17 marzo 2012

Amica Banca

Se qualcuno, per colpevole miopia, avesse ancora nutrito dei dubbi riguardo ai veri mandanti del golpe portato avanti da Mario Monti e dalla congrega di (ex?) banchieri che compongono il suo governo, da oggi non potrà più fingersi ipovedente o afflitto da bariacusia, ma sarà costretto a prender coscienza della realtà.
In un sistema dove tutto è costruito in funzione degli interessi delle banche, dalle grandi opere alle piccole leggine, dagli aiuti di stato miliardari ai cavilli burocratici. In un paese dove ormai tutti i cittadini sono stati costretti coercitivamente ad aprire almeno un conto corrente bancario e dotarsi di carta di credito. Dove prelevare il proprio denaro alla sportello è diventato esercizio simile all’accensione di un finanziamento, con tanto di interrogatorio concernente la destinazione d’uso del tuo denaro. Dove per chiudere un conto corrente occorre accendere un mutuo e operazioni che costano qualche tocco di tastiera vengono “vendute” al prezzo di decine di euro. Dove gli interessi sui conti correnti non esistono più, ma il mantenimento in vita degli stessi ti salassa ogni mese, come se invece di aver depositato denaro tuo stessi disponendo di un prestito. Dove anche l’ultimo pensionato è stato costretto a forza dall’usuraio ad accendere un conto corrente bancario, se vuole ancora vedere la sua misera pensione.
Le banche si lamentano, fanno i capricci, puntano i piedi e ritengono che il loro governo le abbia danneggiate….


Già, danneggiate, colpite nei loro interessi, defraudate del loro diritti, ostacolate in qualche misura nell’operazione di trasferimento di ricchezza dalle tasche dei cittadini ai loro forzieri, che portano avanti con costanza e cura certosina.
Un danno tanto ingiusto quanto inaccettabile, inflitto loro proprio dalla congrega di tecno banchieri che noi paghiamo profumatamente per rappresentarli. Quando nel decreto con cui ha liberammazzato l’Italia, Mario Monti, in un eccesso di “umanità” che non gli appartiene, ha ritenuto doveroso omaggiare i pensionati (che aveva costretto ad aprire un conto corrente) dell’elemosina consistente nella gratuità degli stessi, per coloro che percepivano meno di 1500 euro.

Ma stiamo scherzando? Da quando in qua banche ed usurai, sia pur in circostanze eccezionali, dovrebbero essere costretti a lavorare gratis? Si cancelli subito quella norma o non risponderemo delle nostre azioni, hanno tuonato sdegnati i vertici dell’Abi.


Richiamato all’ordine per la disattenzione e reduce dalla tirata di orecchie, Mario Monti in tutta fretta ha ribadito che rimedierà immediatamente a tanta lesa maestà. In pochi giorni sarà pronto un decreto che imporrà anche ai pensionati a reddito basso di pagare la rata del conto corrente.

Ma cosa vuole questa gentaglia senza arte né parte, composta da disoccupati, nullafacenti e pensionati? Il nostro sangue?
Noi lavoriamo (mica come loro) e abbiamo diritto al nostro profitto. Permettiamo ancora che giustificandone la ragione ritirino il denaro dai conti correnti, abbiamo messo a governarli i nostri uomini migliori, facciamo prestito a chi non ne ha bisogno e agli altri diciamo di arrangiarsi senza neppure sputare loro in faccia e non sono mai contenti.
Che brutta razza di ingrati questi italiani!
di Marco Cedolin

16 marzo 2012

Goldman Sachs, le accuse dell'ex-dirigente. Una deriva morale strategica?

Goldman Sachs
Le accuse di deriva morale che l'ex dirigente muove a Goldman Sachs potrebbero essere dovute alla nuova fase economica in cui l'azienda si muove

Ambiente “tossico e distruttivo”, clienti chiamati “pupazzi” cui si cercano di affibbiare titoli spazzatura con l'unico scopo di massimizzare i profitti, neanche un briciolo di “cultura aziendale”, piuttosto il messaggio per i nuovi arrivati che solo essendo spregiudicati riusciranno a fare carriera. Questa la descrizione, non proprio confortante, che il dirigente Greg Smith, al suo ultimo giorno di lavoro, fornisce dalle pagine del New York Times della sua quasi-ex azienda: Goldman Sachs.

Ebbene sì, pare proprio che alla banca di investimenti che ci ha generosamente donato due primi ministri (Romano Prodi ed il mai eletto Mario Monti), un governatore della Banca d'Italia (Mario Draghi, ora assurto a presidente della Banca centrale europea) e che ha avuto un ruolo chiave negli attacchi al nostro debito sovrano assieme alla Deutsche bank – per non parlare del debito greco -, non siano proprio degli stinchi di santo.

Bella scoperta, direte voi. Eppure quando lo stesso Smith afferma che non sempre è stato così, che un tempo “Si ruotava intorno a lavoro di squadra, integrità, spirito di umiltà, e sempre cercando il bene dei nostri clienti”, potrebbe non avere tutti i torti.

Greg Smith è stato ai vertici di Goldman Sachs per 12 anni, come direttore esecutivo per i derivati in Usa, Europa, Medio oriente ed Africa. Nella lettera accusatoria che ha deciso di scrivere nello stesso giorno in cui abbandonava l'incarico sostiene di aver assistito ad un cambiamento enorme nel modo di gestire l'azienda.

“Potrà suonare sorprendente ad un pubblico scettico - afferma Smith – ma la cultura è stata sempre una parte vitale del successo di Goldman Sachs”. E continua: “La cultura era l'ingrediente segreto che ha reso questo posto fantastico e ci ha permesso di guadagnare la fiducia dei nostri clienti per 143 anni. Non era solo di fare soldi, questo da solo non può sostenere una società per così tanto tempo. Aveva qualcosa a che fare con l'orgoglio e la fede nella organizzazione”.

Per poi concludere amaramente, “Mi dispiace dire che oggi mi guardo intorno e vedere praticamente alcuna traccia della cultura che mi ha fatto amare a lavorare per questa azienda per molti anni. Non ho più l'orgoglio, o la convinzione.”

Qualcosa, secondo l'ex dirigente, ha smesso di funzionare; la banca sta affrontando una deriva semi-criminale che la conduce ad abbandonare del tutto gli interessi dei propri clienti per rincorrere facili profitti. Ma è davvero una deriva? Un “declino nella fibra morale della società [che] rappresenta la singola minaccia più grave per la sua sopravvivenza a lungo termine”, come afferma Smith?

Ci sono elementi che fanno ritenere che invece il nuovo volto di Goldman Sachs sia frutto di una strategia molto più a lungo termine di quanto l'ex dirigente non ritenga. Quando Smith entrò nell'azienda, l'economia mondiale era ancora in fase di espansione (pur essendoci già avvisaglie della crisi imminente). Per una grande banca d'affari, quando un'economia è in espansione è il momento di “curare il cliente”, ovvero di cercare di creare una ricchezza più diffusa possibile nella società. Perché? Semplicemente perché più saranno cresciuti i beni materiali, la ricchezza reale di quella determinata società, più ci sarà da arraffare nel momento della crisi.

Adesso è il momento della crisi. È il momento in cui la ricchezza creata nel periodo di espansione viene redistribuita verso l'alto, in cui le banche smettono di emettere credito ma traggono profitto dall'enorme debito accumulato negli anni; in pratica convertono il debito, frutto della somma degli interessi della moneta da esse stesse emessa, in beni materiali.

Per questo le crisi sono cicliche: l'economia capitalista ha bisogno di rigenerarsi di volta in volta, di azzerare il debito accumulato, di distruggere i diritti acquisiti dai lavoratori, creare manodopera a basso costo e povertà diffusa per poi ripartire da zero. E le banche sanno esattamente come muoversi in ogni momento. Sanno quando è il momento di favorire la crescita, quando quello di fare sciacallaggio. Lo sgomento di Smith nasce probabilmente dall'interpretare in maniera lineare quel frammento di circonferenza che si è trovato a vivere.
di Andrea Degl'Innocenti

15 marzo 2012

Crollano i consumi? Ecco come stiamo cambiando

I consumi di benzina scendono del 20 per cento rispetto all'anno passato, mentre la spesa alimentare delle famiglie torna ai livelli del 1981. I giornali ne parlano con toni drammatici, ma leggendo fra le pieghe delle notizie si colgono incoraggianti segnali di cambiamento. Per una volta, sembra proprio che la crisi possa rivelarsi una pericolosa arma a doppio taglio per il sistema che l'ha generata.

consumi benzina
Il crollo dei consumi è veramente dovuto solo alla crisi? Oppure intervengono anche fattori di cambiamento culturale e sociale negli italiani?

“Se spostarsi diventa un lusso” titola la Stampa. “Cibo, bevande, tabacco, spendiamo come nel 1981”, gli fa eco il Corriere della Sera. Ovunque il calo dei consumi degli italiani viene dipinto con le tinte fosche di un evento drammatico. Ma l'argomento merita almeno qualche considerazione più approfondita.

A colpire l'immaginario dei lettori è spesso il concetto di recessione. La crisi ci sta trascinando all'indietro di 30 anni, affermano i giornali. Ma l'idea di recessione è legata ad una visione lineare della storia, che a sua volta è una “invenzione” relativamente recente. Nelle culture popolari, tradizionali, rurali, la storia è piuttosto ciclica, scandita dall'eterno ritorno dei giorni, delle stagioni, delle ere geologiche.

Il concetto di progresso ha rotto la ciclicità della storia. Un concetto che, pur partorito oramai duemila anni fa dall'etica cristiana e dall'idea di salvezza, ha trovato il suo successo solo in tempi recenti, quando lo sviluppo della tecnica ha permesso all'uomo di affrancarsi dalle leggi naturali. Dunque il fatto di tornare indietro non dovrebbe di per sé spaventarci, ed è più “naturale” di quanto immaginiamo.

Certo, si obbietterà, questo “regresso” non è frutto di una maturazione culturale delle persone ma di una crisi che sta riducendo alla povertà una fetta sempre maggiore della popolazione. È vero, e aggiungo che tale crisi non distrugge le ricchezze ma le redistribuisce verso l'alto. Distrugge la classe media, aumenta la concentrazione, arricchisce infinitamente le grandi banche e le corporazioni. E probabilmente – data la natura ciclica del capitalismo – prepara il campo per una nuova crescita. Crea aree immense di mano d'opera a buon mercato; fa piazza pulita per poter ripartire da zero.

Ma è altrettanto vero che è nei momenti difficili che si prendono le decisioni più drastiche, che si affrontano quei cambiamenti necessari che gli agi e il benessere ci portavano a rimandare ad un domani indefinito.

Analizziamo meglio i dati cui si accennava all'inizio. I consumi di carburanti hanno avuto, nel febbraio 2012, un crollo del 20 per cento rispetto allo stesso mese del 2011. Pur facendo la tara delle nevicate che hanno bloccato a lungo strade e autostrade, degli scioperi dei trasportatori che incidono di diversi punti sui consumi di benzina, il dato resta comunque impressionante.

Ma è un male? A parte il sicuro beneficio per l'ambiente, ci sono altri dati che fanno supporre che al calo dei consumi dei carburanti non abbia corrisposto un peggioramento degli stili di vita degli italiani. Ad esempio sta riscontrando un successo crescente il carpooling. Sempre più persone scelgono di condividere la propria auto con altri passeggeri, al tempo stesso risparmiando, inquinando meno, e rendendo più piacevole il viaggio.

Negli ultimi due anni gli utenti italiani sono aumentati del 200 per cento, i siti che offrono il servizio si sono moltiplicati (da carpooling.it a roadsharing.it a postinauto.it). Si calcola – dati del sito postoinauto.it - che con le auto condivise il costo medio per la benzina sia di 5 euro per 100 chilometri, e si risparmi fino al 67 per cento sulla benzina e il 50 per cento sul completo costo della trasferta.

E che dire del crollo della spesa degli italiani, ripiombati secondo il Corriere al 1981? Anche qui il calo dei consumi alimentari avviene in un contesto di partenza caratterizzato dall'eccesso. Se dalla dieta degli italiani spariscono alcuni cibi sovraconsumati – si pensi al consumo di carne – non può certo essere considerato un dramma.

Non sarà che l'improvvisa necessità ha fatto aprire d'un tratto gli occhi agli italiani? Possibile che ad un assottigliarsi dei portafogli stia corrispondendo un arricchimento delle coscienze? A dare adito ad interrogativi di questo genere arriva anche una ricerca del Censis sui “Valori degli italiani” che testimonia il netto calo dell'individualismo ed un ritorno alla ricerca di collettività, di nuove forme di aggregazione sociale.

Gli italiani abbandonano un modello basato sulla competizione e cercano di elaborare un senso collettivo. E, udite udite, bocciano il consumismo. Il 57 per cento pensa che “al di là dei concreti problemi di reddito, nella propria famiglia il desiderio di consumare è meno intenso rispetto a qualche anno fa”.

Sembra che la crisi stia innescando un meccanismo di reazione - involontario e non calcolato – a quel modello sociale neoliberista che proprio dalla crisi, come da ogni shock, immaginava di trarre il massimo beneficio. Gli italiani – e come loro molti altri cittadini d'Europa e del mondo – sembrano risvegliarsi da quel torpore in cui anni di benessere a buon mercato li aveva fatti precipitare. Che la crisi, una volta tanto, possa rivoltarsi contro il sistema che l'ha generata?
di Andrea Degl'Innocenti

17 marzo 2012

Amica Banca

Se qualcuno, per colpevole miopia, avesse ancora nutrito dei dubbi riguardo ai veri mandanti del golpe portato avanti da Mario Monti e dalla congrega di (ex?) banchieri che compongono il suo governo, da oggi non potrà più fingersi ipovedente o afflitto da bariacusia, ma sarà costretto a prender coscienza della realtà.
In un sistema dove tutto è costruito in funzione degli interessi delle banche, dalle grandi opere alle piccole leggine, dagli aiuti di stato miliardari ai cavilli burocratici. In un paese dove ormai tutti i cittadini sono stati costretti coercitivamente ad aprire almeno un conto corrente bancario e dotarsi di carta di credito. Dove prelevare il proprio denaro alla sportello è diventato esercizio simile all’accensione di un finanziamento, con tanto di interrogatorio concernente la destinazione d’uso del tuo denaro. Dove per chiudere un conto corrente occorre accendere un mutuo e operazioni che costano qualche tocco di tastiera vengono “vendute” al prezzo di decine di euro. Dove gli interessi sui conti correnti non esistono più, ma il mantenimento in vita degli stessi ti salassa ogni mese, come se invece di aver depositato denaro tuo stessi disponendo di un prestito. Dove anche l’ultimo pensionato è stato costretto a forza dall’usuraio ad accendere un conto corrente bancario, se vuole ancora vedere la sua misera pensione.
Le banche si lamentano, fanno i capricci, puntano i piedi e ritengono che il loro governo le abbia danneggiate….


Già, danneggiate, colpite nei loro interessi, defraudate del loro diritti, ostacolate in qualche misura nell’operazione di trasferimento di ricchezza dalle tasche dei cittadini ai loro forzieri, che portano avanti con costanza e cura certosina.
Un danno tanto ingiusto quanto inaccettabile, inflitto loro proprio dalla congrega di tecno banchieri che noi paghiamo profumatamente per rappresentarli. Quando nel decreto con cui ha liberammazzato l’Italia, Mario Monti, in un eccesso di “umanità” che non gli appartiene, ha ritenuto doveroso omaggiare i pensionati (che aveva costretto ad aprire un conto corrente) dell’elemosina consistente nella gratuità degli stessi, per coloro che percepivano meno di 1500 euro.

Ma stiamo scherzando? Da quando in qua banche ed usurai, sia pur in circostanze eccezionali, dovrebbero essere costretti a lavorare gratis? Si cancelli subito quella norma o non risponderemo delle nostre azioni, hanno tuonato sdegnati i vertici dell’Abi.


Richiamato all’ordine per la disattenzione e reduce dalla tirata di orecchie, Mario Monti in tutta fretta ha ribadito che rimedierà immediatamente a tanta lesa maestà. In pochi giorni sarà pronto un decreto che imporrà anche ai pensionati a reddito basso di pagare la rata del conto corrente.

Ma cosa vuole questa gentaglia senza arte né parte, composta da disoccupati, nullafacenti e pensionati? Il nostro sangue?
Noi lavoriamo (mica come loro) e abbiamo diritto al nostro profitto. Permettiamo ancora che giustificandone la ragione ritirino il denaro dai conti correnti, abbiamo messo a governarli i nostri uomini migliori, facciamo prestito a chi non ne ha bisogno e agli altri diciamo di arrangiarsi senza neppure sputare loro in faccia e non sono mai contenti.
Che brutta razza di ingrati questi italiani!
di Marco Cedolin

16 marzo 2012

Goldman Sachs, le accuse dell'ex-dirigente. Una deriva morale strategica?

Goldman Sachs
Le accuse di deriva morale che l'ex dirigente muove a Goldman Sachs potrebbero essere dovute alla nuova fase economica in cui l'azienda si muove

Ambiente “tossico e distruttivo”, clienti chiamati “pupazzi” cui si cercano di affibbiare titoli spazzatura con l'unico scopo di massimizzare i profitti, neanche un briciolo di “cultura aziendale”, piuttosto il messaggio per i nuovi arrivati che solo essendo spregiudicati riusciranno a fare carriera. Questa la descrizione, non proprio confortante, che il dirigente Greg Smith, al suo ultimo giorno di lavoro, fornisce dalle pagine del New York Times della sua quasi-ex azienda: Goldman Sachs.

Ebbene sì, pare proprio che alla banca di investimenti che ci ha generosamente donato due primi ministri (Romano Prodi ed il mai eletto Mario Monti), un governatore della Banca d'Italia (Mario Draghi, ora assurto a presidente della Banca centrale europea) e che ha avuto un ruolo chiave negli attacchi al nostro debito sovrano assieme alla Deutsche bank – per non parlare del debito greco -, non siano proprio degli stinchi di santo.

Bella scoperta, direte voi. Eppure quando lo stesso Smith afferma che non sempre è stato così, che un tempo “Si ruotava intorno a lavoro di squadra, integrità, spirito di umiltà, e sempre cercando il bene dei nostri clienti”, potrebbe non avere tutti i torti.

Greg Smith è stato ai vertici di Goldman Sachs per 12 anni, come direttore esecutivo per i derivati in Usa, Europa, Medio oriente ed Africa. Nella lettera accusatoria che ha deciso di scrivere nello stesso giorno in cui abbandonava l'incarico sostiene di aver assistito ad un cambiamento enorme nel modo di gestire l'azienda.

“Potrà suonare sorprendente ad un pubblico scettico - afferma Smith – ma la cultura è stata sempre una parte vitale del successo di Goldman Sachs”. E continua: “La cultura era l'ingrediente segreto che ha reso questo posto fantastico e ci ha permesso di guadagnare la fiducia dei nostri clienti per 143 anni. Non era solo di fare soldi, questo da solo non può sostenere una società per così tanto tempo. Aveva qualcosa a che fare con l'orgoglio e la fede nella organizzazione”.

Per poi concludere amaramente, “Mi dispiace dire che oggi mi guardo intorno e vedere praticamente alcuna traccia della cultura che mi ha fatto amare a lavorare per questa azienda per molti anni. Non ho più l'orgoglio, o la convinzione.”

Qualcosa, secondo l'ex dirigente, ha smesso di funzionare; la banca sta affrontando una deriva semi-criminale che la conduce ad abbandonare del tutto gli interessi dei propri clienti per rincorrere facili profitti. Ma è davvero una deriva? Un “declino nella fibra morale della società [che] rappresenta la singola minaccia più grave per la sua sopravvivenza a lungo termine”, come afferma Smith?

Ci sono elementi che fanno ritenere che invece il nuovo volto di Goldman Sachs sia frutto di una strategia molto più a lungo termine di quanto l'ex dirigente non ritenga. Quando Smith entrò nell'azienda, l'economia mondiale era ancora in fase di espansione (pur essendoci già avvisaglie della crisi imminente). Per una grande banca d'affari, quando un'economia è in espansione è il momento di “curare il cliente”, ovvero di cercare di creare una ricchezza più diffusa possibile nella società. Perché? Semplicemente perché più saranno cresciuti i beni materiali, la ricchezza reale di quella determinata società, più ci sarà da arraffare nel momento della crisi.

Adesso è il momento della crisi. È il momento in cui la ricchezza creata nel periodo di espansione viene redistribuita verso l'alto, in cui le banche smettono di emettere credito ma traggono profitto dall'enorme debito accumulato negli anni; in pratica convertono il debito, frutto della somma degli interessi della moneta da esse stesse emessa, in beni materiali.

Per questo le crisi sono cicliche: l'economia capitalista ha bisogno di rigenerarsi di volta in volta, di azzerare il debito accumulato, di distruggere i diritti acquisiti dai lavoratori, creare manodopera a basso costo e povertà diffusa per poi ripartire da zero. E le banche sanno esattamente come muoversi in ogni momento. Sanno quando è il momento di favorire la crescita, quando quello di fare sciacallaggio. Lo sgomento di Smith nasce probabilmente dall'interpretare in maniera lineare quel frammento di circonferenza che si è trovato a vivere.
di Andrea Degl'Innocenti

15 marzo 2012

Crollano i consumi? Ecco come stiamo cambiando

I consumi di benzina scendono del 20 per cento rispetto all'anno passato, mentre la spesa alimentare delle famiglie torna ai livelli del 1981. I giornali ne parlano con toni drammatici, ma leggendo fra le pieghe delle notizie si colgono incoraggianti segnali di cambiamento. Per una volta, sembra proprio che la crisi possa rivelarsi una pericolosa arma a doppio taglio per il sistema che l'ha generata.

consumi benzina
Il crollo dei consumi è veramente dovuto solo alla crisi? Oppure intervengono anche fattori di cambiamento culturale e sociale negli italiani?

“Se spostarsi diventa un lusso” titola la Stampa. “Cibo, bevande, tabacco, spendiamo come nel 1981”, gli fa eco il Corriere della Sera. Ovunque il calo dei consumi degli italiani viene dipinto con le tinte fosche di un evento drammatico. Ma l'argomento merita almeno qualche considerazione più approfondita.

A colpire l'immaginario dei lettori è spesso il concetto di recessione. La crisi ci sta trascinando all'indietro di 30 anni, affermano i giornali. Ma l'idea di recessione è legata ad una visione lineare della storia, che a sua volta è una “invenzione” relativamente recente. Nelle culture popolari, tradizionali, rurali, la storia è piuttosto ciclica, scandita dall'eterno ritorno dei giorni, delle stagioni, delle ere geologiche.

Il concetto di progresso ha rotto la ciclicità della storia. Un concetto che, pur partorito oramai duemila anni fa dall'etica cristiana e dall'idea di salvezza, ha trovato il suo successo solo in tempi recenti, quando lo sviluppo della tecnica ha permesso all'uomo di affrancarsi dalle leggi naturali. Dunque il fatto di tornare indietro non dovrebbe di per sé spaventarci, ed è più “naturale” di quanto immaginiamo.

Certo, si obbietterà, questo “regresso” non è frutto di una maturazione culturale delle persone ma di una crisi che sta riducendo alla povertà una fetta sempre maggiore della popolazione. È vero, e aggiungo che tale crisi non distrugge le ricchezze ma le redistribuisce verso l'alto. Distrugge la classe media, aumenta la concentrazione, arricchisce infinitamente le grandi banche e le corporazioni. E probabilmente – data la natura ciclica del capitalismo – prepara il campo per una nuova crescita. Crea aree immense di mano d'opera a buon mercato; fa piazza pulita per poter ripartire da zero.

Ma è altrettanto vero che è nei momenti difficili che si prendono le decisioni più drastiche, che si affrontano quei cambiamenti necessari che gli agi e il benessere ci portavano a rimandare ad un domani indefinito.

Analizziamo meglio i dati cui si accennava all'inizio. I consumi di carburanti hanno avuto, nel febbraio 2012, un crollo del 20 per cento rispetto allo stesso mese del 2011. Pur facendo la tara delle nevicate che hanno bloccato a lungo strade e autostrade, degli scioperi dei trasportatori che incidono di diversi punti sui consumi di benzina, il dato resta comunque impressionante.

Ma è un male? A parte il sicuro beneficio per l'ambiente, ci sono altri dati che fanno supporre che al calo dei consumi dei carburanti non abbia corrisposto un peggioramento degli stili di vita degli italiani. Ad esempio sta riscontrando un successo crescente il carpooling. Sempre più persone scelgono di condividere la propria auto con altri passeggeri, al tempo stesso risparmiando, inquinando meno, e rendendo più piacevole il viaggio.

Negli ultimi due anni gli utenti italiani sono aumentati del 200 per cento, i siti che offrono il servizio si sono moltiplicati (da carpooling.it a roadsharing.it a postinauto.it). Si calcola – dati del sito postoinauto.it - che con le auto condivise il costo medio per la benzina sia di 5 euro per 100 chilometri, e si risparmi fino al 67 per cento sulla benzina e il 50 per cento sul completo costo della trasferta.

E che dire del crollo della spesa degli italiani, ripiombati secondo il Corriere al 1981? Anche qui il calo dei consumi alimentari avviene in un contesto di partenza caratterizzato dall'eccesso. Se dalla dieta degli italiani spariscono alcuni cibi sovraconsumati – si pensi al consumo di carne – non può certo essere considerato un dramma.

Non sarà che l'improvvisa necessità ha fatto aprire d'un tratto gli occhi agli italiani? Possibile che ad un assottigliarsi dei portafogli stia corrispondendo un arricchimento delle coscienze? A dare adito ad interrogativi di questo genere arriva anche una ricerca del Censis sui “Valori degli italiani” che testimonia il netto calo dell'individualismo ed un ritorno alla ricerca di collettività, di nuove forme di aggregazione sociale.

Gli italiani abbandonano un modello basato sulla competizione e cercano di elaborare un senso collettivo. E, udite udite, bocciano il consumismo. Il 57 per cento pensa che “al di là dei concreti problemi di reddito, nella propria famiglia il desiderio di consumare è meno intenso rispetto a qualche anno fa”.

Sembra che la crisi stia innescando un meccanismo di reazione - involontario e non calcolato – a quel modello sociale neoliberista che proprio dalla crisi, come da ogni shock, immaginava di trarre il massimo beneficio. Gli italiani – e come loro molti altri cittadini d'Europa e del mondo – sembrano risvegliarsi da quel torpore in cui anni di benessere a buon mercato li aveva fatti precipitare. Che la crisi, una volta tanto, possa rivoltarsi contro il sistema che l'ha generata?
di Andrea Degl'Innocenti