20 gennaio 2012

L'inganno delle liberalizzazioni: siamo cittadini o consumatori?

Rivolta tassisti
La strategia del governo sembra essere quella del "divide et impera": attaccare la cittadinanza sotto la forma di categorie di consumo

“Divide et impera” dicevano gli antichi romani, che usavano la locuzione per intendere il loro modo di governare il territorio italiano e di evitare rivolte da parte delle popolazioni italiche sottomesse. Due millenni e mezzo dopo la strategia sembra essere ancora valida, ed è utilizzata comunemente dal potere. Ne è un esempio il decreto liberalizzazioni che verrà varato oggi.

Dopo la cosiddetta manovra 'salva-Italia', che colpiva tutti più o meno indiscriminatamente – senza ombra della tanto sbandierata equità – dalle parti di palazzo Chigi devono aver pensato che era cosa assai rischiosa inimicarsi l'intera popolazione, coesa, tutta assieme.

Ed ecco che nel nuovo decreto liberalizzazioni si adotta la strategia del motto latino. Non si attacca più un'indistinta cittadinanza, ma tanti suoi piccoli sottogruppi diversi: le categorie. Ciascuna di loro, vedendo i propri interessi attaccati, sarà così portata a reagire separatamente.

Prendiamo l'esempio dei tassisti. Il decreto prevede la liberalizzazione delle licenze, e l'annullamento della territorialità. Chi è in possesso di una licenza adesso – l'avrà pagata attorno ai 150mila euro, prezzo medio in Italia – con ogni probabilità si sarà immaginato, al momento dell'acquisto, di rivenderla a fine carriera, facendosi così una sorta di pensione, o buonuscita che dir si voglia. E la territorialità, ovvero del fatto che ogni licenza fosse limitata ad un determinato territorio in cui esercitare, serviva a proteggere il lavoro dei tassisti “autoctoni”, nei periodi di maggior richiesta.

Dunque immaginiamoci un tassista giunto più o meno ad età pensionabile, senza grandi risparmi da parte. Egli immaginava di trascorrere in pace la vecchiaia grazie ai soldi della licenza, che a suo tempo pagò una cifra ragguardevole, ed invece si ritrova con niente in mano e costretto a lavorare in condizioni peggiori di quelle a cui è sempre stato abituato, gettato nella mischia della competizione nazionale. Non ha diritto di protestare?

E il discorso fatto per i tassisti vale anche per i benzinai, che annunciano scioperi prolungati – fino a dieci giorni – per protesta contro la scelta di intervenire sull'esclusiva di fornitura nella rete carburanti, che rischia di schiacciare gli esercenti fra i pesi dei colossi petroliferi e le richieste dei mercati.

Ma per gli altri cittadini – per i cittadini non tassisti e non benzinai – queste proteste non sono che potenziali disagi. Il fatto è che le categorie sono facili da attaccare. Basta chiamarle caste, convincere i cittadini che quelli di cui godono sono dei privilegi che ricadono sulle loro spalle, che i servizi che offrono potrebbero essere molto più economici ed il gioco è fatto. Con l'aiuto dei media mainstream, si può così far sorgere nella cittadinanza una certa insofferenza nei confronti delle categorie, i cui membri ci appariranno come estremamente egoisti: arroccati a difesa dei propri interessi senza pensare al bene del paese.

Ma osservando la situazione più da vicino ci si accorge che non è così. Pur procedendo separatamente, per compartimenti stagni, la manovra del governo sta compiendo un furto complessivo dei diritti dei lavoratori (e dei cittadini), in nome di più generici diritti dei consumatori. Si sta in pratica compiendo un passo enorme da uno “stato di diritto”, dove ad essere tutelati sono i cittadini in quanto tali, ad uno “stato di mercato”, dove i cittadini sono tutelati solo nella loro dimensione di consumatori.

Il problema è che, se da un lato ci attaccano separatamente, perché ciascuno di noi apparterrà ad una soltanto delle categorie che via via passeranno sotto la macina delle liberalizzazioni, dall'altro si promettono benefici comuni, in quanto tutti rientriamo nella odiosa categoria dei consumatori. Dunque, a meno che non sia la nostra categoria ad essere attaccata in quel preciso momento, con ogni probabilità ci schiereremo dall'altra parte, dal lato dei consumatori, pronti ad attaccare i privilegi delle caste.

Ma siamo davvero consumatori prima che cittadini? E siamo sicuri che il libero mercato sia lo strumento adatto per regolare al meglio le nostre necessità? Torniamo per un attimo ai tassisti. Cosa comporteranno le liberalizzazioni? Probabilmente molti più taxi in giro, a prezzi sicuramente più economici. E chi li utilizzerà? In parte chi fino ad ora si spostava con il proprio mezzo; in buona parte – una parte probabilmente maggiore – chi utilizzava per convenienza, o per mancanza di mezzi propri, i mezzi pubblici.

Ma ha senso, proprio adesso, in piena crisi ambientale, con l'aria delle città sempre più irrespirabile, le riserve di petrolio mondiali giunte agli sgoccioli – e posizionate in luoghi sempre più difficili da raggiungere – incentivare il trasporto privato? Non preferiremmo piuttosto – come cittadini non come consumatori – avere un servizio di trasporto pubblico efficiente, di cui usufruire tutti a costi accessibili, e limitare i taxi ed i mezzi privati alle emergenze ed alle eventualità?

Ma i mercati non ascoltano i cittadini ma solo i consumatori. Non sanno cosa “è meglio”, solo cosa è “più conveniente”. Sono un meccanismo ottuso, che risponde soltanto a stimoli economici. È contro questo sistema che dobbiamo ribellarci, tutti assieme, mettendo da parte le categorie. Essere cittadini, una volta tanto.

di Andrea Degl'Innocenti

19 gennaio 2012

Il movimento dei forconi è il riscatto del Sud

forconi-movimento-mega
Li ho incontrati alla scuola di politica di Filaga sui monti Sicani. Mi dissero: siamo alla disperazione, pronti alle armi, ci manca solo un leader.

Ed io risposi: guardate che non ho fatto neanche il militare!

Non rivogliono il Regno delle due Sicilie ma sono stanchi di essere depredati e di recitare il ruolo di “Bancomat d’Italia”.


In Sicilia il Movimento dei Forconi blocca la regione. I giornali ignorano il fatto. E c'è chi ipotizza strani legami politici dietro queste proteste. Lei cosa ne pensa?


Ogni volta che il Sud protesta, e vi assicuro che ha tonnellate di ragioni per farlo, si trova sempre qualche motivo per infamare le ragioni della protesta. Io a questo movimento ho dedicato un capitolo del mio ultimo libro "Giù al sud", quando non ne parlava nessuno. Li avevo incontrati alla scuola di politica di Filaga sui monti Sicani, creata da padre Ennio Pintacuda, e avevo scoperto un mondo di cui l'Italia non sa nulla, perché se il Sud non è mafia, non è camorra, non è notizia.
Mi raccontarono che in 3 anni, su 200 mila aziende agricole, 50 mila erano state sequestrate, messe all'asta; mi raccontarono di gente che da generazioni coltivava quelle terre, che era scomparsa dall'oggi al domani in silenzio per pudore...tragedie vissute nel silenzio, all'interno delle famiglie.
Qualcuno mi si avvicinò e mi disse: noi siamo alla disperazione, pronti alle armi, ci manca solo un leader e io risposi: guardate che non ho fatto neanche il militare!
Questo è emblematico del grado di disperazione di questa gente.

Il Regno delle due Sicilie era ricchissimo. Poi l'impoverimento, la fuga del Sud. Un'emigrazione che continua anche oggi. Perché?

Ci sono almeno tre argomenti enormi nella sua domanda. Il primo, è l'impoverimento del Sud, un territorio che è esistito per oltre 700 anni con quei confini, con quella gente, e che il Regno delle due Sicilie ereditò e poi gestì per 127 anni. Per chi voglia fare dei paragoni, 127 anni è più di quanto è durato il Regno d'Italia, 85 per i Savoia, è più di quanto è durata la Repubblica italiana, è quasi quanto sono durati il Regno d'Italia e la Repubblica italiana messi insieme. Quella era una dinastia divenuta autoctona, perché creò le prime aree industriali in Italia: basta andarsi a leggere i documenti de "L' Invenzione del mezzogiorno" scritto da Nicola Zitara, e anche tanti altri libri.
L'invasione del sud con annessione comportò la distruzione dell'economia del Sud, la chiusura dei più grandi stabilimenti siderurgici d'Italia che erano in Calabria, l'eccidio, con sparatorie, delle maestranze che volevano impedirlo, la devastazione delle più grandi e efficienti officine meccaniche d'Italia che erano nel napoletano, l'asportazione dei lingotti d'oro, della ricchezza del Regno delle due Sicilie. Tutto questo comportò una ventina d'anni dopo, oltre alla reazione armata di quelli che furono chiamati briganti, che agivano per difendere il proprio paese, l'abbandono della propria terra da parte dei meridionali, un fatto questo che non era mai accaduto in decine di millenni. L'emigrazione dal sud, secondo varie stime, ha portato via 20/25 milioni di meridionali in 90 anni.
Rispetto al passato oggi è cambiato poco o nulla. Un esempio? Il Comitato interministeriale di programmazione economica divide le quote da sbloccare, che spesso sono soldi destinati al sud, per 200 quote e destina 199 quote al nord e una al sud. Con Monti le quote, anche perché i soldi sono diminuiti, sono state circa 40, di cui 39 al nord e una al sud e in tutto il programma di Monti non c'è una parola per il sud. E poi ci si meraviglia delle proteste? I cittadini del Sud vogliono solo rispetto, attenzione ed essere considerati alla pari degli altri cittadini di questo paese.
Del movimento dei forconi fanno parte anche i pastori sardi, guidati da Felice Floris. Ricordo che quando ci furono 100 mila forme di parmigiano invendute, l'allora governo a trazione leghista le fece acquistare con i soldi destinati al mezzogiorno; quando ci fu il pecorino invenduto per i sardi, l'allora governo mandò la polizia a spaccare le teste dei sardi a randellate in Sardegna, e quando i sardi presero il traghetto per andare a Roma, li aspettarono sul molo a Civitavecchia a spaccargli le teste preventivamente, prima ancora che arrivassero nella Capitale a manifestare.
I soldi che hanno usano per il parmigiano erano stati stanziati per il sud! Poi ci si meraviglia se la gente si organizza...In Sicilia il movimento dei forconi ha cominciato a protestare dopo l'ennesimo suicidio di un signore che si è lanciato dalla sua terrazza con una corda legata al collo.

E' ipotizzabile che la crisi economia spazzi via l'Italia e riporti ad assetti pre-unitari?

Queste sono sciocchezze che tendono a nascondere la serietà e la profondità delle argomentazioni per cui il sud protesta.
Dal Meridione sono andati via negli ultimi 10 anni 700 mila giovani laureati. In qualsiasi paese qualunque governo di destra o di sinistra si sarebbe occupato di questo problema. La verità è che nessuno lo vuole risolvere, perché questo è un affare per una parte del paese. Solo per far studiare i suoi figli e poi regalarli al nord, il sud spende circa 3 miliardi di Euro all'anno. Come dimostrano gli studi fatti sull'argomento, formare un laureato costa dalle scuole materne alla laurea 300 mila Euro, ma per quelli fuori sede la cifra aumenta di circa 100 mila. 23 mila studenti meridionali ogni anno si spostano al nord, fate voi i conti.
Una laurea dura in genere, sono calcoli de "Il Sole 24 ore" circa 7 anni, moltiplicate per 7 e avrete il salasso del sud a favore del nord per regalargli una classe dirigente a proprie spese. Questo solo per l'istruzione. Poi pensiamo ai trasporti: sono stati cancellati da un improponibile, impresentabile amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato tutti, ma proprio tutti, i treni diretti sud - nord, il paese è stato spezzato in due nell'anno del 150° anniversario della cosiddetta unità. E ancora, il 90% degli aerei che partono dal sud deve pagare pedaggio a Malpensa, solo per far vivere un aeroporto che non doveva esistere. Per andare da Palermo a Tunisi bisogna prendere l'aereo per Malpensa e poi da Malpensa andare a Tunisi. Dovrà finire questa porcheria!
Un ultimo aneddoto, che ho raccontato nel mio libro "Terroni": alcuni miei amici di Bari per andare a Milano si vedevano costretti a pagare all'Alitalia un biglietto più costoso del Bari -New York. Allora, per risparmiare, compravano il biglietto per New York, arrivavano a Malpensa, scendevano, strappavano il biglietto e andavano a Milano! Il sud è il Bancomat d'Italia, continuamente insultato con l'epiteto di "ladro". In realtà, è l'unico caso al mondo nella storia dell'umanità di un ladro che più ruba e più si impoverisce, di un derubato che più viene derubato e più si arricchisce. Ci sarà qualcosa di strano?

di Pino Aprile

18 gennaio 2012

N€uroschiavi





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Qualcuno spieghi a Paolo Barnard che siamo in guerra da prima che lui si svegliasse, buttato giù dal letto dalla Gabanelli, la stessa che vorrebbe eliminare il contante per combattere le mafie e l’evasione fiscale (delirio). Quella che dichiara che lei non parla di signoraggio in TV perché la gente non capirebbe (ridicolo). Nella guerra che vede schierato anche Barnard, ora che si è svegliato ed informato, da un lato c’è la piramide usurocratica, con le elite tecno-finanziarie che dettano le regole e le impongono, grazie alla servitù politica, giornalistica ed “intellettuale”.
Dietro la maschera dei banchieri, vi è il démone Usur, assetato di sangue, che si nutre della cupa mestizia che ci viene trasmessa attraverso il mantra mefistofelico della crisi. Dall’altra parte è tutto da costruire il fronte avverso, attualmente costituito da un galassia infinita di piccoli movimenti o singole persone, poco o per niente collegati tra loro. Nulla che possa essere definito "esercito", ma nemmeno “movimento”, non avendo né la consapevolezza né la lucidità del fronte avverso. Di tutti loro così messi, di tutti noi, il nostro nemico ride, perchè in realtà noi non esistiamo. Per sconfiggere il nemico, o almeno per battersi con lui, bisogna risalire al suo principio primo. Capire qual è la sua origine ed il suo fine. Saper riconoscere i suoi servitori, le sue spie, i suoi alleati. Ed infine costituire una forza da contrapporgli. Per la nostra causa e la nostra parte sarà gradito il contributo di chiunque sia in buona fede, non abbia interessi personali legati al mondo usurocratico, e sia disposto a correre qualche rischio serio. Perché se la guerra è tale bisogna mettere in preventivo i pedaggi che essa da sempre richiede. Ci vorrà un'elite del pensiero e dell’analisi tattica, dei soldati dell’idea, degli alleati. Per far parte della classe dirigente rivoluzionaria non sarà inutile, assieme ad altre qualità, avere un buon curriculum.
Certo qualcuno si sarà svegliato tardi, dopo lunghe dormite, e noi non gliene faremo una colpa. A patto che non pretenda di spiegarci tutto quello che noi sappiamo e scriviamo da anni e che, per inciso, non costituisce il maggior problema del fronte opposto alle armate di Usur. A patto che si abbandoni lo stile profetico e messianico di portatore del verbo. Oggi la difficoltà maggiore risiede nel coagulare le forze divise, dargli dignità intellettuale e militante, aumentarne la capacità detonante fino al punto di essere in grado di dichiarare guerra al nemico, e possibilmente sconfiggerlo. La pretesa di Barnard di incarnare l’inizio della consapevolezza, di datare l’anno "uno" dell’era ribelle, è fonte di ulteriore polemica sterile ed è utile solo per creare deleterie frammentazioni; segno evidente del solito vezzo ipertrofico di chi è concentrato su se stesso piuttosto che sulla guerra che dice di voler combattere. Amore di sè che forse costituisce il motivo per il quale ha dormito a lungo, e ciò nonostante oggi non è disposto, per principio, ad ascoltare nessun’altra opinione. Si ricordi che di lui nessuno sapeva nulla fino al suo litigio con la Gabanelli, questione veramente di poco conto, visto che solo Barnard non si era ancora reso conto dell'impossibilità di fare informazione libera in Rai. Comunque, la storia oggettivamente non riguardava l’esproprio della sovranità monetaria e le altre libertà sottratte, delle quali Barnard sembrava non sapere nulla.

Spremuto il limone della polemica con Rai 3, e resosi conto che non poteva portarla troppo per le lunghe, vista l’inconsistenza degli avvenimenti, un giorno Barnard ci spiegò che stava studiando la questione monetaria (ben arrivato, la vita inizia a quarant’anni), e che le teorie dei “signoraggisti” classici non lo convincevano. Tanto che, sottoposte a dei docenti universitari americani, aveva visto condiviso il proprio scetticismo, grazie al quale, di lì a breve, attraverso una dura formazione culturale, sarebbe arrivato alle attuali determinazioni: il debito è (sarebbe) una ricchezza, il problema è disporre della “moneta sovrana”, anche se ottenuta da una banca privata. Teorie più complesse di quanto qui si riassume, che hanno peraltro un certo spessore se non altro sotto il profilo accademico, ma che, evidentemente, divergono da quelle di chi sostiene che le questioni essenziali siano il danaro creato dal debito (o insieme al debito) e la mancata nazionalizzazione delle banche centrali.
Ora, senza entrare nel merito tecnico, appare evidente la natura psichica e non certo rivoluzionaria dell’idea di chiamare Auriti, Galloni, Tarquini, Della Luna, Pascucci, Saba, “signoraggisti”, con tono sbrigativo e liquidante, e pretendere di congedarli dal centro delle attenzioni di coloro i quali da decenni -e non per un licenziamento ingiustificato, ma per scelta ideale- militano sul fronte anti-usurocratico, formandosi ed informandosi con questi ed altri autori che mi scuso per non aver citato. Naturalmente lo spostamento dal centro dei vecchi “teorici” è stato subito equilibrato dal suo personale autoposizionamento. Il centro vuole occuparlo lui. Oramai si sente l’unico detentore di verità ed incede con un inquietante misto di aggressività e messianesimo. Parla di “salvataggio della democrazia”: evidentemente sonnecchia ancora, anche perché non ci spiega quando è finita (semmai è esistita) la democrazia e quando è iniziata la dittatura bancaria. E’ ovvio che nessuno vuol costringere Barnard ad aderire alle idee di quelli che “all’ingrosso” ed in un solo pacco lui definisce “signoraggisti”. E non è detto che i suoi studi non abbiano aggiunto alcune verità a quelle già conosciute. Quello che appare di origine dubbia è appunto la volontà di volersi imporre al centro dell’agone con l’aura di chi è sceso dal cielo, ed invece è tristemente solo caduto dal letto. La postura da oracolo si accompagna ad un atteggiamento scomposto ed alterato, che non trasmette solennità ma soltanto nervosismo, forse determinato dal fatto che per Barnard l’acquisizione delle terribili verità che vengono tenute nascoste ai più è particolarmente recente.
Certo che appare forzata, improbabile, non credibile, una lotta così determinata che non abbia delle radici e delle origini. Una storia personale, senza maestri e nemmeno ispiratori, tranne la solita ed un po’ provinciale storiella dei professori americani. Dimenticando che senza gli studi e gli scritti tanto disprezzati, forse il problema della sovranità monetaria non se lo sarebbe neanche posto. Non ho capito ancora quale sarebbe la novità proposta dal MMT americano, pur avendo letto tutti i documenti citati da Barnard, compresi i suoi voluminosi scritti ed interventi. La teorizzata utilizzazione del debito come “opportunità” non mi convince. Resto dell’opinione che la creazione della moneta debba essere una prerogativa degli Stati e delle entità istituzionali e politiche, quindi popolari. Non capisco perché Barnard e il MMT si ostinino a trascurare questo principio che, se eluso, vede legittimata la facoltà di emettere danaro da parte di entità private, soggette a dinamiche di interessi che divergono da quelle dei popoli. Ma al di là delle diversità teoriche, a chi giova la scomposta agitazione mostrata da Barnard, tanto protagonismo, tanto evidente narcisismo? Al demone Usur o a chi lo combatte? Risposta ovvia. Eppure, altrettanto ovviamente, abbiamo bisogno di tutti, Barnard incluso, per rovesciare i rapporti di forza. Per questo gli consiglio di leggere, più che “Euroschiavi", un altro libro, forse ancor più interessante e sottile, di Marco Della Luna, che si intitola “Neuroschiavi”.
Qualcuno dovrà dare delle piccole spiegazioni anche ad Alfonso Marra, il quale è intelligente fino alla genialità, come ci narra Pietrangelo Buttafuoco. Quindi capirà tutto al volo, e subito dopo ce lo rispiegherà ancor più chiaramente. Bisogna dirgli una cosa semplice: siamo in guerra e la guerra è una cosa seria. Come tutte le cose serie prevede che alla sostanza si accompagnino delle forme adeguate. La prassi delle battaglie ideali ha una propria liturgia. Essa impone alle parti contendenti di distinguersi per coraggio ed onore, accompagnati dalla dignitas di chi si sacrifica. Non parlo della freddezza da rettili alla maniera di Draghi o Monti, ci mancherebbe. Nel mondo che essi rappresentano certi valori non esistono. D’altronde il dèmone Usur, che loro servono e temono allo stesso tempo, non è certo una divinità del Cielo sidereo, dal quale discende ogni bellezza, inclusa l’attitudine alle forme composte ed eleganti. Mi riferisco al contegno ed allo stile che la nostra parte “in fieri” dovrebbe portare con sé quale segno di distinzione.
La scelta di diffondere, nell’opinione generale, l’abbinamento tra le nudità di Sara Tommasi e la lotta contro le banche, appare sacrilega, o, se si vuole, semplicemente penosa, oltre che controproducente. A nulla varrà evocare la mitica esigenza di visibilità. Le idee viaggiano più velocemente di quanto si creda, non è necessario affidarle al clamore legato ai banali richiami del nudo. Al contrario di quanto sperato, l’effetto che personalmente verifichiamo ogni giorno è quello dello svilimento del tema. Noi che da anni sveliamo a chiunque l’inganno del signoraggio, negli ultimi tempi spesso ci siamo sentiti dire: “ma cos’è, la cosa di quella che ha fatto vedere il culo vicino al bancomat?” ed altre cose simili. Svilimento, parodia, banalizzazione e volgarizzazione non giustificano nessun maggior contatto, illusione numerica che poggia le sue basi sul terreno preferito del nemico: la materia. La speranza che un seno od un culo possano giovare alla causa rivoluzionaria del fronte anti-usurocratico appare vana ed illusoria.
Non ci sono noti gli orizzonti ideali di Marra, al di là della comune battaglia contro ogni forma di signoraggio e per la sovranità monetaria popolare. Per quanto ci riguarda, la parte formale, ovvero estetica, lo stile ed il portamento, che dovranno caratterizzare le forze che combattono Usur, dovranno essere coerenti con il mondo che sogniamo, quello che sostituirà la civiltà radioattiva e cancerogena delle dittature bancarie. Perché noi siamo certi che, così facendo, si potrà persino perdere; ma perdere tutto tranne l’onore sarà possibile solo per coloro i quali l’onore l’avranno preservato prima, durante ed anche dopo l’ultima battaglia. Non si tratta di moralismo, è ben altro. Il moralismo è uno stato mentale borghese, appartiene alle proiezioni psichiche del mondo che combattiamo. Si chiama dignitas, una antica virtù cara ai romani.
di Marco Francesco De Marco

20 gennaio 2012

L'inganno delle liberalizzazioni: siamo cittadini o consumatori?

Rivolta tassisti
La strategia del governo sembra essere quella del "divide et impera": attaccare la cittadinanza sotto la forma di categorie di consumo

“Divide et impera” dicevano gli antichi romani, che usavano la locuzione per intendere il loro modo di governare il territorio italiano e di evitare rivolte da parte delle popolazioni italiche sottomesse. Due millenni e mezzo dopo la strategia sembra essere ancora valida, ed è utilizzata comunemente dal potere. Ne è un esempio il decreto liberalizzazioni che verrà varato oggi.

Dopo la cosiddetta manovra 'salva-Italia', che colpiva tutti più o meno indiscriminatamente – senza ombra della tanto sbandierata equità – dalle parti di palazzo Chigi devono aver pensato che era cosa assai rischiosa inimicarsi l'intera popolazione, coesa, tutta assieme.

Ed ecco che nel nuovo decreto liberalizzazioni si adotta la strategia del motto latino. Non si attacca più un'indistinta cittadinanza, ma tanti suoi piccoli sottogruppi diversi: le categorie. Ciascuna di loro, vedendo i propri interessi attaccati, sarà così portata a reagire separatamente.

Prendiamo l'esempio dei tassisti. Il decreto prevede la liberalizzazione delle licenze, e l'annullamento della territorialità. Chi è in possesso di una licenza adesso – l'avrà pagata attorno ai 150mila euro, prezzo medio in Italia – con ogni probabilità si sarà immaginato, al momento dell'acquisto, di rivenderla a fine carriera, facendosi così una sorta di pensione, o buonuscita che dir si voglia. E la territorialità, ovvero del fatto che ogni licenza fosse limitata ad un determinato territorio in cui esercitare, serviva a proteggere il lavoro dei tassisti “autoctoni”, nei periodi di maggior richiesta.

Dunque immaginiamoci un tassista giunto più o meno ad età pensionabile, senza grandi risparmi da parte. Egli immaginava di trascorrere in pace la vecchiaia grazie ai soldi della licenza, che a suo tempo pagò una cifra ragguardevole, ed invece si ritrova con niente in mano e costretto a lavorare in condizioni peggiori di quelle a cui è sempre stato abituato, gettato nella mischia della competizione nazionale. Non ha diritto di protestare?

E il discorso fatto per i tassisti vale anche per i benzinai, che annunciano scioperi prolungati – fino a dieci giorni – per protesta contro la scelta di intervenire sull'esclusiva di fornitura nella rete carburanti, che rischia di schiacciare gli esercenti fra i pesi dei colossi petroliferi e le richieste dei mercati.

Ma per gli altri cittadini – per i cittadini non tassisti e non benzinai – queste proteste non sono che potenziali disagi. Il fatto è che le categorie sono facili da attaccare. Basta chiamarle caste, convincere i cittadini che quelli di cui godono sono dei privilegi che ricadono sulle loro spalle, che i servizi che offrono potrebbero essere molto più economici ed il gioco è fatto. Con l'aiuto dei media mainstream, si può così far sorgere nella cittadinanza una certa insofferenza nei confronti delle categorie, i cui membri ci appariranno come estremamente egoisti: arroccati a difesa dei propri interessi senza pensare al bene del paese.

Ma osservando la situazione più da vicino ci si accorge che non è così. Pur procedendo separatamente, per compartimenti stagni, la manovra del governo sta compiendo un furto complessivo dei diritti dei lavoratori (e dei cittadini), in nome di più generici diritti dei consumatori. Si sta in pratica compiendo un passo enorme da uno “stato di diritto”, dove ad essere tutelati sono i cittadini in quanto tali, ad uno “stato di mercato”, dove i cittadini sono tutelati solo nella loro dimensione di consumatori.

Il problema è che, se da un lato ci attaccano separatamente, perché ciascuno di noi apparterrà ad una soltanto delle categorie che via via passeranno sotto la macina delle liberalizzazioni, dall'altro si promettono benefici comuni, in quanto tutti rientriamo nella odiosa categoria dei consumatori. Dunque, a meno che non sia la nostra categoria ad essere attaccata in quel preciso momento, con ogni probabilità ci schiereremo dall'altra parte, dal lato dei consumatori, pronti ad attaccare i privilegi delle caste.

Ma siamo davvero consumatori prima che cittadini? E siamo sicuri che il libero mercato sia lo strumento adatto per regolare al meglio le nostre necessità? Torniamo per un attimo ai tassisti. Cosa comporteranno le liberalizzazioni? Probabilmente molti più taxi in giro, a prezzi sicuramente più economici. E chi li utilizzerà? In parte chi fino ad ora si spostava con il proprio mezzo; in buona parte – una parte probabilmente maggiore – chi utilizzava per convenienza, o per mancanza di mezzi propri, i mezzi pubblici.

Ma ha senso, proprio adesso, in piena crisi ambientale, con l'aria delle città sempre più irrespirabile, le riserve di petrolio mondiali giunte agli sgoccioli – e posizionate in luoghi sempre più difficili da raggiungere – incentivare il trasporto privato? Non preferiremmo piuttosto – come cittadini non come consumatori – avere un servizio di trasporto pubblico efficiente, di cui usufruire tutti a costi accessibili, e limitare i taxi ed i mezzi privati alle emergenze ed alle eventualità?

Ma i mercati non ascoltano i cittadini ma solo i consumatori. Non sanno cosa “è meglio”, solo cosa è “più conveniente”. Sono un meccanismo ottuso, che risponde soltanto a stimoli economici. È contro questo sistema che dobbiamo ribellarci, tutti assieme, mettendo da parte le categorie. Essere cittadini, una volta tanto.

di Andrea Degl'Innocenti

19 gennaio 2012

Il movimento dei forconi è il riscatto del Sud

forconi-movimento-mega
Li ho incontrati alla scuola di politica di Filaga sui monti Sicani. Mi dissero: siamo alla disperazione, pronti alle armi, ci manca solo un leader.

Ed io risposi: guardate che non ho fatto neanche il militare!

Non rivogliono il Regno delle due Sicilie ma sono stanchi di essere depredati e di recitare il ruolo di “Bancomat d’Italia”.


In Sicilia il Movimento dei Forconi blocca la regione. I giornali ignorano il fatto. E c'è chi ipotizza strani legami politici dietro queste proteste. Lei cosa ne pensa?


Ogni volta che il Sud protesta, e vi assicuro che ha tonnellate di ragioni per farlo, si trova sempre qualche motivo per infamare le ragioni della protesta. Io a questo movimento ho dedicato un capitolo del mio ultimo libro "Giù al sud", quando non ne parlava nessuno. Li avevo incontrati alla scuola di politica di Filaga sui monti Sicani, creata da padre Ennio Pintacuda, e avevo scoperto un mondo di cui l'Italia non sa nulla, perché se il Sud non è mafia, non è camorra, non è notizia.
Mi raccontarono che in 3 anni, su 200 mila aziende agricole, 50 mila erano state sequestrate, messe all'asta; mi raccontarono di gente che da generazioni coltivava quelle terre, che era scomparsa dall'oggi al domani in silenzio per pudore...tragedie vissute nel silenzio, all'interno delle famiglie.
Qualcuno mi si avvicinò e mi disse: noi siamo alla disperazione, pronti alle armi, ci manca solo un leader e io risposi: guardate che non ho fatto neanche il militare!
Questo è emblematico del grado di disperazione di questa gente.

Il Regno delle due Sicilie era ricchissimo. Poi l'impoverimento, la fuga del Sud. Un'emigrazione che continua anche oggi. Perché?

Ci sono almeno tre argomenti enormi nella sua domanda. Il primo, è l'impoverimento del Sud, un territorio che è esistito per oltre 700 anni con quei confini, con quella gente, e che il Regno delle due Sicilie ereditò e poi gestì per 127 anni. Per chi voglia fare dei paragoni, 127 anni è più di quanto è durato il Regno d'Italia, 85 per i Savoia, è più di quanto è durata la Repubblica italiana, è quasi quanto sono durati il Regno d'Italia e la Repubblica italiana messi insieme. Quella era una dinastia divenuta autoctona, perché creò le prime aree industriali in Italia: basta andarsi a leggere i documenti de "L' Invenzione del mezzogiorno" scritto da Nicola Zitara, e anche tanti altri libri.
L'invasione del sud con annessione comportò la distruzione dell'economia del Sud, la chiusura dei più grandi stabilimenti siderurgici d'Italia che erano in Calabria, l'eccidio, con sparatorie, delle maestranze che volevano impedirlo, la devastazione delle più grandi e efficienti officine meccaniche d'Italia che erano nel napoletano, l'asportazione dei lingotti d'oro, della ricchezza del Regno delle due Sicilie. Tutto questo comportò una ventina d'anni dopo, oltre alla reazione armata di quelli che furono chiamati briganti, che agivano per difendere il proprio paese, l'abbandono della propria terra da parte dei meridionali, un fatto questo che non era mai accaduto in decine di millenni. L'emigrazione dal sud, secondo varie stime, ha portato via 20/25 milioni di meridionali in 90 anni.
Rispetto al passato oggi è cambiato poco o nulla. Un esempio? Il Comitato interministeriale di programmazione economica divide le quote da sbloccare, che spesso sono soldi destinati al sud, per 200 quote e destina 199 quote al nord e una al sud. Con Monti le quote, anche perché i soldi sono diminuiti, sono state circa 40, di cui 39 al nord e una al sud e in tutto il programma di Monti non c'è una parola per il sud. E poi ci si meraviglia delle proteste? I cittadini del Sud vogliono solo rispetto, attenzione ed essere considerati alla pari degli altri cittadini di questo paese.
Del movimento dei forconi fanno parte anche i pastori sardi, guidati da Felice Floris. Ricordo che quando ci furono 100 mila forme di parmigiano invendute, l'allora governo a trazione leghista le fece acquistare con i soldi destinati al mezzogiorno; quando ci fu il pecorino invenduto per i sardi, l'allora governo mandò la polizia a spaccare le teste dei sardi a randellate in Sardegna, e quando i sardi presero il traghetto per andare a Roma, li aspettarono sul molo a Civitavecchia a spaccargli le teste preventivamente, prima ancora che arrivassero nella Capitale a manifestare.
I soldi che hanno usano per il parmigiano erano stati stanziati per il sud! Poi ci si meraviglia se la gente si organizza...In Sicilia il movimento dei forconi ha cominciato a protestare dopo l'ennesimo suicidio di un signore che si è lanciato dalla sua terrazza con una corda legata al collo.

E' ipotizzabile che la crisi economia spazzi via l'Italia e riporti ad assetti pre-unitari?

Queste sono sciocchezze che tendono a nascondere la serietà e la profondità delle argomentazioni per cui il sud protesta.
Dal Meridione sono andati via negli ultimi 10 anni 700 mila giovani laureati. In qualsiasi paese qualunque governo di destra o di sinistra si sarebbe occupato di questo problema. La verità è che nessuno lo vuole risolvere, perché questo è un affare per una parte del paese. Solo per far studiare i suoi figli e poi regalarli al nord, il sud spende circa 3 miliardi di Euro all'anno. Come dimostrano gli studi fatti sull'argomento, formare un laureato costa dalle scuole materne alla laurea 300 mila Euro, ma per quelli fuori sede la cifra aumenta di circa 100 mila. 23 mila studenti meridionali ogni anno si spostano al nord, fate voi i conti.
Una laurea dura in genere, sono calcoli de "Il Sole 24 ore" circa 7 anni, moltiplicate per 7 e avrete il salasso del sud a favore del nord per regalargli una classe dirigente a proprie spese. Questo solo per l'istruzione. Poi pensiamo ai trasporti: sono stati cancellati da un improponibile, impresentabile amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato tutti, ma proprio tutti, i treni diretti sud - nord, il paese è stato spezzato in due nell'anno del 150° anniversario della cosiddetta unità. E ancora, il 90% degli aerei che partono dal sud deve pagare pedaggio a Malpensa, solo per far vivere un aeroporto che non doveva esistere. Per andare da Palermo a Tunisi bisogna prendere l'aereo per Malpensa e poi da Malpensa andare a Tunisi. Dovrà finire questa porcheria!
Un ultimo aneddoto, che ho raccontato nel mio libro "Terroni": alcuni miei amici di Bari per andare a Milano si vedevano costretti a pagare all'Alitalia un biglietto più costoso del Bari -New York. Allora, per risparmiare, compravano il biglietto per New York, arrivavano a Malpensa, scendevano, strappavano il biglietto e andavano a Milano! Il sud è il Bancomat d'Italia, continuamente insultato con l'epiteto di "ladro". In realtà, è l'unico caso al mondo nella storia dell'umanità di un ladro che più ruba e più si impoverisce, di un derubato che più viene derubato e più si arricchisce. Ci sarà qualcosa di strano?

di Pino Aprile

18 gennaio 2012

N€uroschiavi





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Qualcuno spieghi a Paolo Barnard che siamo in guerra da prima che lui si svegliasse, buttato giù dal letto dalla Gabanelli, la stessa che vorrebbe eliminare il contante per combattere le mafie e l’evasione fiscale (delirio). Quella che dichiara che lei non parla di signoraggio in TV perché la gente non capirebbe (ridicolo). Nella guerra che vede schierato anche Barnard, ora che si è svegliato ed informato, da un lato c’è la piramide usurocratica, con le elite tecno-finanziarie che dettano le regole e le impongono, grazie alla servitù politica, giornalistica ed “intellettuale”.
Dietro la maschera dei banchieri, vi è il démone Usur, assetato di sangue, che si nutre della cupa mestizia che ci viene trasmessa attraverso il mantra mefistofelico della crisi. Dall’altra parte è tutto da costruire il fronte avverso, attualmente costituito da un galassia infinita di piccoli movimenti o singole persone, poco o per niente collegati tra loro. Nulla che possa essere definito "esercito", ma nemmeno “movimento”, non avendo né la consapevolezza né la lucidità del fronte avverso. Di tutti loro così messi, di tutti noi, il nostro nemico ride, perchè in realtà noi non esistiamo. Per sconfiggere il nemico, o almeno per battersi con lui, bisogna risalire al suo principio primo. Capire qual è la sua origine ed il suo fine. Saper riconoscere i suoi servitori, le sue spie, i suoi alleati. Ed infine costituire una forza da contrapporgli. Per la nostra causa e la nostra parte sarà gradito il contributo di chiunque sia in buona fede, non abbia interessi personali legati al mondo usurocratico, e sia disposto a correre qualche rischio serio. Perché se la guerra è tale bisogna mettere in preventivo i pedaggi che essa da sempre richiede. Ci vorrà un'elite del pensiero e dell’analisi tattica, dei soldati dell’idea, degli alleati. Per far parte della classe dirigente rivoluzionaria non sarà inutile, assieme ad altre qualità, avere un buon curriculum.
Certo qualcuno si sarà svegliato tardi, dopo lunghe dormite, e noi non gliene faremo una colpa. A patto che non pretenda di spiegarci tutto quello che noi sappiamo e scriviamo da anni e che, per inciso, non costituisce il maggior problema del fronte opposto alle armate di Usur. A patto che si abbandoni lo stile profetico e messianico di portatore del verbo. Oggi la difficoltà maggiore risiede nel coagulare le forze divise, dargli dignità intellettuale e militante, aumentarne la capacità detonante fino al punto di essere in grado di dichiarare guerra al nemico, e possibilmente sconfiggerlo. La pretesa di Barnard di incarnare l’inizio della consapevolezza, di datare l’anno "uno" dell’era ribelle, è fonte di ulteriore polemica sterile ed è utile solo per creare deleterie frammentazioni; segno evidente del solito vezzo ipertrofico di chi è concentrato su se stesso piuttosto che sulla guerra che dice di voler combattere. Amore di sè che forse costituisce il motivo per il quale ha dormito a lungo, e ciò nonostante oggi non è disposto, per principio, ad ascoltare nessun’altra opinione. Si ricordi che di lui nessuno sapeva nulla fino al suo litigio con la Gabanelli, questione veramente di poco conto, visto che solo Barnard non si era ancora reso conto dell'impossibilità di fare informazione libera in Rai. Comunque, la storia oggettivamente non riguardava l’esproprio della sovranità monetaria e le altre libertà sottratte, delle quali Barnard sembrava non sapere nulla.

Spremuto il limone della polemica con Rai 3, e resosi conto che non poteva portarla troppo per le lunghe, vista l’inconsistenza degli avvenimenti, un giorno Barnard ci spiegò che stava studiando la questione monetaria (ben arrivato, la vita inizia a quarant’anni), e che le teorie dei “signoraggisti” classici non lo convincevano. Tanto che, sottoposte a dei docenti universitari americani, aveva visto condiviso il proprio scetticismo, grazie al quale, di lì a breve, attraverso una dura formazione culturale, sarebbe arrivato alle attuali determinazioni: il debito è (sarebbe) una ricchezza, il problema è disporre della “moneta sovrana”, anche se ottenuta da una banca privata. Teorie più complesse di quanto qui si riassume, che hanno peraltro un certo spessore se non altro sotto il profilo accademico, ma che, evidentemente, divergono da quelle di chi sostiene che le questioni essenziali siano il danaro creato dal debito (o insieme al debito) e la mancata nazionalizzazione delle banche centrali.
Ora, senza entrare nel merito tecnico, appare evidente la natura psichica e non certo rivoluzionaria dell’idea di chiamare Auriti, Galloni, Tarquini, Della Luna, Pascucci, Saba, “signoraggisti”, con tono sbrigativo e liquidante, e pretendere di congedarli dal centro delle attenzioni di coloro i quali da decenni -e non per un licenziamento ingiustificato, ma per scelta ideale- militano sul fronte anti-usurocratico, formandosi ed informandosi con questi ed altri autori che mi scuso per non aver citato. Naturalmente lo spostamento dal centro dei vecchi “teorici” è stato subito equilibrato dal suo personale autoposizionamento. Il centro vuole occuparlo lui. Oramai si sente l’unico detentore di verità ed incede con un inquietante misto di aggressività e messianesimo. Parla di “salvataggio della democrazia”: evidentemente sonnecchia ancora, anche perché non ci spiega quando è finita (semmai è esistita) la democrazia e quando è iniziata la dittatura bancaria. E’ ovvio che nessuno vuol costringere Barnard ad aderire alle idee di quelli che “all’ingrosso” ed in un solo pacco lui definisce “signoraggisti”. E non è detto che i suoi studi non abbiano aggiunto alcune verità a quelle già conosciute. Quello che appare di origine dubbia è appunto la volontà di volersi imporre al centro dell’agone con l’aura di chi è sceso dal cielo, ed invece è tristemente solo caduto dal letto. La postura da oracolo si accompagna ad un atteggiamento scomposto ed alterato, che non trasmette solennità ma soltanto nervosismo, forse determinato dal fatto che per Barnard l’acquisizione delle terribili verità che vengono tenute nascoste ai più è particolarmente recente.
Certo che appare forzata, improbabile, non credibile, una lotta così determinata che non abbia delle radici e delle origini. Una storia personale, senza maestri e nemmeno ispiratori, tranne la solita ed un po’ provinciale storiella dei professori americani. Dimenticando che senza gli studi e gli scritti tanto disprezzati, forse il problema della sovranità monetaria non se lo sarebbe neanche posto. Non ho capito ancora quale sarebbe la novità proposta dal MMT americano, pur avendo letto tutti i documenti citati da Barnard, compresi i suoi voluminosi scritti ed interventi. La teorizzata utilizzazione del debito come “opportunità” non mi convince. Resto dell’opinione che la creazione della moneta debba essere una prerogativa degli Stati e delle entità istituzionali e politiche, quindi popolari. Non capisco perché Barnard e il MMT si ostinino a trascurare questo principio che, se eluso, vede legittimata la facoltà di emettere danaro da parte di entità private, soggette a dinamiche di interessi che divergono da quelle dei popoli. Ma al di là delle diversità teoriche, a chi giova la scomposta agitazione mostrata da Barnard, tanto protagonismo, tanto evidente narcisismo? Al demone Usur o a chi lo combatte? Risposta ovvia. Eppure, altrettanto ovviamente, abbiamo bisogno di tutti, Barnard incluso, per rovesciare i rapporti di forza. Per questo gli consiglio di leggere, più che “Euroschiavi", un altro libro, forse ancor più interessante e sottile, di Marco Della Luna, che si intitola “Neuroschiavi”.
Qualcuno dovrà dare delle piccole spiegazioni anche ad Alfonso Marra, il quale è intelligente fino alla genialità, come ci narra Pietrangelo Buttafuoco. Quindi capirà tutto al volo, e subito dopo ce lo rispiegherà ancor più chiaramente. Bisogna dirgli una cosa semplice: siamo in guerra e la guerra è una cosa seria. Come tutte le cose serie prevede che alla sostanza si accompagnino delle forme adeguate. La prassi delle battaglie ideali ha una propria liturgia. Essa impone alle parti contendenti di distinguersi per coraggio ed onore, accompagnati dalla dignitas di chi si sacrifica. Non parlo della freddezza da rettili alla maniera di Draghi o Monti, ci mancherebbe. Nel mondo che essi rappresentano certi valori non esistono. D’altronde il dèmone Usur, che loro servono e temono allo stesso tempo, non è certo una divinità del Cielo sidereo, dal quale discende ogni bellezza, inclusa l’attitudine alle forme composte ed eleganti. Mi riferisco al contegno ed allo stile che la nostra parte “in fieri” dovrebbe portare con sé quale segno di distinzione.
La scelta di diffondere, nell’opinione generale, l’abbinamento tra le nudità di Sara Tommasi e la lotta contro le banche, appare sacrilega, o, se si vuole, semplicemente penosa, oltre che controproducente. A nulla varrà evocare la mitica esigenza di visibilità. Le idee viaggiano più velocemente di quanto si creda, non è necessario affidarle al clamore legato ai banali richiami del nudo. Al contrario di quanto sperato, l’effetto che personalmente verifichiamo ogni giorno è quello dello svilimento del tema. Noi che da anni sveliamo a chiunque l’inganno del signoraggio, negli ultimi tempi spesso ci siamo sentiti dire: “ma cos’è, la cosa di quella che ha fatto vedere il culo vicino al bancomat?” ed altre cose simili. Svilimento, parodia, banalizzazione e volgarizzazione non giustificano nessun maggior contatto, illusione numerica che poggia le sue basi sul terreno preferito del nemico: la materia. La speranza che un seno od un culo possano giovare alla causa rivoluzionaria del fronte anti-usurocratico appare vana ed illusoria.
Non ci sono noti gli orizzonti ideali di Marra, al di là della comune battaglia contro ogni forma di signoraggio e per la sovranità monetaria popolare. Per quanto ci riguarda, la parte formale, ovvero estetica, lo stile ed il portamento, che dovranno caratterizzare le forze che combattono Usur, dovranno essere coerenti con il mondo che sogniamo, quello che sostituirà la civiltà radioattiva e cancerogena delle dittature bancarie. Perché noi siamo certi che, così facendo, si potrà persino perdere; ma perdere tutto tranne l’onore sarà possibile solo per coloro i quali l’onore l’avranno preservato prima, durante ed anche dopo l’ultima battaglia. Non si tratta di moralismo, è ben altro. Il moralismo è uno stato mentale borghese, appartiene alle proiezioni psichiche del mondo che combattiamo. Si chiama dignitas, una antica virtù cara ai romani.
di Marco Francesco De Marco