21 aprile 2012

Il BRICS sfida l'ordine mondiale

La vista dei BRICS è stato un pugno nell’occhio per i paesi sviluppati sin dal principio. Il senso di irritabilità sta ora sta cedendo il passo ad un’inquietudine che rasenta l’ostilità. C’è la pressante necessità che il BRICS acquisisca una fissa dimora e un nome. È vero, dal vertice di New Delhi non è emerso nulla di clamoroso. Tuttavia, ci sono nuove avvisaglie che annunciano una potenziale impennata del BRICS. E ciò causa inquietudine al mondo sviluppato. In breve, come ricorda la Dichiarazione di Delhi dei paesi BRICS, esso è una “piattaforma per il dialogo e la cooperazione tra i paesi che rappresentano il 43% della popolazione mondiale”. Il che già è dire molto. Non c’è nulla di simile al BRICS oggi nel mondo sviluppato. Il G7 è diventato una reliquia della storia. Il panorama atlantico è cupo, con Europa e Stati Uniti che lottano con le rispettive crisi economiche, abbandonando la pretesa di essere i campioni del mondo. La Dichiarazione di Delhi fa un palese tentativo di conseguire una maggiore rappresentanza dei paesi emergenti e in via di sviluppo presso le istituzioni della governance globale. Questa non è una vacua rivendicazione. Perché il BRICS ha anche una speciale esperienza da condividere – essendosi “rapidamente ripreso dalla crisi globale”. L’Occidente non aveva mai sentito nulla di simile prima. Non si tratta del Sud del mondo che reclama per avere “di più”. Questa è un’aperta richiesta di “condivisione del potere”. Non si era mai parlato all’Occidente in questo modo durante tutti questi secoli, dalla Rivoluzione Industriale in poi. Il corso della storia sta chiaramente cambiando. La Dichiarazione di Delhi afferma: “Crediamo sia cruciale per le economie avanzate adottare responsabili politiche macroeconomiche e finanziarie, evitare la creazione di eccessiva liquidità globale e intraprendere riforme strutturali per innalzare una crescita che crei occupazione. Attiriamo l’attenzione sui rischi relativi agli ingenti e volatili flussi di capitali transfrontalieri che le economie emergenti stanno affrontando. Chiediamo ulteriori riforme e controllo finanziario internazionale, rafforzando la coordinazione delle politiche, la regolamentazione finanziaria, la cooperazione in materia di supervisione e promuovendo un solido sviluppo dei mercati finanziari globali e del sistema bancario.” Il mondo in via di sviluppo non aveva mai ammonito in questo modo il mondo sviluppato. Il BRICS ha fatto valere le proprie credenziali per fare tali richieste, dal momento che rappresenta le economie che stanno avendo una crescita economica generale e “contribuiscono significativamente alla ripresa globale”. La Dichiarazione di Delhi continua criticando la lentezza delle riforme concernenti le quote e la governance nel Fondo Monetario Internazionale e il funzionamento della Banca Mondiale, e mette in discussione la prerogativa dell’Occidente di essere a capo di queste istituzioni. Significativamente, il BRICS sta alzando la voce proprio mentre la Russia si accinge ad assumere la Presidenza del G20 nel 2013. Un risultato concreto del vertice di Delhi è l’accordo di considerare la possibilità di istituire una nuova Banca per lo Sviluppo, per mobilitare risorse per progetti riguardanti infrastrutture e sviluppo sostenibile nei paesi BRICS e in altri paesi in via di sviluppo, al fine di “integrare” il ruolo della Banca Mondiale e di altre istituzioni finanziarie regionali. L’idea è quella di liberarsi del perdurante dominio dei paesi sviluppati su queste istituzioni finanziarie. L’ideale, ciò che la Banca Mondiale e l’intera rete delle banche per lo sviluppo regionali già esistenti preferirebbero, sarebbe continuare a usare il denaro del BRICS e mantenere il modello esistente di egemonia occidentale. Al contrario, una banca del BRICS minaccerà la radicata pratica occidentale di usare le istituzioni finanziarie internazionali per prescrivere e imporre politiche economiche ai paesi in via di sviluppo e di conseguenza promuovere gli interessi commerciali dei paesi sviluppati e perfino stabilire l’egemonia politica. Le implicazioni sono considerevoli, in particolare per la geopolitica dell’Africa. Al summit di Delhi è stato richiesto un rapporto sulla creazione di una banca per lo sviluppo per il prossimo vertice annuale del BRICS in Sudafrica. È interessante notare che il Sudafrica rappresenta la voce del continente africano all’interno del BRICS. Inoltre, l’ingresso della Russia nell’Organizzazione Mondiale del Commercio cambierà notevolmente la capacità (e la volontà politica) del BRICS di salvaguardare il sistema commerciale multilaterale regolamentato e influenzare un risultato positivo ed equilibrato del Doha Round. Allo stesso modo, il vertice di Delhi è stato testimone della conclusione dell’Accordo quadro sull’estensione delle facilitazioni di credito in valuta locale sotto il Meccanismo Cooperativo Interbancario del BRICS e dell’Accordo multilaterale sulla facilitazione della conferma delle lettere di credito tra EXIM e le banche per lo sviluppo. Senza dubbio, questi saranno strumenti facilitativi utili per promuovere il commercio all’interno del BRICS. Un accanito attacco è iniziato da Occidente. Le critiche rivolte al BRICS parlano da sé: i paesi del BRICS aderiscono a “valori diversi”; gli altri paesi BRICS sono ostili all’ascesa della Cina; la Russia è un “paese in declino” e non ha “molto in comune” con il resto del BRICS inteso come attore significativo nell’economia mondiale, eccezion fatta per le sue vaste riserve energetiche; perciò, i paesi del BRICS non sono “alleati naturali”; gli indiani hanno timore dell’accerchiamento cinese e sono molto in ansia per l’”enorme squilibrio” tra loro, sebbene abbiano “molti interessi economici in comune”; la Cina, a sua volta, è preoccupata per lo spettro dell’alleanza asiatica guidata dagli Stati Uniti schierata contro di lei, di cui fa parte l’India; il Sudafrica sta lottando per sostenere la crescita; la Russia rimane “instabile”; il Brasile promette bene, mentre Cina e India sono paesi enormi con uno straordinario potenziale e record impressionanti. Il BRICS non è un “raggruppamento naturale” . Senza dubbio, alcune di queste argomentazioni hanno un valore, ma d’altro canto, il processo del BRICS riguarda l’ampliamento progressivo della comunanza di interessi tra i paesi membri e non la creazione di un blocco di nazioni con la stessa mentalità basata su un insieme di cosiddetti valori comuni. È un processo pragmatico che concede spazio e autonomia ai paesi membri, che a sua volta fornisce al BRICS la libertà di lavorare nel tempo alla creazione di una massa critica. La verità è che la massa critica si sta costituendo ed è già visibile. Mentre acquisisce fiducia in se stesso, il BRICS sta spiegando le ali. Il vertice del 2011 in Cina fece piccoli passi verso l’armonizzazione delle posizioni degli Stati membri sulle questioni di politica internazionale. Il BRICS ha fatto un ulteriore passo avanti durante il summit di Delhi per adottare una posizione comune sulla Siria, la “zona calda” numero uno nella politica mondiale di oggi. La Dichiarazione di Delhi pone l’accento su un processo politico inclusivo guidato dalla Siria stessa e sul dialogo nazionale, invitando la comunità internazionale a rispettare l’indipendenza, l’integrità territoriale e la sovranità del paese. Il cosiddetto “Piano d’Azione di Delhi” approvato durante il vertice sottolinea la volontà da parte degli Stati membri di rafforzare il processo BRICS. Esso prevede incontri regolari e frequenti dei ministri degli esteri, delle finanze, del commercio, dell’agricoltura, della salute e dei governatori delle banche centrali (oltre agli incontri degli alti ufficiali in varie aree di cooperazione) a latere di eventi internazionali rilevanti. L’intenzione è quella di coordinare una posizione comune del BRICS su un’ampia sfera di interessi comuni a livello mondiale. Ciò che bisogna evidenziare è la decisione di tenere degli incontri “autonomi” degli Alti Rappresentanti dei paesi BRICS responsabili della sicurezza nazionale. Nel contesto indiano, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale è la figura chiave per quanto concerne il più alto livello del processo decisionale in politica estera e di sicurezza – ed è degno di nota che si tratti anche del rappresentante designato per guidare il corso delle relazioni tra India e Cina. Il BRICS riserva interessanti possibilità all’India per lavorare con la Cina sulle questioni globali. Visto da un’altra angolazione, il processo del BRICS esplora le aspirazioni comuni delle due potenze asiatiche nell’emergente ordine mondiale. Esse sono completamente libere di definire la priorità delle problemi. Il cuore del questione è che il BRICS fornisce un ambiente amichevole e rilassato nel quale possono aver luogo riflessioni costruttive tra i paesi membri, così come a livello bilaterale. Nel caso sia stato trascurato, a latere del vertice di Delhi, le leadership cinese e indiana si sono prese del tempo per discutere sulla loro relazione. Quando i critici occidentali ironizzano brutalmente sul fatto che al BRICS manchi la “malta”, ecc., sono sulla strada sbagliata. Il BRICS non è stato pensato per essere un edificio di vetro e acciaio. È un processo nato dalla volontà comune di fondere le aspirazioni condivise riguardo il nuovo ordine mondiale. Date le porzioni crescenti di PIL mondiale delle economie del BRICS, esse reclamano maggiore partecipazione nell’architettura globale. Mentre i cani abbaiano, la carovana è determinata a passare. Questo è il messaggio emerso dal summit di Delhi del BRICS. di Melkulangara Bhadrakumar
(Traduzione dall’inglese di Francesca Malizia)

20 aprile 2012

Il debito pubblico

La vera prigione in cui siamo rinchiusi, è quella che ha per sbarre la nostra ignoranza. Se sapessimo come realmente stanno le cose, diventeremmo di colpo liberi senza bisogno di forzare i cancelli e rompere le catene. Questo, e non altri, è il vero obiettivo dei "padroni del mondo": se riescono a mantenerci sempre nel buio della nostra ignoranza, magari distogliendo la nostra attenzione con argomenti futili e creandoci nemici inesistenti o paure infondate, saranno certi di poterci sempre far fare quello che vogliono. E quando c'è il rischio che potremmo "mangiare la foglia", non ci consentono di esprimerci (con il voto). "Cumannari iè megghiu chi futtiri" diciamo noi siciliani doc che, dai fenici in poi, di "comandanti" ne abbiamo visti davvero tanti e, da ognuno, abbiamo imparato quel nostro freddo disincanto di fronte alla promesse dei potenti che, col tempo, s'è trasformato in "complicità" con i ribelli (i briganti) e sfiducia nelle istituzioni. Il 99% degli italiani è convinto che il debito pubblico sia una cosa detestabile e rappresenti un ipoteca sul futuro del paese e sulle generazione future. Per questo, e non per altro, la stragrande maggioranza degli italiani è d'accordo sui sacrifici da fare per ridurre quel debito "mostruoso"... prima che ci divori tutti (noi ed i nostri figli). Ebbene, italiani ed italiane, sono entrambi stronzate: sia la mostruosità del debito pubblico che l'ipoteca sul futuro. Il debito pubblico, l'ho detto mille volte, ha reso possibile la ricchezza privata (dei cittadini). Il deficit dello Stato si trasferisce nel risparmio dei cittadini. Se lo Stato italiano non avesse il debito che ha, voi non avreste comprato e pagato la vostra casa e non avreste soldi in banca o altrove... e, dunque, ritenerlo detestabile è come sputare nel piatto in cui s'è mangiato. Uno Stato che non ha debiti (come l'ex Unione sovietica) è abitato da cittadini che non possiedono un cazzo. Non è un'opinione, è matematica. Il Giappone ha il 225% di debito pubblico e i suoi cittadini sono tra i più ricchi del mondo. L'Italia ha il 120% di debito pubblico e la ricchezza degli italiani è, di gran lunga, la più elevata d'Europa e, con il Giappone, tra le prime al mondo. Sono numeri compari, mica supercazzole da bar. Il debito dello Stato è il risparmio dei suoi cittadini. Se non capite questo, qualsiasi peracottaro con un po di parlantina, riesce a prendervi per il culo convincendovi a fare (quasi volentieri) cose assolutamente nefaste per voi e per il vostro paese. Grazie a questa colossale minchiata, i tedeschi ci hanno imposto il fiscal compact: la più grande truffa dell'era moderna. E l'ipoteca sul futuro? Gli interessi sul debito, dicono i cazzari che rappresentano questa minaccia inesistente, dovranno essere pagati dai nostri figli e nipoti e, quindi, noi gli staremmo togliendo il pane di bocca... Ma che sciocchezza è mai questa? E' vero che gli interessi sul debito saranno pagati tra 20 anni dalla prossima generazione (esattamente come noi stiamo pagando gli interessi correnti), ma a chi andranno quegli interessi? A coloro che deterranno, tra 20 anni, i titoli del debito... Cioè la stessa generazione futura che da una parte paga gli interessi (attraverso le tasse) e dall'altra li incassa (attraverso le cedole sui titoli di Stato). Esattamente come succede adesso e succedeva 20 anni fa. Il risultato finale si concretizza in una beata minchia di niente... perché questo è un gioco a somma zero. Quindi, picciotti e picciotte, tranquillizzatevi: non state togliendo il pane di bocca proprio a nessuno. Riepilogando: il debito pubblico ha consentito agli italiani di essere i più ricchi d'Europa e tra i più ricchi al mondo, e l'ipoteca sul futuro dei nostri figli e nipoti, è una favola per bambini scimuniti. Se siete tra quelli che ci hanno creduto e vi siete fatti convincere che era necessario "fare sacrifici" per ripagare il nostro debito, ebbene, vi siete lasciati pigliare per il culo. Non vi basta la mia "spiegazione"? Leggete i libri di John Kenneth Galbraith, Hyman Minsky e Randall Wray (tre economisti di fama mondiale) e troverete le stesse conclusioni supportate da equazioni e numeri (Wray, in particolare, le dimostra in maniera lapalissiana). Ma, e la domanda nasce spontanea, se è le cose stanno così, perché ci bombardano continuamente con le conclusioni contrarie? Paisanu... perché ti devono fottere. Come potrebbero, diversamente, convincerti a "ridare indietro" parte della tua ricchezza (i tuoi risparmi)? Senza quelle storielle della mostruosità del debito pubblico e dell'ipoteca del futuro dei tuoi figli, neanche Dio ti convincerebbe ad accettare tutti i tagli, le tasse ed il resto... senza fare bordello... come se sapessi, tra te e te, che la medicina è amara, ma non c'è alternativa. Non è così? E a chi vanno quei tuoi risparmi? Quando lo Stato produce deficit (spese più alte delle tasse), i piccioli (del suo debito) vanno ad incrementare i tuoi risparmi. Quando, invece, lo Stato produce surplus (tasse più alte delle spese) i tuoi risparmi fanno il percorso inverso: da te allo Stato. Il fiscal compact, dunque, produrrà quello spostamento (da te verso lo Stato) nella misura del 50% dell'attuale debito pubblico, ovvero 1000 miliardi di euro... Mi hai capito compare? Nei prossimi 20 anni i cittadini italiani si impoveriranno di 1000 miliardi di euro: il 67% del Pil... il 3.35% l'anno. Ti hanno convinto che sei stato tu a togliere il pane dalla bocca ai tuoi figli e nipoti (con la cazzabubbola del mostruoso debito pubblico che ipoteca il loro futuro)... e invece, loro glielo hanno tolto davvero (con il fiscal compact)... Lo vedi con chi hai a che fare? Gente con le palle ed il pelo sullo stomaco, che usa la comunicazione per convincerti di qualsiasi cosa gli convenga... anche che tu sei il carnefice, e invece sei la vittima (ricordi la favola dell'agnello ed il lupo di Fedro?). Se gli italiani sapessero come stanno davvero le cose, sarebbero già in piazza con le roncole ed i forconi... ma non lo sanno e, in più, gli danno da discutere delle minchiate tipo l'articolo 18... e così se la pijiano nder culo senza neanche bisogno di vaselina. Vi annuncio che Bossi e Maroni hanno lanciato un referendum per annettere la Lombardia alla Svizzera. In qualità di cittadino lombardo e viste le prospettive dell'Italia, voterei "si" all'annessione. Ma poi mi chiedo perché mai gli svizzeri dovrebbero volerci? Se anche loro facessero un referendum (sull'accettare la Lombardia nella Confederazione) temo una disfatta dei "si". Mi sa che ci tocca lottare qui. di G. Migliorino

19 aprile 2012

L'autore di Transaqua, Marcello Vichi, attacca il dossier americano sulla "guerra per l'acqua"

Sul periodico Gente di questa settimana si trova un articolo che annuncia lo scoppio della "guerra per l'acqua" a livello globale. Ma non fa parola delle soluzioni possibili alla crisi idrica su questo pianeta, che – paradossalmente - dallo spazio assume un colore azzurro. Non è la prima volta che si parla di questo pericolo, certamente. Tuttavia, l'intenzione dell'articolo sembra essere quella di rappresentare un destino ineluttabile e dunque di preparare il popolino alla spiacevole prospettiva. Il titolo impiega l'espressione inglese "water war", forse per dare maggior autorevolezza all'analisi. Le prime righe battono subito sul chiodo: «[...] a toglierci ogni illusione è stata l'intelligence americana [...] in uno studio appena divulgato dal Dipartimento di Stato di Washington e commissionato un anno fa dal segretario di Stato Hillary Clinton». In seguito si legge: «Lo scenario delle water wars potrebbe diventare realtà dal 2022, precisa lo studio del National intelligence estimate». A parte il fatto che già in molti posti del mondo si litiga per l'acqua, il vero insulto è l'omissione delle possibili risposte alla crisi idrica mondiale. Risposte ben diverse dalle vaghe evocazioni e dagli appelli del retore Obama, il quale, come si legge scorrendo l'articolo, con la Water Partnership vorrebbe «promuovere e irrobustire la cooperazione della Casa Bianca con Ong, associazioni, soggetti privati e Paesi di tutto il pianeta», ma non si sa con quali precisi fini. Chi conosce le promesse dei progetti come il NAWAPA e il Transaqua, invece, sa che cosa occorra fare, quanto tempo sia stato perduto e che non si può accettare oltremodo questa maniera di fare "informazione". Il primo ad indignarsi è proprio l'ingegnere Marcello Vichi, già nel decennio 1980 coinvolto nel progetto Transaqua, la grande opera idrica nel bacino del Congo, pensata per portare l'acqua dalle regioni pluviali a quelle desertiche. «L'ignavia e lo stupido egocentrismo dell'Occidente (americani in testa) scoprono che nei prossimi anni ci saranno le "guerre per l'acqua"», afferma Vichi. «Peccato», prosegue, «che già negli anni 1970, scienziati, divulgatori, e uomini politici seri, avessero già lanciato gli stessi allarmi, ma la gente non moriva ancora di sete a milioni e le previsioni, ancorché scientificamente dimostrate, non interessavano a nessuno. Oggi continuano ancora ad essere pochi coloro interessati, ma si prepara il terreno a notizie "più interessanti" che a breve verranno, alle notizie "vendibili"». Oggi sono 1,6 miliardi le persone che fanno i conti con la scarsità d'acqua. È la FAO ad attestarlo, ricorda Vichi, il quale sardonicamente ricorda che essa «notoriamente ha speso grandi energie per risolvere alla radice questi problemi..!"» «La stessa FAO oggi ci racconta che 10.000 persone al giorno muoiono a causa della siccità. Queste sono notizie che fanno vendere», al pari dei titoli scandalistici di prima pagina. «Nonostante che la solita FAO preveda che nel 2025 i due terzi della popolazione mondiale vivrà in condizioni di "stress idrico", l'articolo [...] fa presente che nel continente africano solo il Nilo rappresenti una risorsa, ignorando che oramai non potrà essere più una risorsa, per nessuno, a causa del suo iper-ultra sfruttamento, e che, nello stesso continente, esiste anche un fiume chiamato Congo.» «Questo è, a tutt'oggi, il grado di conoscenza e di consapevolezza dei fatti, non del settimanale Gente, ma dell'United States Intelligence Community che raccoglie le informazioni di 16 U.S. intelligence Agency del Federal Governement degli Stati Uniti. È la stessa "intelligence" che si allarma del costo della benzina nel mondo, quando il prezzo alla pompa negli USA supera la soglia delle reazioni popolari pericolose?» La soluzione africana, come abbiamo altre volte sostenuto, sta nella costruzione di grandi infrastrutture, idriche e di trasporto. Per quanto concerne l'acqua, il progetto principale è quello di alimentare il Lago Ciad con le acque del bacino idrico centrafricano. Se si fosse partiti al momento giusto, non avremmo avuto per decenni gli stupidi problemi di carestia e siccità, né le miriadi di associazioni di raccolta fondi, spesso di dubbio comportamento. Per quanto riguarda i trasporti, si tratta di dotare il continente di linee di trasporto ferroviario tali da integrarlo fisicamente, da Nord a Sud e da Est a Ovest. Ma torniamo al progetto Transaqua. Questo prevederebbe il trasferimento annuo di 100 miliardi di metri cubi di acqua (superiore alla portata complessiva del Nilo), tramite un canale lungo 2400 km. Questa operazione dovrebbe rendere coltivabile una regione di 12 milioni di ettari, contrastare la desertificazione del suolo nella regione sahariana, sfamare cento milioni di africani ed eliminare uno dei motivi delle emigrazioni di massa. Il progetto sviluppato da Vichi per la società Bonifica del gruppo IRI, godette del plauso delle guide politiche centrafricane, ma non dei governi o di certi enti occidentali. Le più rosee speranze nella realizzazione del progetto furono travolte dall'esplosione nella regione delle cosiddette "guerre etniche", espressione degli interessi colonialisti europei, e dalla privatizzazione dell'IRI e dallo smantellamento dell'economia italiana sotto l'azione della furia giacobina diretta dalla City di Londra, nel periodo 1992-1995. Al pari dell'ing. Vichi, il nostro movimento internazionale continua a promuovere l'idea. Nel 2011 si è tenuta una conferenza a N'Djamena, nello stato del Ciad, proprio sulla prospettiva del trasferimento idrico dal Congo al Lago Ciad. La presenza di Gheddafi, favorevole al progetto che avrebbe potuto portare la preziosa acqua anche in Libia, aveva fatto sperare che i capitali da investire sarebbero stati trovati. Tutti sappiamo che cosa è avvenuto a Gheddafi, quando all'improvviso le potenze occidentali hanno deciso di volersi sbarazzare del dittatore. L'idea di far rifiorire la regione intorno al Lago Ciad non è morta anche perché Jacques Cheminade, candidato alla presidenza della Francia, ne ha fatto uno dei pilastri del programma di governo, costringendo i media a parlarne. Se le nazioni occidentali vogliono davvero evitare il collasso economico e scongiurare le conseguenze che, come accadde negli anni Trenta, ne deriverebbero, devono assolutamente ridarsi all'economia reale. Con progetti come il Transaqua e il NAWAPA, preparando allo scopo un sistema creditizio globale in sostituzione di quello finanziario ormai fallito. by (MoviSol)

21 aprile 2012

Il BRICS sfida l'ordine mondiale

La vista dei BRICS è stato un pugno nell’occhio per i paesi sviluppati sin dal principio. Il senso di irritabilità sta ora sta cedendo il passo ad un’inquietudine che rasenta l’ostilità. C’è la pressante necessità che il BRICS acquisisca una fissa dimora e un nome. È vero, dal vertice di New Delhi non è emerso nulla di clamoroso. Tuttavia, ci sono nuove avvisaglie che annunciano una potenziale impennata del BRICS. E ciò causa inquietudine al mondo sviluppato. In breve, come ricorda la Dichiarazione di Delhi dei paesi BRICS, esso è una “piattaforma per il dialogo e la cooperazione tra i paesi che rappresentano il 43% della popolazione mondiale”. Il che già è dire molto. Non c’è nulla di simile al BRICS oggi nel mondo sviluppato. Il G7 è diventato una reliquia della storia. Il panorama atlantico è cupo, con Europa e Stati Uniti che lottano con le rispettive crisi economiche, abbandonando la pretesa di essere i campioni del mondo. La Dichiarazione di Delhi fa un palese tentativo di conseguire una maggiore rappresentanza dei paesi emergenti e in via di sviluppo presso le istituzioni della governance globale. Questa non è una vacua rivendicazione. Perché il BRICS ha anche una speciale esperienza da condividere – essendosi “rapidamente ripreso dalla crisi globale”. L’Occidente non aveva mai sentito nulla di simile prima. Non si tratta del Sud del mondo che reclama per avere “di più”. Questa è un’aperta richiesta di “condivisione del potere”. Non si era mai parlato all’Occidente in questo modo durante tutti questi secoli, dalla Rivoluzione Industriale in poi. Il corso della storia sta chiaramente cambiando. La Dichiarazione di Delhi afferma: “Crediamo sia cruciale per le economie avanzate adottare responsabili politiche macroeconomiche e finanziarie, evitare la creazione di eccessiva liquidità globale e intraprendere riforme strutturali per innalzare una crescita che crei occupazione. Attiriamo l’attenzione sui rischi relativi agli ingenti e volatili flussi di capitali transfrontalieri che le economie emergenti stanno affrontando. Chiediamo ulteriori riforme e controllo finanziario internazionale, rafforzando la coordinazione delle politiche, la regolamentazione finanziaria, la cooperazione in materia di supervisione e promuovendo un solido sviluppo dei mercati finanziari globali e del sistema bancario.” Il mondo in via di sviluppo non aveva mai ammonito in questo modo il mondo sviluppato. Il BRICS ha fatto valere le proprie credenziali per fare tali richieste, dal momento che rappresenta le economie che stanno avendo una crescita economica generale e “contribuiscono significativamente alla ripresa globale”. La Dichiarazione di Delhi continua criticando la lentezza delle riforme concernenti le quote e la governance nel Fondo Monetario Internazionale e il funzionamento della Banca Mondiale, e mette in discussione la prerogativa dell’Occidente di essere a capo di queste istituzioni. Significativamente, il BRICS sta alzando la voce proprio mentre la Russia si accinge ad assumere la Presidenza del G20 nel 2013. Un risultato concreto del vertice di Delhi è l’accordo di considerare la possibilità di istituire una nuova Banca per lo Sviluppo, per mobilitare risorse per progetti riguardanti infrastrutture e sviluppo sostenibile nei paesi BRICS e in altri paesi in via di sviluppo, al fine di “integrare” il ruolo della Banca Mondiale e di altre istituzioni finanziarie regionali. L’idea è quella di liberarsi del perdurante dominio dei paesi sviluppati su queste istituzioni finanziarie. L’ideale, ciò che la Banca Mondiale e l’intera rete delle banche per lo sviluppo regionali già esistenti preferirebbero, sarebbe continuare a usare il denaro del BRICS e mantenere il modello esistente di egemonia occidentale. Al contrario, una banca del BRICS minaccerà la radicata pratica occidentale di usare le istituzioni finanziarie internazionali per prescrivere e imporre politiche economiche ai paesi in via di sviluppo e di conseguenza promuovere gli interessi commerciali dei paesi sviluppati e perfino stabilire l’egemonia politica. Le implicazioni sono considerevoli, in particolare per la geopolitica dell’Africa. Al summit di Delhi è stato richiesto un rapporto sulla creazione di una banca per lo sviluppo per il prossimo vertice annuale del BRICS in Sudafrica. È interessante notare che il Sudafrica rappresenta la voce del continente africano all’interno del BRICS. Inoltre, l’ingresso della Russia nell’Organizzazione Mondiale del Commercio cambierà notevolmente la capacità (e la volontà politica) del BRICS di salvaguardare il sistema commerciale multilaterale regolamentato e influenzare un risultato positivo ed equilibrato del Doha Round. Allo stesso modo, il vertice di Delhi è stato testimone della conclusione dell’Accordo quadro sull’estensione delle facilitazioni di credito in valuta locale sotto il Meccanismo Cooperativo Interbancario del BRICS e dell’Accordo multilaterale sulla facilitazione della conferma delle lettere di credito tra EXIM e le banche per lo sviluppo. Senza dubbio, questi saranno strumenti facilitativi utili per promuovere il commercio all’interno del BRICS. Un accanito attacco è iniziato da Occidente. Le critiche rivolte al BRICS parlano da sé: i paesi del BRICS aderiscono a “valori diversi”; gli altri paesi BRICS sono ostili all’ascesa della Cina; la Russia è un “paese in declino” e non ha “molto in comune” con il resto del BRICS inteso come attore significativo nell’economia mondiale, eccezion fatta per le sue vaste riserve energetiche; perciò, i paesi del BRICS non sono “alleati naturali”; gli indiani hanno timore dell’accerchiamento cinese e sono molto in ansia per l’”enorme squilibrio” tra loro, sebbene abbiano “molti interessi economici in comune”; la Cina, a sua volta, è preoccupata per lo spettro dell’alleanza asiatica guidata dagli Stati Uniti schierata contro di lei, di cui fa parte l’India; il Sudafrica sta lottando per sostenere la crescita; la Russia rimane “instabile”; il Brasile promette bene, mentre Cina e India sono paesi enormi con uno straordinario potenziale e record impressionanti. Il BRICS non è un “raggruppamento naturale” . Senza dubbio, alcune di queste argomentazioni hanno un valore, ma d’altro canto, il processo del BRICS riguarda l’ampliamento progressivo della comunanza di interessi tra i paesi membri e non la creazione di un blocco di nazioni con la stessa mentalità basata su un insieme di cosiddetti valori comuni. È un processo pragmatico che concede spazio e autonomia ai paesi membri, che a sua volta fornisce al BRICS la libertà di lavorare nel tempo alla creazione di una massa critica. La verità è che la massa critica si sta costituendo ed è già visibile. Mentre acquisisce fiducia in se stesso, il BRICS sta spiegando le ali. Il vertice del 2011 in Cina fece piccoli passi verso l’armonizzazione delle posizioni degli Stati membri sulle questioni di politica internazionale. Il BRICS ha fatto un ulteriore passo avanti durante il summit di Delhi per adottare una posizione comune sulla Siria, la “zona calda” numero uno nella politica mondiale di oggi. La Dichiarazione di Delhi pone l’accento su un processo politico inclusivo guidato dalla Siria stessa e sul dialogo nazionale, invitando la comunità internazionale a rispettare l’indipendenza, l’integrità territoriale e la sovranità del paese. Il cosiddetto “Piano d’Azione di Delhi” approvato durante il vertice sottolinea la volontà da parte degli Stati membri di rafforzare il processo BRICS. Esso prevede incontri regolari e frequenti dei ministri degli esteri, delle finanze, del commercio, dell’agricoltura, della salute e dei governatori delle banche centrali (oltre agli incontri degli alti ufficiali in varie aree di cooperazione) a latere di eventi internazionali rilevanti. L’intenzione è quella di coordinare una posizione comune del BRICS su un’ampia sfera di interessi comuni a livello mondiale. Ciò che bisogna evidenziare è la decisione di tenere degli incontri “autonomi” degli Alti Rappresentanti dei paesi BRICS responsabili della sicurezza nazionale. Nel contesto indiano, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale è la figura chiave per quanto concerne il più alto livello del processo decisionale in politica estera e di sicurezza – ed è degno di nota che si tratti anche del rappresentante designato per guidare il corso delle relazioni tra India e Cina. Il BRICS riserva interessanti possibilità all’India per lavorare con la Cina sulle questioni globali. Visto da un’altra angolazione, il processo del BRICS esplora le aspirazioni comuni delle due potenze asiatiche nell’emergente ordine mondiale. Esse sono completamente libere di definire la priorità delle problemi. Il cuore del questione è che il BRICS fornisce un ambiente amichevole e rilassato nel quale possono aver luogo riflessioni costruttive tra i paesi membri, così come a livello bilaterale. Nel caso sia stato trascurato, a latere del vertice di Delhi, le leadership cinese e indiana si sono prese del tempo per discutere sulla loro relazione. Quando i critici occidentali ironizzano brutalmente sul fatto che al BRICS manchi la “malta”, ecc., sono sulla strada sbagliata. Il BRICS non è stato pensato per essere un edificio di vetro e acciaio. È un processo nato dalla volontà comune di fondere le aspirazioni condivise riguardo il nuovo ordine mondiale. Date le porzioni crescenti di PIL mondiale delle economie del BRICS, esse reclamano maggiore partecipazione nell’architettura globale. Mentre i cani abbaiano, la carovana è determinata a passare. Questo è il messaggio emerso dal summit di Delhi del BRICS. di Melkulangara Bhadrakumar
(Traduzione dall’inglese di Francesca Malizia)

20 aprile 2012

Il debito pubblico

La vera prigione in cui siamo rinchiusi, è quella che ha per sbarre la nostra ignoranza. Se sapessimo come realmente stanno le cose, diventeremmo di colpo liberi senza bisogno di forzare i cancelli e rompere le catene. Questo, e non altri, è il vero obiettivo dei "padroni del mondo": se riescono a mantenerci sempre nel buio della nostra ignoranza, magari distogliendo la nostra attenzione con argomenti futili e creandoci nemici inesistenti o paure infondate, saranno certi di poterci sempre far fare quello che vogliono. E quando c'è il rischio che potremmo "mangiare la foglia", non ci consentono di esprimerci (con il voto). "Cumannari iè megghiu chi futtiri" diciamo noi siciliani doc che, dai fenici in poi, di "comandanti" ne abbiamo visti davvero tanti e, da ognuno, abbiamo imparato quel nostro freddo disincanto di fronte alla promesse dei potenti che, col tempo, s'è trasformato in "complicità" con i ribelli (i briganti) e sfiducia nelle istituzioni. Il 99% degli italiani è convinto che il debito pubblico sia una cosa detestabile e rappresenti un ipoteca sul futuro del paese e sulle generazione future. Per questo, e non per altro, la stragrande maggioranza degli italiani è d'accordo sui sacrifici da fare per ridurre quel debito "mostruoso"... prima che ci divori tutti (noi ed i nostri figli). Ebbene, italiani ed italiane, sono entrambi stronzate: sia la mostruosità del debito pubblico che l'ipoteca sul futuro. Il debito pubblico, l'ho detto mille volte, ha reso possibile la ricchezza privata (dei cittadini). Il deficit dello Stato si trasferisce nel risparmio dei cittadini. Se lo Stato italiano non avesse il debito che ha, voi non avreste comprato e pagato la vostra casa e non avreste soldi in banca o altrove... e, dunque, ritenerlo detestabile è come sputare nel piatto in cui s'è mangiato. Uno Stato che non ha debiti (come l'ex Unione sovietica) è abitato da cittadini che non possiedono un cazzo. Non è un'opinione, è matematica. Il Giappone ha il 225% di debito pubblico e i suoi cittadini sono tra i più ricchi del mondo. L'Italia ha il 120% di debito pubblico e la ricchezza degli italiani è, di gran lunga, la più elevata d'Europa e, con il Giappone, tra le prime al mondo. Sono numeri compari, mica supercazzole da bar. Il debito dello Stato è il risparmio dei suoi cittadini. Se non capite questo, qualsiasi peracottaro con un po di parlantina, riesce a prendervi per il culo convincendovi a fare (quasi volentieri) cose assolutamente nefaste per voi e per il vostro paese. Grazie a questa colossale minchiata, i tedeschi ci hanno imposto il fiscal compact: la più grande truffa dell'era moderna. E l'ipoteca sul futuro? Gli interessi sul debito, dicono i cazzari che rappresentano questa minaccia inesistente, dovranno essere pagati dai nostri figli e nipoti e, quindi, noi gli staremmo togliendo il pane di bocca... Ma che sciocchezza è mai questa? E' vero che gli interessi sul debito saranno pagati tra 20 anni dalla prossima generazione (esattamente come noi stiamo pagando gli interessi correnti), ma a chi andranno quegli interessi? A coloro che deterranno, tra 20 anni, i titoli del debito... Cioè la stessa generazione futura che da una parte paga gli interessi (attraverso le tasse) e dall'altra li incassa (attraverso le cedole sui titoli di Stato). Esattamente come succede adesso e succedeva 20 anni fa. Il risultato finale si concretizza in una beata minchia di niente... perché questo è un gioco a somma zero. Quindi, picciotti e picciotte, tranquillizzatevi: non state togliendo il pane di bocca proprio a nessuno. Riepilogando: il debito pubblico ha consentito agli italiani di essere i più ricchi d'Europa e tra i più ricchi al mondo, e l'ipoteca sul futuro dei nostri figli e nipoti, è una favola per bambini scimuniti. Se siete tra quelli che ci hanno creduto e vi siete fatti convincere che era necessario "fare sacrifici" per ripagare il nostro debito, ebbene, vi siete lasciati pigliare per il culo. Non vi basta la mia "spiegazione"? Leggete i libri di John Kenneth Galbraith, Hyman Minsky e Randall Wray (tre economisti di fama mondiale) e troverete le stesse conclusioni supportate da equazioni e numeri (Wray, in particolare, le dimostra in maniera lapalissiana). Ma, e la domanda nasce spontanea, se è le cose stanno così, perché ci bombardano continuamente con le conclusioni contrarie? Paisanu... perché ti devono fottere. Come potrebbero, diversamente, convincerti a "ridare indietro" parte della tua ricchezza (i tuoi risparmi)? Senza quelle storielle della mostruosità del debito pubblico e dell'ipoteca del futuro dei tuoi figli, neanche Dio ti convincerebbe ad accettare tutti i tagli, le tasse ed il resto... senza fare bordello... come se sapessi, tra te e te, che la medicina è amara, ma non c'è alternativa. Non è così? E a chi vanno quei tuoi risparmi? Quando lo Stato produce deficit (spese più alte delle tasse), i piccioli (del suo debito) vanno ad incrementare i tuoi risparmi. Quando, invece, lo Stato produce surplus (tasse più alte delle spese) i tuoi risparmi fanno il percorso inverso: da te allo Stato. Il fiscal compact, dunque, produrrà quello spostamento (da te verso lo Stato) nella misura del 50% dell'attuale debito pubblico, ovvero 1000 miliardi di euro... Mi hai capito compare? Nei prossimi 20 anni i cittadini italiani si impoveriranno di 1000 miliardi di euro: il 67% del Pil... il 3.35% l'anno. Ti hanno convinto che sei stato tu a togliere il pane dalla bocca ai tuoi figli e nipoti (con la cazzabubbola del mostruoso debito pubblico che ipoteca il loro futuro)... e invece, loro glielo hanno tolto davvero (con il fiscal compact)... Lo vedi con chi hai a che fare? Gente con le palle ed il pelo sullo stomaco, che usa la comunicazione per convincerti di qualsiasi cosa gli convenga... anche che tu sei il carnefice, e invece sei la vittima (ricordi la favola dell'agnello ed il lupo di Fedro?). Se gli italiani sapessero come stanno davvero le cose, sarebbero già in piazza con le roncole ed i forconi... ma non lo sanno e, in più, gli danno da discutere delle minchiate tipo l'articolo 18... e così se la pijiano nder culo senza neanche bisogno di vaselina. Vi annuncio che Bossi e Maroni hanno lanciato un referendum per annettere la Lombardia alla Svizzera. In qualità di cittadino lombardo e viste le prospettive dell'Italia, voterei "si" all'annessione. Ma poi mi chiedo perché mai gli svizzeri dovrebbero volerci? Se anche loro facessero un referendum (sull'accettare la Lombardia nella Confederazione) temo una disfatta dei "si". Mi sa che ci tocca lottare qui. di G. Migliorino

19 aprile 2012

L'autore di Transaqua, Marcello Vichi, attacca il dossier americano sulla "guerra per l'acqua"

Sul periodico Gente di questa settimana si trova un articolo che annuncia lo scoppio della "guerra per l'acqua" a livello globale. Ma non fa parola delle soluzioni possibili alla crisi idrica su questo pianeta, che – paradossalmente - dallo spazio assume un colore azzurro. Non è la prima volta che si parla di questo pericolo, certamente. Tuttavia, l'intenzione dell'articolo sembra essere quella di rappresentare un destino ineluttabile e dunque di preparare il popolino alla spiacevole prospettiva. Il titolo impiega l'espressione inglese "water war", forse per dare maggior autorevolezza all'analisi. Le prime righe battono subito sul chiodo: «[...] a toglierci ogni illusione è stata l'intelligence americana [...] in uno studio appena divulgato dal Dipartimento di Stato di Washington e commissionato un anno fa dal segretario di Stato Hillary Clinton». In seguito si legge: «Lo scenario delle water wars potrebbe diventare realtà dal 2022, precisa lo studio del National intelligence estimate». A parte il fatto che già in molti posti del mondo si litiga per l'acqua, il vero insulto è l'omissione delle possibili risposte alla crisi idrica mondiale. Risposte ben diverse dalle vaghe evocazioni e dagli appelli del retore Obama, il quale, come si legge scorrendo l'articolo, con la Water Partnership vorrebbe «promuovere e irrobustire la cooperazione della Casa Bianca con Ong, associazioni, soggetti privati e Paesi di tutto il pianeta», ma non si sa con quali precisi fini. Chi conosce le promesse dei progetti come il NAWAPA e il Transaqua, invece, sa che cosa occorra fare, quanto tempo sia stato perduto e che non si può accettare oltremodo questa maniera di fare "informazione". Il primo ad indignarsi è proprio l'ingegnere Marcello Vichi, già nel decennio 1980 coinvolto nel progetto Transaqua, la grande opera idrica nel bacino del Congo, pensata per portare l'acqua dalle regioni pluviali a quelle desertiche. «L'ignavia e lo stupido egocentrismo dell'Occidente (americani in testa) scoprono che nei prossimi anni ci saranno le "guerre per l'acqua"», afferma Vichi. «Peccato», prosegue, «che già negli anni 1970, scienziati, divulgatori, e uomini politici seri, avessero già lanciato gli stessi allarmi, ma la gente non moriva ancora di sete a milioni e le previsioni, ancorché scientificamente dimostrate, non interessavano a nessuno. Oggi continuano ancora ad essere pochi coloro interessati, ma si prepara il terreno a notizie "più interessanti" che a breve verranno, alle notizie "vendibili"». Oggi sono 1,6 miliardi le persone che fanno i conti con la scarsità d'acqua. È la FAO ad attestarlo, ricorda Vichi, il quale sardonicamente ricorda che essa «notoriamente ha speso grandi energie per risolvere alla radice questi problemi..!"» «La stessa FAO oggi ci racconta che 10.000 persone al giorno muoiono a causa della siccità. Queste sono notizie che fanno vendere», al pari dei titoli scandalistici di prima pagina. «Nonostante che la solita FAO preveda che nel 2025 i due terzi della popolazione mondiale vivrà in condizioni di "stress idrico", l'articolo [...] fa presente che nel continente africano solo il Nilo rappresenti una risorsa, ignorando che oramai non potrà essere più una risorsa, per nessuno, a causa del suo iper-ultra sfruttamento, e che, nello stesso continente, esiste anche un fiume chiamato Congo.» «Questo è, a tutt'oggi, il grado di conoscenza e di consapevolezza dei fatti, non del settimanale Gente, ma dell'United States Intelligence Community che raccoglie le informazioni di 16 U.S. intelligence Agency del Federal Governement degli Stati Uniti. È la stessa "intelligence" che si allarma del costo della benzina nel mondo, quando il prezzo alla pompa negli USA supera la soglia delle reazioni popolari pericolose?» La soluzione africana, come abbiamo altre volte sostenuto, sta nella costruzione di grandi infrastrutture, idriche e di trasporto. Per quanto concerne l'acqua, il progetto principale è quello di alimentare il Lago Ciad con le acque del bacino idrico centrafricano. Se si fosse partiti al momento giusto, non avremmo avuto per decenni gli stupidi problemi di carestia e siccità, né le miriadi di associazioni di raccolta fondi, spesso di dubbio comportamento. Per quanto riguarda i trasporti, si tratta di dotare il continente di linee di trasporto ferroviario tali da integrarlo fisicamente, da Nord a Sud e da Est a Ovest. Ma torniamo al progetto Transaqua. Questo prevederebbe il trasferimento annuo di 100 miliardi di metri cubi di acqua (superiore alla portata complessiva del Nilo), tramite un canale lungo 2400 km. Questa operazione dovrebbe rendere coltivabile una regione di 12 milioni di ettari, contrastare la desertificazione del suolo nella regione sahariana, sfamare cento milioni di africani ed eliminare uno dei motivi delle emigrazioni di massa. Il progetto sviluppato da Vichi per la società Bonifica del gruppo IRI, godette del plauso delle guide politiche centrafricane, ma non dei governi o di certi enti occidentali. Le più rosee speranze nella realizzazione del progetto furono travolte dall'esplosione nella regione delle cosiddette "guerre etniche", espressione degli interessi colonialisti europei, e dalla privatizzazione dell'IRI e dallo smantellamento dell'economia italiana sotto l'azione della furia giacobina diretta dalla City di Londra, nel periodo 1992-1995. Al pari dell'ing. Vichi, il nostro movimento internazionale continua a promuovere l'idea. Nel 2011 si è tenuta una conferenza a N'Djamena, nello stato del Ciad, proprio sulla prospettiva del trasferimento idrico dal Congo al Lago Ciad. La presenza di Gheddafi, favorevole al progetto che avrebbe potuto portare la preziosa acqua anche in Libia, aveva fatto sperare che i capitali da investire sarebbero stati trovati. Tutti sappiamo che cosa è avvenuto a Gheddafi, quando all'improvviso le potenze occidentali hanno deciso di volersi sbarazzare del dittatore. L'idea di far rifiorire la regione intorno al Lago Ciad non è morta anche perché Jacques Cheminade, candidato alla presidenza della Francia, ne ha fatto uno dei pilastri del programma di governo, costringendo i media a parlarne. Se le nazioni occidentali vogliono davvero evitare il collasso economico e scongiurare le conseguenze che, come accadde negli anni Trenta, ne deriverebbero, devono assolutamente ridarsi all'economia reale. Con progetti come il Transaqua e il NAWAPA, preparando allo scopo un sistema creditizio globale in sostituzione di quello finanziario ormai fallito. by (MoviSol)