27 gennaio 2012
Il suicidio dell’embargo petrolifero
Il marito che si evira per fare un dispetto alla moglie non è mai stato un esempio di intelligenza. Ma se addirittura non lo fa per sua libera scelta, ma per accontentare un amico capriccioso e prepotente, allora la cosa supera i limiti del demenziale. Purtroppo, però, la metafora sembra essere abbastanza calzante per descrivere l’appoggio dell’Italia all’embargo sul petrolio iraniano votato lunedì scorso dall’Unione europea. Secondo il ministro degli Esteri Giulio Terzi, l’impatto sull’economia italiana delle nuove restrizioni sarà “trascurabile” se non addirittura “nullo”. Ma ieri la FederPetroli Italia ha smentito le parole del ministro, sottolineando che “l’embargo iraniano rappresenterà un grande problema per la situazione petrolifera italiana”. Nel 2011 il nostro Paese ha importato dall’Iran 185mila barili al giorno, pari al 13% del fabbisogno. “Abbiamo altre fonti di approvvigionamento”, ha cercato di rassicurare Terzi, citando ad esempio la Libia, che “sta aumentando le sue forniture”.
Ma l’Iran, sottolineano da FederPetroli, non è solo un importante fornitore. È anche “un produttore di greggio di alta qualità” (ad alto contenuto di zolfo ndr), utilizzato in grandi quantità da molte raffinerie italiane per la produzione di prodotti derivati dalla raffinazione. Entro la fine di giugno queste dovranno abbandonare il petrolio iraniano. E non tutte sono attrezzate per lavorare con altri greggi. “C’è un problema di qualità del greggio, dovremmo fare qualche cambiamento – ha confermato Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni – ma le nostre raffinerie saranno in grado di far fronte a queste carenze”.
A questo si aggiunge il problema dei nuovi fornitori. In prima linea c’è l’Arabia Saudita, che da tempo si è detta disposta ad aumentare la produzione per approfittare dell’uscita dallo scenario europeo del nemico iraniano. Tuttavia sarà difficile che i sauditi – consapevoli di trattare da una posizione privilegiata – potranno eguagliare le condizioni vantaggiose offerte dagli iraniani. Ne sa qualcosa la Grecia, a cui Teheran fornisce un quarto del fabbisogno di petrolio e le consente il pagamento a 60 giorni dalla consegna e l’assenza di garanzie finanziarie. “L’adeguamento degli impianti per altri tipi di greggi similari, la scelta di nuovi fornitori e le variabili temporali, comporteranno dei problemi non da poco”, sottolinea il presidente di FederPetroli Michele Marsiglia.
Nel frattempo chi ci guadagna sono i Paesi asiatici che non seguono i diktat statunitensi e continuano a fare affari vantaggiosi con la Repubblica Islamica. Primi fra tutti Cina e India, per le quali l’Iran rappresenta rispettivamente il terzo e il secondo fornitore. “L’India vuole prendere quanto più greggio iraniano è possibile, perché le condizioni sono favorevoli”, ha dichiarato il ministro indiano del Petrolio S. Jaipal Reddy.
Ma anche gli alleati asiatici degli Stati Uniti che si riforniscono di petrolio iraniano stanno temporeggiando sull’adozione dell’embargo. La Corea del Sud, verso la quale sono destinate il 9% delle esportazioni di Teheran, non ha ancora deciso alcun taglio. Mentre il Giappone (che rappresenta il 13% delle esportazioni di greggio iraniano) ha chiesto agli Usa di essere esentato, anche alla luce del recente disastro di Fukushima.
Insomma, mentre noi ci “eviriamo” per accontentare Washington, l’Iran vende il suo petrolio in Asia, per altro a prezzi vantaggiosi. Per noi, invece, il prezzo del carburante è destinato a crescere ulteriormente.
Doppio standard
Mentre l’Eni viene costretta ad abbandonare ogni nuovo progetto in Iran e le raffinerie italiane dovranno adattarsi a greggi di qualità più bassa di quello iraniano, l’inglese Bp ottiene un’importante esenzione per un progetto da 20 miliardi di dollari nel Mar Caspio, che vede coinvolta anche l’azienda petrolifera iraniana Naftiran Intertrade. Lo rivela il Wall Street Journal, precisando che grazie all’intercessione di funzionari di Londra e dell’Unione europea presso il Congresso Usa, il progetto al largo dell’Azerbaijan, noto come Shah Deniz II, non sarà bloccato dalle sanzioni, nonostante la Naftiran ne detenga il 10%.
di Ferdinando Calda
26 gennaio 2012
Previsioni economiche per il 2012
Un quadro preciso dell’attuale crisi economica e delle possibili conseguenze che l’economia globale e le future misure politiche e finanziarie di Washington potranno avere sul sistema produttivo, sociale e finanziario degli Stati Uniti. Una visione importante che aiuta a capire cosa è accaduto e cosa potrebbe ancora accadere nel cuore malato dell’Impero, quali saranno le conseguenze per i mercati di Eurozona e per la stabilità dell’intero pianeta.
Predire quale sarà il tracciato che gli Stati Uniti d’America e l’economia globale andranno a delineare in questi volatili tempi economici non è facile. Tuttavia, è questo il momento in cui le previsioni acquistano maggior valore. Escluse rare eccezioni, tradizionalmente gli economisti evitano di formulare previsioni oltre le due settimane o, tutt'al più, oltre il mese entrante. La previsione dei principali punti di svolta dell'economia e degli eventi più importanti che potranno provocare maggiori crisi va evitata a tutti i costi. È molto più sicuro rifugiarsi in un diffuso consenso conservatore che fare un passo in là. Tuttavia, questo pregiudizio conservatore contribuisce non poco a rendere incomprensibile quale sarà la piega più probabile che condizioni ed eventi come la crisi economica andranno a prendere.
La ricerca di un riparo sicuro all’ombra del consenso conservatore spiega in parte perché praticamente tutti i 10.000 economisti di professione del mondo non siano riusciti a prevedere l'insorgenza dell’attuale crisi nel 2007. O perché gli stessi si trovarono unanimi nel dichiarare un’imminente ripresa economica dopo il 2009 che non c’è stata. Questa adesione al consenso è anche la ragione per cui gli economisti non sono riusciti, per la terza volta, a prevedere la prossima e ben più profonda crisi economica che quasi certamente si materializzerà entro e non oltre l'inizio del 2013 — e ipoteticamente anche prima, come rivela il sistema finanziario dell'Eurozona.
I ripetuti fallimenti degli economisti di fronte a tre grandi eventi economici degli ultimi quattro anni sono il risultato della loro adesione a un apparato concettuale che non riesce o non può spiegare quali sono le forze che si muovono dietro la crisi. È il risultato di teorie elaborate in condizioni pre-crisi che oggi non servono più. La carenza di concetti, teorie e modelli è la ragione che ha spinto gli economisti della Casa Bianca di Obama – il Consiglio dei Consulenti Economici — ad assicurare al pubblico, all'inizio del gennaio del 2009, che il pacchetto di stimolo alla ripresa di 787 miliardi di dollari avrebbe creato 6 milioni di posti di lavoro. Queste lacune hanno portato gli economisti della Federal Reserve a ritenere che 2,7 miliardi di dollari in Quantitativi di Facilitazione 1, 2 e 2,5 [1] per il biennio 2009-2011 (“operazione sviluppo”) sarebbero bastati per resuscitare il settore dell'edilizia abitativa e che sono serviti, invece, solo ad alimentare gli speculatori di futures stock [2], titoli spazzatura [3] e di commodity futures [4] di tutto il mondo. E’ la ragione per cui gli economisti del Congressional Budget Office hanno ritenuto che gli sgravi fiscali introdotti l’anno precedente da Obama, per un totale di 802 miliardi di dollari, si sarebbero certamente tradotti in un aumento significativo del PIL e dell'occupazione. Questi sgravi, invece, hanno prodotto una crescita del PIL inferiore all'1% nella prima metà del 2011 e quindi nessuna creazione di nuovi posti di lavoro al netto per il resto dell'anno.
L'ala rotta liberale: “Basta darci più stimoli!”
L'ala liberale dell’uccello senz’ali degli economisti tradizionali continua a sostenere che i programmi di Obama, dal 2009 a oggi, non hanno prodotto una tangibile ripresa economica perché lo stimolo economico è stato insufficiente. L'avanguardia di questo punto di vista ha economisti del calibro di Paul Krugman e altri. Anche Larry Summers, ex Segretario del Tesoro sotto il governo Clinton e Consigliere Capo per la politica economica sotto Obama nel 2009-10, si è unito al coro liberale sostenendo che lo stimolo originale, quello del 2009, avrebbe dovuto essere maggiore di 1 miliardo di dollari o più — e non di 787 miliardi di dollari.
Contrariamente a quanto si dice, i programmi di Obama sono falliti non solo perché hanno messo a disposizione risorse insufficienti, ma anche e soprattutto perché la loro composizione poggia su un’eccezionale miseria e, insieme, un incredibile pessimo tempismo. Riguardo alla composizione dei programmi di Obama di stimolo all’economia, il 70 per cento interessa sgravi fiscali — di cui, la maggior parte, è di tipo finanziario. Questi sgravi sono andati a vantaggio delle corporazioni, dunque, e non degli investimenti negli Stati Uniti per creare posti di lavoro. Circa un altro mezzo trilione di dollari dei programmi di spesa di Obama si compone di sovvenzioni agli Stati, ai distretti scolastici e ai disoccupati. Questi aiuti sono stati progettati per guadagnare tempo e bloccare temporaneamente il crollo dei consumi che si è verificato nel 2008-09 fino a quando gli sgravi fiscali, appunto, avrebbero dovuto mostrare il loro effetto benefico e tradursi, dunque, in un vero e proprio investimento spostando l'economia oltre il livello del recupero di emergenza. Ma così non è stato. Gli sgravi fiscali non sono diventati investimenti. Almeno non negli Stati Uniti. Alcuni sono andati all’estero e hanno creato posti di lavoro in Asia e altrove. Altri sono andati su titoli speculativi — stock, derivati, valute estere, ecc. - che non hanno creato posti di lavoro da nessuna parte. Il resto è andato sul risparmio che si sta ancora accumulando in attesa di essere reinvestito nel riacquisto azionario aziendale, nel pagamento dei dividendi o per eventuali fusioni e acquisizioni che si tradurranno forse in pochi — e non più — posti di lavoro.
Nonostante lo “stimolo” di trilioni di dollari, l'America corporativa continua a sedersi su 2-2,5 miliardi dollari contanti accumulati a fine anno 2011. Le corporazioni multinazionali continuano a detenere altri 1,4 miliardi di dollari nelle filiali off-shore. E per non essere da meno nel gioco dell’accaparramento, dopo aver beneficiato di 9 miliardi di dollari in prestiti liberi ricevuti “per salvataggio” dalla Federal Reserve, le grandi banche continuano a sedersi su altri 1,7 miliardi di dollari di riserva in eccesso distribuendo prestiti goccia a goccia alla piccola impresa e imponendo quindi una conseguente, e ancora ulteriore, scarsità di investimenti che riduce al minimo le possibilità di occupazione.
Nel frattempo, i 370 miliardi di dollari dei sussidi di Obama sono finiti nel giro di 12-18 mesi
Come per gli sgravi fiscali finanziari, i sussidi non creano posti di lavoro. Gli aiuti economici possono temporaneamente salvarne alcuni. Ma non sono una ripresa economica. Ripresa significa creazione di posti di lavoro in proporzione netta significativa ed in genere si fa riferimento a un raggio che va da 300.000 a 500.000 nuovi posti di lavoro ogni mese per un anno. Salvare posti di lavoro è in genere la politica che meglio permette di affrontare una lunga stagnazione economica al meglio.
I restanti 126 miliardi di dollari circa dei programmi di spesa di Obama per il 2009-10 erano stati destinati per piani infrastrutturali a lungo termine — ad esempio, l’aggiornamento della rete elettrica nazionale, progetti di energia alternativa e progetti di costruzione “cotti e mangiati” che non riuscivano a trovare l’immediato finanziamento necessario. Ma anche il programma di spesa per le infrastrutture non ha creato, nell’immediato, posti di lavoro e non ha generato ricchezza nel breve periodo, allo stesso modo dei tagli fiscali e dei sussidi. Composti soprattutto da progetti a partecipazione, la maggior parte dei piani infrastrutturali è a lungo termine, programmato per dare frutti su un arco di dieci anni. Come per gli sgravi fiscali, l'effetto a breve termine di questa spesa destinata al rimodernamento delle infrastrutture ha avuto scarso effetto, se non alcun effetto, in termini di creazione di qualsiasi nuovo posto di lavoro o per la ripresa economica tout court.
La trovata dell’Ala Destra: “Basta darci più soldi da spendere!”
I Repubblicani hanno assunto l’incarico alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti dopo le elezioni di medio termine del Novembre 2010 e con esso hanno preso anche l'agenda politica economica. L’elezione ha creato un ambiente ideale per ri-ascesa al potere dell'ala destra degli economisti. I programmi di Obama, sostengono, sono falliti perché hanno prodotto una "mancanza di fiducia”. Questa mancanza di fiducia, hanno detto, si deve all’incertezza sul futuro degli sgravi fiscali finanziari, ad un’eccessiva regolamentazione del mercato, ad una fase di stallo degli accordi di libero scambio con la Corea del Sud, il Panama e la Columbia, ad un deficit pendente ed eccessivo e al debito, al costo troppo alto della Legge per l’Accesso ai Servizi Sanitari del 2010 e altri nonsense economici. I conservatori economisti hanno sostenuto che cambiare queste politiche metterebbe a disposizione delle aziende e delle imprese più capitali da spendere. Più soldi significherebbe dunque più investimenti e più posti di lavoro. L'economia potrebbe dunque recuperare rapidamente.
Quello che quest’ala, tuttavia, ignora convenientemente è che, prima di tutto, un massiccio taglio alla spesa pubblica insieme ad una brusca riduzione del reddito dei consumatori produrrebbe un brusco declino del PIL e nessuna ripresa. Gli economisti conservatori sostengono che questo passaggio sarebbe più che compensato da un aumento degli investimenti delle imprese. Ma questo porta al secondo problema: vale a dire, se le corporazioni già possiedono 2 miliardi di dollari in contanti e le banche un altro 1,7 miliardi di dollari in riserva di eccesso, perché dargli altri contanti e finanziamenti produrrebbe investimenti e crescita? Esattamente: quanti altri trilioni di dollari sono necessari perché ci siano investimenti, prestiti, creazione di posti di lavoro e garanzie di ripresa economica?
Così, come l'ala liberale dell'economia non sa rispondere esattamente alla domanda “quanto ulteriore deficit di spesa è necessario per garantire una ripresa economica sostenuta?”, l’ala della destra conservatrice non può spiegare o non sa rispondere quanto altro denaro serve alle aziende e agli investitori per garantire un ritorno in termini di investimento, posti di lavoro e crescita. Tenuto conto di tali errori fondamentali di entrambe le parti, non è strano che gli economisti, liberali o conservatori che siano, abbiano incontrato grandi difficoltà negli ultimi anni e mostrato scarsa capacità di predizione della nascita e dell'evoluzione dell'attuale crisi economica. Allora, quali sono i probabili scenari che gli Stati Uniti e le economie globali si troveranno di fronte?
Previsioni per il 2012
Gli Stati Uniti vivranno una doppia recessione all’inizio del 2013 o, in caso si verifichi un'altra crisi bancaria in Europa, forse ancora prima, nel 2012
Nonostante il continuo rimbalzo di notizie economiche sui media e sulla stampa specialistica degli ultimi mesi, non c'è nessuna ripresa in corso per l’occupazione, il settore immobiliare o le finanze pubbliche locali. La crescita dell’occupazione è stata ferma, per tutto il 2011, sul raggio 80-100.000 al mese, secondo i dati mensili del Dipartimento del Lavoro. La misura più ampia della disoccupazione, l’indice U-6, è rimasto costante e fermo al 16% o a 25-26 milioni per l'ultimo anno.
Stato e governi locali continueranno a licenziare i lavoratori nella media di 20.000 al mese. Si prevedono scarsi effetti sul piano federale nonostante la tornata elettorale del 2012. Il primo trimestre del 2012 registrerà ancora una volta un significativo rallentamento della crescita del PIL. Nel secondo trimestre del 2012, la crisi del debito dell’Eurozona toccherà la sua punta massima, indebolendo ulteriormente l'economia statunitense. E’ possibile che questa possa scivolare in una fase di recessione, se la crisi dell'Euro è grave. Più probabile, tuttavia, è lo scenario di una doppia recessione che si configura all’inizio del 2013 quando si intensificheranno i tagli al deficit dal Congresso e dall'Amministrazione.
La Federal Reserve avvierà la terza versione del suo programma "Quantitativo di Facilitazione" nel 2012
Questo programma prevede che la Fed stampa denaro per acquistare direttamente titoli dai privati a prezzi gonfiati, superiori al prezzo di mercato, così da supplire la carenza di valuta e fornire altra moneta. Come per le precedenti due versioni del programma, del 2009 e del 2010, il risultato avrà scarso effetto sui settori edilizi, sul mercato del lavoro e sulla crescita generale ma ancora una volta il programma darà una spinta al mercato azionario, obbligazionario e dei derivati e all'inflazione dei prezzi relativi. La tempistica di QF3 sarà guidata dagli eventi europei. La riduzione reale del deficit – debito inizierà subito dopo le elezioni generali del Novembre 2012 o comunque non più tardi del febbraio 2013.
ll taglio del deficit futuro sarà inferiore all’ultimo accordo di accordo di agosto 2011 di 2,2 miliardi di dollari
Ciò si tradurrà in un'altra manovra di tagli alla spesa pubblica di $2-4$ miliardi che per la maggior parte cadrà sulla spesa sociale e i diritti acquisiti come Medicare, Medicaid e il sistema pensionistico e di sicurezza sociale, sugli aiuti alimentari, le prestazioni sussidiarie legate alla disoccupazione, l'istruzione e la Legge per l’Accesso ai Servizi Sanitari del 2010. Le tasse andranno ad incidere direttamente sulla classe media, andando a comprendere anche misure considerate finora come intoccabili come, ad esempio, la deduzione delle rate del mutuo dal reddito annuale complessivo.
Lo sviluppo dell’occupazione continuerà a ristagnare, restando sulla soglia di 24-25 milioni per tutto il 2012, contando anche le false partenze per il recupero di posti di lavoro determinato da fattori statistici stagionali e di altro tipo
Non ci sono programmi efficaci, oggi, per aumentare il fondamentale netto dei posti di lavoro negli Stati Uniti. Gli ulteriori sgravi fiscali per il 2011-12 non stimoleranno gli investimenti o la creazione di nuovi posti di lavoro. Le corporazioni continueranno a rifiutare di rischiare il loro massiccio gruzzolo di contanti di $2 trilioni su investimenti o in posti di lavoro e preferiranno di certo aspettare l'esito delle estensioni fiscali della tassa Bush previsto per la fine del 2012 mantenendo così un ampio cuscino di contante in previsione degli eventi europei e della possibilità di un'altra crisi globale del credito. I prestiti delle banche alle piccole e medie imprese non subiranno grossi cambiamenti e di conseguenza anche la creazione di nuovi investimenti e di nuovi posti di lavoro nelle piccole imprese resteranno ferme anche per il 2012 pure. Contemporaneamente, i governi – i comuni – le scuole continueranno a licenziare circa 20.000 persone al mese — portando il totale del pubblico impiego a quasi 1 milione di occupati in meno rispetto al primo mandato Obama. Cresceranno i numeri del licenziamento e sui licenziamenti il governo federale potrà dare dati significativi nel 2013.
Il Congresso e l'Amministrazione approveranno due manovre fiscali importanti nel 2012
Il primo decreto sarà un piegarsi al ricatto delle multinazionali (e dei contributi alla campagna elettorale) e vedrà ridurre l'aliquota di imposta del 35 per cento per il rimpatrio dei contanti oggi depositati in conti off-shore al riparo dalla tassazione americana. Tale aliquota fiscale varierà tra 5,25% e il 10%, sulla riduzione del 35%. Le multinazionali rimpatrieranno circa la metà dei loro attuali 1,4 miliardi di dollari di profitti off-shore per sfruttare la tariffa più bassa — riavviando gli stessi ricatti che si verificarono nel 2004-05 quando una legge simile ridusse l’aliquota al 5,25% rispetto al 35% al ritorno di circa la metà dei 700 miliardi di dollari scudati in conti all’estero al riparo dalla tassazione.
Il secondo disegno di legge sarà una specie di estensione degli sgravi fiscali previsti dalla tassa Bush che si voterà prima delle elezioni previste per il mese di novembre 2012; o, subito dopo ma comunque entro la fine dell'anno. L’estensione della tassa Bush è un affare per le aziende, per i dirigenti di azienda e il reddito personale dato che l’imposta sul reddito del 35% sarà definitivamente ridotta a meno del 30% in cambio di condoni fiscali non verificabili. La classe media dovrà pagare tasse più alte e la busta paga dei lavoratori oggi meno pagati si ridurrà ulteriormente.
I prezzi delle case continueranno a cadere, saliranno i pignoramenti e il patrimonio netto negativo crescerà
Gli attuali più di 11 milioni di euro di pignoramenti saliranno a oltre 13 milioni. I prezzi delle case continueranno a cadere del 5-10% sui mercati capitali (portando il prezzo del 2006 a meno del 40% in media). Almeno 17 milioni di proprietari di casa sotto ipoteca (sul totale di 54 milioni) vedranno il patrimonio netto in negativo. L'amministrazione di Obama e il Congresso costringeranno gli Stati ad accettare il piano federale che lascia alle banche e agli istituti di credito il diritto di pignorare per “effetto automatico” e illegale per un bene in cambio del credito. L’edilizia residenziale e commerciale continuerà a ristagnare sui livelli attuali.
Le esportazioni e la produzione americana rallenteranno nel 2012
Le esportazioni non supereranno l’attuale soglia di mercato del commercio mondiale e, di conseguenza ciò avrà effetti negativi sulla produzione dei beni di consumo. Le banche dell'Eurozona potrebbero implodere, una o più delle grandi banche statunitensi chiederanno un ulteriore salvataggio alla Federal Reserve e al Tesoro degli Stati Uniti. In caso di fallimento di una o più delle economie sovrane della zona euro, le principali banche di Francia, Austria, Belgio e anche della Germania diventeranno tecnicamente insolventi. In tal caso, il contagio si diffonderà rapidamente alle banche statunitensi. I gruppi più esposti e pronti a chiedere il salvataggio sono Morgan Stanley, Citigroup e Bank of America.
La crisi del debito sovrano della zona euro si stabilizzerà per poi peggiorare ancora
La crisi del debito della zona Euro si stabilizzerà temporaneamente nei primi mesi del 2012 dato che la Banca Centrale Europea segue la Federal Reserve degli Stati Uniti e introduce a sua volta quantitativi di facilitazione monetaria mentre procedono lentamente i negoziati tra gli Stati dell’Euro per la creazione di un'Unione fiscale. Tuttavia, la crisi sovranazionale esploderà di nuovo nella tarda primavera del 2012 dato che Italia e Grecia hanno un grave problema di debito e di rifinanziamento e la crisi bancaria si acuirà in Francia, in Germania e negli altri paesi dell’eurozona. Per risolvere la crisi del debito dell’Euro sarà necessario trovare il triplo o il quadruplo degli attuali 1,5 miliardi di dollari oggi disponibili nei diversi fondi di salvataggio dell’Euro — più di 5 miliardi di dollari.
Due o più banche andranno in fallimento.
Molte banche della zona euro diventeranno tecnicamente insolventi e saranno nazionalizzate dai loro governi e ritirate dal mercato. I principali candidati all’eliminazione includono banche francesi, come Societe Generale e BNP Paribas; la Commerzbank tedesco; l’Unicredit italiana; e forse una o più banche austriache e finlandesi. Le economie tedesca e francese, che hanno già subito forti rallentamenti nell’anno 2011, scivoleranno in recessione nel 2012. Il Regno Unito varerà un secondo turno dei programmi di austerità, introdotti dal governo conservatore di Cameron, che apriranno una fase di recessione.
Il tasso di crescita economica della Cina subirà forti rallentamenti.
Cresciuto costantemente della media del 9-10% negli ultimi anni, il PIL cinese si ridurrà drasticamente nel 2012, potenzialmente alla metà del tasso degli anni precedenti. Le esportazioni dei prodotti cinesi vedranno uan forte contrazione. Anche l’India si rallenterà significativamente. La più grande economia dell'America Latina, il Brasile, entrerà in recessione nel 2012.
Il commercio mondiale sarà lento a cominciare dal 2012.
Dato il rallentamento dell’economia cinese, la continua instabilità della zona euro e il rallentamento della crescita economica degli Stati Uniti il ritmo del commercio mondiale subirà un rallentamento e il mercato generale una forte contrazione. Di conseguenza anche la produzione globale subirà un forte calo.
In sintesi
Riassumendo, le previsioni elencate si basano su un'analisi economica non ortodossa. Questo quadro è la conseguenza della ristrutturazione degli Stati Uniti e dell’economia globale che negli anni ‘80 fu la risposta alla precedente crisi economica degli anni ‘70 e oggi crolla con gli eventi del 2007-08. Talvolta indicata come “neoliberismo”, questa ristrutturazione fu intesa come capacità delle economie capitalistiche di ristrutturare l'economia capitalista globale. Il risultato è una continua volatilità e instabilità economica. L'economia, statunitense e mondiale, continua a riflettere una certa fragilità strutturale grave. Ad oggi, ho definito questa condizione di incertezza come recessione epica di Tipo 1. Ma le recessioni epiche di Tipo 1 hanno la tendenza innata a tramutarsi in Tipo 2 come preludio di una depressione globale. L'anno prossimo rivelerà se questo processo è già iniziato o no dato che gli Stati Uniti e le altre economie deboli e la forte instabilità bancaria dell’Euro faranno il loro corso. Se ci sarà una forte crisi bancaria nell'area dell'euro, la probabilità di una vera depressione globale aumenterà significativamente.
di Jack Rasmus
Jack Rasmus, è autore di “Epic Recession: Prelude to Global Depresion, Obama’s Economiy: Recovery For the Few”, Pluto Press/Palgrave-Macmillan, Marzo 2012 e di un pamphlet edito da Teamsters Union dal titolo "An Alternative Program FOR Economic Recovery” (disponibile all’indirizzo internet: www.kyklos productions.com).
NOTE
[1] quantitative easing: “Quantitativi di Facilitazione/Interpolazione” – politica monetaria in cui la Banca Centrale crea denaro al fine di acquistare azioni dalle banche private – vedi: http://en.wikipedia.org/wiki/Quantitative_easing. [torna al testo]
[2] Il future stock permette ad acquirente e venditore di contrattare per una data futura un determinato numero di azioni a un prezzo che viene fissato al momento della stipula del contratto. Il future stock è dunque anche classificato come derivato simmetrico perché entrambe le parti in gioco si impegnano di effettuare una prestazione a una determinata data di scadenza. [torna al testo]
[3] Junk Bond o “titolo spazzatura” offre un alto rendimento con un alto rischio. Tale tipologia di titoli viene emessa da società disposte a pagare tassi di interesse molto elevati pur di ottenere denaro. L'elevato indebitamento della società emittente comporta un’alta probabilità di fallimento della stessa: il risparmiatore rischia quindi di perdere, in tutto o in parte, il capitale versato. [torna al testo]
[4] Una commodity futures è un contratto che obbliga a scambiare una prefissata quantità di merce, in una data prefissata e con un determinato prezzo fissato al momento della contrattazione. Il prezzo futuro non è solo la previsione di un prezzo di mercato, ma include anche le commissioni che coprono i costi di magazzinaggio, l’assicurazione ecc. [torna al testo]
24 gennaio 2012
La verità sul movimento dei forconi
![]() Questo articolo è per spiegare la mia posizione sul movimento dei forconi.Ho avuto bisogno di una presenza assidua nei punti di blocco e tre giorni di dialogo continuo con la gente presente ai caselli per farmi un’idea precisa di quello che sta succedendo e tutt’ora la mia conclusione può essere esposta esclusivamente a livello personale, per non creare conflitti in futuro con tutta la strumentalizzazione che stanno compiendo i media e per quello che rappresenta il lavoro di Lo Sai (http://it-it.facebook.com/losai.net). Quello che ho visto dall’inizio dell’organizzazione della protesta, nell’assemblea di Catania dove ha partecipato anche il presidente del Palermo Calcio Maurizio Zamparini col famosissimo intervento contro Banche, moneta debito, Monti e media (vedi video più sotto, ndr ), ad oggi è riassumibile in 2 fasi. Nella prima il blocco è stato organizzato dalla massiccia presenza degli autotrasportatori in genere che hanno orchestrato dei blocchi sicuramente d’effetto e di evidente impatto sulla regione. Nella seconda fase, dal secondo giorno in poi, quello che è successo ha quasi dell’incredibile. Si è sviluppato una notevole presenza di ragazzi e padri di famiglia che hanno accompagnato la protesta, come i forconi in maniera pacifica, per tutta la nottata di Giovedì e Venerdì. Il numero dei presenti estranei al movimento e coesi alla protesta nella serata di Venerdì è arrivato a pareggiare il numero di autotrasportatori, tanto che al casello di S.Gregorio di Catania si è notata una massa di gente mista, che non portava né bandiere né colori, nessuno slogan ma un unica voce… Adesso Basta! Dobbiamo camminare uniti e coesi a sostegno dei nostri diritti e contro le manovre bancarie che stanno schiacciando il paese. Si è vista una massiccia presenza di gente che era consapevole del problema della moneta debito e che era cosciente della soluzione che lo statuto siciliano può portare. In molti si erano informati via facebook tramite le pagine Lo Sai e Informare per Resistere. Nei giorni precedenti la mia presenza insieme a quella dei ragazzi di Lo sai siciliani ha provato a capire le motivazioni di questo blocco, aprendo più volte un dialogo con gli autotrasportatori. Le loro proteste sono per lo più legate alla forte tassazione di benzina e dei diritti degli autotrasportatori che per interrompere questo inizio anno davvero pesante e con una prospettiva futura ancora più nera, chiedevano e chiedono l’applicazione dello statuto Siciliano. Questo per evitare una tassazione così massiccia e per dar forza ad un regolamento regionale che dimezzerebbe teoricamente tutte le spese che i lavoratori stanno subendo e che hanno portato ad una situazione di grave pressione e fame… Il movimento è stato boicottato da tutti i tg nazionali e da molti regionali, nessuno ne parlava. E quando hanno iniziato a parlarne strumentalizzavano le notizie in modo da far pensare ad una manipolazione di Forza Nuova e Mafia. Adesso io non so se all’origine ci sia stata questa manipolazione, quello che so e che ho visto che le richieste dei trasportatori sono sacrosante e vanno a richiedere quello statuto che potrebbe liberare dalla pressione fiscale e dal debito tutta la regione. Non ho visto bustarelle, non ho visto pressione ai commercianti che volevano aprire la propria attività, non ho visto bandiere o striscioni o ragazzi di forza nuova per tutto il periodo e la mia presenza nei punti strategici dei blocchi. Ma allora perchè boicottare in questa maniera la manifestazione? Io posso solo immaginare il perchè del volere di boicottare questa manifestazione, ma la censura mediatica ha più motivo di esistere nella seconda fase e nei giorni successivi del blocco… Questo perchè la massiccia presenza dei non autotrasportatori, e dei ragazzi che hanno partecipato ai blocchi era una massa a me anomala in quanto a consapevolezza. Mi sono davvero stupito del fatto che la maggior parte della gente era consapevole di dover protestare per l’attuazione dello statuto al fine di far uscire l’intera regione dalla morsa del debito pubblico e dalla pressione schiavista della BCE. E in che modo? Vi voglio dare alcune notizie su questo statuto… L’Autonomia speciale è quella particolare forma di governo della Regione che fu concessa il 15 maggio 1946 alla Sicilia da re Umberto II di Savoia, disciplinata da uno Statuto speciale (art. 116 della Costituzione Italiana), che la ha dotata di una ampia autonomia politica, legislativa, amministrativa e finanziaria. Grazie allo Statuto autonomistico, la Regione Siciliana ha competenza esclusiva (cioè le leggi statali non hanno vigore nell’isola), su una serie di materie, tra cui beni culturali, agricoltura, pesca, enti locali, territorio, turismo, polizia forestale[1]. Ogni modifica allo Statuto, trattandosi di legge costituzionale, è sottoposta alla cosiddetta procedura aggravata, cioè a una doppia approvazione, a maggioranza qualificata, da parte delle Camere. Per quanto riguarda la materia fiscale, la totalità delle imposte riscosse in Sicilia, ai sensi degli articoli 36 e seguenti del proprio Statuto (Legge Costituzionale n.2 del 26 febbraio 1948), è dotata di completa autonomia finanziaria e fiscale. Ma che significa questa ultima frase? Per non annoiarvi troppo suggerisco di andarvi a leggere in toto lo statuto e per comprendere bene la sue funzioni sarebbe utile approfondire tramite le relazioni del prof. Massimo Costa docente universitario e costituzionalista dell’Università di Palermo. Adesso citerò, a mio parere, il punto principale che potrebbe cambiare quell’autonomia finanziaria che tanto ci preme. L’Articolo 41 cita testualmente: 41. Il Governo della Regione ha facoltà di emettere prestiti interni. L’attuazione di questo statuto a cosa porterebbe? Vi aiuterò a capire meglio la questione sulle riflessioni, appunto del prof.Costa: La Banca Centrale Regionale sarà totalmente pubblica, con un capitale diviso a metà tra la Regione e i Comuni, con diritto di voto proporzionale al numero degli abitanti ed al prodotto interno lordo, ed emetterà la totalità della moneta spettante alla Sicilia, sia metallica, sia cartacea, sia bancaria. Tutti i proventi dell’emissione monetaria, fissata nei limiti decisi dalle autorità monetarie italiane e, pertanto, ad oggi europee, sono attribuiti direttamente alla Regione, così come le eventuali eccedenze di riserve auree e valutarie. Una quota delle eventuali eccedenze potrà essere riservata ad emissioni monetarie di pregio con funzioni specifiche di riserva di valore, ad alto valore numismatico. La moneta bancaria è emessa integralmente dalla Banca Centrale e poi prestata, anche a interesse puramente simbolico, alle banche private (la riserva frazionaria è dunque posta pari al 100 %) o accreditata direttamente alla Regione, tolte le spese della Banca Centrale ed una congrua quota di accantonamento. Anche la moneta cartacea non è “prestata” alla Regione ma direttamente accreditata alla stessa come sopra. La Banca Centrale Regionale emetterà, sotto forma di prestito interno infruttifero, anche una moneta complementare regionale avente valore legale solo per le transazioni interne all’isola, accreditando i relativi benefici al 50 % alla Regione ed al 50 % alle persone in condizione non lavorativa quale “reddito di cittadinanza” (minori, studenti universitari, casalinghe, disoccupati, pensionati). Alla luce di queste analisi suggerirei vivamente a tutta la popolazione siciliana di unirsi alla protesta ai fini di pressare per l’attuazione dello statuto e smetterla di lamentarsi per la mancanza di benzina o alimenti.. In quanto, da qui a poco, questa mancanza potrebbe rivelarsi non indotta dalla protesta ma un reale pericolo che rifletterebbe la situazione Greca che si è venuta a creare all’interno del palcoscenico europeo. Piuttosto che chiedersi chi sta dietro alla protesta sarebbe molto più utile chiedersi dove cazzo sono gli altri movimenti e schieramenti politici regionali che non stanno accompagnando questa richiesta d’aiuto popolare con la soluzione in mano. E’ stato più volte detto che la protesta non vuole ne bandiere ne colori, ma vedere che la gente resta a casa perché non accompagnata dalla propria bandiera è assai più sconfortante e evince la totale mancanza di personalità e carattere di tutta la cittadinanza. Soprattutto alla luce dell’unione a gran voce di tante città italiane che stanno occupando i caselli di tutto il territorio nazionale… Siciliani sarebbe ora di svegliarsi o ORA O MAI PIU’!! Santo YesMan Fonte: www.informarexresistere.fr/ di Santo Yesman |
27 gennaio 2012
Il suicidio dell’embargo petrolifero
Il marito che si evira per fare un dispetto alla moglie non è mai stato un esempio di intelligenza. Ma se addirittura non lo fa per sua libera scelta, ma per accontentare un amico capriccioso e prepotente, allora la cosa supera i limiti del demenziale. Purtroppo, però, la metafora sembra essere abbastanza calzante per descrivere l’appoggio dell’Italia all’embargo sul petrolio iraniano votato lunedì scorso dall’Unione europea. Secondo il ministro degli Esteri Giulio Terzi, l’impatto sull’economia italiana delle nuove restrizioni sarà “trascurabile” se non addirittura “nullo”. Ma ieri la FederPetroli Italia ha smentito le parole del ministro, sottolineando che “l’embargo iraniano rappresenterà un grande problema per la situazione petrolifera italiana”. Nel 2011 il nostro Paese ha importato dall’Iran 185mila barili al giorno, pari al 13% del fabbisogno. “Abbiamo altre fonti di approvvigionamento”, ha cercato di rassicurare Terzi, citando ad esempio la Libia, che “sta aumentando le sue forniture”.
Ma l’Iran, sottolineano da FederPetroli, non è solo un importante fornitore. È anche “un produttore di greggio di alta qualità” (ad alto contenuto di zolfo ndr), utilizzato in grandi quantità da molte raffinerie italiane per la produzione di prodotti derivati dalla raffinazione. Entro la fine di giugno queste dovranno abbandonare il petrolio iraniano. E non tutte sono attrezzate per lavorare con altri greggi. “C’è un problema di qualità del greggio, dovremmo fare qualche cambiamento – ha confermato Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni – ma le nostre raffinerie saranno in grado di far fronte a queste carenze”.
A questo si aggiunge il problema dei nuovi fornitori. In prima linea c’è l’Arabia Saudita, che da tempo si è detta disposta ad aumentare la produzione per approfittare dell’uscita dallo scenario europeo del nemico iraniano. Tuttavia sarà difficile che i sauditi – consapevoli di trattare da una posizione privilegiata – potranno eguagliare le condizioni vantaggiose offerte dagli iraniani. Ne sa qualcosa la Grecia, a cui Teheran fornisce un quarto del fabbisogno di petrolio e le consente il pagamento a 60 giorni dalla consegna e l’assenza di garanzie finanziarie. “L’adeguamento degli impianti per altri tipi di greggi similari, la scelta di nuovi fornitori e le variabili temporali, comporteranno dei problemi non da poco”, sottolinea il presidente di FederPetroli Michele Marsiglia.
Nel frattempo chi ci guadagna sono i Paesi asiatici che non seguono i diktat statunitensi e continuano a fare affari vantaggiosi con la Repubblica Islamica. Primi fra tutti Cina e India, per le quali l’Iran rappresenta rispettivamente il terzo e il secondo fornitore. “L’India vuole prendere quanto più greggio iraniano è possibile, perché le condizioni sono favorevoli”, ha dichiarato il ministro indiano del Petrolio S. Jaipal Reddy.
Ma anche gli alleati asiatici degli Stati Uniti che si riforniscono di petrolio iraniano stanno temporeggiando sull’adozione dell’embargo. La Corea del Sud, verso la quale sono destinate il 9% delle esportazioni di Teheran, non ha ancora deciso alcun taglio. Mentre il Giappone (che rappresenta il 13% delle esportazioni di greggio iraniano) ha chiesto agli Usa di essere esentato, anche alla luce del recente disastro di Fukushima.
Insomma, mentre noi ci “eviriamo” per accontentare Washington, l’Iran vende il suo petrolio in Asia, per altro a prezzi vantaggiosi. Per noi, invece, il prezzo del carburante è destinato a crescere ulteriormente.
Doppio standard
Mentre l’Eni viene costretta ad abbandonare ogni nuovo progetto in Iran e le raffinerie italiane dovranno adattarsi a greggi di qualità più bassa di quello iraniano, l’inglese Bp ottiene un’importante esenzione per un progetto da 20 miliardi di dollari nel Mar Caspio, che vede coinvolta anche l’azienda petrolifera iraniana Naftiran Intertrade. Lo rivela il Wall Street Journal, precisando che grazie all’intercessione di funzionari di Londra e dell’Unione europea presso il Congresso Usa, il progetto al largo dell’Azerbaijan, noto come Shah Deniz II, non sarà bloccato dalle sanzioni, nonostante la Naftiran ne detenga il 10%.
di Ferdinando Calda
26 gennaio 2012
Previsioni economiche per il 2012
Un quadro preciso dell’attuale crisi economica e delle possibili conseguenze che l’economia globale e le future misure politiche e finanziarie di Washington potranno avere sul sistema produttivo, sociale e finanziario degli Stati Uniti. Una visione importante che aiuta a capire cosa è accaduto e cosa potrebbe ancora accadere nel cuore malato dell’Impero, quali saranno le conseguenze per i mercati di Eurozona e per la stabilità dell’intero pianeta.
Predire quale sarà il tracciato che gli Stati Uniti d’America e l’economia globale andranno a delineare in questi volatili tempi economici non è facile. Tuttavia, è questo il momento in cui le previsioni acquistano maggior valore. Escluse rare eccezioni, tradizionalmente gli economisti evitano di formulare previsioni oltre le due settimane o, tutt'al più, oltre il mese entrante. La previsione dei principali punti di svolta dell'economia e degli eventi più importanti che potranno provocare maggiori crisi va evitata a tutti i costi. È molto più sicuro rifugiarsi in un diffuso consenso conservatore che fare un passo in là. Tuttavia, questo pregiudizio conservatore contribuisce non poco a rendere incomprensibile quale sarà la piega più probabile che condizioni ed eventi come la crisi economica andranno a prendere.
La ricerca di un riparo sicuro all’ombra del consenso conservatore spiega in parte perché praticamente tutti i 10.000 economisti di professione del mondo non siano riusciti a prevedere l'insorgenza dell’attuale crisi nel 2007. O perché gli stessi si trovarono unanimi nel dichiarare un’imminente ripresa economica dopo il 2009 che non c’è stata. Questa adesione al consenso è anche la ragione per cui gli economisti non sono riusciti, per la terza volta, a prevedere la prossima e ben più profonda crisi economica che quasi certamente si materializzerà entro e non oltre l'inizio del 2013 — e ipoteticamente anche prima, come rivela il sistema finanziario dell'Eurozona.
I ripetuti fallimenti degli economisti di fronte a tre grandi eventi economici degli ultimi quattro anni sono il risultato della loro adesione a un apparato concettuale che non riesce o non può spiegare quali sono le forze che si muovono dietro la crisi. È il risultato di teorie elaborate in condizioni pre-crisi che oggi non servono più. La carenza di concetti, teorie e modelli è la ragione che ha spinto gli economisti della Casa Bianca di Obama – il Consiglio dei Consulenti Economici — ad assicurare al pubblico, all'inizio del gennaio del 2009, che il pacchetto di stimolo alla ripresa di 787 miliardi di dollari avrebbe creato 6 milioni di posti di lavoro. Queste lacune hanno portato gli economisti della Federal Reserve a ritenere che 2,7 miliardi di dollari in Quantitativi di Facilitazione 1, 2 e 2,5 [1] per il biennio 2009-2011 (“operazione sviluppo”) sarebbero bastati per resuscitare il settore dell'edilizia abitativa e che sono serviti, invece, solo ad alimentare gli speculatori di futures stock [2], titoli spazzatura [3] e di commodity futures [4] di tutto il mondo. E’ la ragione per cui gli economisti del Congressional Budget Office hanno ritenuto che gli sgravi fiscali introdotti l’anno precedente da Obama, per un totale di 802 miliardi di dollari, si sarebbero certamente tradotti in un aumento significativo del PIL e dell'occupazione. Questi sgravi, invece, hanno prodotto una crescita del PIL inferiore all'1% nella prima metà del 2011 e quindi nessuna creazione di nuovi posti di lavoro al netto per il resto dell'anno.
L'ala rotta liberale: “Basta darci più stimoli!”
L'ala liberale dell’uccello senz’ali degli economisti tradizionali continua a sostenere che i programmi di Obama, dal 2009 a oggi, non hanno prodotto una tangibile ripresa economica perché lo stimolo economico è stato insufficiente. L'avanguardia di questo punto di vista ha economisti del calibro di Paul Krugman e altri. Anche Larry Summers, ex Segretario del Tesoro sotto il governo Clinton e Consigliere Capo per la politica economica sotto Obama nel 2009-10, si è unito al coro liberale sostenendo che lo stimolo originale, quello del 2009, avrebbe dovuto essere maggiore di 1 miliardo di dollari o più — e non di 787 miliardi di dollari.
Contrariamente a quanto si dice, i programmi di Obama sono falliti non solo perché hanno messo a disposizione risorse insufficienti, ma anche e soprattutto perché la loro composizione poggia su un’eccezionale miseria e, insieme, un incredibile pessimo tempismo. Riguardo alla composizione dei programmi di Obama di stimolo all’economia, il 70 per cento interessa sgravi fiscali — di cui, la maggior parte, è di tipo finanziario. Questi sgravi sono andati a vantaggio delle corporazioni, dunque, e non degli investimenti negli Stati Uniti per creare posti di lavoro. Circa un altro mezzo trilione di dollari dei programmi di spesa di Obama si compone di sovvenzioni agli Stati, ai distretti scolastici e ai disoccupati. Questi aiuti sono stati progettati per guadagnare tempo e bloccare temporaneamente il crollo dei consumi che si è verificato nel 2008-09 fino a quando gli sgravi fiscali, appunto, avrebbero dovuto mostrare il loro effetto benefico e tradursi, dunque, in un vero e proprio investimento spostando l'economia oltre il livello del recupero di emergenza. Ma così non è stato. Gli sgravi fiscali non sono diventati investimenti. Almeno non negli Stati Uniti. Alcuni sono andati all’estero e hanno creato posti di lavoro in Asia e altrove. Altri sono andati su titoli speculativi — stock, derivati, valute estere, ecc. - che non hanno creato posti di lavoro da nessuna parte. Il resto è andato sul risparmio che si sta ancora accumulando in attesa di essere reinvestito nel riacquisto azionario aziendale, nel pagamento dei dividendi o per eventuali fusioni e acquisizioni che si tradurranno forse in pochi — e non più — posti di lavoro.
Nonostante lo “stimolo” di trilioni di dollari, l'America corporativa continua a sedersi su 2-2,5 miliardi dollari contanti accumulati a fine anno 2011. Le corporazioni multinazionali continuano a detenere altri 1,4 miliardi di dollari nelle filiali off-shore. E per non essere da meno nel gioco dell’accaparramento, dopo aver beneficiato di 9 miliardi di dollari in prestiti liberi ricevuti “per salvataggio” dalla Federal Reserve, le grandi banche continuano a sedersi su altri 1,7 miliardi di dollari di riserva in eccesso distribuendo prestiti goccia a goccia alla piccola impresa e imponendo quindi una conseguente, e ancora ulteriore, scarsità di investimenti che riduce al minimo le possibilità di occupazione.
Nel frattempo, i 370 miliardi di dollari dei sussidi di Obama sono finiti nel giro di 12-18 mesi
Come per gli sgravi fiscali finanziari, i sussidi non creano posti di lavoro. Gli aiuti economici possono temporaneamente salvarne alcuni. Ma non sono una ripresa economica. Ripresa significa creazione di posti di lavoro in proporzione netta significativa ed in genere si fa riferimento a un raggio che va da 300.000 a 500.000 nuovi posti di lavoro ogni mese per un anno. Salvare posti di lavoro è in genere la politica che meglio permette di affrontare una lunga stagnazione economica al meglio.
I restanti 126 miliardi di dollari circa dei programmi di spesa di Obama per il 2009-10 erano stati destinati per piani infrastrutturali a lungo termine — ad esempio, l’aggiornamento della rete elettrica nazionale, progetti di energia alternativa e progetti di costruzione “cotti e mangiati” che non riuscivano a trovare l’immediato finanziamento necessario. Ma anche il programma di spesa per le infrastrutture non ha creato, nell’immediato, posti di lavoro e non ha generato ricchezza nel breve periodo, allo stesso modo dei tagli fiscali e dei sussidi. Composti soprattutto da progetti a partecipazione, la maggior parte dei piani infrastrutturali è a lungo termine, programmato per dare frutti su un arco di dieci anni. Come per gli sgravi fiscali, l'effetto a breve termine di questa spesa destinata al rimodernamento delle infrastrutture ha avuto scarso effetto, se non alcun effetto, in termini di creazione di qualsiasi nuovo posto di lavoro o per la ripresa economica tout court.
La trovata dell’Ala Destra: “Basta darci più soldi da spendere!”
I Repubblicani hanno assunto l’incarico alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti dopo le elezioni di medio termine del Novembre 2010 e con esso hanno preso anche l'agenda politica economica. L’elezione ha creato un ambiente ideale per ri-ascesa al potere dell'ala destra degli economisti. I programmi di Obama, sostengono, sono falliti perché hanno prodotto una "mancanza di fiducia”. Questa mancanza di fiducia, hanno detto, si deve all’incertezza sul futuro degli sgravi fiscali finanziari, ad un’eccessiva regolamentazione del mercato, ad una fase di stallo degli accordi di libero scambio con la Corea del Sud, il Panama e la Columbia, ad un deficit pendente ed eccessivo e al debito, al costo troppo alto della Legge per l’Accesso ai Servizi Sanitari del 2010 e altri nonsense economici. I conservatori economisti hanno sostenuto che cambiare queste politiche metterebbe a disposizione delle aziende e delle imprese più capitali da spendere. Più soldi significherebbe dunque più investimenti e più posti di lavoro. L'economia potrebbe dunque recuperare rapidamente.
Quello che quest’ala, tuttavia, ignora convenientemente è che, prima di tutto, un massiccio taglio alla spesa pubblica insieme ad una brusca riduzione del reddito dei consumatori produrrebbe un brusco declino del PIL e nessuna ripresa. Gli economisti conservatori sostengono che questo passaggio sarebbe più che compensato da un aumento degli investimenti delle imprese. Ma questo porta al secondo problema: vale a dire, se le corporazioni già possiedono 2 miliardi di dollari in contanti e le banche un altro 1,7 miliardi di dollari in riserva di eccesso, perché dargli altri contanti e finanziamenti produrrebbe investimenti e crescita? Esattamente: quanti altri trilioni di dollari sono necessari perché ci siano investimenti, prestiti, creazione di posti di lavoro e garanzie di ripresa economica?
Così, come l'ala liberale dell'economia non sa rispondere esattamente alla domanda “quanto ulteriore deficit di spesa è necessario per garantire una ripresa economica sostenuta?”, l’ala della destra conservatrice non può spiegare o non sa rispondere quanto altro denaro serve alle aziende e agli investitori per garantire un ritorno in termini di investimento, posti di lavoro e crescita. Tenuto conto di tali errori fondamentali di entrambe le parti, non è strano che gli economisti, liberali o conservatori che siano, abbiano incontrato grandi difficoltà negli ultimi anni e mostrato scarsa capacità di predizione della nascita e dell'evoluzione dell'attuale crisi economica. Allora, quali sono i probabili scenari che gli Stati Uniti e le economie globali si troveranno di fronte?
Previsioni per il 2012
Gli Stati Uniti vivranno una doppia recessione all’inizio del 2013 o, in caso si verifichi un'altra crisi bancaria in Europa, forse ancora prima, nel 2012
Nonostante il continuo rimbalzo di notizie economiche sui media e sulla stampa specialistica degli ultimi mesi, non c'è nessuna ripresa in corso per l’occupazione, il settore immobiliare o le finanze pubbliche locali. La crescita dell’occupazione è stata ferma, per tutto il 2011, sul raggio 80-100.000 al mese, secondo i dati mensili del Dipartimento del Lavoro. La misura più ampia della disoccupazione, l’indice U-6, è rimasto costante e fermo al 16% o a 25-26 milioni per l'ultimo anno.
Stato e governi locali continueranno a licenziare i lavoratori nella media di 20.000 al mese. Si prevedono scarsi effetti sul piano federale nonostante la tornata elettorale del 2012. Il primo trimestre del 2012 registrerà ancora una volta un significativo rallentamento della crescita del PIL. Nel secondo trimestre del 2012, la crisi del debito dell’Eurozona toccherà la sua punta massima, indebolendo ulteriormente l'economia statunitense. E’ possibile che questa possa scivolare in una fase di recessione, se la crisi dell'Euro è grave. Più probabile, tuttavia, è lo scenario di una doppia recessione che si configura all’inizio del 2013 quando si intensificheranno i tagli al deficit dal Congresso e dall'Amministrazione.
La Federal Reserve avvierà la terza versione del suo programma "Quantitativo di Facilitazione" nel 2012
Questo programma prevede che la Fed stampa denaro per acquistare direttamente titoli dai privati a prezzi gonfiati, superiori al prezzo di mercato, così da supplire la carenza di valuta e fornire altra moneta. Come per le precedenti due versioni del programma, del 2009 e del 2010, il risultato avrà scarso effetto sui settori edilizi, sul mercato del lavoro e sulla crescita generale ma ancora una volta il programma darà una spinta al mercato azionario, obbligazionario e dei derivati e all'inflazione dei prezzi relativi. La tempistica di QF3 sarà guidata dagli eventi europei. La riduzione reale del deficit – debito inizierà subito dopo le elezioni generali del Novembre 2012 o comunque non più tardi del febbraio 2013.
ll taglio del deficit futuro sarà inferiore all’ultimo accordo di accordo di agosto 2011 di 2,2 miliardi di dollari
Ciò si tradurrà in un'altra manovra di tagli alla spesa pubblica di $2-4$ miliardi che per la maggior parte cadrà sulla spesa sociale e i diritti acquisiti come Medicare, Medicaid e il sistema pensionistico e di sicurezza sociale, sugli aiuti alimentari, le prestazioni sussidiarie legate alla disoccupazione, l'istruzione e la Legge per l’Accesso ai Servizi Sanitari del 2010. Le tasse andranno ad incidere direttamente sulla classe media, andando a comprendere anche misure considerate finora come intoccabili come, ad esempio, la deduzione delle rate del mutuo dal reddito annuale complessivo.
Lo sviluppo dell’occupazione continuerà a ristagnare, restando sulla soglia di 24-25 milioni per tutto il 2012, contando anche le false partenze per il recupero di posti di lavoro determinato da fattori statistici stagionali e di altro tipo
Non ci sono programmi efficaci, oggi, per aumentare il fondamentale netto dei posti di lavoro negli Stati Uniti. Gli ulteriori sgravi fiscali per il 2011-12 non stimoleranno gli investimenti o la creazione di nuovi posti di lavoro. Le corporazioni continueranno a rifiutare di rischiare il loro massiccio gruzzolo di contanti di $2 trilioni su investimenti o in posti di lavoro e preferiranno di certo aspettare l'esito delle estensioni fiscali della tassa Bush previsto per la fine del 2012 mantenendo così un ampio cuscino di contante in previsione degli eventi europei e della possibilità di un'altra crisi globale del credito. I prestiti delle banche alle piccole e medie imprese non subiranno grossi cambiamenti e di conseguenza anche la creazione di nuovi investimenti e di nuovi posti di lavoro nelle piccole imprese resteranno ferme anche per il 2012 pure. Contemporaneamente, i governi – i comuni – le scuole continueranno a licenziare circa 20.000 persone al mese — portando il totale del pubblico impiego a quasi 1 milione di occupati in meno rispetto al primo mandato Obama. Cresceranno i numeri del licenziamento e sui licenziamenti il governo federale potrà dare dati significativi nel 2013.
Il Congresso e l'Amministrazione approveranno due manovre fiscali importanti nel 2012
Il primo decreto sarà un piegarsi al ricatto delle multinazionali (e dei contributi alla campagna elettorale) e vedrà ridurre l'aliquota di imposta del 35 per cento per il rimpatrio dei contanti oggi depositati in conti off-shore al riparo dalla tassazione americana. Tale aliquota fiscale varierà tra 5,25% e il 10%, sulla riduzione del 35%. Le multinazionali rimpatrieranno circa la metà dei loro attuali 1,4 miliardi di dollari di profitti off-shore per sfruttare la tariffa più bassa — riavviando gli stessi ricatti che si verificarono nel 2004-05 quando una legge simile ridusse l’aliquota al 5,25% rispetto al 35% al ritorno di circa la metà dei 700 miliardi di dollari scudati in conti all’estero al riparo dalla tassazione.
Il secondo disegno di legge sarà una specie di estensione degli sgravi fiscali previsti dalla tassa Bush che si voterà prima delle elezioni previste per il mese di novembre 2012; o, subito dopo ma comunque entro la fine dell'anno. L’estensione della tassa Bush è un affare per le aziende, per i dirigenti di azienda e il reddito personale dato che l’imposta sul reddito del 35% sarà definitivamente ridotta a meno del 30% in cambio di condoni fiscali non verificabili. La classe media dovrà pagare tasse più alte e la busta paga dei lavoratori oggi meno pagati si ridurrà ulteriormente.
I prezzi delle case continueranno a cadere, saliranno i pignoramenti e il patrimonio netto negativo crescerà
Gli attuali più di 11 milioni di euro di pignoramenti saliranno a oltre 13 milioni. I prezzi delle case continueranno a cadere del 5-10% sui mercati capitali (portando il prezzo del 2006 a meno del 40% in media). Almeno 17 milioni di proprietari di casa sotto ipoteca (sul totale di 54 milioni) vedranno il patrimonio netto in negativo. L'amministrazione di Obama e il Congresso costringeranno gli Stati ad accettare il piano federale che lascia alle banche e agli istituti di credito il diritto di pignorare per “effetto automatico” e illegale per un bene in cambio del credito. L’edilizia residenziale e commerciale continuerà a ristagnare sui livelli attuali.
Le esportazioni e la produzione americana rallenteranno nel 2012
Le esportazioni non supereranno l’attuale soglia di mercato del commercio mondiale e, di conseguenza ciò avrà effetti negativi sulla produzione dei beni di consumo. Le banche dell'Eurozona potrebbero implodere, una o più delle grandi banche statunitensi chiederanno un ulteriore salvataggio alla Federal Reserve e al Tesoro degli Stati Uniti. In caso di fallimento di una o più delle economie sovrane della zona euro, le principali banche di Francia, Austria, Belgio e anche della Germania diventeranno tecnicamente insolventi. In tal caso, il contagio si diffonderà rapidamente alle banche statunitensi. I gruppi più esposti e pronti a chiedere il salvataggio sono Morgan Stanley, Citigroup e Bank of America.
La crisi del debito sovrano della zona euro si stabilizzerà per poi peggiorare ancora
La crisi del debito della zona Euro si stabilizzerà temporaneamente nei primi mesi del 2012 dato che la Banca Centrale Europea segue la Federal Reserve degli Stati Uniti e introduce a sua volta quantitativi di facilitazione monetaria mentre procedono lentamente i negoziati tra gli Stati dell’Euro per la creazione di un'Unione fiscale. Tuttavia, la crisi sovranazionale esploderà di nuovo nella tarda primavera del 2012 dato che Italia e Grecia hanno un grave problema di debito e di rifinanziamento e la crisi bancaria si acuirà in Francia, in Germania e negli altri paesi dell’eurozona. Per risolvere la crisi del debito dell’Euro sarà necessario trovare il triplo o il quadruplo degli attuali 1,5 miliardi di dollari oggi disponibili nei diversi fondi di salvataggio dell’Euro — più di 5 miliardi di dollari.
Due o più banche andranno in fallimento.
Molte banche della zona euro diventeranno tecnicamente insolventi e saranno nazionalizzate dai loro governi e ritirate dal mercato. I principali candidati all’eliminazione includono banche francesi, come Societe Generale e BNP Paribas; la Commerzbank tedesco; l’Unicredit italiana; e forse una o più banche austriache e finlandesi. Le economie tedesca e francese, che hanno già subito forti rallentamenti nell’anno 2011, scivoleranno in recessione nel 2012. Il Regno Unito varerà un secondo turno dei programmi di austerità, introdotti dal governo conservatore di Cameron, che apriranno una fase di recessione.
Il tasso di crescita economica della Cina subirà forti rallentamenti.
Cresciuto costantemente della media del 9-10% negli ultimi anni, il PIL cinese si ridurrà drasticamente nel 2012, potenzialmente alla metà del tasso degli anni precedenti. Le esportazioni dei prodotti cinesi vedranno uan forte contrazione. Anche l’India si rallenterà significativamente. La più grande economia dell'America Latina, il Brasile, entrerà in recessione nel 2012.
Il commercio mondiale sarà lento a cominciare dal 2012.
Dato il rallentamento dell’economia cinese, la continua instabilità della zona euro e il rallentamento della crescita economica degli Stati Uniti il ritmo del commercio mondiale subirà un rallentamento e il mercato generale una forte contrazione. Di conseguenza anche la produzione globale subirà un forte calo.
In sintesi
Riassumendo, le previsioni elencate si basano su un'analisi economica non ortodossa. Questo quadro è la conseguenza della ristrutturazione degli Stati Uniti e dell’economia globale che negli anni ‘80 fu la risposta alla precedente crisi economica degli anni ‘70 e oggi crolla con gli eventi del 2007-08. Talvolta indicata come “neoliberismo”, questa ristrutturazione fu intesa come capacità delle economie capitalistiche di ristrutturare l'economia capitalista globale. Il risultato è una continua volatilità e instabilità economica. L'economia, statunitense e mondiale, continua a riflettere una certa fragilità strutturale grave. Ad oggi, ho definito questa condizione di incertezza come recessione epica di Tipo 1. Ma le recessioni epiche di Tipo 1 hanno la tendenza innata a tramutarsi in Tipo 2 come preludio di una depressione globale. L'anno prossimo rivelerà se questo processo è già iniziato o no dato che gli Stati Uniti e le altre economie deboli e la forte instabilità bancaria dell’Euro faranno il loro corso. Se ci sarà una forte crisi bancaria nell'area dell'euro, la probabilità di una vera depressione globale aumenterà significativamente.
di Jack Rasmus
Jack Rasmus, è autore di “Epic Recession: Prelude to Global Depresion, Obama’s Economiy: Recovery For the Few”, Pluto Press/Palgrave-Macmillan, Marzo 2012 e di un pamphlet edito da Teamsters Union dal titolo "An Alternative Program FOR Economic Recovery” (disponibile all’indirizzo internet: www.kyklos productions.com).
NOTE
[1] quantitative easing: “Quantitativi di Facilitazione/Interpolazione” – politica monetaria in cui la Banca Centrale crea denaro al fine di acquistare azioni dalle banche private – vedi: http://en.wikipedia.org/wiki/Quantitative_easing. [torna al testo]
[2] Il future stock permette ad acquirente e venditore di contrattare per una data futura un determinato numero di azioni a un prezzo che viene fissato al momento della stipula del contratto. Il future stock è dunque anche classificato come derivato simmetrico perché entrambe le parti in gioco si impegnano di effettuare una prestazione a una determinata data di scadenza. [torna al testo]
[3] Junk Bond o “titolo spazzatura” offre un alto rendimento con un alto rischio. Tale tipologia di titoli viene emessa da società disposte a pagare tassi di interesse molto elevati pur di ottenere denaro. L'elevato indebitamento della società emittente comporta un’alta probabilità di fallimento della stessa: il risparmiatore rischia quindi di perdere, in tutto o in parte, il capitale versato. [torna al testo]
[4] Una commodity futures è un contratto che obbliga a scambiare una prefissata quantità di merce, in una data prefissata e con un determinato prezzo fissato al momento della contrattazione. Il prezzo futuro non è solo la previsione di un prezzo di mercato, ma include anche le commissioni che coprono i costi di magazzinaggio, l’assicurazione ecc. [torna al testo]
24 gennaio 2012
La verità sul movimento dei forconi
![]() Questo articolo è per spiegare la mia posizione sul movimento dei forconi.Ho avuto bisogno di una presenza assidua nei punti di blocco e tre giorni di dialogo continuo con la gente presente ai caselli per farmi un’idea precisa di quello che sta succedendo e tutt’ora la mia conclusione può essere esposta esclusivamente a livello personale, per non creare conflitti in futuro con tutta la strumentalizzazione che stanno compiendo i media e per quello che rappresenta il lavoro di Lo Sai (http://it-it.facebook.com/losai.net). Quello che ho visto dall’inizio dell’organizzazione della protesta, nell’assemblea di Catania dove ha partecipato anche il presidente del Palermo Calcio Maurizio Zamparini col famosissimo intervento contro Banche, moneta debito, Monti e media (vedi video più sotto, ndr ), ad oggi è riassumibile in 2 fasi. Nella prima il blocco è stato organizzato dalla massiccia presenza degli autotrasportatori in genere che hanno orchestrato dei blocchi sicuramente d’effetto e di evidente impatto sulla regione. Nella seconda fase, dal secondo giorno in poi, quello che è successo ha quasi dell’incredibile. Si è sviluppato una notevole presenza di ragazzi e padri di famiglia che hanno accompagnato la protesta, come i forconi in maniera pacifica, per tutta la nottata di Giovedì e Venerdì. Il numero dei presenti estranei al movimento e coesi alla protesta nella serata di Venerdì è arrivato a pareggiare il numero di autotrasportatori, tanto che al casello di S.Gregorio di Catania si è notata una massa di gente mista, che non portava né bandiere né colori, nessuno slogan ma un unica voce… Adesso Basta! Dobbiamo camminare uniti e coesi a sostegno dei nostri diritti e contro le manovre bancarie che stanno schiacciando il paese. Si è vista una massiccia presenza di gente che era consapevole del problema della moneta debito e che era cosciente della soluzione che lo statuto siciliano può portare. In molti si erano informati via facebook tramite le pagine Lo Sai e Informare per Resistere. Nei giorni precedenti la mia presenza insieme a quella dei ragazzi di Lo sai siciliani ha provato a capire le motivazioni di questo blocco, aprendo più volte un dialogo con gli autotrasportatori. Le loro proteste sono per lo più legate alla forte tassazione di benzina e dei diritti degli autotrasportatori che per interrompere questo inizio anno davvero pesante e con una prospettiva futura ancora più nera, chiedevano e chiedono l’applicazione dello statuto Siciliano. Questo per evitare una tassazione così massiccia e per dar forza ad un regolamento regionale che dimezzerebbe teoricamente tutte le spese che i lavoratori stanno subendo e che hanno portato ad una situazione di grave pressione e fame… Il movimento è stato boicottato da tutti i tg nazionali e da molti regionali, nessuno ne parlava. E quando hanno iniziato a parlarne strumentalizzavano le notizie in modo da far pensare ad una manipolazione di Forza Nuova e Mafia. Adesso io non so se all’origine ci sia stata questa manipolazione, quello che so e che ho visto che le richieste dei trasportatori sono sacrosante e vanno a richiedere quello statuto che potrebbe liberare dalla pressione fiscale e dal debito tutta la regione. Non ho visto bustarelle, non ho visto pressione ai commercianti che volevano aprire la propria attività, non ho visto bandiere o striscioni o ragazzi di forza nuova per tutto il periodo e la mia presenza nei punti strategici dei blocchi. Ma allora perchè boicottare in questa maniera la manifestazione? Io posso solo immaginare il perchè del volere di boicottare questa manifestazione, ma la censura mediatica ha più motivo di esistere nella seconda fase e nei giorni successivi del blocco… Questo perchè la massiccia presenza dei non autotrasportatori, e dei ragazzi che hanno partecipato ai blocchi era una massa a me anomala in quanto a consapevolezza. Mi sono davvero stupito del fatto che la maggior parte della gente era consapevole di dover protestare per l’attuazione dello statuto al fine di far uscire l’intera regione dalla morsa del debito pubblico e dalla pressione schiavista della BCE. E in che modo? Vi voglio dare alcune notizie su questo statuto… L’Autonomia speciale è quella particolare forma di governo della Regione che fu concessa il 15 maggio 1946 alla Sicilia da re Umberto II di Savoia, disciplinata da uno Statuto speciale (art. 116 della Costituzione Italiana), che la ha dotata di una ampia autonomia politica, legislativa, amministrativa e finanziaria. Grazie allo Statuto autonomistico, la Regione Siciliana ha competenza esclusiva (cioè le leggi statali non hanno vigore nell’isola), su una serie di materie, tra cui beni culturali, agricoltura, pesca, enti locali, territorio, turismo, polizia forestale[1]. Ogni modifica allo Statuto, trattandosi di legge costituzionale, è sottoposta alla cosiddetta procedura aggravata, cioè a una doppia approvazione, a maggioranza qualificata, da parte delle Camere. Per quanto riguarda la materia fiscale, la totalità delle imposte riscosse in Sicilia, ai sensi degli articoli 36 e seguenti del proprio Statuto (Legge Costituzionale n.2 del 26 febbraio 1948), è dotata di completa autonomia finanziaria e fiscale. Ma che significa questa ultima frase? Per non annoiarvi troppo suggerisco di andarvi a leggere in toto lo statuto e per comprendere bene la sue funzioni sarebbe utile approfondire tramite le relazioni del prof. Massimo Costa docente universitario e costituzionalista dell’Università di Palermo. Adesso citerò, a mio parere, il punto principale che potrebbe cambiare quell’autonomia finanziaria che tanto ci preme. L’Articolo 41 cita testualmente: 41. Il Governo della Regione ha facoltà di emettere prestiti interni. L’attuazione di questo statuto a cosa porterebbe? Vi aiuterò a capire meglio la questione sulle riflessioni, appunto del prof.Costa: La Banca Centrale Regionale sarà totalmente pubblica, con un capitale diviso a metà tra la Regione e i Comuni, con diritto di voto proporzionale al numero degli abitanti ed al prodotto interno lordo, ed emetterà la totalità della moneta spettante alla Sicilia, sia metallica, sia cartacea, sia bancaria. Tutti i proventi dell’emissione monetaria, fissata nei limiti decisi dalle autorità monetarie italiane e, pertanto, ad oggi europee, sono attribuiti direttamente alla Regione, così come le eventuali eccedenze di riserve auree e valutarie. Una quota delle eventuali eccedenze potrà essere riservata ad emissioni monetarie di pregio con funzioni specifiche di riserva di valore, ad alto valore numismatico. La moneta bancaria è emessa integralmente dalla Banca Centrale e poi prestata, anche a interesse puramente simbolico, alle banche private (la riserva frazionaria è dunque posta pari al 100 %) o accreditata direttamente alla Regione, tolte le spese della Banca Centrale ed una congrua quota di accantonamento. Anche la moneta cartacea non è “prestata” alla Regione ma direttamente accreditata alla stessa come sopra. La Banca Centrale Regionale emetterà, sotto forma di prestito interno infruttifero, anche una moneta complementare regionale avente valore legale solo per le transazioni interne all’isola, accreditando i relativi benefici al 50 % alla Regione ed al 50 % alle persone in condizione non lavorativa quale “reddito di cittadinanza” (minori, studenti universitari, casalinghe, disoccupati, pensionati). Alla luce di queste analisi suggerirei vivamente a tutta la popolazione siciliana di unirsi alla protesta ai fini di pressare per l’attuazione dello statuto e smetterla di lamentarsi per la mancanza di benzina o alimenti.. In quanto, da qui a poco, questa mancanza potrebbe rivelarsi non indotta dalla protesta ma un reale pericolo che rifletterebbe la situazione Greca che si è venuta a creare all’interno del palcoscenico europeo. Piuttosto che chiedersi chi sta dietro alla protesta sarebbe molto più utile chiedersi dove cazzo sono gli altri movimenti e schieramenti politici regionali che non stanno accompagnando questa richiesta d’aiuto popolare con la soluzione in mano. E’ stato più volte detto che la protesta non vuole ne bandiere ne colori, ma vedere che la gente resta a casa perché non accompagnata dalla propria bandiera è assai più sconfortante e evince la totale mancanza di personalità e carattere di tutta la cittadinanza. Soprattutto alla luce dell’unione a gran voce di tante città italiane che stanno occupando i caselli di tutto il territorio nazionale… Siciliani sarebbe ora di svegliarsi o ORA O MAI PIU’!! Santo YesMan Fonte: www.informarexresistere.fr/ di Santo Yesman |