![]() L'asta di ieri è andata bene. Anzi benissimo. Rendimenti dimezzati, praticamente, rispetto a quelli di un mese addietro, quando ancora Monti non si era insediato. E i grandi media hanno riportato la notizia con enfasi, assieme però a quella che ha visto il nostro spread risalire sino a quota 500. Notizie riportate (quasi) correttamente, però con una inaccettabile omissione: il motivo di una situazione non troppo semplice da capire a prima vista. Difficile insomma comprendere il perché della grande richiesta dei titoli di Stato di ieri e allo stesso tempo perché il nostro spread non sia sceso di pari passo. Sarebbe bastato spiegare, invece, la tipologia dei titoli venduti ieri, o meglio il suo significato, e quali sono stati gli eventi accaduti nei recenti giorni passati per portare alla situazione che si è verificata ieri. Dunque, in primo luogo i titoli di Stato venduti ieri sono stati quelli a sei mesi. In secondo luogo, in larga parte sono stati acquistati dalle Banche. Cosa significa? Due cose, principalmente. La prima: rispetto a un mese addietro, quando ancora non si sapeva se Berlusconi avrebbe rassegnato le dimissioni e soprattutto se sarebbe arrivato o meno al governo italiano un uomo delle Banche e dei poteri forti come Monti, oggi si sa invece con una buona certezza che l'Italia non fallirà. Almeno non in sei mesi. Quando i titoli venduti ieri arriveranno a scadenza, e all'incasso per chi li ha sottoscritti, l'Italia sarà ancora in piedi e dunque l'investimento sarà onorato. E dunque i rendimenti per i titoli a sei mesi sono scesi. La seconda: la BCE, giorni addietro, ha in pratica concesso, mediante l'operazione "liquidità illimitata" alle Banche, la possibilità per queste di rifornirsi di denaro all'interesse del misero 1%. Tale denaro sarebbe dovuto servire, molto teoricamente, per permettere alle Banche di concedere più prestiti e mutui, e insomma per ridare fiato (si fa per dire) a chi andava in banca a chiedere prestiti. Naturalmente le Banche non lo hanno usato per questo, ma per fare i propri e più sicuri interessi. Cosa di meglio che parcheggiare, e investire, il denaro ricevuto al costo di appena l'1% dalla BCE in titoli di Stato che renderanno in soli sei mesi il 3.5% circa? Risultato: le Banche hanno investito in porti sicuri per generare propri guadagni a breve, e i cittadini invece sono rimasti a secco. Ancora una volta: chi ha favorito la BCE? I cittadini europei oppure le Banche? La risposta è molto semplice ed è inutile anche scriverla. Il dato che emerge è dunque affatto positivo, come invece qualcuno ha tentato di farlo percepire: le Banche continuano a essere favorite dalla BCE che concede loro denaro ad appena l'1% mentre per legge, e per rimanere al solo caso italiano, è stato alzato il tasso di interesse considerato usura. Le Banche possono insomma comprare denaro all'1% e rivenderlo ai cittadini al 16, 17, 18 e 19%. Tutto legalmente. Malgrado questo, molto spesso non lo fanno, poiché prestare denaro ai cittadini e alle imprese è oggi un rischio molto alto, e preferiscono guadagnarci investendo nei titoli di Stato. Ma solo in quelli a breve. Cambieranno le cose oggi stesso, invece - vedremo - dove a dover essere piazzati saranno i Bot decennali del nostro Paese con uno spread che al momento nel quale scriviamo è già ben oltre i 500 punti. Per un motivo, anche in questo caso, molto semplice: chi è pronto a scommettere su una Italia ancora in piedi così come ora tra dieci anni? Valerio Lo Monaco |
31 dicembre 2011
Italia: tra sei mesi sarà ancora in piedi, oltre non si sa
30 dicembre 2011
Avviso agli Usa: Cina e Giappone abbandonano il dollaro
Giornali e Tg non ne parlano, ma per gli ambienti finanziari globali è la notizia-bomba di queste festività natalizie: la seconda e la terza economia mondiale, Cina e Giappone, hanno siglato un accordo che prevede l’abbandono del dollaro americano come valuta utilizzata negli scambi commerciali tra le due nazioni asiatiche, consentendo quindi un interscambio direttamente in yen e yuan. Finora, circa il 60 per cento degli scambi commerciali tra Cina e Giappone vengono regolati in dollari. L’intesa, siglata lunedì a Pechino al termine dell’incontro tra il premier cinese Wen Jiabao e il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda, è un chiaro segnale di sfiducia delle due potenze economiche asiatiche nei confronti della travagliata area euro-dollaro.
Questa mossa, spiega Enrico Piovesana sull’edizione online di “E”, il periodico di Emergency, viene interpretata dagli economisti come il primo passo concreto del governo di Pechino per far diventare la moneta cinese, lo yuan (o renminbi), una valuta di riserva globale sostitutiva al dollaro. Cosa attualmente non ancora possibile, vista la non completa convertibilità della valuta cinese. Per il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, il patto Cina-Giappone rappresenta una sfida che evidenzia l’importanza di una «Europa unita e di una moneta comune che ci dà buone chanches di perseguire i nostri interessi e l’opportunità di realizzarli a livello mondiale».
Come riportato da Bloomberg, «Giappone e Cina promuoveranno scambi diretti di yen e yuan senza usare il dollaro e incoraggeranno lo sviluppo di un mercato dei cambi, per tagliare i costi per le aziende». Secondo il governo di Tokyo, il Giappone effettuerà acquisti di obbligazioni cinesi già dal prossimo anno: vista l’enorme dimensione del volume degli scambi tra le due più grandi economie asiatiche, «questo accordo è molto più significativo di qualsiasi altro patto che la Cina ha firmato con altre nazioni», ha detto Ren Xianfang, un economista di Ihs Global Insight Ltd. E il ministro delle finanze Jun Azumi ha affermato il 20 dicembre che gli acquisti di obbligazioni cinesi avranno un effetto positivo sul Giappone perché aiuterà il paese a rivelare più informazioni sui mercati finanziari della Cina, che è «la detentrice della maggior quantità di riserve monetarie al mondo».
Quindi, conclude “Zero Hedge” in un intervento su “Megachip”, mentre gli Stati Uniti e l’Europa bisticciano su chi si dovrà muovere per primo a salvare l’altro, i giganti dell’economia reale – quella in piena tumultuosa crescita – hanno deciso di allontanarsi gradualmente da «quel buco del debito senza fondo» che ormai è diventato il mondo occidentale “sviluppato”. «Tutto quello che dovrà avvenire – aggiunge “Zero Hedge” – è che Russia e India si uniscano a questa intesa». La globalizzazione sembra dunque procedere per la sua strada, «ma senza Stati Uniti ed Europa».
di Giorgio Cattaneo
29 dicembre 2011
Il natale delle banche

La gravità della situazione del sistema creditizio mondiale potrebbe essere riassunta in tre cifre. La prima: in base ad un recentissimo studio, pubblicato poche settimane fa dall'autorevole Boston Consulting Group, la perdita complessiva del sistema bancario mondiale tra il 2008 ed il 2010 ammonterebbe a quasi 600 miliardi di euro(1). La seconda: il fabbisogno mondiale di denaro per portare le banche a disporre a bilancio di un capitale di almeno il 7% rispetto ai loro impieghi totali (si noti: 7 euro di capitale per garantirne 100 di impieghi...), come richiesto dallo standard Basilea 3, le banche necessiterebbero a livello mondiale di ben 354 miliardi di euro, dei quali 221 miliardi sono a carico di quelle europee(2). La terza: secondo il Sole 24 Ore, il fabbisogno di credito da parte di imprese e consumatori a livello mondiale raggiungerebbe oggi i 5.000 miliardi di euro(3).
Sono questi i dati di base che confermano il rischio di una generalizzata paralisi del sistema creditizio mondiale: quella, per capirsi, per cui le banche fanno tante difficoltà a prestare denaro a famiglie e imprese, in netto contrasto con l'atteggiamento che tutti abbiamo sperimentato fino al 2008, quando esse rincorrevano aziende e famiglie, offrendo denaro a prezzi stracciati; quando comprare a rate un personal pc o un'automobile costava meno che pagando in contanti!
In questi giorni, nei quali le persone comuni cercano la pace nelle festività natalizie, abbiamo però dinanzi agli occhi una serie di fatti che sollevano molte perplessità su questo ennesimo luogo comune e che ci danno un'idea sempre più chiara del funzionamento effettivo del sistema finanziario internazionale - obbligandoci a tornare ancora una volta sulla questione della moneta, del credito e del potere patologico delle forze finanziarie.
Il 21 dicembre infatti, la Banca Centrale Europea (BCE) ha inondato il sistema bancario europeo con un prestito di ben 489,2 miliardi di euro, ben oltre i 300 miliardi di euro che venivano stimati come effettivo fabbisogno. Economisti citati dal New York Times (4) stimano che, di questa somma, tra 190 e 270 miliardi di euro siano costituiti da nuove risorse (nuovo denaro), il resto dal rinnovo di prestiti precedentemente concessi: teniamo sempre presente che si tratta di denaro di cui la BCE ha disponibilità solo grazie alle politiche di rigore che gli Stati europei stanno adottando - sono quindi risorse finanziarie che provengono in definitiva dal lavoro dei cittadini.
Questo denaro è stato offerto alle banche con scadenza a tre anni, ad un tasso d'interesse dell'1%, condizioni quindi assolutamente favorevoli per le banche. L'intento, dice il New York Times, è quello di rendere "disponibile nuovo denaro per comprare buoni del tesoro governativi a breve termine che hanno una maggiore redditività o interessi più alti, come nel caso dei bond a due anni del governo spagnolo, che rendono il 3,64%". Permettendo in tal modo alle banche di guadagnare lautamente sul sostegno all'indebitamento dei governi più in difficoltà.
Per facilitare questa operazione di ri-finanziamento del ciclo speculativo europeo, la BCE, un vero Babbo Natale per il sistema finanziario, si è resa disponibile ad ampliare anche la tipologia dei cosiddetti "collaterali", le garanzie che le banche stesse devono esibire quando attingono al prestito, in modo da renderlo più agevole anche per piccole banche che di norma non dispongono di sufficienti garanzie. "Si tratta di un successo da diversi punti di vista" - dice Nicolas Véron, ricercatore di un'organizzazione con sede a Bruegel, citato dal New York Times. "Il problema è che espone la BCE ai rischi collegati alle banche stesse, poiché nessuno conosce la qualità dei collaterali che esse stanno fornendo in garanzia".
Secondo notizie dell'agenzia Reuters, ben 523 istituti bancari europei hanno prontamente approfittato di questa generosa offerta, tra i quali pare che UniCredit e Intesa Sampaolo abbiano attinto oltre una settantina di miliardi di euro, garantiti da circa 40 miliardi di euro di "collaterali"(5).
Grazie a queste notizie, si chiarisce subito che la generosa iniezione di risorse nel sistema bancario europeo non è destinata affatto a sostenere il credito all'economia reale: non sono cioè soldi destinati alle famiglie ed alle imprese, ma a perpetuare il meccanismo della speculazione finanziaria che ha generato per anni la parte più consistente dei guadagni delle banche nell'ultimo decennio e che è stata poi, con le sue gigantesche perdite, le cui dimensioni non sono ancora mai state quantificate, la vera origine della crisi. Evitare che si arresti questo ciclo speculativo, guadagnando tempo per evitare che vengano allo scoperto quelle perdite; permettere che a queste risorse si aggiungano altri soldi pubblici per sostenere le banche in difficoltà, attraverso meccanismi come quelli delle cosiddette bad bank, vale a dire tramite l'assunzione da parte dello Stato delle perdite - come si sta pensando di fare in Germania (6). Questa risulta essere la strategia della Banca Centrale Europea diretta da Draghi e dell'authority europea delle banche (EBA), secondo il modello della Federal Reserve Usa.
Ma vi è di più: apprendiamo infatti che solo tre giorni dopo questa iniezione di denaro, vale a dire alla Vigilia di Natale, ben 82 miliardi di euro erano già rientrati alla BCE (7) - una cifra che stabilisce una record di restituzioni alla Banca Centrale dal giugno 2010, prima cioè che la crisi europea assumesse i toni catastrofici cui siamo abituati dallo scorso luglio 2011. Una notizia apparentemente sorprendente: se infatti il fabbisogno di liquidità è così impellente, se il denaro è così scarso nel sistema creditizio mondiale, come mai le banche hanno già restituito il denaro preso in prestito? Perché non lo hanno utilizzato per ridare fiato alla circolazione interbancaria? Perché non se ne sono servite per ricapitalizzarsi? Anche in termini di pura speculazione, infatti, si tratta di un evidente non senso: lo dice il rapporto fra il costo di questo denaro, ottenuto come si è già visto ad un tasso dell'1%, ed il tasso attivo praticato dalla BCE sui suoi conti correnti di appena lo 0,25%.
Per risolvere questo singolare enigma, il Sole 24 Ore suggerisce di attendere ancora qualche giorno: potrebbe infatti trattarsi di una semplice operazione di "parcheggio" di questi fondi presso la BCE, in attesa di investimenti più redditizi, come quelli nei bond spagnoli di cui parlava il New York Times. Ma vi è un'altra ipotesi a spiegare le ragioni del mancato utilizzo sui circuiti del credito di tutti questi soldi: "le banche - scrive Moryia Longo sul giornale di Confindustria, preferiscono perdere, piuttosto che rischiare prestando quei denari a qualche altra banca o a qualche impresa".
Scopriamo così, grazie al dono natalizio della BCE, un aspetto importante e insieme impressionante della crisi. In realtà infatti esistono ancora grandi masse di capitali nel mondo, solo che sono immobilizzate nei forzieri delle grandi entità finanziarie: i soldi rientrati prontamente nelle casse della BCE sono infatti solo spiccioli se si considera che le banche Usa, secondo i calcoli di Mps Capital Service, citati dallo stesso articolo del Sole 24 Ore, hanno in deposito presso la Federal Reserve "riserve in eccesso" per ben 1.500 miliardi di dollari (rispetto ai 1.000 di gennaio 2011); che le imprese Usa hanno poi liquidità ferma nelle loro casse per altri 2.100 miliardi di dollari; e, per finire, che la Cina ha nei forzieri del governo la più ricca disponibilità di riserve mai detenute da uno Stato nella storia dell'umanità, stimate in 3.200 miliardi di dollari.
Sono in tutto quasi 7.000 miliardi di dollari tesaurizzati e sottratti alla circolazione mondiale dei capitali. E non c'è bisogno di essere professori di economica per capire che il fabbisogno mondiale di credito alle imprese e famiglie, stimato in 5.000 miliardi di dollari, sarebbe ampiamente soddisfatto solo che queste risorse venissero poste in circolazione nell'economia reale e non in quella speculativa; e ci sarebbe capienza anche per ricapitalizzare le banche mondiali. Per tacere del fatto che, mentre il valore dell'intero prodotto mondiale nel 2010 è stato di circa 70.000 miliardi di dollari, la "sola" speculazione finanziaria sui titoli derivati fuori dai circuiti controllati, escludendo quindi il valore dei mercati borsistici internazionali e del mercato dei cambi, è valutata nel 2011 da Der Spiegel in ben 708.000 miliardi di dollari!
Scopriamo quindi che il credito manca all'economia reale perché il denaro continua ad essere indirizzato ad alimentare le operazioni della finanza internazionale, a tesaurizzare riserve a copertura delle perdite che i grandi operatori sanno di avere prodotto, al possibile salvataggio di banche decotte (come nel caso da manuale di Northern Rock), nonché al supporto ai deficit di bilancio di sistemi politici in fallimento come le democrazie parlamentari occidentali. L'emissione di titoli di Stato, infatti, come ha giustamente mostrato Luciano Gallino e come molti ancora oggi si dimenticano di ricordare, è uno dei meccanismi più efficienti mediante i quali le banche centrali creano moneta dal nulla (8), indebitando i cittadini a loro insaputa: un'indebitamento delle collettività contro il quale oggi tuonano molti economisti, facendo finta di ignorare che si tratta di un aspetto fisiologico del funzionamento del capitalismo finanziario.
Dalle cifre che abbiamo citato si ricava che il credito manca oggi perché le risorse finanziarie accumulate in questi anni non vengono poste in circolazione nell'economia reale, nonostante sia ben noto a qualsiasi persona di buon senso che si occupi di economia che la circolazione del denaro è un elemento fondamentale per la salute di qualsiasi organismo economico umano. È la consapevolezza dell'enormità dei deficit provocati che spinge i grandi creatori del debito mondiale a trattenere nei propri forzieri il denaro, per guadagnare tempo evitando l'interruzione del ciclo speculativo che porterebbe allo scoperto le gigantesche perdite prodottesi in questi anni sia sui mercati ufficiali che su quelli paralleli non controllati da nessuno. E sperando che nel frattempo le gigantesche operazioni di rastrellamento di denaro dalle tasche dei cittadini, mediante le "grandi manovre" dei governi tecnici, producano il denaro necessario a che quelle perdite vengano coperte o che ne venga diluita nel tempo la fuoriuscita allo scoperto. Giacché è questo l'unico significato logico delle operazioni di "salvataggio": non si tratta, come dice Monti, di salvare l'Italia o l'Europa - si tratta di salvare dal tracollo le grandi aziende finanziarie internazionali.
Un gioco al quale si prestano anche, dimenticando gli insegnamenti di grandi capitalisti come Henry Ford e dello stesso Adam Smith, le imprese più collegate ai grandi circuiti finanziari, che si tengono stretti i soldi, nel timore del credit crunch ma anche nella speranza di quei remunerativi impieghi speculativi ai quali si sono abituate negli ultimi tre decenni - tradendo il compito che sarebbe loro primario nei sistemi di libera impresa, quello di investire nello sviluppo di nuovi prodotti e di dare lavoro alle persone. Il gioco al quale, infine, si presta ben volentieri anche la Cina, alla testa delle nuove forze del capitalismo di Stato, tipiche dei Paesi emergenti, accumulando riserve gigantesche, consapevole che in questo modo avrà in mano un'arma geo-politica decisiva per il decennio che si apre, un'arma che potrebbe ridisegnare i rapporti di potenza a livello mondiale - anche grazie ad un'abile politica di acquisizione di infrastrutture industriali e logistiche, in primo luogo proprio approfittando della crisi in Europa (9).
Solo inquadrandolo in una prospettiva così ampia, si può rilevare il vuoto di idee della battaglia "ideologica" sul come affrontare in Europa la stretta creditizia, giacché essa evita accuratamente di affrontare la questione centrale, di chi cioè debba avere il potere di immettere denaro sui mercati. Da un lato, pensando alle recessioni degli anni Trenta del secolo scorso, vi è il timore che l'emissione di denaro crei inflazione; altri invece, pensando alle politiche del secondo dopoguerra, invocano il ritorno a politiche keynesiane, per ridare fiato allo sviluppo, tornando a vedere nella "mano pubblica" la via di uscita dalla recessione (10). In entrambi i casi, sono vecchie idee, seguendo le quali ripercorreremmo strade disastrosamente già percorse dal capitalismo: strade che, di crisi in crisi, hanno costruito lo straordinario potere della finanza internazionale, che ha sovrapposto all'organismo sociale umano un'economia artificiale speculativa che opprime l'economia reale, nonostante questa debba poi ogni volta farsi carico, come sta accadendo grazie ai governi "tecnici", del salvataggio del sistema.
Il cosiddetto quantitative easing (letteralmente: "agevolazione quantitativa"), ultima forma di creazione di denaro dal nulla, utilizzato dalla Federal Reserve Usa per alimentare il sistema bancario nel momento più drammatico della crisi del 2007-2008, indebitando i governi e i cittadini, e perpetuando i meccanismi della speculazione finanziaria, mostra che il potere di emettere moneta deve essere sottratto alle banche. Ma questo potere deve essere altresì sottratto alla funzione politica, dal momento che lo Stato, nelle democrazie parlamentari, è ormai ostaggio dei poteri forti della stessa finanza internazionale: basta conoscere il già ricordato meccanismo di creazione del debito conseguente al potere delle banche di creare denaro dal nulla, e studiare in dettaglio chi sono i cosiddetti primary dealer (gli acquirenti più importanti) del debito pubblico italiano.
Di nuovo risulta evidente come sia necessario, perché l'economia reale torni a dominare correttamente la vita sociale, che le decisioni essenziali sull'economia, diventino di competenza esclusiva dei produttori (imprenditori, tecnici, lavoratori) e dei consumatori, organizzati in Camere dell'Economia, in cui essi siano pariteticamenti presenti. In una prospettiva radicalmente innovativa di questo tipo, deve spettare a chi abbia una relazione diretta con l'organizzazione e del funzionamento dei sistemi produttivi, la decisione ed il controllo sulla quantità, sulla distribuzione e sulla durata del valore della moneta, giacché solo in questo modo il denaro resterebbe collegato all'economia reale: le banche, a questo punto, svilupperebbero il loro ruolo sociale, di pura gestione tecnica del credito; l'emissione di moneta resa proporzionale alla ricchezza effettivamente prodotta dallo spirito di iniziativa, dal lavoro e dalle capacità umane, ridarebbe energia e libertà alla vita economica reale; il credito, restituito all'iniziativa ed al lavoro, riattiverebbe una sana circolazione del denaro, come linfa vitale del ciclo di produzione, trasformazione, consumo.
Per questa via occorre incamminarsi coraggiosamente, trattandosi della sola possibilità che resta ai popoli di riscattare il loro lavoro dal potere dei padroni del denaro che per questo si considerano i "padroni dell'universo".
di Gaetano Colonna
(2) Ivi.
(3) M. Longo, "Effetto crisi e Basilea 3: credit crunch mondiale stimato il 5mila miliardi", Il Sole 24 Ore, 18 dicembre 2011.
(4) N.D. Schwartz, D. Jolly, "European Bank in Strong Move to Loosen Credit", The New York Times, 21 dicembre 2011.
(5) S. Bernabei, L. Togni, "Italian banks tap €116 of ECB loans", Reuters, 21 dicembre 2011.
(6) A. Merli, "Berlino prepara la bad bank", Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2011.
(7) M. Longo, "Il maxi-prestito Bce parcheggiato a Francoforte", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.
(8) L. Gallino, Finanzcapitalismo, la civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino, 2011, p. 177.
(9) L. Vinciguerra, "La Cina mette gli occhi sugli asset strategici Ue", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.
(10) Si veda l'intervento, tipico della finanza "di sinistra", di Carlo De Benedetti, "Da Francoforte un colpo a salve", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.
31 dicembre 2011
Italia: tra sei mesi sarà ancora in piedi, oltre non si sa
![]() L'asta di ieri è andata bene. Anzi benissimo. Rendimenti dimezzati, praticamente, rispetto a quelli di un mese addietro, quando ancora Monti non si era insediato. E i grandi media hanno riportato la notizia con enfasi, assieme però a quella che ha visto il nostro spread risalire sino a quota 500. Notizie riportate (quasi) correttamente, però con una inaccettabile omissione: il motivo di una situazione non troppo semplice da capire a prima vista. Difficile insomma comprendere il perché della grande richiesta dei titoli di Stato di ieri e allo stesso tempo perché il nostro spread non sia sceso di pari passo. Sarebbe bastato spiegare, invece, la tipologia dei titoli venduti ieri, o meglio il suo significato, e quali sono stati gli eventi accaduti nei recenti giorni passati per portare alla situazione che si è verificata ieri. Dunque, in primo luogo i titoli di Stato venduti ieri sono stati quelli a sei mesi. In secondo luogo, in larga parte sono stati acquistati dalle Banche. Cosa significa? Due cose, principalmente. La prima: rispetto a un mese addietro, quando ancora non si sapeva se Berlusconi avrebbe rassegnato le dimissioni e soprattutto se sarebbe arrivato o meno al governo italiano un uomo delle Banche e dei poteri forti come Monti, oggi si sa invece con una buona certezza che l'Italia non fallirà. Almeno non in sei mesi. Quando i titoli venduti ieri arriveranno a scadenza, e all'incasso per chi li ha sottoscritti, l'Italia sarà ancora in piedi e dunque l'investimento sarà onorato. E dunque i rendimenti per i titoli a sei mesi sono scesi. La seconda: la BCE, giorni addietro, ha in pratica concesso, mediante l'operazione "liquidità illimitata" alle Banche, la possibilità per queste di rifornirsi di denaro all'interesse del misero 1%. Tale denaro sarebbe dovuto servire, molto teoricamente, per permettere alle Banche di concedere più prestiti e mutui, e insomma per ridare fiato (si fa per dire) a chi andava in banca a chiedere prestiti. Naturalmente le Banche non lo hanno usato per questo, ma per fare i propri e più sicuri interessi. Cosa di meglio che parcheggiare, e investire, il denaro ricevuto al costo di appena l'1% dalla BCE in titoli di Stato che renderanno in soli sei mesi il 3.5% circa? Risultato: le Banche hanno investito in porti sicuri per generare propri guadagni a breve, e i cittadini invece sono rimasti a secco. Ancora una volta: chi ha favorito la BCE? I cittadini europei oppure le Banche? La risposta è molto semplice ed è inutile anche scriverla. Il dato che emerge è dunque affatto positivo, come invece qualcuno ha tentato di farlo percepire: le Banche continuano a essere favorite dalla BCE che concede loro denaro ad appena l'1% mentre per legge, e per rimanere al solo caso italiano, è stato alzato il tasso di interesse considerato usura. Le Banche possono insomma comprare denaro all'1% e rivenderlo ai cittadini al 16, 17, 18 e 19%. Tutto legalmente. Malgrado questo, molto spesso non lo fanno, poiché prestare denaro ai cittadini e alle imprese è oggi un rischio molto alto, e preferiscono guadagnarci investendo nei titoli di Stato. Ma solo in quelli a breve. Cambieranno le cose oggi stesso, invece - vedremo - dove a dover essere piazzati saranno i Bot decennali del nostro Paese con uno spread che al momento nel quale scriviamo è già ben oltre i 500 punti. Per un motivo, anche in questo caso, molto semplice: chi è pronto a scommettere su una Italia ancora in piedi così come ora tra dieci anni? Valerio Lo Monaco |
30 dicembre 2011
Avviso agli Usa: Cina e Giappone abbandonano il dollaro
Giornali e Tg non ne parlano, ma per gli ambienti finanziari globali è la notizia-bomba di queste festività natalizie: la seconda e la terza economia mondiale, Cina e Giappone, hanno siglato un accordo che prevede l’abbandono del dollaro americano come valuta utilizzata negli scambi commerciali tra le due nazioni asiatiche, consentendo quindi un interscambio direttamente in yen e yuan. Finora, circa il 60 per cento degli scambi commerciali tra Cina e Giappone vengono regolati in dollari. L’intesa, siglata lunedì a Pechino al termine dell’incontro tra il premier cinese Wen Jiabao e il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda, è un chiaro segnale di sfiducia delle due potenze economiche asiatiche nei confronti della travagliata area euro-dollaro.
Questa mossa, spiega Enrico Piovesana sull’edizione online di “E”, il periodico di Emergency, viene interpretata dagli economisti come il primo passo concreto del governo di Pechino per far diventare la moneta cinese, lo yuan (o renminbi), una valuta di riserva globale sostitutiva al dollaro. Cosa attualmente non ancora possibile, vista la non completa convertibilità della valuta cinese. Per il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, il patto Cina-Giappone rappresenta una sfida che evidenzia l’importanza di una «Europa unita e di una moneta comune che ci dà buone chanches di perseguire i nostri interessi e l’opportunità di realizzarli a livello mondiale».
Come riportato da Bloomberg, «Giappone e Cina promuoveranno scambi diretti di yen e yuan senza usare il dollaro e incoraggeranno lo sviluppo di un mercato dei cambi, per tagliare i costi per le aziende». Secondo il governo di Tokyo, il Giappone effettuerà acquisti di obbligazioni cinesi già dal prossimo anno: vista l’enorme dimensione del volume degli scambi tra le due più grandi economie asiatiche, «questo accordo è molto più significativo di qualsiasi altro patto che la Cina ha firmato con altre nazioni», ha detto Ren Xianfang, un economista di Ihs Global Insight Ltd. E il ministro delle finanze Jun Azumi ha affermato il 20 dicembre che gli acquisti di obbligazioni cinesi avranno un effetto positivo sul Giappone perché aiuterà il paese a rivelare più informazioni sui mercati finanziari della Cina, che è «la detentrice della maggior quantità di riserve monetarie al mondo».
Quindi, conclude “Zero Hedge” in un intervento su “Megachip”, mentre gli Stati Uniti e l’Europa bisticciano su chi si dovrà muovere per primo a salvare l’altro, i giganti dell’economia reale – quella in piena tumultuosa crescita – hanno deciso di allontanarsi gradualmente da «quel buco del debito senza fondo» che ormai è diventato il mondo occidentale “sviluppato”. «Tutto quello che dovrà avvenire – aggiunge “Zero Hedge” – è che Russia e India si uniscano a questa intesa». La globalizzazione sembra dunque procedere per la sua strada, «ma senza Stati Uniti ed Europa».
di Giorgio Cattaneo
29 dicembre 2011
Il natale delle banche

La gravità della situazione del sistema creditizio mondiale potrebbe essere riassunta in tre cifre. La prima: in base ad un recentissimo studio, pubblicato poche settimane fa dall'autorevole Boston Consulting Group, la perdita complessiva del sistema bancario mondiale tra il 2008 ed il 2010 ammonterebbe a quasi 600 miliardi di euro(1). La seconda: il fabbisogno mondiale di denaro per portare le banche a disporre a bilancio di un capitale di almeno il 7% rispetto ai loro impieghi totali (si noti: 7 euro di capitale per garantirne 100 di impieghi...), come richiesto dallo standard Basilea 3, le banche necessiterebbero a livello mondiale di ben 354 miliardi di euro, dei quali 221 miliardi sono a carico di quelle europee(2). La terza: secondo il Sole 24 Ore, il fabbisogno di credito da parte di imprese e consumatori a livello mondiale raggiungerebbe oggi i 5.000 miliardi di euro(3).
Sono questi i dati di base che confermano il rischio di una generalizzata paralisi del sistema creditizio mondiale: quella, per capirsi, per cui le banche fanno tante difficoltà a prestare denaro a famiglie e imprese, in netto contrasto con l'atteggiamento che tutti abbiamo sperimentato fino al 2008, quando esse rincorrevano aziende e famiglie, offrendo denaro a prezzi stracciati; quando comprare a rate un personal pc o un'automobile costava meno che pagando in contanti!
In questi giorni, nei quali le persone comuni cercano la pace nelle festività natalizie, abbiamo però dinanzi agli occhi una serie di fatti che sollevano molte perplessità su questo ennesimo luogo comune e che ci danno un'idea sempre più chiara del funzionamento effettivo del sistema finanziario internazionale - obbligandoci a tornare ancora una volta sulla questione della moneta, del credito e del potere patologico delle forze finanziarie.
Il 21 dicembre infatti, la Banca Centrale Europea (BCE) ha inondato il sistema bancario europeo con un prestito di ben 489,2 miliardi di euro, ben oltre i 300 miliardi di euro che venivano stimati come effettivo fabbisogno. Economisti citati dal New York Times (4) stimano che, di questa somma, tra 190 e 270 miliardi di euro siano costituiti da nuove risorse (nuovo denaro), il resto dal rinnovo di prestiti precedentemente concessi: teniamo sempre presente che si tratta di denaro di cui la BCE ha disponibilità solo grazie alle politiche di rigore che gli Stati europei stanno adottando - sono quindi risorse finanziarie che provengono in definitiva dal lavoro dei cittadini.
Questo denaro è stato offerto alle banche con scadenza a tre anni, ad un tasso d'interesse dell'1%, condizioni quindi assolutamente favorevoli per le banche. L'intento, dice il New York Times, è quello di rendere "disponibile nuovo denaro per comprare buoni del tesoro governativi a breve termine che hanno una maggiore redditività o interessi più alti, come nel caso dei bond a due anni del governo spagnolo, che rendono il 3,64%". Permettendo in tal modo alle banche di guadagnare lautamente sul sostegno all'indebitamento dei governi più in difficoltà.
Per facilitare questa operazione di ri-finanziamento del ciclo speculativo europeo, la BCE, un vero Babbo Natale per il sistema finanziario, si è resa disponibile ad ampliare anche la tipologia dei cosiddetti "collaterali", le garanzie che le banche stesse devono esibire quando attingono al prestito, in modo da renderlo più agevole anche per piccole banche che di norma non dispongono di sufficienti garanzie. "Si tratta di un successo da diversi punti di vista" - dice Nicolas Véron, ricercatore di un'organizzazione con sede a Bruegel, citato dal New York Times. "Il problema è che espone la BCE ai rischi collegati alle banche stesse, poiché nessuno conosce la qualità dei collaterali che esse stanno fornendo in garanzia".
Secondo notizie dell'agenzia Reuters, ben 523 istituti bancari europei hanno prontamente approfittato di questa generosa offerta, tra i quali pare che UniCredit e Intesa Sampaolo abbiano attinto oltre una settantina di miliardi di euro, garantiti da circa 40 miliardi di euro di "collaterali"(5).
Grazie a queste notizie, si chiarisce subito che la generosa iniezione di risorse nel sistema bancario europeo non è destinata affatto a sostenere il credito all'economia reale: non sono cioè soldi destinati alle famiglie ed alle imprese, ma a perpetuare il meccanismo della speculazione finanziaria che ha generato per anni la parte più consistente dei guadagni delle banche nell'ultimo decennio e che è stata poi, con le sue gigantesche perdite, le cui dimensioni non sono ancora mai state quantificate, la vera origine della crisi. Evitare che si arresti questo ciclo speculativo, guadagnando tempo per evitare che vengano allo scoperto quelle perdite; permettere che a queste risorse si aggiungano altri soldi pubblici per sostenere le banche in difficoltà, attraverso meccanismi come quelli delle cosiddette bad bank, vale a dire tramite l'assunzione da parte dello Stato delle perdite - come si sta pensando di fare in Germania (6). Questa risulta essere la strategia della Banca Centrale Europea diretta da Draghi e dell'authority europea delle banche (EBA), secondo il modello della Federal Reserve Usa.
Ma vi è di più: apprendiamo infatti che solo tre giorni dopo questa iniezione di denaro, vale a dire alla Vigilia di Natale, ben 82 miliardi di euro erano già rientrati alla BCE (7) - una cifra che stabilisce una record di restituzioni alla Banca Centrale dal giugno 2010, prima cioè che la crisi europea assumesse i toni catastrofici cui siamo abituati dallo scorso luglio 2011. Una notizia apparentemente sorprendente: se infatti il fabbisogno di liquidità è così impellente, se il denaro è così scarso nel sistema creditizio mondiale, come mai le banche hanno già restituito il denaro preso in prestito? Perché non lo hanno utilizzato per ridare fiato alla circolazione interbancaria? Perché non se ne sono servite per ricapitalizzarsi? Anche in termini di pura speculazione, infatti, si tratta di un evidente non senso: lo dice il rapporto fra il costo di questo denaro, ottenuto come si è già visto ad un tasso dell'1%, ed il tasso attivo praticato dalla BCE sui suoi conti correnti di appena lo 0,25%.
Per risolvere questo singolare enigma, il Sole 24 Ore suggerisce di attendere ancora qualche giorno: potrebbe infatti trattarsi di una semplice operazione di "parcheggio" di questi fondi presso la BCE, in attesa di investimenti più redditizi, come quelli nei bond spagnoli di cui parlava il New York Times. Ma vi è un'altra ipotesi a spiegare le ragioni del mancato utilizzo sui circuiti del credito di tutti questi soldi: "le banche - scrive Moryia Longo sul giornale di Confindustria, preferiscono perdere, piuttosto che rischiare prestando quei denari a qualche altra banca o a qualche impresa".
Scopriamo così, grazie al dono natalizio della BCE, un aspetto importante e insieme impressionante della crisi. In realtà infatti esistono ancora grandi masse di capitali nel mondo, solo che sono immobilizzate nei forzieri delle grandi entità finanziarie: i soldi rientrati prontamente nelle casse della BCE sono infatti solo spiccioli se si considera che le banche Usa, secondo i calcoli di Mps Capital Service, citati dallo stesso articolo del Sole 24 Ore, hanno in deposito presso la Federal Reserve "riserve in eccesso" per ben 1.500 miliardi di dollari (rispetto ai 1.000 di gennaio 2011); che le imprese Usa hanno poi liquidità ferma nelle loro casse per altri 2.100 miliardi di dollari; e, per finire, che la Cina ha nei forzieri del governo la più ricca disponibilità di riserve mai detenute da uno Stato nella storia dell'umanità, stimate in 3.200 miliardi di dollari.
Sono in tutto quasi 7.000 miliardi di dollari tesaurizzati e sottratti alla circolazione mondiale dei capitali. E non c'è bisogno di essere professori di economica per capire che il fabbisogno mondiale di credito alle imprese e famiglie, stimato in 5.000 miliardi di dollari, sarebbe ampiamente soddisfatto solo che queste risorse venissero poste in circolazione nell'economia reale e non in quella speculativa; e ci sarebbe capienza anche per ricapitalizzare le banche mondiali. Per tacere del fatto che, mentre il valore dell'intero prodotto mondiale nel 2010 è stato di circa 70.000 miliardi di dollari, la "sola" speculazione finanziaria sui titoli derivati fuori dai circuiti controllati, escludendo quindi il valore dei mercati borsistici internazionali e del mercato dei cambi, è valutata nel 2011 da Der Spiegel in ben 708.000 miliardi di dollari!
Scopriamo quindi che il credito manca all'economia reale perché il denaro continua ad essere indirizzato ad alimentare le operazioni della finanza internazionale, a tesaurizzare riserve a copertura delle perdite che i grandi operatori sanno di avere prodotto, al possibile salvataggio di banche decotte (come nel caso da manuale di Northern Rock), nonché al supporto ai deficit di bilancio di sistemi politici in fallimento come le democrazie parlamentari occidentali. L'emissione di titoli di Stato, infatti, come ha giustamente mostrato Luciano Gallino e come molti ancora oggi si dimenticano di ricordare, è uno dei meccanismi più efficienti mediante i quali le banche centrali creano moneta dal nulla (8), indebitando i cittadini a loro insaputa: un'indebitamento delle collettività contro il quale oggi tuonano molti economisti, facendo finta di ignorare che si tratta di un aspetto fisiologico del funzionamento del capitalismo finanziario.
Dalle cifre che abbiamo citato si ricava che il credito manca oggi perché le risorse finanziarie accumulate in questi anni non vengono poste in circolazione nell'economia reale, nonostante sia ben noto a qualsiasi persona di buon senso che si occupi di economia che la circolazione del denaro è un elemento fondamentale per la salute di qualsiasi organismo economico umano. È la consapevolezza dell'enormità dei deficit provocati che spinge i grandi creatori del debito mondiale a trattenere nei propri forzieri il denaro, per guadagnare tempo evitando l'interruzione del ciclo speculativo che porterebbe allo scoperto le gigantesche perdite prodottesi in questi anni sia sui mercati ufficiali che su quelli paralleli non controllati da nessuno. E sperando che nel frattempo le gigantesche operazioni di rastrellamento di denaro dalle tasche dei cittadini, mediante le "grandi manovre" dei governi tecnici, producano il denaro necessario a che quelle perdite vengano coperte o che ne venga diluita nel tempo la fuoriuscita allo scoperto. Giacché è questo l'unico significato logico delle operazioni di "salvataggio": non si tratta, come dice Monti, di salvare l'Italia o l'Europa - si tratta di salvare dal tracollo le grandi aziende finanziarie internazionali.
Un gioco al quale si prestano anche, dimenticando gli insegnamenti di grandi capitalisti come Henry Ford e dello stesso Adam Smith, le imprese più collegate ai grandi circuiti finanziari, che si tengono stretti i soldi, nel timore del credit crunch ma anche nella speranza di quei remunerativi impieghi speculativi ai quali si sono abituate negli ultimi tre decenni - tradendo il compito che sarebbe loro primario nei sistemi di libera impresa, quello di investire nello sviluppo di nuovi prodotti e di dare lavoro alle persone. Il gioco al quale, infine, si presta ben volentieri anche la Cina, alla testa delle nuove forze del capitalismo di Stato, tipiche dei Paesi emergenti, accumulando riserve gigantesche, consapevole che in questo modo avrà in mano un'arma geo-politica decisiva per il decennio che si apre, un'arma che potrebbe ridisegnare i rapporti di potenza a livello mondiale - anche grazie ad un'abile politica di acquisizione di infrastrutture industriali e logistiche, in primo luogo proprio approfittando della crisi in Europa (9).
Solo inquadrandolo in una prospettiva così ampia, si può rilevare il vuoto di idee della battaglia "ideologica" sul come affrontare in Europa la stretta creditizia, giacché essa evita accuratamente di affrontare la questione centrale, di chi cioè debba avere il potere di immettere denaro sui mercati. Da un lato, pensando alle recessioni degli anni Trenta del secolo scorso, vi è il timore che l'emissione di denaro crei inflazione; altri invece, pensando alle politiche del secondo dopoguerra, invocano il ritorno a politiche keynesiane, per ridare fiato allo sviluppo, tornando a vedere nella "mano pubblica" la via di uscita dalla recessione (10). In entrambi i casi, sono vecchie idee, seguendo le quali ripercorreremmo strade disastrosamente già percorse dal capitalismo: strade che, di crisi in crisi, hanno costruito lo straordinario potere della finanza internazionale, che ha sovrapposto all'organismo sociale umano un'economia artificiale speculativa che opprime l'economia reale, nonostante questa debba poi ogni volta farsi carico, come sta accadendo grazie ai governi "tecnici", del salvataggio del sistema.
Il cosiddetto quantitative easing (letteralmente: "agevolazione quantitativa"), ultima forma di creazione di denaro dal nulla, utilizzato dalla Federal Reserve Usa per alimentare il sistema bancario nel momento più drammatico della crisi del 2007-2008, indebitando i governi e i cittadini, e perpetuando i meccanismi della speculazione finanziaria, mostra che il potere di emettere moneta deve essere sottratto alle banche. Ma questo potere deve essere altresì sottratto alla funzione politica, dal momento che lo Stato, nelle democrazie parlamentari, è ormai ostaggio dei poteri forti della stessa finanza internazionale: basta conoscere il già ricordato meccanismo di creazione del debito conseguente al potere delle banche di creare denaro dal nulla, e studiare in dettaglio chi sono i cosiddetti primary dealer (gli acquirenti più importanti) del debito pubblico italiano.
Di nuovo risulta evidente come sia necessario, perché l'economia reale torni a dominare correttamente la vita sociale, che le decisioni essenziali sull'economia, diventino di competenza esclusiva dei produttori (imprenditori, tecnici, lavoratori) e dei consumatori, organizzati in Camere dell'Economia, in cui essi siano pariteticamenti presenti. In una prospettiva radicalmente innovativa di questo tipo, deve spettare a chi abbia una relazione diretta con l'organizzazione e del funzionamento dei sistemi produttivi, la decisione ed il controllo sulla quantità, sulla distribuzione e sulla durata del valore della moneta, giacché solo in questo modo il denaro resterebbe collegato all'economia reale: le banche, a questo punto, svilupperebbero il loro ruolo sociale, di pura gestione tecnica del credito; l'emissione di moneta resa proporzionale alla ricchezza effettivamente prodotta dallo spirito di iniziativa, dal lavoro e dalle capacità umane, ridarebbe energia e libertà alla vita economica reale; il credito, restituito all'iniziativa ed al lavoro, riattiverebbe una sana circolazione del denaro, come linfa vitale del ciclo di produzione, trasformazione, consumo.
Per questa via occorre incamminarsi coraggiosamente, trattandosi della sola possibilità che resta ai popoli di riscattare il loro lavoro dal potere dei padroni del denaro che per questo si considerano i "padroni dell'universo".
di Gaetano Colonna
(2) Ivi.
(3) M. Longo, "Effetto crisi e Basilea 3: credit crunch mondiale stimato il 5mila miliardi", Il Sole 24 Ore, 18 dicembre 2011.
(4) N.D. Schwartz, D. Jolly, "European Bank in Strong Move to Loosen Credit", The New York Times, 21 dicembre 2011.
(5) S. Bernabei, L. Togni, "Italian banks tap €116 of ECB loans", Reuters, 21 dicembre 2011.
(6) A. Merli, "Berlino prepara la bad bank", Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2011.
(7) M. Longo, "Il maxi-prestito Bce parcheggiato a Francoforte", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.
(8) L. Gallino, Finanzcapitalismo, la civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino, 2011, p. 177.
(9) L. Vinciguerra, "La Cina mette gli occhi sugli asset strategici Ue", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.
(10) Si veda l'intervento, tipico della finanza "di sinistra", di Carlo De Benedetti, "Da Francoforte un colpo a salve", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.