellate di acciaio delle torri furono riciclate in gran parte in fonderie asiatiche, salvo 24 tonnellate date alla Northrop Grumman (uno dei maggiori contrattisti militari del Pentagono) per costruire una nave-simbolo, la New York: la prima di una nuova generazione di unità da assalto anfibio per la guerra globale al terrorismo, giustificata dall'attacco alle Torri gemelle fatto vedere in diretta mondovisione. Neppure un grammo di acciaio, invece, fu dato agli ingegneri strutturali che avevano chiesto di esaminare le colonne e travature, riassemblandone alcune sezioni, per determinare con certezza la causa del crollo. «Tale decisione - dichiarò Frederick Mowrer dell'Università del Maryland, professore di ingegneria per la protezione contro gli incendi - compromette qualsiasi inchiesta sui crolli. Giudico inquietante la rapidità con cui sono state rimosse e riciclate prove potenzialmente importanti» (The New York Times, 25-12-2001). Nessuna torre di quel tipo, infatti, è mai crollata a causa di un incendio. Il carburante degli aerei non avrebbe potuto sviluppare un calore tale da fondere le massicce colonne di acciaio e, per di più, è bruciato per la maggior parte all'esterno delle torri tanto che, all'interno del punto d'impatto, si vedono persone incolumi. La dinamica del crollo delle Torri gemelle e della torre 7 (neppure colpita dagli aerei) - sostengono diversi esperti - ricorda una demolizione controllata provocata da esplosivi collocati all'interno. Per aver sostenuto questo, il prof. Steven Jones, docente di fisica, è stato espulso dalla Brigham Young University (Utah). Non ha però desistito. Insieme a una équipe di cui fanno parte anche scienziati di altri paesi, ha pubblicato nel 2009, sulla rivista The Open Chemical Physics Journal (che sottopone a revisione scientifica gli articoli da pubblicare), uno studio basato sull'analisi di campioni di polvere prelevati a Ground Zero. Essi rivelano la presenza di termite, sostanza non esplosiva che produce una reazione chimica con una temperatura di 2.500 gradi Celsius, in grado di fondere l'acciaio, tagliandolo come un coltello caldo taglia il burro. In una foto si vede una colonna di acciaio recisa di netto, in diagonale, con colature simili a quelle di una candela. E, poiché la termite non ha bisogno di aria per bruciare, la reazione continuò per giorni a sviluppare calore sotto le macerie, nonostante che i pompieri le raffreddassero con continui getti d'acqua.
Su queste e altre prove scientifiche si basa lo studio del prof. Steven Jones, che ha sfidato gli scienziati sostenitori della versione ufficiale a confutarlo. Essi si sono però rifiutati di leggerlo, dicendo di non avere tempo. Ma la versione ufficiale sta crollando nel modo in cui sono crollate le torri: come un castello di carte.
di Manlio Dinucci
07 settembre 2011
Le nazioni europee devono ripudiare il debito?
Sta diventando sempre più chiaro che l'economia globale (o al limite quella occidentale) è indirizzata verso un crollo rovinoso. Quasi tutti gli ultimi indicatori economici riguardanti la situazione degli Stati Uniti sono negativi. Il Regno Unito e il Giappone hanno imboccato la via dell'austerità, e i risultati che ne conseguiranno sono ampiamente prevedibili. Ma l'ammalato più grave è Eurolandia. Essa ha imposto severe misure di austerità ai cosiddetti PIIGS, il che è l'equivalente moderno dei medievali salassi di sangue. Queste nazioni sono infatti gravemente indebitate.Nel caso dell'Irlanda, che è stato uno studente modello nel perseguire i dettami dell'utopia Neoliberale, il debito pubblico si è impennato perché il governo ha deciso di farsi carico dei debiti contratti dal sistema bancario privato.
Con un incomprensibile atto di carità tutto ciò è stato fatto solamente per salvare le banche francesi e tedesche, che detenevano la gran parte degli ormai inesigibili debiti delle banche irlandesi. Per ringraziare l'Irlanda della sua generosità, la UE le ha imposto sanzioni stile Fondo Monetario.
Si presume che il governo ora debba spremere ulteriormente la popolazione al fine di ridurre il debito che ha trascinato l'Irlanda in recessione e ridotto le entrate erariali.
Se c'è una cosa sbagliata che si può fare nei confronti di un debitore è costringerlo a rinunciare a parte delle sue entrate. Ma questa è esattamente la cura medievale che l'UE prescrive alla tigre celtica. Questo vale sostanzialmente anche per gli altri Paesi dell'area Euro che si trovano in difficoltà a causa di un alto indebitamento, e se anche l'origine della difficoltà è da ricercarsi in altre cause la cura prescritta è la medesima
I PIIGS si trovano ora con le spalle al muro. L'unica cosa che possono fare è presentarsi davanti alle istituzioni europee e parlare una voce sola. Per loro si aprono tre prospettive.
La prima consiste nell'abbandono dell'euro e in un ritorno alle loro rispettive monete sovrane. Tutti i debiti sarebbero rinominati nella nuova (cioè vecchia) moneta e i Paesi potrebbero adottare tutte le politiche opportune di stimolo alla crescita e alla piena occupazione. Con il ritorno alle monete sovrane nessun governo andrebbe incontro a problemi di solvibilità del debito. Ogni Stato potrebbe suggerire a Moody's, o alla altre agenzie di rating, di andare a farsi una passeggiata se sono troppo stupide da non capire che ogni Paese che possieda moneta sovrana può sempre onorare il suo debito, infatti ogni Governo potrebbe immediatamente saldare quanto deve con la sua moneta. Tutto ciò che è necessario fare equivale all'accreditare nei conti bancari quanto dovuto grazie alle riserve e cancellare il debito.
Dato che ciò riduce gli interessi sui pagamenti avrà anche effetti deflazionistici. Comunque non esiste pressione deflazionista che non possa essere eliminata grazie ad opportune politiche fiscali di stimolo.
Vi è però un inconveniente in questa politica. I detentori del debito prezzato in euro vedranno i loro crediti rinominati nella nuova/vecchia moneta. È assai probabile che essi ricorrano davanti alla corte europea per evitare di vederli svalutati. Con ogni probabilità ciò condurrà ad un lungo tira e molla giudiziario che al limite servirà per prendere tempo. Non sono un giurista, e perciò mi risulta difficile fare previsioni sull'esito della battaglia legale, ma sospetto che i giudizi saranno sfavorevoli per i “defaulters” e che saranno imposte delle sanzioni contro di essi.
Nel frattempo le banche francesi e tedesche diventeranno insolventi, e Francia e Germania nel tentativo di salvarle si verranno a trovare nell'identica situazione nella quale si trova oggi l'Irlanda, con un gigantesco e inutile debito pubblico seguente alla nazionalizzazione delle banche private maggiormente esposte (ironicamente nel caso della Germania le banche più esposte sono già state nazionalizzate).
Forse a quel punto anche loro si accoderanno agli altri Paesi e usciranno dell'euro. All'ultimo sarà richiesto di spegnere le luci. A quel punto non rimarrà che dire addio all'euro e salutare il ritorno delle ostilità tra paesi europei, esperienza che abbiamo già vissuto e che ha condotto a due guerre mondiali.
La seconda soluzione che potrà essere presa in considerazione è quella di dichiarare bancarotta pur rimanendo nell'euro. Non c'è niente di scandaloso nel fatto che un settore privato che non è assicurato dai governi dichiari bancarotta. È sempre successo e ancora succederà. Sarà compito dei tribunali fallimentari difendere gli interessi dei creditori nei confronti dei falliti. Ad ogni modo tale soluzione non è più facilmente praticabile, dato che l'Irlanda decise a suo tempo di nazionalizzare i debiti dei banchieri privati, e sfortunatamente un default pubblico comporta molti più problemi.
Certo, anche questo non sarebbe un inedito dal punto di vista storico. Vi ricordate del fallimento della Contea di Orange in California? Il problema sorge dal momento che i creditori si aspettano che il governo riesca financo a spremere il sangue dalle arance (un'altra tecnica medievale) per pagare i debiti.
Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff argomentano giustamente nel loro libro This Time is Different, che per il resto è una lettura che ci si può anche risparmiare, che quando un Paese arriva al default, esso è sempre in qualche senso volontario. (è rimarchevole come loro non siano in grado di trovare un solo esempio di vero default di un debito realmente sovrano; vale a dire un default di un paese che detiene una propria moneta libera di fluttuare. Per quanto ne so io, ogni caso che loro identificano come fallimento di uno debito sovrano riguarda Stati che avevano ancorato le loro monete a qualche valuta straniera o avevano instaurato qualche accordo di currency board. Ma questa è materia per un altra discussione, dal momento che i paesi Ume hanno stretto tra di loro degli accordi di currency board.)
L'Irlanda può continuare per ancora qualche tempo a chiedere nuovi sacrifici alla sua popolazione.
Dopo tutto le sofferenze sono una costante nella storia del popolo irlandese.
Forse con le opportune misure d'austerità riusciremo ad approdare ad una situazione che sarà l'equivalente moderno della carestia delle patate.
I giovani stanno già emigrando in massa. I creditori possono anche chiedere che si cavi ancora più il sangue agli irlandesi, fino a quando l'isola non sarà completamente deserta. A quel punto tutto ciò che rimarrà sarà la nuda terra, con i pignoramenti che saranno iscritti nel portfolio delle banche tedesche e francesi. Non ci sono dubbi che davanti a questa prospettiva stiano già sbavando. (Chiunque sia stato in Irlanda può facilmente capire il perché.)
Personalmente ritengo che dichiarare il default restando nell'euro sia la soluzione peggiore: si andrebbe incontro a tutti gli svantaggi che si avrebbero in caso di uscita dalla moneta unica senza nessuno dei vantaggi. Per esempio, qualora qualcuno prendesse questa decisione si ritroverebbe con il grosso problema di dover operare con una moneta ipervalutata.
Se invece lasciassero l'euro potrebbero almeno fare delle svalutazioni competitive che gli permetterebbero di difendersi dagli esportatori tedeschi. C'è da attendersi che a quel punto i tedeschi reagiscano intentando una causa davanti alle autorità di giustizia europee, e che esse gli diano ragione. Se un Paese è avviato al default è meglio che si prepari ad abbandonare anche l'UE in toto, oltre che il Sistema Monetario, se vuole difendere l'economia interna.
L'ultima opzione che rimane ai PIIGS è quella di avviare una forte azione comune per riformare radicalmente l'attuale Unione Monetaria. I debiti devono essere ristrutturati e svalutati. L'eventuale default e l'uscita dall'Unione Monetaria possono sempre essere agitati come uno spauracchio sul tavolo delle contrattazioni, ma possono essere incisivi come arma di ricatto solo se minacciati in massa dai paesi ad alto rischio.
Dovrebbe essere chiaro sia ai creditori che ai debitori che raggiungere un accordo comune è la migliore soluzione per entrambe le parti.
Le banche europee sono ormai ampiamente bollite. Non solo hanno acquistato ingenti quantità di titoli tossici americani, ma si sono impegnate in prima persona nella creazione di spazzatura finanziaria. E sono tutte indebitate l'una con l'altra con titoli tossici.
Come i colossi bancari USA loro sono “too big to fail”, ergo, per dirla con le parole di Bill Black, sono “istituzioni sistematicamente dannose”.
Ciò significa che esse devono essere decisamente “dissolte”, ridotte nelle dimensioni quando non direttamente chiuse, e gli attivi e i passivi ridistribuiti presso istituzioni più piccole.
L'intricata maglia di titoli tossici per i quali le banche sono vicendevolmente indebitate deve essere dipanata e la sua dimensione ridotta.
( E i banchieri devono essere incarcerati. Sospetto che la principale ragione per la quale le banche non sono ancora fallite risieda nel fatto che i governi sono coscienti che ciò scoperchierebbe le massicce irregolarità che spalancherebbero a molti le porte della prigione. E non è vero che le banche sono troppo grandi per fallire, quanto piuttosto che è troppo grande la dimensione della loro fraudolenza. Un qualsiasi onesto investigatore che varcasse la soglia di Goldman Sachs, tanto per fare un esempio a caso, non potrebbe andarsene senza spiccare qualche migliaio di avvisi di garanzia nei confronti dei responsabili della tesoreria passati, presenti e futuri.)
È giunta l'ora di ammettere che il destino dell'Unione Monetaria Europea era segnato. In tempi non sospetti, a metà anni '90, ero stato facile profeta nel dire che la prima seria crisi finanziaria l'avrebbe spazzata via.
E ora che siamo dentro quella crisi è il momento di guardare in faccia la realtà.
I debiti devono essere cancellati e un nuovo sistema fiscale deve essere creato. Come ho già detto molte volte, la situazione dei membri dell'Ume è paragonabile a quella degli stati federali americani, ma senza una Washington che interviene nei periodi di crisi. I buoi si stanno facendo condurre al macello. Abbiamo davanti a noi un'unica strada percorribile, se ci interessa il futuro dell'Unione Europea. Oltre a ristrutturare il debito l'Unione Europea deve dotarsi di un istituto fiscale della forza e della dimensione del Tesoro statunitense.
di Randall Wray
Fonte: http://neweconomicperspectives.blogspot.com/2011/06/should-european-nations-repudiate-debt.html.
09 settembre 2011
Il Trattato di Lisbona: una truffa coperta dalla disinformazione
Quel giorno, con l’esito favorevole del referendum irlandese, è caduto l’ultimo ostacolo che si frapponeva alla piena operatività del Trattato di Lisbona, cioè il documento che sancisce definitivamente la soppressione della sovranità dei singoli Stati nazionali europei e che segna la nascita di un unico Stato per tutto il continente europeo: lo Stato Unione Europea.
Fin dalla sua origine, l’Ue è stata pensata per essere un organismo di tipo statuale: uno Stato a tutti gli effetti, destinato a sostituirsi ai precedenti Stati nazionali. E di questo obiettivo non è mai stato fatto mistero, benchè esso sia ignoto alla gran parte dell’opinione pubblica.
Un episodio dal quale è emerso in modo eclatante il carattere statuale dell’Ue è stata la decisione di dotare la stessa di una Costituzione, per la redazione della quale fu creata una Commissione (assemblea costituente) presieduta da Giscard d’Estaing e Giuliano Amato. La Costituzione fu poi affossata, nel 2005, dai referendum in Francia e nei Paesi Bassi, ma – indipendentemente da tale fallimento – il significato rimane: gli Stati si dotano di una Costituzione (tant’è vero che può dirsi che non esiste Stato senza Costituzione), mentre gli enti sovranazionali, o comunque non statuali, non hanno Costituzione, tutt’al più hanno una statuto o un atto costitutivo!
Avere scritto la Costituzione dell’Ue ha significato affermare il suo carattere di Stato. Ma rinunciare agli Stati nazionali in favore di un nuovo unico Stato europeo è una scelta di enorme importanza per il presente e per il futuro dell’Europa, una scelta che dovrebbe essere accuratamente studiata, discussa, condivisa, ed altrettanto importante sarebbe conoscere ed approvare quel “nuovo” che andrà a sostituire il “vecchio”, cioè la struttura dell’Ue., i suoi organi, i suoi poteri, il bilanciamento tra essi, i fini che essa si pone, ecc. Sappiamo invece che nulla di tutto ciò è accaduto: nessuno ha chiesto ai popoli del Vecchio Continente, ad esempio, quali principi e quale ideologia dovranno reggere il nuovo Stato europeo, oppure come questo dovrà collocarsi nello scacchiere geopolitico, oppure ancora se esso dovrà privilegiare l’efficientismo liberal-capitalistico a discapito dei diritti sociali o viceversa, e così via. Parimenti, pochissimi cittadini europei (praticamente nessuno) sanno come è strutturata il meccanismo di formazione delle decisioni all’interno dell’Ue, ben pochi sanno che il Parlamento Europeo (unico organismo dell’Unione eletto direttamente da popolo) è pressochè privo di potere e che la potestà legislativa è concentrata nelle mani di organi (il Consiglio e la Commissione) sforniti di legittimazione popolare, il cui operato è insindacabile e che sono privi di qualsiasi responsabilità. E naturalmente nessuno conosce i nomi degli oscuri burocrati che costituiscono i gruppi di lavoro della Commissione, i quali scrivono le future leggi dell’Europa, oppure i nomi dei giudici della Corte di Giustizia, il cui potere è ormai sconfinato.
Insomma, tutto viene calato dall’alto, deciso ed imposto ai popoli europei prescindendo dalla loro volontà, dalla loro approvazione e persino dalla loro consapevolezza.
Questo percorso di soppressione degli Stati nazionali in favore di un unico Stato europeo si è completato il 2 ottobre 2009. Proprio nel momento in cui i nostri politicanti si riempiono la bocca parlando di costituzione repubblicana e di festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, lo Stato Repubblica Italiana (così come gli altri Stati nazionali europei) è cessato, tutti i poteri e le funzioni che caratterizzano la sovranità sono stati trasferiti all’Ue.
È quindi indispensabile conoscere il contenuto del Trattato di Lisbona poichè esso fissa i caratteri del nuovo Stato del quale, da quella data, tutti siamo cittadini (o, se preferite, sudditi). Però va detto che il testo del Trattato (che sostanzialmente recepisce pressochè tutto il contenuto della Costituzione bocciata dai referendum in Francia e nei Paesi Bassi) è inverosimilmente lungo (centinaia di pagine) e complicato, praticamente ogni riga costituisce un rinvio ad altri documenti e ad altri testi legislativi: un testo cioè illeggibile ed incomprensibile. E’ bene chiarire che il carattere volutamente illeggibile del testo del Trattato è stato ufficialmente e pubblicamente dichiarato da Giuliano Amato durante un discorso al Centro per la Riforma Europea a Londra il 12 luglio 2007. E’ certo dunque che, con il loro consueto modus operandi arrogante ed illiberale, i “burattinai” dell’Ue hanno volutamente creato un testo inaccessibile per impedire all’opinione pubblica di sapere che cosa stesse accadendo, e quindi di poter decidere il proprio destino.
Non a caso, quando il Parlamento italiano ha ratificato il Trattato (8 agosto 2008), qualcuno ha commentato: se lo conoscessero, non lo voterebbero! Ma il voto parlamentare è stato favorevole all’unanimità, nessun contrario, nessun astenuto. Prima del voto, nessun dibattito, nessuna prima serata televisiva. Il voto con il quale veniva messo in liquidazione lo Stato italiano è passato quasi inosservato.
Questa difficoltà di lettura del testo del Trattato è, evidentemente, anche una difficoltà di esposizione, ed infatti dal 2007 ad oggi si è scritto tutto ed il contrario di tutto sul Trattato di Lisbona, vi sono stati visti i contenuti più disparati e contrastanti. Ancora recentemente, ad esempio, dopo il referendum irlandese, si è letto un comunicato della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea che loda l’esito del referendum affermando che il Trattato conterrebbe dei principi che, in realtà, gli sono totalmente estranei! Difficile dire se quei Vescovi fossero solo ignoranti o non piuttosto in mala fede…
Proviamo dunque e cimentarci nella non facile impresa di delineare il punti salienti dal Trattato, e, quindi, i tratti fondamentali dello Stato Ue del quale, oggi, tutti facciamo parte.
Per quanto riguarda gli organi e la ripartizione del poteri, nulla muta rispetto ad oggi: i poteri legislativo ed esecutivo rimarranno concentrati nelle mani di organi privi di legittimazione popolare. Il potere giudiziario sarà assegnato alla Corte di Giustizia, i cui giudici, parimenti, anch’essi non sono eletti dal popolo. Ne emerge l’immagine di uno Stato rigidamente oligarchico, gestito da una minuscola elite che non risponde ad alcuno del suo operato, mentre i cittadini europei continueranno ad eleggere un Parlamento le cui funzioni, rispetto alle attuali, muteranno assai poco ed in misura non significativa.
Lo Stato sarà rappresentato verso l’esterno da un Presidente che – inutile dirlo – non sarà eletto dai cittadini.
Saranno istituita una Procura europea ed una Polizia europea (Europolice) ed il nuovo Stato avrà una sua legislazione penale. Sicuramente proseguirà la promulgazione, già ampiamente avviata, di leggi liberticide che – come già oggi – tenderanno a controllare e ad omologare le opinioni e le idee.
La politica economica sarà retta dal principio della “libera concorrenza senza distorsioni”. È l’applicazione della dottrina del liberal-capitalismo, che esclude la possibilità di interventi correttivi degli organi pubblici e che arriva al punto di sancire il divieto di sciopero se ostacola (testualmente) “il libero movimento dei servizi”: formula vaghissima nella quale può rientrare di tutto! Questo divieto fa il paio con una sorprendente norma che, in caso di sommosse o insurrezioni, legittima da parte delle forze dell’ordine (e dell’esercito) l’uccisione dei partecipanti! Una norma decisamente ancora da indagare a fondo…
Quel che è certo, è che sicuramente è lecito attendersi una normativa sociale e di tutela dei lavoratori assai meno incisiva di quella attualmente in vigore in Italia. E’ prevedibile la liberalizzazione dei salari.
Da un punto di vista ideologico, basti ricordare che il Trattato dà forza giuridica obbligatoria alla Carta di Nizza del 2000, cioè il documento, aspramente criticato da Giovanni Paolo II, che non considera la sessualità un dato di natura ma una scelta culturale soggettiva e che dissocia il concetto di famiglia da quello di matrimonio tra uomo e donna, aprendo la strada alle unioni omosessuali con pari diritti (compresa l’adozione di bambini) rispetto a quelle tradizionali. Nulla muta rispetto ai tradizionali orientamenti dell’Ue favorevoli all’aborto ed all’eutanasia.
La politica estera sarà affidata ad un “Alto Rappresentante per gli affari esteri”, e l’Unione potrà decidere interventi militari, non solo con carattere difensivo ma anche offensivo. Gli ex Stati nazionali perderanno quindi anche la loro indipendenza militare. E nulla permette di escludere la leva obbligatorie europea. È, questo, un altro capitolo semplicemente sconcertante!
In materia di immigrazione, l’Unione avrà frontiere esterne comuni e deciderà chi potrà entrare e chi no, senza possibilità per i cittadini di fare sentire la loro opinione.
Credo che queste poche righe, nella quali mi sono sforzato di essere il più oggettivo possibile, siano sufficienti per delineare lo scenario. È questa l’Europa dei banchieri e dei mercanti. È l’Europa, senza etica e senza morale, utile al grande capitale che non vuole vincoli. Ce l’hanno costruita addosso. E noi non ce ne siamo accorti.
08 settembre 2011
11/9: la versione ufficiale sta crollando nel modo in cui sono crollate le torri
Che cosa pensereste se la polizia, dopo una sospetta esplosione che ha fatto crollare una casa uccidendo chi vi abitava, per prima cosa rimovesse e distruggesse tutto ciò che resta? È quanto hanno fatto, dieci anni fa, le autorità statunitensi: ordinarono di rimuovere subito le strutture in acciaio delle torri crollate l'11 settembre a New York.
Nessun dubbio, nella versione ufficiale, che la causa fosse l'incendio provocato dall'impatto degli aerei dirottati dai terroristi. Le 300mila tonnellate di acciaio delle torri furono riciclate in gran parte in fonderie asiatiche, salvo 24 tonnellate date alla Northrop Grumman (uno dei maggiori contrattisti militari del Pentagono) per costruire una nave-simbolo, la New York: la prima di una nuova generazione di unità da assalto anfibio per la guerra globale al terrorismo, giustificata dall'attacco alle Torri gemelle fatto vedere in diretta mondovisione. Neppure un grammo di acciaio, invece, fu dato agli ingegneri strutturali che avevano chiesto di esaminare le colonne e travature, riassemblandone alcune sezioni, per determinare con certezza la causa del crollo. «Tale decisione - dichiarò Frederick Mowrer dell'Università del Maryland, professore di ingegneria per la protezione contro gli incendi - compromette qualsiasi inchiesta sui crolli. Giudico inquietante la rapidità con cui sono state rimosse e riciclate prove potenzialmente importanti» (The New York Times, 25-12-2001). Nessuna torre di quel tipo, infatti, è mai crollata a causa di un incendio. Il carburante degli aerei non avrebbe potuto sviluppare un calore tale da fondere le massicce colonne di acciaio e, per di più, è bruciato per la maggior parte all'esterno delle torri tanto che, all'interno del punto d'impatto, si vedono persone incolumi. La dinamica del crollo delle Torri gemelle e della torre 7 (neppure colpita dagli aerei) - sostengono diversi esperti - ricorda una demolizione controllata provocata da esplosivi collocati all'interno. Per aver sostenuto questo, il prof. Steven Jones, docente di fisica, è stato espulso dalla Brigham Young University (Utah). Non ha però desistito. Insieme a una équipe di cui fanno parte anche scienziati di altri paesi, ha pubblicato nel 2009, sulla rivista The Open Chemical Physics Journal (che sottopone a revisione scientifica gli articoli da pubblicare), uno studio basato sull'analisi di campioni di polvere prelevati a Ground Zero. Essi rivelano la presenza di termite, sostanza non esplosiva che produce una reazione chimica con una temperatura di 2.500 gradi Celsius, in grado di fondere l'acciaio, tagliandolo come un coltello caldo taglia il burro. In una foto si vede una colonna di acciaio recisa di netto, in diagonale, con colature simili a quelle di una candela. E, poiché la termite non ha bisogno di aria per bruciare, la reazione continuò per giorni a sviluppare calore sotto le macerie, nonostante che i pompieri le raffreddassero con continui getti d'acqua.
Su queste e altre prove scientifiche si basa lo studio del prof. Steven Jones, che ha sfidato gli scienziati sostenitori della versione ufficiale a confutarlo. Essi si sono però rifiutati di leggerlo, dicendo di non avere tempo. Ma la versione ufficiale sta crollando nel modo in cui sono crollate le torri: come un castello di carte.
di Manlio Dinucci
07 settembre 2011
Le nazioni europee devono ripudiare il debito?
Sta diventando sempre più chiaro che l'economia globale (o al limite quella occidentale) è indirizzata verso un crollo rovinoso. Quasi tutti gli ultimi indicatori economici riguardanti la situazione degli Stati Uniti sono negativi. Il Regno Unito e il Giappone hanno imboccato la via dell'austerità, e i risultati che ne conseguiranno sono ampiamente prevedibili. Ma l'ammalato più grave è Eurolandia. Essa ha imposto severe misure di austerità ai cosiddetti PIIGS, il che è l'equivalente moderno dei medievali salassi di sangue. Queste nazioni sono infatti gravemente indebitate.Nel caso dell'Irlanda, che è stato uno studente modello nel perseguire i dettami dell'utopia Neoliberale, il debito pubblico si è impennato perché il governo ha deciso di farsi carico dei debiti contratti dal sistema bancario privato.
Con un incomprensibile atto di carità tutto ciò è stato fatto solamente per salvare le banche francesi e tedesche, che detenevano la gran parte degli ormai inesigibili debiti delle banche irlandesi. Per ringraziare l'Irlanda della sua generosità, la UE le ha imposto sanzioni stile Fondo Monetario.
Si presume che il governo ora debba spremere ulteriormente la popolazione al fine di ridurre il debito che ha trascinato l'Irlanda in recessione e ridotto le entrate erariali.
Se c'è una cosa sbagliata che si può fare nei confronti di un debitore è costringerlo a rinunciare a parte delle sue entrate. Ma questa è esattamente la cura medievale che l'UE prescrive alla tigre celtica. Questo vale sostanzialmente anche per gli altri Paesi dell'area Euro che si trovano in difficoltà a causa di un alto indebitamento, e se anche l'origine della difficoltà è da ricercarsi in altre cause la cura prescritta è la medesima
I PIIGS si trovano ora con le spalle al muro. L'unica cosa che possono fare è presentarsi davanti alle istituzioni europee e parlare una voce sola. Per loro si aprono tre prospettive.
La prima consiste nell'abbandono dell'euro e in un ritorno alle loro rispettive monete sovrane. Tutti i debiti sarebbero rinominati nella nuova (cioè vecchia) moneta e i Paesi potrebbero adottare tutte le politiche opportune di stimolo alla crescita e alla piena occupazione. Con il ritorno alle monete sovrane nessun governo andrebbe incontro a problemi di solvibilità del debito. Ogni Stato potrebbe suggerire a Moody's, o alla altre agenzie di rating, di andare a farsi una passeggiata se sono troppo stupide da non capire che ogni Paese che possieda moneta sovrana può sempre onorare il suo debito, infatti ogni Governo potrebbe immediatamente saldare quanto deve con la sua moneta. Tutto ciò che è necessario fare equivale all'accreditare nei conti bancari quanto dovuto grazie alle riserve e cancellare il debito.
Dato che ciò riduce gli interessi sui pagamenti avrà anche effetti deflazionistici. Comunque non esiste pressione deflazionista che non possa essere eliminata grazie ad opportune politiche fiscali di stimolo.
Vi è però un inconveniente in questa politica. I detentori del debito prezzato in euro vedranno i loro crediti rinominati nella nuova/vecchia moneta. È assai probabile che essi ricorrano davanti alla corte europea per evitare di vederli svalutati. Con ogni probabilità ciò condurrà ad un lungo tira e molla giudiziario che al limite servirà per prendere tempo. Non sono un giurista, e perciò mi risulta difficile fare previsioni sull'esito della battaglia legale, ma sospetto che i giudizi saranno sfavorevoli per i “defaulters” e che saranno imposte delle sanzioni contro di essi.
Nel frattempo le banche francesi e tedesche diventeranno insolventi, e Francia e Germania nel tentativo di salvarle si verranno a trovare nell'identica situazione nella quale si trova oggi l'Irlanda, con un gigantesco e inutile debito pubblico seguente alla nazionalizzazione delle banche private maggiormente esposte (ironicamente nel caso della Germania le banche più esposte sono già state nazionalizzate).
Forse a quel punto anche loro si accoderanno agli altri Paesi e usciranno dell'euro. All'ultimo sarà richiesto di spegnere le luci. A quel punto non rimarrà che dire addio all'euro e salutare il ritorno delle ostilità tra paesi europei, esperienza che abbiamo già vissuto e che ha condotto a due guerre mondiali.
La seconda soluzione che potrà essere presa in considerazione è quella di dichiarare bancarotta pur rimanendo nell'euro. Non c'è niente di scandaloso nel fatto che un settore privato che non è assicurato dai governi dichiari bancarotta. È sempre successo e ancora succederà. Sarà compito dei tribunali fallimentari difendere gli interessi dei creditori nei confronti dei falliti. Ad ogni modo tale soluzione non è più facilmente praticabile, dato che l'Irlanda decise a suo tempo di nazionalizzare i debiti dei banchieri privati, e sfortunatamente un default pubblico comporta molti più problemi.
Certo, anche questo non sarebbe un inedito dal punto di vista storico. Vi ricordate del fallimento della Contea di Orange in California? Il problema sorge dal momento che i creditori si aspettano che il governo riesca financo a spremere il sangue dalle arance (un'altra tecnica medievale) per pagare i debiti.
Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff argomentano giustamente nel loro libro This Time is Different, che per il resto è una lettura che ci si può anche risparmiare, che quando un Paese arriva al default, esso è sempre in qualche senso volontario. (è rimarchevole come loro non siano in grado di trovare un solo esempio di vero default di un debito realmente sovrano; vale a dire un default di un paese che detiene una propria moneta libera di fluttuare. Per quanto ne so io, ogni caso che loro identificano come fallimento di uno debito sovrano riguarda Stati che avevano ancorato le loro monete a qualche valuta straniera o avevano instaurato qualche accordo di currency board. Ma questa è materia per un altra discussione, dal momento che i paesi Ume hanno stretto tra di loro degli accordi di currency board.)
L'Irlanda può continuare per ancora qualche tempo a chiedere nuovi sacrifici alla sua popolazione.
Dopo tutto le sofferenze sono una costante nella storia del popolo irlandese.
Forse con le opportune misure d'austerità riusciremo ad approdare ad una situazione che sarà l'equivalente moderno della carestia delle patate.
I giovani stanno già emigrando in massa. I creditori possono anche chiedere che si cavi ancora più il sangue agli irlandesi, fino a quando l'isola non sarà completamente deserta. A quel punto tutto ciò che rimarrà sarà la nuda terra, con i pignoramenti che saranno iscritti nel portfolio delle banche tedesche e francesi. Non ci sono dubbi che davanti a questa prospettiva stiano già sbavando. (Chiunque sia stato in Irlanda può facilmente capire il perché.)
Personalmente ritengo che dichiarare il default restando nell'euro sia la soluzione peggiore: si andrebbe incontro a tutti gli svantaggi che si avrebbero in caso di uscita dalla moneta unica senza nessuno dei vantaggi. Per esempio, qualora qualcuno prendesse questa decisione si ritroverebbe con il grosso problema di dover operare con una moneta ipervalutata.
Se invece lasciassero l'euro potrebbero almeno fare delle svalutazioni competitive che gli permetterebbero di difendersi dagli esportatori tedeschi. C'è da attendersi che a quel punto i tedeschi reagiscano intentando una causa davanti alle autorità di giustizia europee, e che esse gli diano ragione. Se un Paese è avviato al default è meglio che si prepari ad abbandonare anche l'UE in toto, oltre che il Sistema Monetario, se vuole difendere l'economia interna.
L'ultima opzione che rimane ai PIIGS è quella di avviare una forte azione comune per riformare radicalmente l'attuale Unione Monetaria. I debiti devono essere ristrutturati e svalutati. L'eventuale default e l'uscita dall'Unione Monetaria possono sempre essere agitati come uno spauracchio sul tavolo delle contrattazioni, ma possono essere incisivi come arma di ricatto solo se minacciati in massa dai paesi ad alto rischio.
Dovrebbe essere chiaro sia ai creditori che ai debitori che raggiungere un accordo comune è la migliore soluzione per entrambe le parti.
Le banche europee sono ormai ampiamente bollite. Non solo hanno acquistato ingenti quantità di titoli tossici americani, ma si sono impegnate in prima persona nella creazione di spazzatura finanziaria. E sono tutte indebitate l'una con l'altra con titoli tossici.
Come i colossi bancari USA loro sono “too big to fail”, ergo, per dirla con le parole di Bill Black, sono “istituzioni sistematicamente dannose”.
Ciò significa che esse devono essere decisamente “dissolte”, ridotte nelle dimensioni quando non direttamente chiuse, e gli attivi e i passivi ridistribuiti presso istituzioni più piccole.
L'intricata maglia di titoli tossici per i quali le banche sono vicendevolmente indebitate deve essere dipanata e la sua dimensione ridotta.
( E i banchieri devono essere incarcerati. Sospetto che la principale ragione per la quale le banche non sono ancora fallite risieda nel fatto che i governi sono coscienti che ciò scoperchierebbe le massicce irregolarità che spalancherebbero a molti le porte della prigione. E non è vero che le banche sono troppo grandi per fallire, quanto piuttosto che è troppo grande la dimensione della loro fraudolenza. Un qualsiasi onesto investigatore che varcasse la soglia di Goldman Sachs, tanto per fare un esempio a caso, non potrebbe andarsene senza spiccare qualche migliaio di avvisi di garanzia nei confronti dei responsabili della tesoreria passati, presenti e futuri.)
È giunta l'ora di ammettere che il destino dell'Unione Monetaria Europea era segnato. In tempi non sospetti, a metà anni '90, ero stato facile profeta nel dire che la prima seria crisi finanziaria l'avrebbe spazzata via.
E ora che siamo dentro quella crisi è il momento di guardare in faccia la realtà.
I debiti devono essere cancellati e un nuovo sistema fiscale deve essere creato. Come ho già detto molte volte, la situazione dei membri dell'Ume è paragonabile a quella degli stati federali americani, ma senza una Washington che interviene nei periodi di crisi. I buoi si stanno facendo condurre al macello. Abbiamo davanti a noi un'unica strada percorribile, se ci interessa il futuro dell'Unione Europea. Oltre a ristrutturare il debito l'Unione Europea deve dotarsi di un istituto fiscale della forza e della dimensione del Tesoro statunitense.
di Randall Wray
Fonte: http://neweconomicperspectives.blogspot.com/2011/06/should-european-nations-repudiate-debt.html.