05 marzo 2012

La spy-economy di Goldman Sachs





wikileaks-stratforLa più potente e discussa banca d’affari del mondo, la statunitense Goldman Sachs, voleva sfruttare le informazioni geopolitiche riservate dell’agenzia privata d’intelligence americana Stratfor per fare insider trading e speculare sui mercati valutari e dei titoli di Stato.

E’ una delle più scottanti notizie emerse da una valanga di email aziendali della Stratfor ‘hackerate’ lo scorso 26 dicembre da Anonymous e ora pubblicate da WikiLeaks: cinque milioni di messaggi di posta elettronica risalenti al periodo 2004-2011 che svelano il coinvolgimento della società texana in attività illecite di spionaggio di attivisti per conto del governo Usa e di aziende multinazionali (Dow Chemical, Lockheed Martin, Northrop Grumman, Raytheon), riciclaggio di denaro e, per l’appunto, speculazione finanziaria.

L’anno scorso, dopo due anni di incubazione, l’ex alto dirigente di Goldman Sachs, Shea Morenz, e il fondatore e presidente di Stratfor, George Friedman (figlio di ungheresi sopravvissuti all’Olocausto), hanno dato vita a un fondo d’investimento denominato StratCap. Di cosa si tratti lo spiega chiaramente, in una mail riservata dello scorso 5 settembre, lo stesso Friedman: “StratCap userà le nostre informazioni e analisi per commerciare nel campo degli strumenti geopolitici, in particolare titoli governativi, valute e simili nei mercati dei Paesi emergenti”.

Nella stessa mail (indicata come “riservata a uso interno, da non diffondere e discutere all’esterno”), Friedman spiega come il dirigente di Goldman Sachs abbia ideato il progetto StratCap investendovi appositamente oltre 2 milioni di dollari (oltre ad altri grossi finanziamenti diretti a Stratfor) e come Morenz sia entrato nel consiglio di amministrazione della stessa Stratfor. “Abbiamo già fornito consulenza ad altri hedge fund: ora, grazie a Morenz, ne abbiamo uno nostro”.

Il fondo StratCap, che sarebbe dovuto diventare operativo sui mercati finanziari nella primavera 2012, va così ad aggiungersi alla lunga lista di scandali e attività poco chiare che hanno visto coinvolta la superbanca americana per cui hanno lavorato anche Romano Prodi, Mario Draghi e Mario Monti.

di Enrico Piovesana

04 marzo 2012

Mercati finanziari: chi comanda veramente?

Come funzionano i mercati finanziari? Chi sono i protagonisti? La speculazione ha un nome e un volto?

In questi tempi di crisi i mercati si sono sostituiti ai Parlamenti e soprattutto all’elettorato nel decretare la fine di un Governo e nell’imporre importanti scelte politiche. Ci si può dunque interrogare su chi siano effettivamente questi mercati e come mai siano riusciti ad assumere questo ruolo chiave. Ma soprattutto ci si può chiedere: chi comanda veramente?

Negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che i mercati sono efficienti e in grado di autoregolarsi. In pratica le decisioni di milioni di investitori determinerebbero i prezzi di azioni, obbligazioni, materie prime e tassi di cambio delle valute in base alle informazioni disponibili. Questi milioni di scelte individuerebbero correttamente i prezzi che varierebbero in seguito solo in base ad informazioni nuove. Inoltre, queste scelte determinerebbero anche quella che gli economisti chiamano la migliore allocazione delle risorse, ossia premierebbero gli investimenti e le attività che hanno le migliori prospettive e non incorerebbero in clamorosi sprechi, come invece accadrebbe alle scelte di investimento effettuate dai Governi e quindi dalla politica. Queste teorie, sostenute da autorevoli personaggi come l’ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, hanno determinato non solo le scelte del mondo della finanza, ma anche di quello della politica fino all’inizio di questo secolo. Insomma, sono assurte a paradigma indiscusso ed indiscutibile. Il crollo della bolla dei titoli tecnologici nel 2000, la crisi dei mutui americani subprime nel 2007/2008, la crisi del sistema bancario del 2008 e l’attuale crisi dei debiti sovrani hanno mostrato l’inconsistenza di queste convinzioni che di fatto servivano unicamente a giustificare l’operato della grande speculazione finanziaria.

Restano dunque aperte le domande fondamentali: come funzionano i mercati finanziari? Chi sono gli attori principali di questi mercati? La risposta non è assolutamente facile e scontata. Effettivamente ogni giorno sui mercati finanziari operano milioni di persone e, quindi, questa indiscutibile realtà serve da tuta mimetica che nasconde i veri e determinanti attori (oppure manipolatori) dei mercati. I mercati finanziari si comportano in realtà come greggi. Si tratta dunque di individuare i caproni che guidano il gregge. Questa teoria del gregge è addirittura formalizzata dalla scuola della cosiddetta finanza comportamentale (“behaviour finance”) che cerca correttamente di individuare i meccanismi psicologici che inducono i milioni di attori a reagire e a comportarsi in modo uniforme. Questa uniformità di comportamenti è ulteriormente esaltata dai meccanismi di valutazione dei risultati della gestione degli investitori istituzionali, ossia dei gestori dei capitali delle casse pensioni, dei grandi fondi di investimento, ecc. Questi ultimi non vengono tanto valutati annualmente in base ai guadagni conseguiti, ma rispetto a parametri di confronto (benchmark). Ad esempio, la gestione di un fondo azionario svizzero viene confrontata con l’andamento della Borsa svizzera. Quindi è importante non perdere molto più dell’indice della Borsa svizzera, quando quest’ultima chiude l’anno in ribasso, e non guadagnare molto meno dell’indice, quando chiude in rialzo. La prima conclusione da trarre è che i risparmiatori pagano la gestione dei loro soldi a persone che spesso non fanno altro che imitare (copiare) con variazioni di scarsa rilevanza l’andamento dei mercati.

Ma chi determina il loro andamento? In realtà un pugno di uomini o meglio di grandi banche di investimento e di grandi società multinazionali. Questi istituti sono in realtà più organi di propaganda che vere e proprie banche. Infatti attraverso analisi, ricerche, studi e raccomandazioni di investimento riescono a determinare l’andamento dei mercati. Per essere più chiari, negli anni Novanta hanno esaltato il fenomeno delle nuove tecnologie informatiche, creando una mania che ha spinto milioni di persone ad investire nelle azioni delle società di telecomunicazione, in quelle Internet e via dicendo, creando una bolla che è poi scoppiata nel 2000, dando il via alla crisi dalla quale non siamo ancora usciti. Un altro esempio: sono le analisi sulla scarsità delle derrate alimentari, rafforzate dai disastri provocati dalla siccità o dalle alluvioni in varie parti del mondo, che hanno provocato grandi ondate di acquisti nei Paesi occidentali e la fame nei Paesi poveri. Oppure ancora, le analisi sull’aumento del consumo di petrolio provocato dai nuovi grandi Paesi emergenti (Cina e India) che ha fatto impennare il prezzo del greggio. Queste analisi, che si fondano sempre su dati reali e soprattutto facilmente comprensibili, vengono diffuse in tutto il mondo e vengono sostenute da queste stesse banche con massicci acquisti da parte dei fondi che gestiscono direttamente e da parte delle loro sale di trading (sale di compravendita delle più diverse attività finanziarie). Infatti negli ultimi decenni il grosso degli utili delle grandi banche di investimento è generato dalla speculazione effettuata con il capitale proprio. Per capirci è generata da quel tipo di attività che talvolta è afflitta da incidenti, come quello che ha provocato perdite miliardarie ad UBS a Londra.

La speculazione ha dunque un nome e un volto. Sono le grandi banche di investimento che si indebitano per moltiplicare le loro scommesse sui mercati (la cosiddetta leva), affiancate dai grandi Hedge Fund (che dipendono dalle banche per le linee di credito e per l’operatività) e dalle grandi società multinazionali, la cui attività sui mercati finanziari è spesso più redditizia e più importante di quella industriale. Molto probabilmente chi ha avuto l’ardire di giungere fino a questo punto nella lettura di questo articolo, potrebbe dire che queste affermazioni non sono suffragate da prove. Ebbene un recente studio dell’Università di Zurigo mette in luce la concentrazione delle strutture proprietarie e delle strutture di controllo dell’attuale sistema economico. In pratica, esiste una rete, che si potrebbe definire “invisibile”, formata da una cinquantina di società multinazionali (prevalentemente istituti finanziari), che attraverso un complicato meccanismo di relazioni di proprietà, controlla il 40% del valore economico e finanziario di 43'060 società multinazionali. Possiamo sostenere, senza timore di poter essere smentiti, che questo è il cuore (o la plancia di comando) dell’economia occidentale.

Oggi è in crisi questo cuore del sistema, che ha giocato per anni ad ingrossare la propria redditività scommettendo su un continuo aumento del debito. Ora il meccanismo gli si è rotto in mano e gli uomini della plancia di comando non sanno come uscire dall’attuale crisi. Sanno però che bisogna a tutti i costi tenere in piedi il castello di debiti costruito negli anni. Quindi, obbligano i Governi a salvare le banche, le banche centrali a rifornirle di liquidità a costo pressoché zero e alla politica di estrarre dall’economia reale le risorse ancora esistenti per tentare di rinviare il momento della verità. L’aspetto maggiormente preoccupante è che anche sulla plancia di comando non vi è alcuna strategia pacifica e non eccessivamente dolorosa per uscire dall’attuale crisi. Insomma, non si sa quale rotta seguire. Non si può escludere quindi che queste persone, di fronte al precipitare della situazione, scelgano vie pericolose per l’intera umanità.

In conclusione, i mercati finanziari dove milioni di persone operano sono in realtà una bella tuta mimetica, che serve a far credere a tutti di essere coinvolti e corresponsabili di quanto succede e che serve soprattutto a celare la plancia di comando, dalla quale uomini e società gestiscono il nostro mondo.
di Alfonso Tuor

03 marzo 2012

Via banchieri e cialtroni, riprendiamoci il nostro denaro



Perché l’Eurozona è in crisi? Come si può uscire da questa situazione? Ci sono alternative alle teorie dominanti che ci hanno trascinati in questa voragine? Sì, eccome. Lo hanno spiegato, al meeting di Rimini promosso da Paolo Barnard e totalmente auto-finanziato dai partecipanti, i super-economisti “eretici” che la soluzione giusta l’hanno già confezionata, con grande successo, per la spettacolare rinascita dell’Argentina. Una sola strada: archiviare l’euro e tornare a una moneta sovrana creata per i cittadini e non contro di loro. Piccolo problema: l’attuale classe dirigente, italiana ed europea. Da spazzare via al più presto, con nuove elezioni capaci di selezionare idee utili e democratiche, per un futuro di speranza. Passaggio intermedio: diventare «il peggior incubo dei banchieri», per dirla con il professor William Black, uno degli economisti neo-keynesiani che hanno accettato la scommessa di Barnard.

Gli altri super-esperti intervenuti a Rimini tra il 24 e il 26 febbraio, nel “105 Stadium” gremito da duemila attivisti capaci di tributare ovazioni da Paolo Barnardconcerto rock, sono gli statunitensi Michel Hudson, Stephanie Kelton e Marshall Auerback, più il francese Alain Parguez. Evento epocale, nell’abisso della crisi italiana, eppure totalmente ignorato dai media – con la sola eccezione del “Fatto Quotidiano”. Tra i report del summit riminese, spicca l’ottima cronaca scritta per “Megachip” da Pierangela Magioncalda, responsabile genovese di “Alternativa”, laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa. Domande cruciali: è possibile avere uno Stato e un’economia che lavorino per i cittadini e non per le élites finanziarie? Come arginare questa immensa emorragia di denaro che fuoriesce dall’economia reale e dalle tasche dei cittadini migrando verso l’economia finanziaria e i suoi signori? E ancora: è possibile raggiungere una piena occupazione con una contemporanea stabilità dei prezzi o non ci resta che seguire i drammatici dettami di Draghi e dell’Fmi, subendo i micidiali verdetti a orologeria delle agenzie di rating?

Come diventare l’incubo dei banchieri? Semplice, basta dire la verità: quella che di cui il “mainstream” ha una fifa blu. Ecco spiegata la cortina di silenzio mediatico che ha avvolto il più importante evento politico-culturale di questo cruciale scorcio di vita italiana. «Un pensiero diverso fa paura – scrive “Megachip” – e per questo è stato così strenuamente combattuto e bandito dalle università, dai media e dalla politica negli ultimi decenni», non solo in Italia ma «in tutto il mondo», convincendo tutti quanti che, «finalmente, dopo la caduta del comunismo, non solo viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma anche nell’unico mondo possibile». Terra bruciata, alla quale però non si rassegnano i seguaci di Barnard: una platea assai eterogenea per età, provenienza geografica e background culturale, con molti giovani e persino coppie di anziani, pronte ad affrontare l’impegnativa Il summit di Rimini sulla Modern Money Theorymaratona accademica pur di capire perché mai si è finiti in questa situazione e quali possano essere le possibili uscite di sicurezza.

Missione compiuta: la chiarezza delle “lezioni” ha fatto comprendere ai partecipanti come una differente visione del denaro e del deficit dello Stato possa letteralmente capovolgere la visione neoclassica liberista, «propinataci fino ad oggi come verità assoluta e indiscutibile». Un dogma, che vuole continuare a imporci politiche di austerità sempre più dure, con la spietata erosione dei diritti dei lavoratori e la pretesa di ridurre o addirittura eliminare il deficit di bilancio dello Stato, come impone il “Fiscal Compact” in base al quale dal 2013 gli Stati europei perderanno ogni residua sovranità finanziaria, dovendo sottoporre i loro bilanci alla validazione preventiva di Bruxelles. Obiettivo: impedire che gli Stati spendano denaro per i cittadini. Una autentica follia, che diventerà legge. E che gli economisti della “Modern Money Theory” smontano totalmente: perché il denaro dovrebbe essere dello Stato, cioè dei cittadini, e non di proprietà privata della grande finanza speculativa.

In uno Stato a moneta sovrana, come gli Usa o il Giappone, la moneta è un “io ti devo” emesso dal governo, il quale potrà sempre ripagare il suo debito fino a quando lo vorrà, in virtù del fatto che potrà sempre emettere denaro nella valuta in cui il suo debito è stato contratto. Potrà inoltre comprare tutto ciò che è in vendita in quella valuta senza dover cercare i soldi sui mercati finanziari, libero di fissare i tassi di interesse dei suoi titoli. Ma non Oltre 2000 al summit riminese organizzato da Paolo Barnardsolo: lo Stato, spendendo a deficit, immette risorse finanziarie nella società per sostenere l’economia reale e creare ricchezza netta per i cittadini, a seconda delle politiche di spesa che adotta. In questo modo, a un deficit per lo Stato, corrisponde un surplus per il settore privato, che permette di realizzare investimenti e politiche sociali per i cittadini.

In sostanza, continua Pierangela Magioncalda su “Megachip”, le risorse finanziare di uno Stato a moneta sovrana sono virtualmente infinite. L’unica linea estrema della spesa è data dai limiti dello sfruttamento delle risorse reali – quelle sì, finite per davvero. Insomma, tutto il contrario del neoliberismo: ciò implica che una politica di austerità, in uno Stato a moneta sovrana, non potrà mai essere giustificata dalla frase: «Non ci sono soldi per…». Questo, continua l’esponente di “Alternativa”, spiega perché economie come quella degli Usa o quella giapponese, ma anche quella britannica, non stanno subendo una crisi del debito sovrano nonostante il rapporto deficit-Pil sia ben superiore a quello dei paesi “Piigs” dell’eurozona. «Non dimentichiamo che anche l’Italia, in passato, ha avuto un rapporto deficit-Pil del 120%, a cui però non è corrisposta una crisi del debito come William Black quella attuale, in quanto all’epoca l’Italia aveva ancora la sua sovranità monetaria».

In questa visione, per gli economisti convocati da Barnard, anche il ruolo delle tasse è completamente stravolto rispetto alla teoria neoclassica: le imposte servono ad obbligare i cittadini ad usare la valuta del governo, assicurando pertanto un valore a quest’ultima, nonché a ritirare denaro in eccesso dal mercato, controllando così anche l’inflazione. Gli stessi titoli di Stato, in questo sistema, sono uno strumento di politica monetaria attraverso il quale si definisce la riserva monetaria disponibile insieme al tasso di interesse sul denaro. Non è dunque con le tasse che si deve finanziare la spesa pubblica, anche se oggi l’idea dominante suggerisce proprio questo. E i paesi dell’Eurozona, avendo perso la loro sovranità monetaria, devono chiedere i soldi sui mercati finanziari – esattamente come le imprese e le famiglie – e non possono pertanto garantire la loro solvibilità.

«Ovviamente, date queste condizioni – aggiunge Pierangela Magioncalda – gli Stati sono poi ricattabili dai mercati finanziari, come abbiamo tutti imparato molto bene in questi ultimi anni». Proprio da qui nascono infatti la crescita esplosiva dei tassi di interesse sul debito, l’ossessione del deficit, il rigore e le politiche dei tagli allo stato sociale: per lo Stato diventa praticamente impossibile qualunque politica autonoma per sostenere l’economia reale e realizzare politiche per la piena occupazione, con conseguente recessione economica e avvitamento nel circolo vizioso, Marshall Auerbacksecondo la nota spirale che i paesi “Piigs” stanno già sperimentando sulla loro pelle.

Il colpevole? Uno su tutti: l’euro, moneta comune ma non pubblica. «I tecnocrati, in particolare tedeschi e francesi», hanno di fatto «costruito l’euro a beneficio delle élites finanziarie e delle economie dei loro paesi». Soprattutto la Germania, che ha migliorato la sua bilancia commerciale con l’estero a spese dei paesi mediterranei e di tutti i cittadini europei, compresi gli stessi tedeschi: che, in nome della competitività, hanno visto scendere i loro salari reali dal 2000 ad oggi. Possibili soluzioni? Auerback propone di riformare radicalmente la Bce, che anziché finanziare le banche (come sta facendo adesso) dovrebbe distribuire soldi direttamente agli Stati, in proporzione al numero degli abitanti. Ma soprattutto: occorre abbandonare l’euro e tornare a una moneta sovrana. Sganciata dal dollaro, l’Argentina è la prova vivente di come la sovranità monetaria possa far rinascere un paese, grazie alla teoria neo-keynesiana della “Mmt”.

Cosa ci accadrà domani? Dal summit di Rimini è emersa la possibilità di conflitti anche violenti tra i paesi europei a causa della crisi, «che l’attuale Unione non allontana, ma anzi fomenta», di fronte a un’opinione pubblica disorientata, allarmata dall’austerity ed esasperata anche dalle clamorose frodi finanziarie – Enron, Parmalat, mutui subprime – che per William Black sono la regola, «in un sistema totalmente deregolamentato che finge di avere una fiducia ceca nella capacità del mercato di autoregolamentarsi soltanto per continuare a perpetrare la rapina ai danni dei popoli, dentro e fuori gli Stati Uniti d’America». I problemi, conclude Pierangela Magioncalda, richiederanno «la rinascita di una politica non corrotta, di una vera democrazia» fatta dai cittadini e per i cittadini, ben consapevoli dei limiti fisiologici delle risorse: non è più tempo di “miracoli” e boom economici basati sul dogma della crescita infinita, ma è ora che i popoli rinnovino una classe dirigente legittima e degna, licenziando camerieri e maggiordomi dei grandi banchieri, i veri architetti del disastro.

di Giorgio Cattaneo

05 marzo 2012

La spy-economy di Goldman Sachs





wikileaks-stratforLa più potente e discussa banca d’affari del mondo, la statunitense Goldman Sachs, voleva sfruttare le informazioni geopolitiche riservate dell’agenzia privata d’intelligence americana Stratfor per fare insider trading e speculare sui mercati valutari e dei titoli di Stato.

E’ una delle più scottanti notizie emerse da una valanga di email aziendali della Stratfor ‘hackerate’ lo scorso 26 dicembre da Anonymous e ora pubblicate da WikiLeaks: cinque milioni di messaggi di posta elettronica risalenti al periodo 2004-2011 che svelano il coinvolgimento della società texana in attività illecite di spionaggio di attivisti per conto del governo Usa e di aziende multinazionali (Dow Chemical, Lockheed Martin, Northrop Grumman, Raytheon), riciclaggio di denaro e, per l’appunto, speculazione finanziaria.

L’anno scorso, dopo due anni di incubazione, l’ex alto dirigente di Goldman Sachs, Shea Morenz, e il fondatore e presidente di Stratfor, George Friedman (figlio di ungheresi sopravvissuti all’Olocausto), hanno dato vita a un fondo d’investimento denominato StratCap. Di cosa si tratti lo spiega chiaramente, in una mail riservata dello scorso 5 settembre, lo stesso Friedman: “StratCap userà le nostre informazioni e analisi per commerciare nel campo degli strumenti geopolitici, in particolare titoli governativi, valute e simili nei mercati dei Paesi emergenti”.

Nella stessa mail (indicata come “riservata a uso interno, da non diffondere e discutere all’esterno”), Friedman spiega come il dirigente di Goldman Sachs abbia ideato il progetto StratCap investendovi appositamente oltre 2 milioni di dollari (oltre ad altri grossi finanziamenti diretti a Stratfor) e come Morenz sia entrato nel consiglio di amministrazione della stessa Stratfor. “Abbiamo già fornito consulenza ad altri hedge fund: ora, grazie a Morenz, ne abbiamo uno nostro”.

Il fondo StratCap, che sarebbe dovuto diventare operativo sui mercati finanziari nella primavera 2012, va così ad aggiungersi alla lunga lista di scandali e attività poco chiare che hanno visto coinvolta la superbanca americana per cui hanno lavorato anche Romano Prodi, Mario Draghi e Mario Monti.

di Enrico Piovesana

04 marzo 2012

Mercati finanziari: chi comanda veramente?

Come funzionano i mercati finanziari? Chi sono i protagonisti? La speculazione ha un nome e un volto?

In questi tempi di crisi i mercati si sono sostituiti ai Parlamenti e soprattutto all’elettorato nel decretare la fine di un Governo e nell’imporre importanti scelte politiche. Ci si può dunque interrogare su chi siano effettivamente questi mercati e come mai siano riusciti ad assumere questo ruolo chiave. Ma soprattutto ci si può chiedere: chi comanda veramente?

Negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che i mercati sono efficienti e in grado di autoregolarsi. In pratica le decisioni di milioni di investitori determinerebbero i prezzi di azioni, obbligazioni, materie prime e tassi di cambio delle valute in base alle informazioni disponibili. Questi milioni di scelte individuerebbero correttamente i prezzi che varierebbero in seguito solo in base ad informazioni nuove. Inoltre, queste scelte determinerebbero anche quella che gli economisti chiamano la migliore allocazione delle risorse, ossia premierebbero gli investimenti e le attività che hanno le migliori prospettive e non incorerebbero in clamorosi sprechi, come invece accadrebbe alle scelte di investimento effettuate dai Governi e quindi dalla politica. Queste teorie, sostenute da autorevoli personaggi come l’ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, hanno determinato non solo le scelte del mondo della finanza, ma anche di quello della politica fino all’inizio di questo secolo. Insomma, sono assurte a paradigma indiscusso ed indiscutibile. Il crollo della bolla dei titoli tecnologici nel 2000, la crisi dei mutui americani subprime nel 2007/2008, la crisi del sistema bancario del 2008 e l’attuale crisi dei debiti sovrani hanno mostrato l’inconsistenza di queste convinzioni che di fatto servivano unicamente a giustificare l’operato della grande speculazione finanziaria.

Restano dunque aperte le domande fondamentali: come funzionano i mercati finanziari? Chi sono gli attori principali di questi mercati? La risposta non è assolutamente facile e scontata. Effettivamente ogni giorno sui mercati finanziari operano milioni di persone e, quindi, questa indiscutibile realtà serve da tuta mimetica che nasconde i veri e determinanti attori (oppure manipolatori) dei mercati. I mercati finanziari si comportano in realtà come greggi. Si tratta dunque di individuare i caproni che guidano il gregge. Questa teoria del gregge è addirittura formalizzata dalla scuola della cosiddetta finanza comportamentale (“behaviour finance”) che cerca correttamente di individuare i meccanismi psicologici che inducono i milioni di attori a reagire e a comportarsi in modo uniforme. Questa uniformità di comportamenti è ulteriormente esaltata dai meccanismi di valutazione dei risultati della gestione degli investitori istituzionali, ossia dei gestori dei capitali delle casse pensioni, dei grandi fondi di investimento, ecc. Questi ultimi non vengono tanto valutati annualmente in base ai guadagni conseguiti, ma rispetto a parametri di confronto (benchmark). Ad esempio, la gestione di un fondo azionario svizzero viene confrontata con l’andamento della Borsa svizzera. Quindi è importante non perdere molto più dell’indice della Borsa svizzera, quando quest’ultima chiude l’anno in ribasso, e non guadagnare molto meno dell’indice, quando chiude in rialzo. La prima conclusione da trarre è che i risparmiatori pagano la gestione dei loro soldi a persone che spesso non fanno altro che imitare (copiare) con variazioni di scarsa rilevanza l’andamento dei mercati.

Ma chi determina il loro andamento? In realtà un pugno di uomini o meglio di grandi banche di investimento e di grandi società multinazionali. Questi istituti sono in realtà più organi di propaganda che vere e proprie banche. Infatti attraverso analisi, ricerche, studi e raccomandazioni di investimento riescono a determinare l’andamento dei mercati. Per essere più chiari, negli anni Novanta hanno esaltato il fenomeno delle nuove tecnologie informatiche, creando una mania che ha spinto milioni di persone ad investire nelle azioni delle società di telecomunicazione, in quelle Internet e via dicendo, creando una bolla che è poi scoppiata nel 2000, dando il via alla crisi dalla quale non siamo ancora usciti. Un altro esempio: sono le analisi sulla scarsità delle derrate alimentari, rafforzate dai disastri provocati dalla siccità o dalle alluvioni in varie parti del mondo, che hanno provocato grandi ondate di acquisti nei Paesi occidentali e la fame nei Paesi poveri. Oppure ancora, le analisi sull’aumento del consumo di petrolio provocato dai nuovi grandi Paesi emergenti (Cina e India) che ha fatto impennare il prezzo del greggio. Queste analisi, che si fondano sempre su dati reali e soprattutto facilmente comprensibili, vengono diffuse in tutto il mondo e vengono sostenute da queste stesse banche con massicci acquisti da parte dei fondi che gestiscono direttamente e da parte delle loro sale di trading (sale di compravendita delle più diverse attività finanziarie). Infatti negli ultimi decenni il grosso degli utili delle grandi banche di investimento è generato dalla speculazione effettuata con il capitale proprio. Per capirci è generata da quel tipo di attività che talvolta è afflitta da incidenti, come quello che ha provocato perdite miliardarie ad UBS a Londra.

La speculazione ha dunque un nome e un volto. Sono le grandi banche di investimento che si indebitano per moltiplicare le loro scommesse sui mercati (la cosiddetta leva), affiancate dai grandi Hedge Fund (che dipendono dalle banche per le linee di credito e per l’operatività) e dalle grandi società multinazionali, la cui attività sui mercati finanziari è spesso più redditizia e più importante di quella industriale. Molto probabilmente chi ha avuto l’ardire di giungere fino a questo punto nella lettura di questo articolo, potrebbe dire che queste affermazioni non sono suffragate da prove. Ebbene un recente studio dell’Università di Zurigo mette in luce la concentrazione delle strutture proprietarie e delle strutture di controllo dell’attuale sistema economico. In pratica, esiste una rete, che si potrebbe definire “invisibile”, formata da una cinquantina di società multinazionali (prevalentemente istituti finanziari), che attraverso un complicato meccanismo di relazioni di proprietà, controlla il 40% del valore economico e finanziario di 43'060 società multinazionali. Possiamo sostenere, senza timore di poter essere smentiti, che questo è il cuore (o la plancia di comando) dell’economia occidentale.

Oggi è in crisi questo cuore del sistema, che ha giocato per anni ad ingrossare la propria redditività scommettendo su un continuo aumento del debito. Ora il meccanismo gli si è rotto in mano e gli uomini della plancia di comando non sanno come uscire dall’attuale crisi. Sanno però che bisogna a tutti i costi tenere in piedi il castello di debiti costruito negli anni. Quindi, obbligano i Governi a salvare le banche, le banche centrali a rifornirle di liquidità a costo pressoché zero e alla politica di estrarre dall’economia reale le risorse ancora esistenti per tentare di rinviare il momento della verità. L’aspetto maggiormente preoccupante è che anche sulla plancia di comando non vi è alcuna strategia pacifica e non eccessivamente dolorosa per uscire dall’attuale crisi. Insomma, non si sa quale rotta seguire. Non si può escludere quindi che queste persone, di fronte al precipitare della situazione, scelgano vie pericolose per l’intera umanità.

In conclusione, i mercati finanziari dove milioni di persone operano sono in realtà una bella tuta mimetica, che serve a far credere a tutti di essere coinvolti e corresponsabili di quanto succede e che serve soprattutto a celare la plancia di comando, dalla quale uomini e società gestiscono il nostro mondo.
di Alfonso Tuor

03 marzo 2012

Via banchieri e cialtroni, riprendiamoci il nostro denaro



Perché l’Eurozona è in crisi? Come si può uscire da questa situazione? Ci sono alternative alle teorie dominanti che ci hanno trascinati in questa voragine? Sì, eccome. Lo hanno spiegato, al meeting di Rimini promosso da Paolo Barnard e totalmente auto-finanziato dai partecipanti, i super-economisti “eretici” che la soluzione giusta l’hanno già confezionata, con grande successo, per la spettacolare rinascita dell’Argentina. Una sola strada: archiviare l’euro e tornare a una moneta sovrana creata per i cittadini e non contro di loro. Piccolo problema: l’attuale classe dirigente, italiana ed europea. Da spazzare via al più presto, con nuove elezioni capaci di selezionare idee utili e democratiche, per un futuro di speranza. Passaggio intermedio: diventare «il peggior incubo dei banchieri», per dirla con il professor William Black, uno degli economisti neo-keynesiani che hanno accettato la scommessa di Barnard.

Gli altri super-esperti intervenuti a Rimini tra il 24 e il 26 febbraio, nel “105 Stadium” gremito da duemila attivisti capaci di tributare ovazioni da Paolo Barnardconcerto rock, sono gli statunitensi Michel Hudson, Stephanie Kelton e Marshall Auerback, più il francese Alain Parguez. Evento epocale, nell’abisso della crisi italiana, eppure totalmente ignorato dai media – con la sola eccezione del “Fatto Quotidiano”. Tra i report del summit riminese, spicca l’ottima cronaca scritta per “Megachip” da Pierangela Magioncalda, responsabile genovese di “Alternativa”, laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa. Domande cruciali: è possibile avere uno Stato e un’economia che lavorino per i cittadini e non per le élites finanziarie? Come arginare questa immensa emorragia di denaro che fuoriesce dall’economia reale e dalle tasche dei cittadini migrando verso l’economia finanziaria e i suoi signori? E ancora: è possibile raggiungere una piena occupazione con una contemporanea stabilità dei prezzi o non ci resta che seguire i drammatici dettami di Draghi e dell’Fmi, subendo i micidiali verdetti a orologeria delle agenzie di rating?

Come diventare l’incubo dei banchieri? Semplice, basta dire la verità: quella che di cui il “mainstream” ha una fifa blu. Ecco spiegata la cortina di silenzio mediatico che ha avvolto il più importante evento politico-culturale di questo cruciale scorcio di vita italiana. «Un pensiero diverso fa paura – scrive “Megachip” – e per questo è stato così strenuamente combattuto e bandito dalle università, dai media e dalla politica negli ultimi decenni», non solo in Italia ma «in tutto il mondo», convincendo tutti quanti che, «finalmente, dopo la caduta del comunismo, non solo viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma anche nell’unico mondo possibile». Terra bruciata, alla quale però non si rassegnano i seguaci di Barnard: una platea assai eterogenea per età, provenienza geografica e background culturale, con molti giovani e persino coppie di anziani, pronte ad affrontare l’impegnativa Il summit di Rimini sulla Modern Money Theorymaratona accademica pur di capire perché mai si è finiti in questa situazione e quali possano essere le possibili uscite di sicurezza.

Missione compiuta: la chiarezza delle “lezioni” ha fatto comprendere ai partecipanti come una differente visione del denaro e del deficit dello Stato possa letteralmente capovolgere la visione neoclassica liberista, «propinataci fino ad oggi come verità assoluta e indiscutibile». Un dogma, che vuole continuare a imporci politiche di austerità sempre più dure, con la spietata erosione dei diritti dei lavoratori e la pretesa di ridurre o addirittura eliminare il deficit di bilancio dello Stato, come impone il “Fiscal Compact” in base al quale dal 2013 gli Stati europei perderanno ogni residua sovranità finanziaria, dovendo sottoporre i loro bilanci alla validazione preventiva di Bruxelles. Obiettivo: impedire che gli Stati spendano denaro per i cittadini. Una autentica follia, che diventerà legge. E che gli economisti della “Modern Money Theory” smontano totalmente: perché il denaro dovrebbe essere dello Stato, cioè dei cittadini, e non di proprietà privata della grande finanza speculativa.

In uno Stato a moneta sovrana, come gli Usa o il Giappone, la moneta è un “io ti devo” emesso dal governo, il quale potrà sempre ripagare il suo debito fino a quando lo vorrà, in virtù del fatto che potrà sempre emettere denaro nella valuta in cui il suo debito è stato contratto. Potrà inoltre comprare tutto ciò che è in vendita in quella valuta senza dover cercare i soldi sui mercati finanziari, libero di fissare i tassi di interesse dei suoi titoli. Ma non Oltre 2000 al summit riminese organizzato da Paolo Barnardsolo: lo Stato, spendendo a deficit, immette risorse finanziarie nella società per sostenere l’economia reale e creare ricchezza netta per i cittadini, a seconda delle politiche di spesa che adotta. In questo modo, a un deficit per lo Stato, corrisponde un surplus per il settore privato, che permette di realizzare investimenti e politiche sociali per i cittadini.

In sostanza, continua Pierangela Magioncalda su “Megachip”, le risorse finanziare di uno Stato a moneta sovrana sono virtualmente infinite. L’unica linea estrema della spesa è data dai limiti dello sfruttamento delle risorse reali – quelle sì, finite per davvero. Insomma, tutto il contrario del neoliberismo: ciò implica che una politica di austerità, in uno Stato a moneta sovrana, non potrà mai essere giustificata dalla frase: «Non ci sono soldi per…». Questo, continua l’esponente di “Alternativa”, spiega perché economie come quella degli Usa o quella giapponese, ma anche quella britannica, non stanno subendo una crisi del debito sovrano nonostante il rapporto deficit-Pil sia ben superiore a quello dei paesi “Piigs” dell’eurozona. «Non dimentichiamo che anche l’Italia, in passato, ha avuto un rapporto deficit-Pil del 120%, a cui però non è corrisposta una crisi del debito come William Black quella attuale, in quanto all’epoca l’Italia aveva ancora la sua sovranità monetaria».

In questa visione, per gli economisti convocati da Barnard, anche il ruolo delle tasse è completamente stravolto rispetto alla teoria neoclassica: le imposte servono ad obbligare i cittadini ad usare la valuta del governo, assicurando pertanto un valore a quest’ultima, nonché a ritirare denaro in eccesso dal mercato, controllando così anche l’inflazione. Gli stessi titoli di Stato, in questo sistema, sono uno strumento di politica monetaria attraverso il quale si definisce la riserva monetaria disponibile insieme al tasso di interesse sul denaro. Non è dunque con le tasse che si deve finanziare la spesa pubblica, anche se oggi l’idea dominante suggerisce proprio questo. E i paesi dell’Eurozona, avendo perso la loro sovranità monetaria, devono chiedere i soldi sui mercati finanziari – esattamente come le imprese e le famiglie – e non possono pertanto garantire la loro solvibilità.

«Ovviamente, date queste condizioni – aggiunge Pierangela Magioncalda – gli Stati sono poi ricattabili dai mercati finanziari, come abbiamo tutti imparato molto bene in questi ultimi anni». Proprio da qui nascono infatti la crescita esplosiva dei tassi di interesse sul debito, l’ossessione del deficit, il rigore e le politiche dei tagli allo stato sociale: per lo Stato diventa praticamente impossibile qualunque politica autonoma per sostenere l’economia reale e realizzare politiche per la piena occupazione, con conseguente recessione economica e avvitamento nel circolo vizioso, Marshall Auerbacksecondo la nota spirale che i paesi “Piigs” stanno già sperimentando sulla loro pelle.

Il colpevole? Uno su tutti: l’euro, moneta comune ma non pubblica. «I tecnocrati, in particolare tedeschi e francesi», hanno di fatto «costruito l’euro a beneficio delle élites finanziarie e delle economie dei loro paesi». Soprattutto la Germania, che ha migliorato la sua bilancia commerciale con l’estero a spese dei paesi mediterranei e di tutti i cittadini europei, compresi gli stessi tedeschi: che, in nome della competitività, hanno visto scendere i loro salari reali dal 2000 ad oggi. Possibili soluzioni? Auerback propone di riformare radicalmente la Bce, che anziché finanziare le banche (come sta facendo adesso) dovrebbe distribuire soldi direttamente agli Stati, in proporzione al numero degli abitanti. Ma soprattutto: occorre abbandonare l’euro e tornare a una moneta sovrana. Sganciata dal dollaro, l’Argentina è la prova vivente di come la sovranità monetaria possa far rinascere un paese, grazie alla teoria neo-keynesiana della “Mmt”.

Cosa ci accadrà domani? Dal summit di Rimini è emersa la possibilità di conflitti anche violenti tra i paesi europei a causa della crisi, «che l’attuale Unione non allontana, ma anzi fomenta», di fronte a un’opinione pubblica disorientata, allarmata dall’austerity ed esasperata anche dalle clamorose frodi finanziarie – Enron, Parmalat, mutui subprime – che per William Black sono la regola, «in un sistema totalmente deregolamentato che finge di avere una fiducia ceca nella capacità del mercato di autoregolamentarsi soltanto per continuare a perpetrare la rapina ai danni dei popoli, dentro e fuori gli Stati Uniti d’America». I problemi, conclude Pierangela Magioncalda, richiederanno «la rinascita di una politica non corrotta, di una vera democrazia» fatta dai cittadini e per i cittadini, ben consapevoli dei limiti fisiologici delle risorse: non è più tempo di “miracoli” e boom economici basati sul dogma della crescita infinita, ma è ora che i popoli rinnovino una classe dirigente legittima e degna, licenziando camerieri e maggiordomi dei grandi banchieri, i veri architetti del disastro.

di Giorgio Cattaneo