Fiato corto e cuore che batte all'impazzata: non abbiamo le gambe abituate a falcare su e giù per i sentieri e i pendii di montagna. Superiamo un posto di blocco dei carabinieri: ci permettono di aggirare newjersey e reti metalliche e di inoltrarci nel bosco verso l'area del cantiere. Sul versante a sinistra, sulla linea ferroviaria che collega Italia e Francia passa un merci. Ma a sentire la tv, l'Italia non era isolata dalla Francia? Non ci ripetono continuamente che c'è bisogno di una ferrovia che colleghi i due paesi per il traffico di passeggeri e merci? E allora, cos'è quel serpente di vagoni che arriva da oltre confine?
Il rumore dei mezzi che vanno e vengono da oltralpe, intervallato da lunghi silenzi spazzati dal vento, comincia a sentirsi più vicino. Pochi passi e ci troviamo sopra l'autostrada. E giù, fra uno scavo e un furgone della Polizia, fra un mezzo della Guardia di Finanza e un bosco raso al suolo, c'è il cantiere. Un cantiere per un buco, geognostico. Devono capire le caratteristiche del terreno, devono allungare le braccia delle ruspe nel ventre delle montagne prima di scavare il tunnel. Eppure, c'è chi ben conosce nel dettaglio la composizione di quelle rocce; ci sono esperti, ma anche semplici cittadini che sanno che là dentro ci sono amianto e uranio. Proprio come la gente del Vajont sapeva che in lingua ladina quel nome significava "va giù" e che il nome Toc, quello del monte da cui si è staccata la frana che ha sepolto vive quasi duemila persone nel 1963, significa "pezzo", "marcio". Lo sapevano. Ma allora si disse che chi era contro la mega diga voluta dalla Sade-Enel era contro il progresso. L'Italia doveva essere all'avanguardia, aveva bisogno di grandi opere. E così fu. E in quasi duemila morirono.....
Oggi in Val di Susa c'è una popolazione che non vuole morire: ci sono imprenditori che hanno investito tutto nelle loro attività e nel futuro della valle, che rischia di essere spazzato via perchè - ci propagandano - non c'è collegamento fra Italia e Francia. E allora, il merci che ho visto io o il TGV che passa regolarmente, cosa sono? Illusioni ottiche? Miraggi?
Pensando alla morsa della crisi, ai lavoratori licenziati, ai pensionati affamati, agli imprenditori che si suicidano, l'unico miraggio di cui si può parlare è quello di un governo che finalmente decida nell'interesse della gente, anziché in quello delle banche (che di certo sono ben felici del progetto TAV, visto che i finanziamenti e i relativi interessi transitano obbligatoriamente per gli istituti di credito). L'ammodernamento della linea ferroviaria esistente è stato terminato nel 2008-2009: ora circolano sia merci che passeggeri. E allora? Perchè questa assoluta necessità di costruire un nuovo tunnel? Perchè la necessità di occupare un intero territorio, con forze dell'ordine (che magari potrebbero invece essere impiegate nella lotta alle infiltrazioni mafiose e della 'ndrangheta negli stessi cantieri come denunciato da Imposimato), con mezzi e uomini della Guardia di Finanza (non avevano la priorità della lotta all'evasione?), con reparti armati dell'esercito (quelli che hanno richiesto denaro sonante per andare a liberare i centri abitati sepolti dalla neve)? Ma quanto diavolo costano (in termini puramente economici, ma anche rispetto ai mancati diversi utilizzi) quei mezzi, quegli uomini, quei soldati a noi italiani?
Ma soprattutto, quanto dovrebbe venirci a costare il TAV? Quand'è che avremo finalmente una seria e dettagliata analisi costi-benefici dell'opera? Quante persone e mezzi dovrebbero circolare in quel lungo buco che dovrebbe sventrare la montagna? Perchè la Francia ha ripensato alla priorità della Torino-Lione e perchè L'Agenzia Nazionale per l'Ambiente Francese chiede maggiori risposte, maggiori garanzie, nuovi studi? Perchè invece in Italia la banda mista degli amichetti del banchierino (in senso generale, ovviamente, da destra a sinistra, politici e tecnici nella stessa misura) spingono l'acceleratore perchè l'opera è irrinunciabile? E soprattutto perchè se io, che peraltro non vivo in Val di Susa (pur comprendendo e condividendo le ragioni dei Valsusini), dimostro che l'opera è costosissima, dannosa e non utile sono subito accusata di essere contro il progresso, di volere isolare l'Italia, di volerla tagliata fuori dall'Europa? Magari potessi sottrarla alla dittatura finanziaria europea e dell'euro! Ma ovviamente non è su questo terreno che i tifosi del TAV mi contestano. Mi contestano perchè sognano la grandeur italiana e io invece - a loro dire - sarei contro il futuro del mio paese.
Mi spieghino dunque perchè mai noi tutti, che già dobbiamo fare i conti con un debito e con una crisi che toglie il fiato, dobbiamo cacciare altri quattrini di tasca nostra per finanziare un'opera che non serve (c'è già!) e che non ci è imposta dall'Europa. Questa scusa è il solito ritornello che utilizzano quando ci vogliono far prendere una medicina amara, mentre ci nascondono che l'Europa chiede che le opere siano fatte con il consenso delle popolazioni. Perchè dovremmo pagare per una grande opera tanto gradita alle banche? Chissà mai a chi gioverà una tale voragine! No, non quella nella montagna, ma quella dei miliardi di euro che costerà il tunnel.
Nei media, ma anche in rete, chi si oppone a questo progetto Tav è deriso, insultato, criminalizzato: è un arretrato, un idiota, quando non un pericoloso violento. Ma chi è che è entrato in un bar frantumando le vetrine e compiendo una scorribanda degna del peggior rastrellamento? Chi ha impartito l'ordine a quegli uomini? Chi è che adotta la violenza per militarizzare una valle? Poi, non mi si venga a dire che è colpa dei NO Tav se in Valle il turismo è in ginocchio: voi ci andreste a fare le vacanze in una caserma militare?
Forse Napolitano dovrebbe cominciare a chiedere in primis alle truppe schierate e delle quali lo Stato sta abusando (indirizzandole contro altri cittadini che difendono il loro territorio e le nostre tasche) di "escludere il ricorso a violazioni di legge, violenze, intolleranze e intimidazioni". Ma invece queste parole le ha scagliate a Torino contro quella gente che sta cercando di far soppravvivere la Valle, proteggendoci da un ulteriore indebitamento. Le ha pronunciate proprio mentre rifiutava di incontrare i Sindaci che si oppongono alla nuova linea ferroviaria, perchè il Presidente non entra "nel merito dei contrasti politici". Eh già. Si limita a chiedere più sacrifici, a tutti. Lui, la massima carica garante del rispetto della carta costituzionale. Di quella carta costituzionale che dichiara nel primo articolo che la sovranità appartiene al popolo. Ma visto come l'Italia è stata svenduta alla BCE e alla grande finanza internazionale, viene da chiedersi se abbia ancora un senso parlare di Repubblica, di sovranità (Monti ha già apertamente dichiarato che è necessario cederne all'Europa ed ha agito, indisturbato, di conseguenza), se ha senso parlare di Stato.
Quale Stato? Governato da chi? Per conto di chi? Per interesse di chi? Mi lascio trascinare dall'emotività e mi dico che tutto non ha senso e che questo sistema è una macchina impazzita lanciata a folle velocità contro un muro. Ma poi freno. E rivedo le immagini dei camionisti, bloccati in autostrada a Chianocco dai No Tav che, una volta liberata la sede stradale, ripartono suonando il clacson, salutando e condividendo, dai finestrini aperti delle loro cabine (nonostante il freddo gelido), la protesta degli abitanti della Val di Susa. Una protesta che è anche la loro. La nostra. Ed ecco che mi sento valsusina anche io e torno orgogliosa di essere Italiana.
di Monia Benini
11 marzo 2012
10 marzo 2012
Scende lo Spread, salgono i prezzi…
(Miro Renzaglia) Esultate, fratelli d’Italia. Il governo Monti – ci assicurano notizie di agenzia battute oggi – ha compiuto il miracolo: il differenziale tra titoli di stato italiani e tedeschi, il famosissimo e temutissimo spread, che solo pochi mesi fa sfiorava i 700 punti, è sceso a 293 punti. Un miracolo, un vero e proprio miracolo. Se ancora non siamo salvi dal rischio default simil greco, poco ci manca.
Sull’onda dell’entusiasmo per il prodigioso risultato, la borsa di Milano è segnalata in forte ripresa: le azione del comparto industriale e del comparto bancario volano di segno percentuale positivo in segno percentuale più che positivo. Persino le famigerate agenzie di rating, che da quasi un anno non facevano che declassarci nelle loro temutissime pagelline, ci segnalano avviati ad un rinnovato circolo virtuoso.
Ora, non è per fare il guastafeste, ma a questi straordinari successi ottenuti dal governo tecnico nell’eliosfera dell’altra finanza, non fanno esattamente riscontro i dati dell’economia reale italiana. Secondo l’Istat, infatti, a febbraio il costo della vita è salito al 3,3%, con i prezzi di beni di prima necessità, da pasta e verdura alla benzina, segnalano un rincaro del 4,5%. Rincaro che in moneta reale significano, secondo le stime della Codacons, che una famiglia di 3 persone, nel 2012, dovrà spendere 608 euro in più e una di 4 persone 657 euro in più su base annua, rispetto al 2011.
Se a questo salasso già di per sé gravoso, sommiamo la reintroduzione della tassa sulla prima casa (Umi), previsto entro giugno, e il rischio o la minaccia che le aliquote Iva aumentino di un punto, le mani in tasca delle famiglie italianiepescheranno fra i 1200 e 1300 euro, sempre nel solo 2012.
C’è poi, come se il quadro non fosse già abbastanza allarmato, il dato, sempre secondo l’Istat, dell’aumento della disoccupazione che, a gennaio 2012, ha registrato un + 9,2%, indice più alto dal 2004. Con un significativo +0,2% dal dicembre 2011 al gennaio 2012.
Sono gli effetti della crisi, è ovvio. E bisogna pagare. Peccato, però, che a pagare siano sempre gli stessi. Secondo la rivista americana Forbes, specializzata nella classifiche redditometriche, nell’ultimo anno il numero di miliardari nel mondo è aumentato dell’1% e il loro patrimonio, addirittura del 2%.
Eh! Che volete farci? Sono le gioie del capitalismo. E della crisi…
di Miro Renzaglia
Sull’onda dell’entusiasmo per il prodigioso risultato, la borsa di Milano è segnalata in forte ripresa: le azione del comparto industriale e del comparto bancario volano di segno percentuale positivo in segno percentuale più che positivo. Persino le famigerate agenzie di rating, che da quasi un anno non facevano che declassarci nelle loro temutissime pagelline, ci segnalano avviati ad un rinnovato circolo virtuoso.
Ora, non è per fare il guastafeste, ma a questi straordinari successi ottenuti dal governo tecnico nell’eliosfera dell’altra finanza, non fanno esattamente riscontro i dati dell’economia reale italiana. Secondo l’Istat, infatti, a febbraio il costo della vita è salito al 3,3%, con i prezzi di beni di prima necessità, da pasta e verdura alla benzina, segnalano un rincaro del 4,5%. Rincaro che in moneta reale significano, secondo le stime della Codacons, che una famiglia di 3 persone, nel 2012, dovrà spendere 608 euro in più e una di 4 persone 657 euro in più su base annua, rispetto al 2011.
Se a questo salasso già di per sé gravoso, sommiamo la reintroduzione della tassa sulla prima casa (Umi), previsto entro giugno, e il rischio o la minaccia che le aliquote Iva aumentino di un punto, le mani in tasca delle famiglie italianiepescheranno fra i 1200 e 1300 euro, sempre nel solo 2012.
C’è poi, come se il quadro non fosse già abbastanza allarmato, il dato, sempre secondo l’Istat, dell’aumento della disoccupazione che, a gennaio 2012, ha registrato un + 9,2%, indice più alto dal 2004. Con un significativo +0,2% dal dicembre 2011 al gennaio 2012.
Sono gli effetti della crisi, è ovvio. E bisogna pagare. Peccato, però, che a pagare siano sempre gli stessi. Secondo la rivista americana Forbes, specializzata nella classifiche redditometriche, nell’ultimo anno il numero di miliardari nel mondo è aumentato dell’1% e il loro patrimonio, addirittura del 2%.
Eh! Che volete farci? Sono le gioie del capitalismo. E della crisi…
di Miro Renzaglia
09 marzo 2012
La bussola si è rotta: andare oltre la destra e la sinistra
Non si può decentemente chiedere al marinaio di scendere in mare senza bussola, in particolare quando il cielo è coperto e non ci si può orientare con le stelle. Ma cosa capita quando si pensa che la bussola funzioni, mentre invece è magnetizzata e falsificata da un pezzo invisibile di calamita che gli sta al di sotto? Ecco, questa è una metafora abbastanza precisa della nostra situazione di oggi.
Con il governo Monti le cose si sono fatte a un tempo più chiare e più oscure. Si sono fatte più chiare (almeno per quel due per cento di bipedi umani che intendono fare uso del proprio libero intelletto, e non intendo prendere in considerazione il restante novantotto per cento), in quanto è evidente che la decisione politica democratica - tutta la decisione politica democratica, di sinistra, centro e destra - è stata svuotata, e siamo di fronte a una situazione del tutto imprevista nei manuali di storia delle dottrine politiche.
In breve, siamo di fronte a una dittatura di economisti a indiretta e formale legittimazione elettorale referendaria. E’ chiaro che questa dittatura di economisti avviene per conto di qualcuno, ma sarebbe sbagliato “antropomorfizzare” troppo questo qualcuno: i ricchi, i capitalisti, i banchieri, gli americani, eccetera. Questa dittatura di economisti è al servizio di una entità impersonale (Marx l’avrebbe definita “sensibilmente soprasensibile”) che è la riproduzione in forma “speculativa” della forma storica attuale del modo di produzione capitalistico (cfr. D. Fusaro, Minima Mercatalia. Filosofia e Capitalismo, Bompiani, Milano 2012). Da questo punto di vista le cose sono chiare.
Non è affatto chiaro, ma anzi è oscuro, il modo in cui questa giunta dittatoriale di economisti può “portare l’Italia fuori dalla crisi”. Essa è al servizio esclusivo di creditori internazionali, e il suo unico orizzonte è il debito. La logica del modello neoliberale è quella di delocalizzare la fabbricazione delle calze Omsa da Faenza in Serbia, in modo da poter pagare le operaie duecento euro.
In questa situazione, il mantenimento della dicotomia Destra/Sinistra non è più soltanto un errore teorico. E’ potenzialmente un crimine politico.
Ultimamente, sono rimasto imbambolato a leggere un volantino del gruppetto “Sinistra Critica”. Non capivo neppure io stesso perché. Poi improvvisamente mi è sembrato di capire. Il termine “sinistra critica” è una contraddizione in termini, perché il presupposto massimo ed essenzialissimo di ogni critica, senza il quale la stessa parola “critica” perde ogni significato, è proprio il superamento della dicotomia Destra/Sinistra. Non si può essere critici e contemporaneamente di sinistra (o di destra, non cambia nulla).
Ho prima accennato al libro di Diego Fusaro pubblicato da Bompiani. In questa storia filosofica del capitalismo, dalle sue origini seicentesche fino a oggi non ci sono mai, ma proprio mai, ma assolutamente mai, le parolette Destra e Sinistra, per il semplice e nudo fatto che la mondializzazione economica capitalistica e la dittatura degli economisti che ne è necessariamente la forma, ha svuotato del tutto queste categorie. Norberto Bobbio poteva ancora parlarne in assoluta buona fede, perché ai suoi tempi esisteva ancora la sovranità monetaria dello Stato nazionale, e partiti di “sinistra” potevano mettere in atto politiche economiche redistributrici in misura maggiore di partiti di “destra”. Ma oggi, con la globalizzazione neoliberale, il discorso di Bobbio non corrisponde più alla realtà storica.
Esiste ovviamente un problema, dal momento che la dittatura “neutrale” degli economisti ha pur sempre bisogno di essere costituzionalmente legittimata da elezioni, sia pure svuotate di ogni significato decisionale. A questo punto si mette in scena una commedia all’italiana: la “sinistra responsabile” (Bersani, D’Alema, Veltroni, tutto il comunismo togliattiano riciclato); il “buffone di copertura” Vendola di cui si sa a priori che i suoi voti andranno comunque al PD; i “testimoni” del buon tempo antico Diliberto e Ferrero i cui voti andranno comunque al PD con la scusa del pericolo fascista, razzista, populista, eccetera; i partitini da prefisso telefonico Turigliatto e Ferrando che seguono il principio olimpico per cui l’importante non è vincere, ma partecipare; infine, i Testimoni di Geova del comunismo (Lotta Comunista) in attesa che il salvifico gigante buono, la classe operaia e salariata mondiale, si svegli.
L’ideale sarebbe quello ipotizzato dal romanziere portoghese José Saramago, e cioè che nessuno andasse a votare, sottolineo nessuno. Se nessuno andasse a votare, cadrebbe la legittimazione formale della dittatura degli economisti. Certo, il capitalismo troverebbe modo egualmente di estrarre un nuovo coniglio dal cappello, ma intanto ci sarebbe da divertirsi. Purtroppo si tratta solo di un sogno irrealizzabile. La Macchina Acchiappa-Babbioni è troppo buona per lasciarla andare in disuso.
Eppure, la soluzione sarebbe a portata di mano: una nuova forza politica radicalmente critica del capitalismo liberista mondializzato, del tutto estranea alla dicotomia Destra/Sinistra. Una forza politica che lasci cadere tutti i progetti di “rifondazione del comunismo” (il pensiero di Marx è ancora vivo, ma il comunismo storico è finito), e che riprenda invece le ispirazioni solidaristiche e comunitarie.
In teoria, è l’uovo di Colombo. Ma appunto perché lo è, ci vorranno ancora decenni e decenni, salvo improbabili accelerazioni storiche impreviste, perché si capisca che la bussola è rotta, e sinistra e destra sono soltanto segnali stradali.
Ora darò l’occasione a tutte le vipere, i ragni e gli scorpioni di gridare al “Preve fascista”. Eppure, se si ha paura di rompere i tabù tanto vale leggere solo romanzi polizieschi. Ultimamente un caro amico francese mi ha spedito il libro di Marine Le Pen (cfr. Perché la Francia viva, in lingua francese, Grancher, Paris 2012). So già che si parlerà di astuta manovra di infiltrazione populista del fascismo eterno, ma provate a leggerlo. C’è da restare stupiti. Io non sono stupito, perché conosco la dialettica di Hegel, l’unità dei contrari, e la logica di sviluppo dell’ultimo ventennio sia della sinistra che della destra.
Ma veniamo ai fatti. A pagina 135 Marine Le Pen scrive, traduco letteralmente: “Non ho da parte mia nessun patema d’animo a dirlo: la dicotomia fra destra e sinistra non esiste più”. I principali riferimenti filosofici sono a due pensatori di “sinistra”, Bourdieu e Michéa (pagina 148). Il vecchio comunismo francese di Marchais è citato positivamente e quindi, niente Pétain e Vichy. Sarkozy è vituperato sia per la sua politica estera filo-USA che per quella interna, favorevole alle diseguaglianze sociali. Sul mercato il principale riferimento teorico è Polanyi (pagina 26). Si rivendica il no alla guerra dell’Iraq 2003 (pagina 37). Marx è citato (pagina 61), e si sostiene, citando ripetutamente l’economista Allais, l’incompatibilità di mercato e democrazia. Ma soprattutto ci ho ritrovato quello che mi seduceva nel comunismo degli anni Sessanta, il fatto che la chiacchiera polemica di piccolo cabotaggio è messa in fondo e non all’inizio, perché all’inizio vi è un lungo capitolo intitolato, alla francese, “Il Mondialismo non è un Umanesimo”. La globalizzazione è correttamente definita “un orizzonte di rinuncia”, e si riafferma che “l’impero del Bene è prima di tutto nelle nostre teste”, ed infatti è così.
E potrei continuare, ma so già che ho dato alle vipere e agli scorpioni l’occasione per insolentirmi, ciò che non mancherà certamente di avvenire. In realtà voglio soltanto far riflettere.
Per capire che cosa sono oggi Destra e Sinistra non bisogna rivolgersi ai difensori “idealtipici” della permanenza della dicotomia, nei termini valoriali delle categorie dello Spirito, alla Marco Revelli. Bisogna leggere i difensori del sistema come Antonio Polito (cfr. Corriere della Sera, 25 febbraio 2012). Polito dice apertamente che la competizione politica può oramai avvenire solo sul presupposto, dato per scontato, dei vincoli del modello neoliberale di economia globalizzata. Il resto è un agitarsi inconsistente, dal pagliaccio Vendola a Forza Nuova. Questo è il nostro destino.
Che cosa propongono i “sinistri” ancora in attività, da Andrea Catone a Giacché a Brancaccio? Un rilancio del keynesismo e della spesa pubblica in deficit dentro l’Unione Europea? Una ennesima messa in guardia contro i pericoli del razzismo, del leghismo, del populismo? Una globalizzazione alternativa dal volto umano? Ora che il Grande Puttaniere non occupa più il centro della scena con cosa si continuerà a babbionare il tifo sportivo identitario del popolo di sinistra?
Se si legge il documento “Cina 2030” della Banca Mondiale, recentemente presentato a Pechino, si vedrà che la dittatura degli economisti si estende al mondo intero. Le ricette sono le stesse. Ora, la rivoluzione non è matura, e non è certo all’ordine del giorno, sia nella variante stalinista (Rizzo) che in quella trotzkista (Ferrando). Ma neppure il riformismo è all’ordine del giorno, perché il riformismo implica sovranità dello Stato nazionale. E allora? C’è ancora chi si balocca con il comunismo contro il fascismo o con il fascismo contro il comunismo? Oggi il nemico è la dittatura degli economisti neoliberali. Con essa non si può fare nessun compromesso. Questo è il primo passo. I successivi, se si fa questo primo passo, potranno seguire.
Sulla votomania compulsiva
E’ probabile che l’americanizzazione integrale e radicale (altro che europeismo!) portata dal governo Monti e dalla sua dittatura di economisti porti a una diminuzione della partecipazione elettorale degli italiani, che dopo il 1945 ha sempre avuto livelli di delirio. Questa votomania compulsiva, evidente fra gli anziani, è legata alla contrapposizione DC-PCI, ed è rimasta come “lunga durata” anche nel periodo craxiano, prodiano e berlusconiano. Ma oggi che lo Stato non dà più niente e prende soltanto dovrebbe diminuire, ma purtroppo non abbastanza. C’è sempre spazio per i Casini, Veltroni, Vendola, eccetera.
A fianco della diminuzione probabile della votomania compulsiva, si nota un secondo aspetto della americanizzazione, il declino della politica estera come oggetto di dibattito. Negli USA è normale che la gente non sappia neppure dove sia l’Afghanistan, l’Iraq o la Siria, il cui bombardamento è delegato a esperti specializzati. I tempi in cui tutti erano informati della Corea e del Vietnam sonmo passati, per ora irreversibilmente. L’intera classe giornalistica, senza nessuna eccezione, è diventata una “gioiosa macchina da guerra” di menzogne integrali.
Al tempo della guerra del Golfo del 1991 c’era ancora discussione, poi non più. Ci fu quella che Carl Schmitt definì in latino reductio ad Hitlerum, cioè riconduzione al feroce dittatore di tutti i mali della società, unita con l’invenzione (questa invece di origine di “sinistra”) di tutto un popolo unito contro un dittatore. I popoli furono mediaticamente uniti contro sempre nuovi Hitler nemici dei diritti umani. Il gioco cominciò con Ceausescu, poi con Noriega, Saddam Hussein, Ahmadinejad, Milosevic, Gheddafi, adesso Assad. La storia fu abolita e al suo posto si insediò un canovaccio di commedia, sempre lo stesso: i Popoli uniti contro il Feroce Dittatore; il Silenzio Colpevole dell’Occidente; i Dissidenti “buoni” cui è riservato il diritto di parola. In un anno di televisione manipolata non ho mai sentito intervistare un solo sostenitore di Assad, eppure la Siria ne è piena.
Solo quando il gioco si fa duro, ha senso che i duri comincino a giocare. Fino a che regna la pagliaccesca simulazione italiana Destra/Sinistra le cose saranno sempre come quegli incontri americani di catch in cui è sempre e solo tutta scena per i babbioni spettatori.
Stato nazionale, sovranità nazionale, programma solidale e comunitario, no alla globalizzazione in tutte le sue forme e alla sua dittatura di economisti anglofoni!
di Costanzo Preve
Con il governo Monti le cose si sono fatte a un tempo più chiare e più oscure. Si sono fatte più chiare (almeno per quel due per cento di bipedi umani che intendono fare uso del proprio libero intelletto, e non intendo prendere in considerazione il restante novantotto per cento), in quanto è evidente che la decisione politica democratica - tutta la decisione politica democratica, di sinistra, centro e destra - è stata svuotata, e siamo di fronte a una situazione del tutto imprevista nei manuali di storia delle dottrine politiche.
In breve, siamo di fronte a una dittatura di economisti a indiretta e formale legittimazione elettorale referendaria. E’ chiaro che questa dittatura di economisti avviene per conto di qualcuno, ma sarebbe sbagliato “antropomorfizzare” troppo questo qualcuno: i ricchi, i capitalisti, i banchieri, gli americani, eccetera. Questa dittatura di economisti è al servizio di una entità impersonale (Marx l’avrebbe definita “sensibilmente soprasensibile”) che è la riproduzione in forma “speculativa” della forma storica attuale del modo di produzione capitalistico (cfr. D. Fusaro, Minima Mercatalia. Filosofia e Capitalismo, Bompiani, Milano 2012). Da questo punto di vista le cose sono chiare.
Non è affatto chiaro, ma anzi è oscuro, il modo in cui questa giunta dittatoriale di economisti può “portare l’Italia fuori dalla crisi”. Essa è al servizio esclusivo di creditori internazionali, e il suo unico orizzonte è il debito. La logica del modello neoliberale è quella di delocalizzare la fabbricazione delle calze Omsa da Faenza in Serbia, in modo da poter pagare le operaie duecento euro.
In questa situazione, il mantenimento della dicotomia Destra/Sinistra non è più soltanto un errore teorico. E’ potenzialmente un crimine politico.
Ultimamente, sono rimasto imbambolato a leggere un volantino del gruppetto “Sinistra Critica”. Non capivo neppure io stesso perché. Poi improvvisamente mi è sembrato di capire. Il termine “sinistra critica” è una contraddizione in termini, perché il presupposto massimo ed essenzialissimo di ogni critica, senza il quale la stessa parola “critica” perde ogni significato, è proprio il superamento della dicotomia Destra/Sinistra. Non si può essere critici e contemporaneamente di sinistra (o di destra, non cambia nulla).
Ho prima accennato al libro di Diego Fusaro pubblicato da Bompiani. In questa storia filosofica del capitalismo, dalle sue origini seicentesche fino a oggi non ci sono mai, ma proprio mai, ma assolutamente mai, le parolette Destra e Sinistra, per il semplice e nudo fatto che la mondializzazione economica capitalistica e la dittatura degli economisti che ne è necessariamente la forma, ha svuotato del tutto queste categorie. Norberto Bobbio poteva ancora parlarne in assoluta buona fede, perché ai suoi tempi esisteva ancora la sovranità monetaria dello Stato nazionale, e partiti di “sinistra” potevano mettere in atto politiche economiche redistributrici in misura maggiore di partiti di “destra”. Ma oggi, con la globalizzazione neoliberale, il discorso di Bobbio non corrisponde più alla realtà storica.
Esiste ovviamente un problema, dal momento che la dittatura “neutrale” degli economisti ha pur sempre bisogno di essere costituzionalmente legittimata da elezioni, sia pure svuotate di ogni significato decisionale. A questo punto si mette in scena una commedia all’italiana: la “sinistra responsabile” (Bersani, D’Alema, Veltroni, tutto il comunismo togliattiano riciclato); il “buffone di copertura” Vendola di cui si sa a priori che i suoi voti andranno comunque al PD; i “testimoni” del buon tempo antico Diliberto e Ferrero i cui voti andranno comunque al PD con la scusa del pericolo fascista, razzista, populista, eccetera; i partitini da prefisso telefonico Turigliatto e Ferrando che seguono il principio olimpico per cui l’importante non è vincere, ma partecipare; infine, i Testimoni di Geova del comunismo (Lotta Comunista) in attesa che il salvifico gigante buono, la classe operaia e salariata mondiale, si svegli.
L’ideale sarebbe quello ipotizzato dal romanziere portoghese José Saramago, e cioè che nessuno andasse a votare, sottolineo nessuno. Se nessuno andasse a votare, cadrebbe la legittimazione formale della dittatura degli economisti. Certo, il capitalismo troverebbe modo egualmente di estrarre un nuovo coniglio dal cappello, ma intanto ci sarebbe da divertirsi. Purtroppo si tratta solo di un sogno irrealizzabile. La Macchina Acchiappa-Babbioni è troppo buona per lasciarla andare in disuso.
Eppure, la soluzione sarebbe a portata di mano: una nuova forza politica radicalmente critica del capitalismo liberista mondializzato, del tutto estranea alla dicotomia Destra/Sinistra. Una forza politica che lasci cadere tutti i progetti di “rifondazione del comunismo” (il pensiero di Marx è ancora vivo, ma il comunismo storico è finito), e che riprenda invece le ispirazioni solidaristiche e comunitarie.
In teoria, è l’uovo di Colombo. Ma appunto perché lo è, ci vorranno ancora decenni e decenni, salvo improbabili accelerazioni storiche impreviste, perché si capisca che la bussola è rotta, e sinistra e destra sono soltanto segnali stradali.
Ora darò l’occasione a tutte le vipere, i ragni e gli scorpioni di gridare al “Preve fascista”. Eppure, se si ha paura di rompere i tabù tanto vale leggere solo romanzi polizieschi. Ultimamente un caro amico francese mi ha spedito il libro di Marine Le Pen (cfr. Perché la Francia viva, in lingua francese, Grancher, Paris 2012). So già che si parlerà di astuta manovra di infiltrazione populista del fascismo eterno, ma provate a leggerlo. C’è da restare stupiti. Io non sono stupito, perché conosco la dialettica di Hegel, l’unità dei contrari, e la logica di sviluppo dell’ultimo ventennio sia della sinistra che della destra.
Ma veniamo ai fatti. A pagina 135 Marine Le Pen scrive, traduco letteralmente: “Non ho da parte mia nessun patema d’animo a dirlo: la dicotomia fra destra e sinistra non esiste più”. I principali riferimenti filosofici sono a due pensatori di “sinistra”, Bourdieu e Michéa (pagina 148). Il vecchio comunismo francese di Marchais è citato positivamente e quindi, niente Pétain e Vichy. Sarkozy è vituperato sia per la sua politica estera filo-USA che per quella interna, favorevole alle diseguaglianze sociali. Sul mercato il principale riferimento teorico è Polanyi (pagina 26). Si rivendica il no alla guerra dell’Iraq 2003 (pagina 37). Marx è citato (pagina 61), e si sostiene, citando ripetutamente l’economista Allais, l’incompatibilità di mercato e democrazia. Ma soprattutto ci ho ritrovato quello che mi seduceva nel comunismo degli anni Sessanta, il fatto che la chiacchiera polemica di piccolo cabotaggio è messa in fondo e non all’inizio, perché all’inizio vi è un lungo capitolo intitolato, alla francese, “Il Mondialismo non è un Umanesimo”. La globalizzazione è correttamente definita “un orizzonte di rinuncia”, e si riafferma che “l’impero del Bene è prima di tutto nelle nostre teste”, ed infatti è così.
E potrei continuare, ma so già che ho dato alle vipere e agli scorpioni l’occasione per insolentirmi, ciò che non mancherà certamente di avvenire. In realtà voglio soltanto far riflettere.
Per capire che cosa sono oggi Destra e Sinistra non bisogna rivolgersi ai difensori “idealtipici” della permanenza della dicotomia, nei termini valoriali delle categorie dello Spirito, alla Marco Revelli. Bisogna leggere i difensori del sistema come Antonio Polito (cfr. Corriere della Sera, 25 febbraio 2012). Polito dice apertamente che la competizione politica può oramai avvenire solo sul presupposto, dato per scontato, dei vincoli del modello neoliberale di economia globalizzata. Il resto è un agitarsi inconsistente, dal pagliaccio Vendola a Forza Nuova. Questo è il nostro destino.
Che cosa propongono i “sinistri” ancora in attività, da Andrea Catone a Giacché a Brancaccio? Un rilancio del keynesismo e della spesa pubblica in deficit dentro l’Unione Europea? Una ennesima messa in guardia contro i pericoli del razzismo, del leghismo, del populismo? Una globalizzazione alternativa dal volto umano? Ora che il Grande Puttaniere non occupa più il centro della scena con cosa si continuerà a babbionare il tifo sportivo identitario del popolo di sinistra?
Se si legge il documento “Cina 2030” della Banca Mondiale, recentemente presentato a Pechino, si vedrà che la dittatura degli economisti si estende al mondo intero. Le ricette sono le stesse. Ora, la rivoluzione non è matura, e non è certo all’ordine del giorno, sia nella variante stalinista (Rizzo) che in quella trotzkista (Ferrando). Ma neppure il riformismo è all’ordine del giorno, perché il riformismo implica sovranità dello Stato nazionale. E allora? C’è ancora chi si balocca con il comunismo contro il fascismo o con il fascismo contro il comunismo? Oggi il nemico è la dittatura degli economisti neoliberali. Con essa non si può fare nessun compromesso. Questo è il primo passo. I successivi, se si fa questo primo passo, potranno seguire.
Sulla votomania compulsiva
E’ probabile che l’americanizzazione integrale e radicale (altro che europeismo!) portata dal governo Monti e dalla sua dittatura di economisti porti a una diminuzione della partecipazione elettorale degli italiani, che dopo il 1945 ha sempre avuto livelli di delirio. Questa votomania compulsiva, evidente fra gli anziani, è legata alla contrapposizione DC-PCI, ed è rimasta come “lunga durata” anche nel periodo craxiano, prodiano e berlusconiano. Ma oggi che lo Stato non dà più niente e prende soltanto dovrebbe diminuire, ma purtroppo non abbastanza. C’è sempre spazio per i Casini, Veltroni, Vendola, eccetera.
A fianco della diminuzione probabile della votomania compulsiva, si nota un secondo aspetto della americanizzazione, il declino della politica estera come oggetto di dibattito. Negli USA è normale che la gente non sappia neppure dove sia l’Afghanistan, l’Iraq o la Siria, il cui bombardamento è delegato a esperti specializzati. I tempi in cui tutti erano informati della Corea e del Vietnam sonmo passati, per ora irreversibilmente. L’intera classe giornalistica, senza nessuna eccezione, è diventata una “gioiosa macchina da guerra” di menzogne integrali.
Al tempo della guerra del Golfo del 1991 c’era ancora discussione, poi non più. Ci fu quella che Carl Schmitt definì in latino reductio ad Hitlerum, cioè riconduzione al feroce dittatore di tutti i mali della società, unita con l’invenzione (questa invece di origine di “sinistra”) di tutto un popolo unito contro un dittatore. I popoli furono mediaticamente uniti contro sempre nuovi Hitler nemici dei diritti umani. Il gioco cominciò con Ceausescu, poi con Noriega, Saddam Hussein, Ahmadinejad, Milosevic, Gheddafi, adesso Assad. La storia fu abolita e al suo posto si insediò un canovaccio di commedia, sempre lo stesso: i Popoli uniti contro il Feroce Dittatore; il Silenzio Colpevole dell’Occidente; i Dissidenti “buoni” cui è riservato il diritto di parola. In un anno di televisione manipolata non ho mai sentito intervistare un solo sostenitore di Assad, eppure la Siria ne è piena.
Solo quando il gioco si fa duro, ha senso che i duri comincino a giocare. Fino a che regna la pagliaccesca simulazione italiana Destra/Sinistra le cose saranno sempre come quegli incontri americani di catch in cui è sempre e solo tutta scena per i babbioni spettatori.
Stato nazionale, sovranità nazionale, programma solidale e comunitario, no alla globalizzazione in tutte le sue forme e alla sua dittatura di economisti anglofoni!
di Costanzo Preve
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11 marzo 2012
Il TAV divora il futuro
Fiato corto e cuore che batte all'impazzata: non abbiamo le gambe abituate a falcare su e giù per i sentieri e i pendii di montagna. Superiamo un posto di blocco dei carabinieri: ci permettono di aggirare newjersey e reti metalliche e di inoltrarci nel bosco verso l'area del cantiere. Sul versante a sinistra, sulla linea ferroviaria che collega Italia e Francia passa un merci. Ma a sentire la tv, l'Italia non era isolata dalla Francia? Non ci ripetono continuamente che c'è bisogno di una ferrovia che colleghi i due paesi per il traffico di passeggeri e merci? E allora, cos'è quel serpente di vagoni che arriva da oltre confine?
Il rumore dei mezzi che vanno e vengono da oltralpe, intervallato da lunghi silenzi spazzati dal vento, comincia a sentirsi più vicino. Pochi passi e ci troviamo sopra l'autostrada. E giù, fra uno scavo e un furgone della Polizia, fra un mezzo della Guardia di Finanza e un bosco raso al suolo, c'è il cantiere. Un cantiere per un buco, geognostico. Devono capire le caratteristiche del terreno, devono allungare le braccia delle ruspe nel ventre delle montagne prima di scavare il tunnel. Eppure, c'è chi ben conosce nel dettaglio la composizione di quelle rocce; ci sono esperti, ma anche semplici cittadini che sanno che là dentro ci sono amianto e uranio. Proprio come la gente del Vajont sapeva che in lingua ladina quel nome significava "va giù" e che il nome Toc, quello del monte da cui si è staccata la frana che ha sepolto vive quasi duemila persone nel 1963, significa "pezzo", "marcio". Lo sapevano. Ma allora si disse che chi era contro la mega diga voluta dalla Sade-Enel era contro il progresso. L'Italia doveva essere all'avanguardia, aveva bisogno di grandi opere. E così fu. E in quasi duemila morirono.....
Oggi in Val di Susa c'è una popolazione che non vuole morire: ci sono imprenditori che hanno investito tutto nelle loro attività e nel futuro della valle, che rischia di essere spazzato via perchè - ci propagandano - non c'è collegamento fra Italia e Francia. E allora, il merci che ho visto io o il TGV che passa regolarmente, cosa sono? Illusioni ottiche? Miraggi?
Pensando alla morsa della crisi, ai lavoratori licenziati, ai pensionati affamati, agli imprenditori che si suicidano, l'unico miraggio di cui si può parlare è quello di un governo che finalmente decida nell'interesse della gente, anziché in quello delle banche (che di certo sono ben felici del progetto TAV, visto che i finanziamenti e i relativi interessi transitano obbligatoriamente per gli istituti di credito). L'ammodernamento della linea ferroviaria esistente è stato terminato nel 2008-2009: ora circolano sia merci che passeggeri. E allora? Perchè questa assoluta necessità di costruire un nuovo tunnel? Perchè la necessità di occupare un intero territorio, con forze dell'ordine (che magari potrebbero invece essere impiegate nella lotta alle infiltrazioni mafiose e della 'ndrangheta negli stessi cantieri come denunciato da Imposimato), con mezzi e uomini della Guardia di Finanza (non avevano la priorità della lotta all'evasione?), con reparti armati dell'esercito (quelli che hanno richiesto denaro sonante per andare a liberare i centri abitati sepolti dalla neve)? Ma quanto diavolo costano (in termini puramente economici, ma anche rispetto ai mancati diversi utilizzi) quei mezzi, quegli uomini, quei soldati a noi italiani?
Ma soprattutto, quanto dovrebbe venirci a costare il TAV? Quand'è che avremo finalmente una seria e dettagliata analisi costi-benefici dell'opera? Quante persone e mezzi dovrebbero circolare in quel lungo buco che dovrebbe sventrare la montagna? Perchè la Francia ha ripensato alla priorità della Torino-Lione e perchè L'Agenzia Nazionale per l'Ambiente Francese chiede maggiori risposte, maggiori garanzie, nuovi studi? Perchè invece in Italia la banda mista degli amichetti del banchierino (in senso generale, ovviamente, da destra a sinistra, politici e tecnici nella stessa misura) spingono l'acceleratore perchè l'opera è irrinunciabile? E soprattutto perchè se io, che peraltro non vivo in Val di Susa (pur comprendendo e condividendo le ragioni dei Valsusini), dimostro che l'opera è costosissima, dannosa e non utile sono subito accusata di essere contro il progresso, di volere isolare l'Italia, di volerla tagliata fuori dall'Europa? Magari potessi sottrarla alla dittatura finanziaria europea e dell'euro! Ma ovviamente non è su questo terreno che i tifosi del TAV mi contestano. Mi contestano perchè sognano la grandeur italiana e io invece - a loro dire - sarei contro il futuro del mio paese.
Mi spieghino dunque perchè mai noi tutti, che già dobbiamo fare i conti con un debito e con una crisi che toglie il fiato, dobbiamo cacciare altri quattrini di tasca nostra per finanziare un'opera che non serve (c'è già!) e che non ci è imposta dall'Europa. Questa scusa è il solito ritornello che utilizzano quando ci vogliono far prendere una medicina amara, mentre ci nascondono che l'Europa chiede che le opere siano fatte con il consenso delle popolazioni. Perchè dovremmo pagare per una grande opera tanto gradita alle banche? Chissà mai a chi gioverà una tale voragine! No, non quella nella montagna, ma quella dei miliardi di euro che costerà il tunnel.
Nei media, ma anche in rete, chi si oppone a questo progetto Tav è deriso, insultato, criminalizzato: è un arretrato, un idiota, quando non un pericoloso violento. Ma chi è che è entrato in un bar frantumando le vetrine e compiendo una scorribanda degna del peggior rastrellamento? Chi ha impartito l'ordine a quegli uomini? Chi è che adotta la violenza per militarizzare una valle? Poi, non mi si venga a dire che è colpa dei NO Tav se in Valle il turismo è in ginocchio: voi ci andreste a fare le vacanze in una caserma militare?
Forse Napolitano dovrebbe cominciare a chiedere in primis alle truppe schierate e delle quali lo Stato sta abusando (indirizzandole contro altri cittadini che difendono il loro territorio e le nostre tasche) di "escludere il ricorso a violazioni di legge, violenze, intolleranze e intimidazioni". Ma invece queste parole le ha scagliate a Torino contro quella gente che sta cercando di far soppravvivere la Valle, proteggendoci da un ulteriore indebitamento. Le ha pronunciate proprio mentre rifiutava di incontrare i Sindaci che si oppongono alla nuova linea ferroviaria, perchè il Presidente non entra "nel merito dei contrasti politici". Eh già. Si limita a chiedere più sacrifici, a tutti. Lui, la massima carica garante del rispetto della carta costituzionale. Di quella carta costituzionale che dichiara nel primo articolo che la sovranità appartiene al popolo. Ma visto come l'Italia è stata svenduta alla BCE e alla grande finanza internazionale, viene da chiedersi se abbia ancora un senso parlare di Repubblica, di sovranità (Monti ha già apertamente dichiarato che è necessario cederne all'Europa ed ha agito, indisturbato, di conseguenza), se ha senso parlare di Stato.
Quale Stato? Governato da chi? Per conto di chi? Per interesse di chi? Mi lascio trascinare dall'emotività e mi dico che tutto non ha senso e che questo sistema è una macchina impazzita lanciata a folle velocità contro un muro. Ma poi freno. E rivedo le immagini dei camionisti, bloccati in autostrada a Chianocco dai No Tav che, una volta liberata la sede stradale, ripartono suonando il clacson, salutando e condividendo, dai finestrini aperti delle loro cabine (nonostante il freddo gelido), la protesta degli abitanti della Val di Susa. Una protesta che è anche la loro. La nostra. Ed ecco che mi sento valsusina anche io e torno orgogliosa di essere Italiana.
di Monia Benini
Il rumore dei mezzi che vanno e vengono da oltralpe, intervallato da lunghi silenzi spazzati dal vento, comincia a sentirsi più vicino. Pochi passi e ci troviamo sopra l'autostrada. E giù, fra uno scavo e un furgone della Polizia, fra un mezzo della Guardia di Finanza e un bosco raso al suolo, c'è il cantiere. Un cantiere per un buco, geognostico. Devono capire le caratteristiche del terreno, devono allungare le braccia delle ruspe nel ventre delle montagne prima di scavare il tunnel. Eppure, c'è chi ben conosce nel dettaglio la composizione di quelle rocce; ci sono esperti, ma anche semplici cittadini che sanno che là dentro ci sono amianto e uranio. Proprio come la gente del Vajont sapeva che in lingua ladina quel nome significava "va giù" e che il nome Toc, quello del monte da cui si è staccata la frana che ha sepolto vive quasi duemila persone nel 1963, significa "pezzo", "marcio". Lo sapevano. Ma allora si disse che chi era contro la mega diga voluta dalla Sade-Enel era contro il progresso. L'Italia doveva essere all'avanguardia, aveva bisogno di grandi opere. E così fu. E in quasi duemila morirono.....
Oggi in Val di Susa c'è una popolazione che non vuole morire: ci sono imprenditori che hanno investito tutto nelle loro attività e nel futuro della valle, che rischia di essere spazzato via perchè - ci propagandano - non c'è collegamento fra Italia e Francia. E allora, il merci che ho visto io o il TGV che passa regolarmente, cosa sono? Illusioni ottiche? Miraggi?
Pensando alla morsa della crisi, ai lavoratori licenziati, ai pensionati affamati, agli imprenditori che si suicidano, l'unico miraggio di cui si può parlare è quello di un governo che finalmente decida nell'interesse della gente, anziché in quello delle banche (che di certo sono ben felici del progetto TAV, visto che i finanziamenti e i relativi interessi transitano obbligatoriamente per gli istituti di credito). L'ammodernamento della linea ferroviaria esistente è stato terminato nel 2008-2009: ora circolano sia merci che passeggeri. E allora? Perchè questa assoluta necessità di costruire un nuovo tunnel? Perchè la necessità di occupare un intero territorio, con forze dell'ordine (che magari potrebbero invece essere impiegate nella lotta alle infiltrazioni mafiose e della 'ndrangheta negli stessi cantieri come denunciato da Imposimato), con mezzi e uomini della Guardia di Finanza (non avevano la priorità della lotta all'evasione?), con reparti armati dell'esercito (quelli che hanno richiesto denaro sonante per andare a liberare i centri abitati sepolti dalla neve)? Ma quanto diavolo costano (in termini puramente economici, ma anche rispetto ai mancati diversi utilizzi) quei mezzi, quegli uomini, quei soldati a noi italiani?
Ma soprattutto, quanto dovrebbe venirci a costare il TAV? Quand'è che avremo finalmente una seria e dettagliata analisi costi-benefici dell'opera? Quante persone e mezzi dovrebbero circolare in quel lungo buco che dovrebbe sventrare la montagna? Perchè la Francia ha ripensato alla priorità della Torino-Lione e perchè L'Agenzia Nazionale per l'Ambiente Francese chiede maggiori risposte, maggiori garanzie, nuovi studi? Perchè invece in Italia la banda mista degli amichetti del banchierino (in senso generale, ovviamente, da destra a sinistra, politici e tecnici nella stessa misura) spingono l'acceleratore perchè l'opera è irrinunciabile? E soprattutto perchè se io, che peraltro non vivo in Val di Susa (pur comprendendo e condividendo le ragioni dei Valsusini), dimostro che l'opera è costosissima, dannosa e non utile sono subito accusata di essere contro il progresso, di volere isolare l'Italia, di volerla tagliata fuori dall'Europa? Magari potessi sottrarla alla dittatura finanziaria europea e dell'euro! Ma ovviamente non è su questo terreno che i tifosi del TAV mi contestano. Mi contestano perchè sognano la grandeur italiana e io invece - a loro dire - sarei contro il futuro del mio paese.
Mi spieghino dunque perchè mai noi tutti, che già dobbiamo fare i conti con un debito e con una crisi che toglie il fiato, dobbiamo cacciare altri quattrini di tasca nostra per finanziare un'opera che non serve (c'è già!) e che non ci è imposta dall'Europa. Questa scusa è il solito ritornello che utilizzano quando ci vogliono far prendere una medicina amara, mentre ci nascondono che l'Europa chiede che le opere siano fatte con il consenso delle popolazioni. Perchè dovremmo pagare per una grande opera tanto gradita alle banche? Chissà mai a chi gioverà una tale voragine! No, non quella nella montagna, ma quella dei miliardi di euro che costerà il tunnel.
Nei media, ma anche in rete, chi si oppone a questo progetto Tav è deriso, insultato, criminalizzato: è un arretrato, un idiota, quando non un pericoloso violento. Ma chi è che è entrato in un bar frantumando le vetrine e compiendo una scorribanda degna del peggior rastrellamento? Chi ha impartito l'ordine a quegli uomini? Chi è che adotta la violenza per militarizzare una valle? Poi, non mi si venga a dire che è colpa dei NO Tav se in Valle il turismo è in ginocchio: voi ci andreste a fare le vacanze in una caserma militare?
Forse Napolitano dovrebbe cominciare a chiedere in primis alle truppe schierate e delle quali lo Stato sta abusando (indirizzandole contro altri cittadini che difendono il loro territorio e le nostre tasche) di "escludere il ricorso a violazioni di legge, violenze, intolleranze e intimidazioni". Ma invece queste parole le ha scagliate a Torino contro quella gente che sta cercando di far soppravvivere la Valle, proteggendoci da un ulteriore indebitamento. Le ha pronunciate proprio mentre rifiutava di incontrare i Sindaci che si oppongono alla nuova linea ferroviaria, perchè il Presidente non entra "nel merito dei contrasti politici". Eh già. Si limita a chiedere più sacrifici, a tutti. Lui, la massima carica garante del rispetto della carta costituzionale. Di quella carta costituzionale che dichiara nel primo articolo che la sovranità appartiene al popolo. Ma visto come l'Italia è stata svenduta alla BCE e alla grande finanza internazionale, viene da chiedersi se abbia ancora un senso parlare di Repubblica, di sovranità (Monti ha già apertamente dichiarato che è necessario cederne all'Europa ed ha agito, indisturbato, di conseguenza), se ha senso parlare di Stato.
Quale Stato? Governato da chi? Per conto di chi? Per interesse di chi? Mi lascio trascinare dall'emotività e mi dico che tutto non ha senso e che questo sistema è una macchina impazzita lanciata a folle velocità contro un muro. Ma poi freno. E rivedo le immagini dei camionisti, bloccati in autostrada a Chianocco dai No Tav che, una volta liberata la sede stradale, ripartono suonando il clacson, salutando e condividendo, dai finestrini aperti delle loro cabine (nonostante il freddo gelido), la protesta degli abitanti della Val di Susa. Una protesta che è anche la loro. La nostra. Ed ecco che mi sento valsusina anche io e torno orgogliosa di essere Italiana.
di Monia Benini
10 marzo 2012
Scende lo Spread, salgono i prezzi…
(Miro Renzaglia) Esultate, fratelli d’Italia. Il governo Monti – ci assicurano notizie di agenzia battute oggi – ha compiuto il miracolo: il differenziale tra titoli di stato italiani e tedeschi, il famosissimo e temutissimo spread, che solo pochi mesi fa sfiorava i 700 punti, è sceso a 293 punti. Un miracolo, un vero e proprio miracolo. Se ancora non siamo salvi dal rischio default simil greco, poco ci manca.
Sull’onda dell’entusiasmo per il prodigioso risultato, la borsa di Milano è segnalata in forte ripresa: le azione del comparto industriale e del comparto bancario volano di segno percentuale positivo in segno percentuale più che positivo. Persino le famigerate agenzie di rating, che da quasi un anno non facevano che declassarci nelle loro temutissime pagelline, ci segnalano avviati ad un rinnovato circolo virtuoso.
Ora, non è per fare il guastafeste, ma a questi straordinari successi ottenuti dal governo tecnico nell’eliosfera dell’altra finanza, non fanno esattamente riscontro i dati dell’economia reale italiana. Secondo l’Istat, infatti, a febbraio il costo della vita è salito al 3,3%, con i prezzi di beni di prima necessità, da pasta e verdura alla benzina, segnalano un rincaro del 4,5%. Rincaro che in moneta reale significano, secondo le stime della Codacons, che una famiglia di 3 persone, nel 2012, dovrà spendere 608 euro in più e una di 4 persone 657 euro in più su base annua, rispetto al 2011.
Se a questo salasso già di per sé gravoso, sommiamo la reintroduzione della tassa sulla prima casa (Umi), previsto entro giugno, e il rischio o la minaccia che le aliquote Iva aumentino di un punto, le mani in tasca delle famiglie italianiepescheranno fra i 1200 e 1300 euro, sempre nel solo 2012.
C’è poi, come se il quadro non fosse già abbastanza allarmato, il dato, sempre secondo l’Istat, dell’aumento della disoccupazione che, a gennaio 2012, ha registrato un + 9,2%, indice più alto dal 2004. Con un significativo +0,2% dal dicembre 2011 al gennaio 2012.
Sono gli effetti della crisi, è ovvio. E bisogna pagare. Peccato, però, che a pagare siano sempre gli stessi. Secondo la rivista americana Forbes, specializzata nella classifiche redditometriche, nell’ultimo anno il numero di miliardari nel mondo è aumentato dell’1% e il loro patrimonio, addirittura del 2%.
Eh! Che volete farci? Sono le gioie del capitalismo. E della crisi…
di Miro Renzaglia
Sull’onda dell’entusiasmo per il prodigioso risultato, la borsa di Milano è segnalata in forte ripresa: le azione del comparto industriale e del comparto bancario volano di segno percentuale positivo in segno percentuale più che positivo. Persino le famigerate agenzie di rating, che da quasi un anno non facevano che declassarci nelle loro temutissime pagelline, ci segnalano avviati ad un rinnovato circolo virtuoso.
Ora, non è per fare il guastafeste, ma a questi straordinari successi ottenuti dal governo tecnico nell’eliosfera dell’altra finanza, non fanno esattamente riscontro i dati dell’economia reale italiana. Secondo l’Istat, infatti, a febbraio il costo della vita è salito al 3,3%, con i prezzi di beni di prima necessità, da pasta e verdura alla benzina, segnalano un rincaro del 4,5%. Rincaro che in moneta reale significano, secondo le stime della Codacons, che una famiglia di 3 persone, nel 2012, dovrà spendere 608 euro in più e una di 4 persone 657 euro in più su base annua, rispetto al 2011.
Se a questo salasso già di per sé gravoso, sommiamo la reintroduzione della tassa sulla prima casa (Umi), previsto entro giugno, e il rischio o la minaccia che le aliquote Iva aumentino di un punto, le mani in tasca delle famiglie italianiepescheranno fra i 1200 e 1300 euro, sempre nel solo 2012.
C’è poi, come se il quadro non fosse già abbastanza allarmato, il dato, sempre secondo l’Istat, dell’aumento della disoccupazione che, a gennaio 2012, ha registrato un + 9,2%, indice più alto dal 2004. Con un significativo +0,2% dal dicembre 2011 al gennaio 2012.
Sono gli effetti della crisi, è ovvio. E bisogna pagare. Peccato, però, che a pagare siano sempre gli stessi. Secondo la rivista americana Forbes, specializzata nella classifiche redditometriche, nell’ultimo anno il numero di miliardari nel mondo è aumentato dell’1% e il loro patrimonio, addirittura del 2%.
Eh! Che volete farci? Sono le gioie del capitalismo. E della crisi…
di Miro Renzaglia
09 marzo 2012
La bussola si è rotta: andare oltre la destra e la sinistra
Non si può decentemente chiedere al marinaio di scendere in mare senza bussola, in particolare quando il cielo è coperto e non ci si può orientare con le stelle. Ma cosa capita quando si pensa che la bussola funzioni, mentre invece è magnetizzata e falsificata da un pezzo invisibile di calamita che gli sta al di sotto? Ecco, questa è una metafora abbastanza precisa della nostra situazione di oggi.
Con il governo Monti le cose si sono fatte a un tempo più chiare e più oscure. Si sono fatte più chiare (almeno per quel due per cento di bipedi umani che intendono fare uso del proprio libero intelletto, e non intendo prendere in considerazione il restante novantotto per cento), in quanto è evidente che la decisione politica democratica - tutta la decisione politica democratica, di sinistra, centro e destra - è stata svuotata, e siamo di fronte a una situazione del tutto imprevista nei manuali di storia delle dottrine politiche.
In breve, siamo di fronte a una dittatura di economisti a indiretta e formale legittimazione elettorale referendaria. E’ chiaro che questa dittatura di economisti avviene per conto di qualcuno, ma sarebbe sbagliato “antropomorfizzare” troppo questo qualcuno: i ricchi, i capitalisti, i banchieri, gli americani, eccetera. Questa dittatura di economisti è al servizio di una entità impersonale (Marx l’avrebbe definita “sensibilmente soprasensibile”) che è la riproduzione in forma “speculativa” della forma storica attuale del modo di produzione capitalistico (cfr. D. Fusaro, Minima Mercatalia. Filosofia e Capitalismo, Bompiani, Milano 2012). Da questo punto di vista le cose sono chiare.
Non è affatto chiaro, ma anzi è oscuro, il modo in cui questa giunta dittatoriale di economisti può “portare l’Italia fuori dalla crisi”. Essa è al servizio esclusivo di creditori internazionali, e il suo unico orizzonte è il debito. La logica del modello neoliberale è quella di delocalizzare la fabbricazione delle calze Omsa da Faenza in Serbia, in modo da poter pagare le operaie duecento euro.
In questa situazione, il mantenimento della dicotomia Destra/Sinistra non è più soltanto un errore teorico. E’ potenzialmente un crimine politico.
Ultimamente, sono rimasto imbambolato a leggere un volantino del gruppetto “Sinistra Critica”. Non capivo neppure io stesso perché. Poi improvvisamente mi è sembrato di capire. Il termine “sinistra critica” è una contraddizione in termini, perché il presupposto massimo ed essenzialissimo di ogni critica, senza il quale la stessa parola “critica” perde ogni significato, è proprio il superamento della dicotomia Destra/Sinistra. Non si può essere critici e contemporaneamente di sinistra (o di destra, non cambia nulla).
Ho prima accennato al libro di Diego Fusaro pubblicato da Bompiani. In questa storia filosofica del capitalismo, dalle sue origini seicentesche fino a oggi non ci sono mai, ma proprio mai, ma assolutamente mai, le parolette Destra e Sinistra, per il semplice e nudo fatto che la mondializzazione economica capitalistica e la dittatura degli economisti che ne è necessariamente la forma, ha svuotato del tutto queste categorie. Norberto Bobbio poteva ancora parlarne in assoluta buona fede, perché ai suoi tempi esisteva ancora la sovranità monetaria dello Stato nazionale, e partiti di “sinistra” potevano mettere in atto politiche economiche redistributrici in misura maggiore di partiti di “destra”. Ma oggi, con la globalizzazione neoliberale, il discorso di Bobbio non corrisponde più alla realtà storica.
Esiste ovviamente un problema, dal momento che la dittatura “neutrale” degli economisti ha pur sempre bisogno di essere costituzionalmente legittimata da elezioni, sia pure svuotate di ogni significato decisionale. A questo punto si mette in scena una commedia all’italiana: la “sinistra responsabile” (Bersani, D’Alema, Veltroni, tutto il comunismo togliattiano riciclato); il “buffone di copertura” Vendola di cui si sa a priori che i suoi voti andranno comunque al PD; i “testimoni” del buon tempo antico Diliberto e Ferrero i cui voti andranno comunque al PD con la scusa del pericolo fascista, razzista, populista, eccetera; i partitini da prefisso telefonico Turigliatto e Ferrando che seguono il principio olimpico per cui l’importante non è vincere, ma partecipare; infine, i Testimoni di Geova del comunismo (Lotta Comunista) in attesa che il salvifico gigante buono, la classe operaia e salariata mondiale, si svegli.
L’ideale sarebbe quello ipotizzato dal romanziere portoghese José Saramago, e cioè che nessuno andasse a votare, sottolineo nessuno. Se nessuno andasse a votare, cadrebbe la legittimazione formale della dittatura degli economisti. Certo, il capitalismo troverebbe modo egualmente di estrarre un nuovo coniglio dal cappello, ma intanto ci sarebbe da divertirsi. Purtroppo si tratta solo di un sogno irrealizzabile. La Macchina Acchiappa-Babbioni è troppo buona per lasciarla andare in disuso.
Eppure, la soluzione sarebbe a portata di mano: una nuova forza politica radicalmente critica del capitalismo liberista mondializzato, del tutto estranea alla dicotomia Destra/Sinistra. Una forza politica che lasci cadere tutti i progetti di “rifondazione del comunismo” (il pensiero di Marx è ancora vivo, ma il comunismo storico è finito), e che riprenda invece le ispirazioni solidaristiche e comunitarie.
In teoria, è l’uovo di Colombo. Ma appunto perché lo è, ci vorranno ancora decenni e decenni, salvo improbabili accelerazioni storiche impreviste, perché si capisca che la bussola è rotta, e sinistra e destra sono soltanto segnali stradali.
Ora darò l’occasione a tutte le vipere, i ragni e gli scorpioni di gridare al “Preve fascista”. Eppure, se si ha paura di rompere i tabù tanto vale leggere solo romanzi polizieschi. Ultimamente un caro amico francese mi ha spedito il libro di Marine Le Pen (cfr. Perché la Francia viva, in lingua francese, Grancher, Paris 2012). So già che si parlerà di astuta manovra di infiltrazione populista del fascismo eterno, ma provate a leggerlo. C’è da restare stupiti. Io non sono stupito, perché conosco la dialettica di Hegel, l’unità dei contrari, e la logica di sviluppo dell’ultimo ventennio sia della sinistra che della destra.
Ma veniamo ai fatti. A pagina 135 Marine Le Pen scrive, traduco letteralmente: “Non ho da parte mia nessun patema d’animo a dirlo: la dicotomia fra destra e sinistra non esiste più”. I principali riferimenti filosofici sono a due pensatori di “sinistra”, Bourdieu e Michéa (pagina 148). Il vecchio comunismo francese di Marchais è citato positivamente e quindi, niente Pétain e Vichy. Sarkozy è vituperato sia per la sua politica estera filo-USA che per quella interna, favorevole alle diseguaglianze sociali. Sul mercato il principale riferimento teorico è Polanyi (pagina 26). Si rivendica il no alla guerra dell’Iraq 2003 (pagina 37). Marx è citato (pagina 61), e si sostiene, citando ripetutamente l’economista Allais, l’incompatibilità di mercato e democrazia. Ma soprattutto ci ho ritrovato quello che mi seduceva nel comunismo degli anni Sessanta, il fatto che la chiacchiera polemica di piccolo cabotaggio è messa in fondo e non all’inizio, perché all’inizio vi è un lungo capitolo intitolato, alla francese, “Il Mondialismo non è un Umanesimo”. La globalizzazione è correttamente definita “un orizzonte di rinuncia”, e si riafferma che “l’impero del Bene è prima di tutto nelle nostre teste”, ed infatti è così.
E potrei continuare, ma so già che ho dato alle vipere e agli scorpioni l’occasione per insolentirmi, ciò che non mancherà certamente di avvenire. In realtà voglio soltanto far riflettere.
Per capire che cosa sono oggi Destra e Sinistra non bisogna rivolgersi ai difensori “idealtipici” della permanenza della dicotomia, nei termini valoriali delle categorie dello Spirito, alla Marco Revelli. Bisogna leggere i difensori del sistema come Antonio Polito (cfr. Corriere della Sera, 25 febbraio 2012). Polito dice apertamente che la competizione politica può oramai avvenire solo sul presupposto, dato per scontato, dei vincoli del modello neoliberale di economia globalizzata. Il resto è un agitarsi inconsistente, dal pagliaccio Vendola a Forza Nuova. Questo è il nostro destino.
Che cosa propongono i “sinistri” ancora in attività, da Andrea Catone a Giacché a Brancaccio? Un rilancio del keynesismo e della spesa pubblica in deficit dentro l’Unione Europea? Una ennesima messa in guardia contro i pericoli del razzismo, del leghismo, del populismo? Una globalizzazione alternativa dal volto umano? Ora che il Grande Puttaniere non occupa più il centro della scena con cosa si continuerà a babbionare il tifo sportivo identitario del popolo di sinistra?
Se si legge il documento “Cina 2030” della Banca Mondiale, recentemente presentato a Pechino, si vedrà che la dittatura degli economisti si estende al mondo intero. Le ricette sono le stesse. Ora, la rivoluzione non è matura, e non è certo all’ordine del giorno, sia nella variante stalinista (Rizzo) che in quella trotzkista (Ferrando). Ma neppure il riformismo è all’ordine del giorno, perché il riformismo implica sovranità dello Stato nazionale. E allora? C’è ancora chi si balocca con il comunismo contro il fascismo o con il fascismo contro il comunismo? Oggi il nemico è la dittatura degli economisti neoliberali. Con essa non si può fare nessun compromesso. Questo è il primo passo. I successivi, se si fa questo primo passo, potranno seguire.
Sulla votomania compulsiva
E’ probabile che l’americanizzazione integrale e radicale (altro che europeismo!) portata dal governo Monti e dalla sua dittatura di economisti porti a una diminuzione della partecipazione elettorale degli italiani, che dopo il 1945 ha sempre avuto livelli di delirio. Questa votomania compulsiva, evidente fra gli anziani, è legata alla contrapposizione DC-PCI, ed è rimasta come “lunga durata” anche nel periodo craxiano, prodiano e berlusconiano. Ma oggi che lo Stato non dà più niente e prende soltanto dovrebbe diminuire, ma purtroppo non abbastanza. C’è sempre spazio per i Casini, Veltroni, Vendola, eccetera.
A fianco della diminuzione probabile della votomania compulsiva, si nota un secondo aspetto della americanizzazione, il declino della politica estera come oggetto di dibattito. Negli USA è normale che la gente non sappia neppure dove sia l’Afghanistan, l’Iraq o la Siria, il cui bombardamento è delegato a esperti specializzati. I tempi in cui tutti erano informati della Corea e del Vietnam sonmo passati, per ora irreversibilmente. L’intera classe giornalistica, senza nessuna eccezione, è diventata una “gioiosa macchina da guerra” di menzogne integrali.
Al tempo della guerra del Golfo del 1991 c’era ancora discussione, poi non più. Ci fu quella che Carl Schmitt definì in latino reductio ad Hitlerum, cioè riconduzione al feroce dittatore di tutti i mali della società, unita con l’invenzione (questa invece di origine di “sinistra”) di tutto un popolo unito contro un dittatore. I popoli furono mediaticamente uniti contro sempre nuovi Hitler nemici dei diritti umani. Il gioco cominciò con Ceausescu, poi con Noriega, Saddam Hussein, Ahmadinejad, Milosevic, Gheddafi, adesso Assad. La storia fu abolita e al suo posto si insediò un canovaccio di commedia, sempre lo stesso: i Popoli uniti contro il Feroce Dittatore; il Silenzio Colpevole dell’Occidente; i Dissidenti “buoni” cui è riservato il diritto di parola. In un anno di televisione manipolata non ho mai sentito intervistare un solo sostenitore di Assad, eppure la Siria ne è piena.
Solo quando il gioco si fa duro, ha senso che i duri comincino a giocare. Fino a che regna la pagliaccesca simulazione italiana Destra/Sinistra le cose saranno sempre come quegli incontri americani di catch in cui è sempre e solo tutta scena per i babbioni spettatori.
Stato nazionale, sovranità nazionale, programma solidale e comunitario, no alla globalizzazione in tutte le sue forme e alla sua dittatura di economisti anglofoni!
di Costanzo Preve
Con il governo Monti le cose si sono fatte a un tempo più chiare e più oscure. Si sono fatte più chiare (almeno per quel due per cento di bipedi umani che intendono fare uso del proprio libero intelletto, e non intendo prendere in considerazione il restante novantotto per cento), in quanto è evidente che la decisione politica democratica - tutta la decisione politica democratica, di sinistra, centro e destra - è stata svuotata, e siamo di fronte a una situazione del tutto imprevista nei manuali di storia delle dottrine politiche.
In breve, siamo di fronte a una dittatura di economisti a indiretta e formale legittimazione elettorale referendaria. E’ chiaro che questa dittatura di economisti avviene per conto di qualcuno, ma sarebbe sbagliato “antropomorfizzare” troppo questo qualcuno: i ricchi, i capitalisti, i banchieri, gli americani, eccetera. Questa dittatura di economisti è al servizio di una entità impersonale (Marx l’avrebbe definita “sensibilmente soprasensibile”) che è la riproduzione in forma “speculativa” della forma storica attuale del modo di produzione capitalistico (cfr. D. Fusaro, Minima Mercatalia. Filosofia e Capitalismo, Bompiani, Milano 2012). Da questo punto di vista le cose sono chiare.
Non è affatto chiaro, ma anzi è oscuro, il modo in cui questa giunta dittatoriale di economisti può “portare l’Italia fuori dalla crisi”. Essa è al servizio esclusivo di creditori internazionali, e il suo unico orizzonte è il debito. La logica del modello neoliberale è quella di delocalizzare la fabbricazione delle calze Omsa da Faenza in Serbia, in modo da poter pagare le operaie duecento euro.
In questa situazione, il mantenimento della dicotomia Destra/Sinistra non è più soltanto un errore teorico. E’ potenzialmente un crimine politico.
Ultimamente, sono rimasto imbambolato a leggere un volantino del gruppetto “Sinistra Critica”. Non capivo neppure io stesso perché. Poi improvvisamente mi è sembrato di capire. Il termine “sinistra critica” è una contraddizione in termini, perché il presupposto massimo ed essenzialissimo di ogni critica, senza il quale la stessa parola “critica” perde ogni significato, è proprio il superamento della dicotomia Destra/Sinistra. Non si può essere critici e contemporaneamente di sinistra (o di destra, non cambia nulla).
Ho prima accennato al libro di Diego Fusaro pubblicato da Bompiani. In questa storia filosofica del capitalismo, dalle sue origini seicentesche fino a oggi non ci sono mai, ma proprio mai, ma assolutamente mai, le parolette Destra e Sinistra, per il semplice e nudo fatto che la mondializzazione economica capitalistica e la dittatura degli economisti che ne è necessariamente la forma, ha svuotato del tutto queste categorie. Norberto Bobbio poteva ancora parlarne in assoluta buona fede, perché ai suoi tempi esisteva ancora la sovranità monetaria dello Stato nazionale, e partiti di “sinistra” potevano mettere in atto politiche economiche redistributrici in misura maggiore di partiti di “destra”. Ma oggi, con la globalizzazione neoliberale, il discorso di Bobbio non corrisponde più alla realtà storica.
Esiste ovviamente un problema, dal momento che la dittatura “neutrale” degli economisti ha pur sempre bisogno di essere costituzionalmente legittimata da elezioni, sia pure svuotate di ogni significato decisionale. A questo punto si mette in scena una commedia all’italiana: la “sinistra responsabile” (Bersani, D’Alema, Veltroni, tutto il comunismo togliattiano riciclato); il “buffone di copertura” Vendola di cui si sa a priori che i suoi voti andranno comunque al PD; i “testimoni” del buon tempo antico Diliberto e Ferrero i cui voti andranno comunque al PD con la scusa del pericolo fascista, razzista, populista, eccetera; i partitini da prefisso telefonico Turigliatto e Ferrando che seguono il principio olimpico per cui l’importante non è vincere, ma partecipare; infine, i Testimoni di Geova del comunismo (Lotta Comunista) in attesa che il salvifico gigante buono, la classe operaia e salariata mondiale, si svegli.
L’ideale sarebbe quello ipotizzato dal romanziere portoghese José Saramago, e cioè che nessuno andasse a votare, sottolineo nessuno. Se nessuno andasse a votare, cadrebbe la legittimazione formale della dittatura degli economisti. Certo, il capitalismo troverebbe modo egualmente di estrarre un nuovo coniglio dal cappello, ma intanto ci sarebbe da divertirsi. Purtroppo si tratta solo di un sogno irrealizzabile. La Macchina Acchiappa-Babbioni è troppo buona per lasciarla andare in disuso.
Eppure, la soluzione sarebbe a portata di mano: una nuova forza politica radicalmente critica del capitalismo liberista mondializzato, del tutto estranea alla dicotomia Destra/Sinistra. Una forza politica che lasci cadere tutti i progetti di “rifondazione del comunismo” (il pensiero di Marx è ancora vivo, ma il comunismo storico è finito), e che riprenda invece le ispirazioni solidaristiche e comunitarie.
In teoria, è l’uovo di Colombo. Ma appunto perché lo è, ci vorranno ancora decenni e decenni, salvo improbabili accelerazioni storiche impreviste, perché si capisca che la bussola è rotta, e sinistra e destra sono soltanto segnali stradali.
Ora darò l’occasione a tutte le vipere, i ragni e gli scorpioni di gridare al “Preve fascista”. Eppure, se si ha paura di rompere i tabù tanto vale leggere solo romanzi polizieschi. Ultimamente un caro amico francese mi ha spedito il libro di Marine Le Pen (cfr. Perché la Francia viva, in lingua francese, Grancher, Paris 2012). So già che si parlerà di astuta manovra di infiltrazione populista del fascismo eterno, ma provate a leggerlo. C’è da restare stupiti. Io non sono stupito, perché conosco la dialettica di Hegel, l’unità dei contrari, e la logica di sviluppo dell’ultimo ventennio sia della sinistra che della destra.
Ma veniamo ai fatti. A pagina 135 Marine Le Pen scrive, traduco letteralmente: “Non ho da parte mia nessun patema d’animo a dirlo: la dicotomia fra destra e sinistra non esiste più”. I principali riferimenti filosofici sono a due pensatori di “sinistra”, Bourdieu e Michéa (pagina 148). Il vecchio comunismo francese di Marchais è citato positivamente e quindi, niente Pétain e Vichy. Sarkozy è vituperato sia per la sua politica estera filo-USA che per quella interna, favorevole alle diseguaglianze sociali. Sul mercato il principale riferimento teorico è Polanyi (pagina 26). Si rivendica il no alla guerra dell’Iraq 2003 (pagina 37). Marx è citato (pagina 61), e si sostiene, citando ripetutamente l’economista Allais, l’incompatibilità di mercato e democrazia. Ma soprattutto ci ho ritrovato quello che mi seduceva nel comunismo degli anni Sessanta, il fatto che la chiacchiera polemica di piccolo cabotaggio è messa in fondo e non all’inizio, perché all’inizio vi è un lungo capitolo intitolato, alla francese, “Il Mondialismo non è un Umanesimo”. La globalizzazione è correttamente definita “un orizzonte di rinuncia”, e si riafferma che “l’impero del Bene è prima di tutto nelle nostre teste”, ed infatti è così.
E potrei continuare, ma so già che ho dato alle vipere e agli scorpioni l’occasione per insolentirmi, ciò che non mancherà certamente di avvenire. In realtà voglio soltanto far riflettere.
Per capire che cosa sono oggi Destra e Sinistra non bisogna rivolgersi ai difensori “idealtipici” della permanenza della dicotomia, nei termini valoriali delle categorie dello Spirito, alla Marco Revelli. Bisogna leggere i difensori del sistema come Antonio Polito (cfr. Corriere della Sera, 25 febbraio 2012). Polito dice apertamente che la competizione politica può oramai avvenire solo sul presupposto, dato per scontato, dei vincoli del modello neoliberale di economia globalizzata. Il resto è un agitarsi inconsistente, dal pagliaccio Vendola a Forza Nuova. Questo è il nostro destino.
Che cosa propongono i “sinistri” ancora in attività, da Andrea Catone a Giacché a Brancaccio? Un rilancio del keynesismo e della spesa pubblica in deficit dentro l’Unione Europea? Una ennesima messa in guardia contro i pericoli del razzismo, del leghismo, del populismo? Una globalizzazione alternativa dal volto umano? Ora che il Grande Puttaniere non occupa più il centro della scena con cosa si continuerà a babbionare il tifo sportivo identitario del popolo di sinistra?
Se si legge il documento “Cina 2030” della Banca Mondiale, recentemente presentato a Pechino, si vedrà che la dittatura degli economisti si estende al mondo intero. Le ricette sono le stesse. Ora, la rivoluzione non è matura, e non è certo all’ordine del giorno, sia nella variante stalinista (Rizzo) che in quella trotzkista (Ferrando). Ma neppure il riformismo è all’ordine del giorno, perché il riformismo implica sovranità dello Stato nazionale. E allora? C’è ancora chi si balocca con il comunismo contro il fascismo o con il fascismo contro il comunismo? Oggi il nemico è la dittatura degli economisti neoliberali. Con essa non si può fare nessun compromesso. Questo è il primo passo. I successivi, se si fa questo primo passo, potranno seguire.
Sulla votomania compulsiva
E’ probabile che l’americanizzazione integrale e radicale (altro che europeismo!) portata dal governo Monti e dalla sua dittatura di economisti porti a una diminuzione della partecipazione elettorale degli italiani, che dopo il 1945 ha sempre avuto livelli di delirio. Questa votomania compulsiva, evidente fra gli anziani, è legata alla contrapposizione DC-PCI, ed è rimasta come “lunga durata” anche nel periodo craxiano, prodiano e berlusconiano. Ma oggi che lo Stato non dà più niente e prende soltanto dovrebbe diminuire, ma purtroppo non abbastanza. C’è sempre spazio per i Casini, Veltroni, Vendola, eccetera.
A fianco della diminuzione probabile della votomania compulsiva, si nota un secondo aspetto della americanizzazione, il declino della politica estera come oggetto di dibattito. Negli USA è normale che la gente non sappia neppure dove sia l’Afghanistan, l’Iraq o la Siria, il cui bombardamento è delegato a esperti specializzati. I tempi in cui tutti erano informati della Corea e del Vietnam sonmo passati, per ora irreversibilmente. L’intera classe giornalistica, senza nessuna eccezione, è diventata una “gioiosa macchina da guerra” di menzogne integrali.
Al tempo della guerra del Golfo del 1991 c’era ancora discussione, poi non più. Ci fu quella che Carl Schmitt definì in latino reductio ad Hitlerum, cioè riconduzione al feroce dittatore di tutti i mali della società, unita con l’invenzione (questa invece di origine di “sinistra”) di tutto un popolo unito contro un dittatore. I popoli furono mediaticamente uniti contro sempre nuovi Hitler nemici dei diritti umani. Il gioco cominciò con Ceausescu, poi con Noriega, Saddam Hussein, Ahmadinejad, Milosevic, Gheddafi, adesso Assad. La storia fu abolita e al suo posto si insediò un canovaccio di commedia, sempre lo stesso: i Popoli uniti contro il Feroce Dittatore; il Silenzio Colpevole dell’Occidente; i Dissidenti “buoni” cui è riservato il diritto di parola. In un anno di televisione manipolata non ho mai sentito intervistare un solo sostenitore di Assad, eppure la Siria ne è piena.
Solo quando il gioco si fa duro, ha senso che i duri comincino a giocare. Fino a che regna la pagliaccesca simulazione italiana Destra/Sinistra le cose saranno sempre come quegli incontri americani di catch in cui è sempre e solo tutta scena per i babbioni spettatori.
Stato nazionale, sovranità nazionale, programma solidale e comunitario, no alla globalizzazione in tutte le sue forme e alla sua dittatura di economisti anglofoni!
di Costanzo Preve
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