17 maggio 2012
Quella crisi prodotta dalla nostra stessa economia
"Per spiegare la crisi si parla di banche e di debito pubblico, di finanza piratesca e di speculazioni, ma tutto questo non è che la deriva di un’economia. Come le metastasi di un tumore non sono che lo sviluppo 'naturale' del tumore stesso". E intanto, mentre ci si preoccupa di salvare un modello economico fallimentare e insostenibile, si ignorano le fondamenta delle nostre vite che, inesorabilmente, stanno andando alla malora: l’aria, l’acqua, la terra.
crisi economica
Per spiegare la crisi si parla di banche e di debito pubblico, di finanza piratesca e di speculazioni ma tutto questo non è che la deriva di un modello economico
Rimango sempre sconcertata quando leggo le analisi anche di prestigiosi economisti sulle ragioni e gli sviluppi della crisi economica. Io non sono un economista ma le cose ovvie e palesi credo di essere in grado di vederle e comprenderle. Così come non sono un geologo ma, se vedo un bosco tagliato a raso su un ripido pendio dal terreno sciolto, non ho bisogno del parere di esperti per capire in futuro cosa avrà determinato la frana di quel pendio. Può darsi che gli 'specialisti' siano svantaggiati: a furia di scrutare nel profondo si finisce, come dice Tolkien, per non vedere la realtà nel suo complesso, quella che sta alla luce del sole.
Per spiegare la crisi si parla di banche e di debito pubblico, di finanza piratesca e di speculazioni ma tutto questo non è che la deriva di un’economia. Come le metastasi di un tumore non sono che lo sviluppo 'naturale' del tumore stesso.
Alla base di qualsiasi economia ci sono cose concrete e semplici: le risorse materiali e il lavoro umano. In un’economia capitalista quelle risorse si chiamano 'materie prime' e/o 'merci'.
In un’economia capitalista, e cioè in una società di dominio e competizione, le risorse materiali vengono sottratte all’ambiente e ai popoli che di esse vivevano senza alcuno scrupolo e senza alcun limite; il lavoro poi, in tale economia, significa il maggior sfruttamento possibile, considerati i rapporti di forza.
Essendo un’economia basata sul dominio e sulla competizione, come la società che l’ha generata, è inevitabile che cerchi sempre di superare i limiti, di 'crescere'. La globalizzazione è stato un salto quantitativo e qualitativo in tale crescita: i capitalisti di tutto il mondo hanno cominciato a 'de-localizzare'. Questa parolina inventata, come tante ultimamente, per nascondere la realtà, significa di fatto far produrre le proprie merci in paesi asserviti e impoveriti, per non pagare i lavoratori ridotti ormai a poco più che schiavi.
carrelli
La globalizzazione è stata, fino a un certo punto del suo sviluppo, la causa di un aumento vertiginoso dei consumi nel mondo occidentale
A me, e spero non solo a me, da quando la globalizzazione neoliberista ha trionfato, è sembrato chiaro che la fine dell’economia capitalista era alle porte, e proprio a causa della sua incapacità di darsi dei limiti e di rispettarli. Del resto, competizione e limiti sono in antitesi, così come sono in antitesi dominio e rispetto.
La globalizzazione è stata, fino a un certo punto del suo sviluppo, la causa di un aumento vertiginoso dei consumi nel mondo occidentale, cioè in quello dominante: i paesi asserviti ci davano le loro preziose materie prima in cambio di quasi nulla, le loro popolazioni asservite lavoravano per i nostri capitalisti (detti 'imprenditori') in cambio di quasi nulla. Così noi per quattro lire potevamo comperare cibo e benzina, scarpe e vestiti, borse e mobili.
Qualche inconveniente si manifestò subito: i nostri contadini, per esempio, si trovarono a dover fronteggiare la concorrenza dei prodotti agricoli che venivano dai paesi schiavi e che costavano cifre da vergogna. Arrendersi o perire. Furono costretti a rinunciare all’agricoltura o ad abbassare i prezzi a livelli schiavistici. L’Italia è piena di piccoli agricoltori che fanno il doppio lavoro: un lavoro fuori dalla loro azienda per mantenere la famiglia, l’altro nella loro campagna perché non hanno cuore di abbandonarla. Ma finché si trattava dei contadini, questi fantasmi della nostra civiltà che danno da mangiare a tutti, nessuno si mise a parlare di crisi.
Come si poteva parlare di crisi mentre il potere d’acquisto degli italiani cresceva vertiginosamente e ci rotolavamo in un’orgia di consumi superflui e spreco? I bambini indiani producevano le nostre scarpe e i nostri tappeti, quelli turchi i nostri golfini, gli schiavi della Del Monte i nostri ananas… roba quasi regalata. E intanto noi lavoravamo come operai elettronici, impiegate, architetti d’interni, programmatori informatici, ma… chi si ferma è perduto. Man mano sono state 'de- localizzate' tutte le attività che era possibile delocalizzare: ci sono call center ('centralini' in italiano) di aziende occidentali in India e in Tunisia e fabbriche di mobili occidentali in Indonesia.
disoccupazione
Tra disoccupazione o condizioni di lavoro da terzo mondo, che fine faranno i consumatori occidentali?
Tutto questo non poteva avere che una conseguenza a lungo andare: la disoccupazione dei lavoratori occidentali. E allora, se produzione, terziario e persino servizi vengono spostati nei paesi in cui i lavoratori sono sottopagati e i lavoratori occidentali possono scegliere, a quel punto, solo tra disoccupazione o condizioni di lavoro da terzo mondo, che fine faranno i consumatori occidentali (che sono stati le colonne della 'crescita' e dello 'sviluppo')?
Il destino del Consumatore Occidentale, una volta che in Occidente scompaiono i lavoratori adeguatamente remunerati, è un fatale declino fino all’estinzione. Con quali soldi il disoccupato, il co.co.co., il sottopagato possono pagare i mobili anche se fatti in Indonesia, le scarpe pachistane, le borse cinesi?
Ed ecco che la competizione e il trionfo finale dell’imperialismo economico (e non solo) hanno prodotto la propria stessa crisi. Come per tutti gli imperi, il trionfo finale, in questo caso la globalizzazione neoliberista, era solo l’inizio dell’implosione finale: un’economia basata sui consumi superflui e frenetici è riuscita, per la brama insaziabile di sviluppo e crescita insita in lei stessa, a distruggere le basi sulle quali poggiava: il consumatore occidentale e il consumismo.
Questo, ovviamente, mentre già aveva impoverito anche i popoli del resto del mondo: quell’impoverimento era una delle condizioni dell’aumento del profitto capitalista e della ricchezza occidentale. E adesso?
portafogli vuoto
Impoverire i ceti medi, dopo i lavoratori salariati, non potrà che diminuire anche i consumi che finora avevano retto
Si potrebbe dire “chi la fa l’aspetti”. Non ci siamo mai preoccupati delle crisi che il neoliberismo imponeva ai paesi di Africa, Asia, America Latina, est Europa. Non abbiamo lottato per migliori condizioni di lavoro di operai o braccianti o minatori peruviani o senegalesi. Se l’avessimo fatto, forse non avremmo subito la loro involontaria concorrenza; forse il neoliberismo sarebbe crollato prima di distruggere ambiente e società umana; forse la storia avrebbe preso un altro corso. Però coi 'se' e coi 'ma' la storia non si fa e nemmeno coi 'forse'. Adesso lo sfruttamento disumano di quei popoli si ritorce contro di noi, che finora ne avevamo beneficiato.
Adesso anche i nostri governi, del tutto asserviti agli interessi del grande padronato mondiale, ci 'svendono' ai loro e nostri padroni: riducono salari e servizi sociali, aumentano tasse e vincoli in modo da distruggere anche la piccola impresa privata e il piccolo commercio, eliminano i diritti dei lavoratori. E tutto questo non farà che accelerare la conclusione: impoverire i ceti medi, dopo i lavoratori salariati, non potrà che diminuire anche i consumi che finora avevano retto.
Quanto al mitico debito pubblico, le sue cause sono più semplici di quello che si vuole far credere. Le spese che hanno contribuito maggiormente all’indebitamento dell’Italia, per esempio, sono state quelle militari, quelle delle grandi opere come il TAV oltre, naturalmente, al 'mangia mangia' diffuso di ministri, parlamentari, amministratori pubblici & co.
Ora, non è affatto vero che si cerchi di diminuire quel debito. Quello che il nostro governo cerca di fare, dato che le vacche grasse sono finite e non si possono più salvare capra e cavoli, è far mangiare i cavoli alla capra. I cavoli siamo noi e ci tolgono le pensioni, i trasporti pubblici, gli insegnanti di sostegno e le mense universitarie, oltre a tassarci la casa, il campo e poi tutto, compresa l’acqua del rubinetto. La capra sono i padroni, che prendono soldi dallo stato per fare i raddoppi delle autostrade, i viadotti e i tav, gli inceneritori, e a cui vengono regalate le ferrovie.
crisi
In questa crisi le banche hanno lo stesso ruolo dello stato capitalista-sviluppista: rubare ai poveri per dare ai ricchi
In questa crisi le banche hanno lo stesso ruolo dello stato capitalista-sviluppista: rubare ai poveri per dare ai ricchi. Perché quello che nessuno dice è che le banche appartengono agli stessi che costruiscono autostrade e ferrovie ad alta velocità, dighe e palazzoni, catene di ipermercati. Le banche prestano i nostri soldi ai loro padroni per costruire i palazzoni o le catene di ipermercati; se poi i palazzi non si vendono o gli ipermercati sono in perdita, lo stato rimpingua le banche coi nostri soldi.
Forse il quadro è schematico, ma a volte gli schemi aiutano a fare un po’ d’ordine.
Tuttavia, a molti sembrerà strano ma io non riesco a considerare tutto questo di importanza fondamentale. Certamente è importante, condiziona e condizionerà le nostre vite, ma non è fondamentale. Alle fondamenta delle nostre vite ci sono altre cose: l’aria, l’acqua, la terra. Che stanno andando alla malora e che gli economisti non considerano. Pare anzi che non le consideri quasi nessuno, tranne i superstiti popoli 'primitivi', eppure l’ambiente naturale dovrebbe condizionare anche l’economia.
Per esempio, se il petrolio sottoterra finisce, si può sempre andare a cercarlo sotto il mare; aumentano i costi ma si può aumentare anche il prezzo o farsi sovvenzionare da governi servi. Ma se la piattaforma salta in aria e la marea nera distrugge l’industria della pesca e quella del turismo? E se tempeste inaudite distruggono porti e radono al suolo migliaia di ettari di foresta di legname da esportazione? E se lo tsunami, dato che non ci sono più i mangrovieti a fermare l’onda, spazza via anche gli allevamenti di gamberetti?
Qualcuno ha detto che chi crede in una crescita illimitata, in un pianeta limitato, può essere solo un folle o un economista. Voi cosa pensate, che i nostri governanti, politici, mas mediatori ovvero 'giornalisti' siano economisti o siano folli?
di Sonia Savioli
Partitocrazia, tasse, spending review, rivoluzione
“NOI CONTINUEREMO A MANGIARE SULLA SPESA PUBBLICA, PERCIO’ VOI DOVETE PAGARE SEMPRE PIU’ TASSE, ANCHE OLTRE IL LIVELLO ATTUALE (CA. 70% SULL’EMERSO, 50% SUL TOTALE)”.
Questo è il messaggio che la politica lancia al popolo con la beffarda spending review di 2,2 miliardi su circa 300 tra spesa per acquisti di beni e servizi e spesa per opere pubbliche – una spesa che è gonfiata grosso modo del 50%, ossia della quale politici e burocrati mangiano circa la metà. Che il gonfiaggio sia di quest’ordine lo dimostrano molti elementi: dalla pratica di moltiplicare il corrispettivo degli appalti in corso d’opera, a quella di moltiplicare il costo delle forniture ospedaliere di molte volte da Milano a Palermo).
La politica non rinuncia a rubare e a sprecare perché quello è il suo guadagno e la sua fonte di mezzi per comprare consensi. Perciò parla di pagare le tasse come di un dovere assoluto, metafisico, indipendentemente dall’uso che la politica ne fa:
“DOVETE PAGARE LE TASSE ANCHE SE NOI LE USIAMO MALISSIMO E SE LE RUBIAMO”.
Se si andasse a sindacare come le spendono, altroché pagargli le tasse, li si toglierebbe in blocco dalle spese.
Lo Stato è l’azienda della partitocrazia, che attraverso di esso realizza i suoi profitti. Dal punto di vista dei politici, il conto dei profitti e delle perdite di questa loro azienda si presenta così:
A- RICAVI
Tributi
Sanzioni pecuniarie
Proventi da cessione di beni e servizi pubblici
[altri]
+ TOTALE RICAVI
B- COSTI PUBBLICI
Oneri finanziari
Costi legittimi: investimenti, spese sociali, spese nell’interesse del paese – per il personale, per acquisti di beni e servizi, per appalti
[altri]
C- COSTI POLITICI
Costi illegittimi: spese clientelari per comperare i consensi – investimenti, spese sociali, spese nell’interesse del paese – per il personale, per acquisti di beni e servizi, per appalti
A – B – C = UTILE INTASCABILE DAI POLITICI
+ Finanziamento pubblico dei partiti e dei loro organi di stampa
+ Proventi da corruzione
+ Regalie lecite
- Sopravvenienze giudiziarie (parcelle legali, pene pecuniarie, risarcimenti passivi)
TOTALE PROFITTI DEI POLITICI ____________
E’ chiaro, dunque, che i partiti hanno interesse ad aumentare continuamente le tasse e le multe, mentre hanno interesse a diminuire la spesa utile per il paese, onde avere più soldi per comperare i consensi e più soldi da intascarsi personalmente. Il rischio di una condanna penale, per il politico, è semplicemente il rischio di impresa, il suo rischio professionale.
Come naturale, i partiti avversari si uniscono tra di loro nella difesa del loro reddito e potere. Niente è servito a cambiare le cose: non le riforme elettorali, non i cambi di maggioranza, non le indagini giudiziarie, non i partiti di protesta.
Ovviamente, questo sistema non dà alcuna rappresentanza ai cittadini. Quindi lo Stato che abbiamo, con le sue regole, le sue tasse, il suo esattore Equitalia è completamente illegittimo rispetto ai principi costituzionali.
Al contempo, lo spreco di circa 150 miliardi l’anno solo per i due capitoli di spesa suddetti impedisce di fare investimenti e di ridurre il debito pubblico, che esso stesso ha generato. La partitocrazia non rinuncerà mai a rubare, e neppure si lascia sostituire, quindi il paese è condannato.
La soluzione, in astratto, sarebbe una rivoluzione violenta che eliminasse fisicamente la partitocrazia assieme a tutti i suoi ausiliari, e creasse le condizioni sia per la democrazia che per la legalità e per lo sviluppo. Un terzo della popolazione dichiara di sperare nella rivoluzione.
La rivoluzione però non è possibile a causa dei caratteri della società italiana: mancano la fiducia sociale e la lealtà sociale necessarie per fare una rivoluzione, per costituire un movimento rivoluzionario. Per non parlare della mancanza di coraggio fisico e dell’inclinazione al servilismo infedele – altri due tipici tratti nazionali. E anche perché il ceto politico italiano è espressione della mentalità della popolazione generale.
Quindi, anche considerando i rapporti col contesto europeo e mondiale, l’Italia continuerà il suo declino più o meno rapido e più o meno sussultorio, e che i capitali stranieri potranno rilevarne i pezzi utili con gli avanzi commerciali accumulati, approfittando della crisi finanziaria irreversibile del paese.
La linea sostanziale della governance italiana, da molto tempo, è quindi quella di cavalcare questo processo e predisporne l’esito, nell’interesse del capitale straniero (soprattutto tedesco) che deve fare questo take-over dell’Italia, coniugando i suoi interessi con le forze reali italiane: partitocrazia, burocrazia, finanza, mafie.
Oggettivamente, sono gli interessi stranieri e quelli di queste forze a venire tutelati e promossi dalle scelte politiche, soprattutto degli ultimi anni: agevolazioni alle acquisizioni di aziende e servizi strategici da parte di capitali stranieri, aumento dei soldi per spesa partitocratica e burocratica (incluse le pensioni d’oro), politiche creditizie che soffocano la piccola imprenditoria italiana normale facendo largo a quella straniera e a quella mafiosa e alla grande distribuzione perlopiù straniera. Questi sono solo alcuni esempi generici, ovviamente.
Nel breve termine, queste politiche “europee” vanno a dissolvere il risparmio, il reddito e la piccola impresa nazionale, concentrando il denaro nelle mani di banche, assicurazioni, partitocrazia, mafie, così che questi soggetti potranno partecipare, assieme ai capitali stranieri, al take over del paese dopo il suo ormai non lontano collasso terminale.
Ecco spiegata la logica, perfettamente realistica, di politiche economiche altrimenti assurde e inspiegabili, portate tenacemente avanti, dal centro destra come dal centro sinistra, anche dopo il loro fallimento rispetto ai loro scopi dichiarati.
di Marco Della Luna
16 maggio 2012
La JPMorgan scommette, specula e la fa franca
JPMorgan ha perso più di 2 miliardi di dollari a causa di scommesse speculative.
“E' semplicemente irrazionale consentire che esistano certi istituti finanziari.”
“Né i democratici né i repubblicani hanno il coraggio di riformare le banche”.
“Sono i contribuenti a farne le spese quando le banche, come JPMorgan, possono stravolgere le regole”.
(CNN) – JP Morgan Chase può essere considerata una istituzione sistematicamente pericolosa, il che significa che è "troppo grande per fallire", perché il governo teme che il suo crollo causerebbe una crisi finanziaria globale.
E' semplicemente irrazionale consentire che una tale istituzione esista, particolarmente perché può facilmente incappare in una perdita di gestione ordinaria di due miliardi di dollari.
Le banche sono più efficienti quando sono controllate in modo da non poter più mettere in pericolo l'economia mondiale. Ma visto che le banche JP Morgan e simili sono i maggiori patrocinatori di democratici e repubblicani, nessun partito politico ha il coraggio di ordinare loro di riformarsi.
La Regola Volcker, che ha lo scopo di evitare alle banche assicurate di impelagarsi in scommesse speculative, è stata approvata nell'ambito del Dodd-Frank Act nonostante le obiezioni del Segretario del Tesoro Timothy Geithner e quasi tutta la delegazione repubblicana del Congresso.
Già nel 2008, quando la crisi finanziaria ci ha colpito duramente, sono andate in rovina una serie di grandi istituzioni. AIG, Merrill Lynch, Bear Stearns, Lehman Brothers, Fannie Mae, Freddie Mac, Washington Mutual e Wachovia hanno subito enormi perdite sui loro derivati tossici, particolarmente le obbligazioni di debito collaterale (CDO) e i credit default swaps (CDS), meglio conosciuti come "green slime- bava verde ". Sarebbe bello pensare che qualcuno abbia imparato una lezione. Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, adesso è d'accordo che le banche non dovrebbero investire in “ derivati”. Ma i sussidi governativi sono una spinta per incoraggiare la frode e la speculazione.
JP Morgan, la più grande banca della nazione, riceve una sovvenzione federale esplicita (l'assicurazione sui depositi) e un altro, ben più sostanzioso, sussidio federale implicito. E’ scorretto per una megabanca utilizzare queste sovvenzioni per speculare sui derivati. E tuttavia può farlo quasi senza gravi conseguenze normative.
Le istituzioni finanziarie, come JP Morgan amano comprare i derivati perché non sono trasparenti e creano un reddito fittizio che porta “bonus veri e propri” e quando (…. non se …) le perdite diventano tanto grandi da spingere la banca al fallimento, c’è sempre qualcuno che la salverà.
La “Volcker Rule è stata inserita nel “Dodd-Frank Act” per risolvere il problema.
Tuttavia, JP Morgan ha fatto il tentativo di sventrare la Volcker Rule e le disposizioni che richiedono trasparenza. JP Morgan è il più grande acquirente del mondo di strumenti finanziari derivati dalle proprietà - esattamente quella attività a cui la Volcker Rule ha cercato di porre fine. La banca dichiara di non essere impegnata in compravendite- immobiliari ma che acquista i derivati esclusivamente per la loro copertura.
Questa dichiarazione è un esempio di ciò che Stephen Colbert intendeva quando ha inventato il termine: "truthiness". (La qualità di affermare concetti che si vuole o si crede che siano veri, malgrado i fatti reali dimostrino il contrario).
Si definisce “ hedge/siepe” un investimento che compensa le perdite con un altro investimento. Le siepi immaginate da JP Morgan non sono “siepi” basate su delle regole contabili perché hanno dimostrato di non funzionare come copertura.
JP Morgan ha comprato decine di miliardi di dollari di derivati che hanno aumentato le perdite, piuttosto che ridurle. Queste operazioni si chiamano “Anti-Hedges- Antisiepi" - in altre parole, hanno creato un "hedginess" - un parallelo immaginario del "truthiness". Allora l'approccio della banca all’"hedginess" è stato fatto per coprire le proprie perdite, quindi vorrebbe acquistare un derivato, se crede che i derivati siano una hedge/siepe o qualcos'altro: quindi se lo crede si “deve trattare di un hedge/siepe”.
Le norme interpretative della Regola Volcker consentono queste false operazioni di copertura solo perché JP Morgan ha fatto pressione per rendere questa regola inutile.
JP Morgan asserisce che queste anti-siepi (che sono profondamente dannose e immorali) devono essere considerate vere "siepi", in quanto solo questo termine è contemplato nelle norme del regolamento di attuazione della Volcker Rule.
Ma se l’“hedginess” è ammissibile, ”ergo”la regola Volcker è inapplicabile.
Si tratta di un trucco della JP Morgan con cui è stata capace di creare una ulteriore perdita di $ 2 miliardi con investimenti che avrebbero dovuto essere autorizzati solo per ridurre le perdite. Il governo deve rivedere i regolamenti e rifiutare l’assurda interpretazione di JP Morgan sulle anti-siepi di copertura.
Le false siepi sono un abuso generalizzato, pericoloso e sono una forma letale di speculazione. Dal 2003 al 2006, la Commissione Securities and Exchange ha scoperto che i giganti dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac violavano l'hedge accounting per massimizzare i bonus dei loro dirigenti. Le siepi finte di Fannie, come quelle di JP Morgan, hanno aumentato le loro perdite. Il Dipartimento di Giustizia non è riuscito a fare un processo, e i dirigenti se ne sono andati più ricchi di prima. I loro successori hanno fatto scoppiare il “caso Fannie” e il tutto è costato ai contribuenti qualche centinaio di miliardi di dollari.
Quando un amministratore delegato della banca è onesto, ma incompetente, le siepi finte oltre ad aumentare i rischi, creano anche un diffuso compiacimento ingiustificato che la copertura abbia compensato il rischio. E’ così che si possono provocare perdite catastrofiche.
Un amministratore delegato disonesto di una banca usa le false siepi per saccheggiare la banca creando un reddito immaginario e nascondendo le perdite reali. Un reddito falsificato rende ricco il CEO grazie ai suoi compensi massimizzati.
L’ attuale speculazione in derivati della JP Morgan indebolisce ma non uccide la banca. Se questa e altre istituzioni sistematicamente pericolose continueranno ancora a poter giocare con l’ hedginess, sarà solo questione di tempo, ma si ripeterà un’altra crisi finanziaria. E chi la pagherà ? I contribuenti come voi e me, naturalmente.
di William K. Black
William K. Black è professore associato di economia e diritto presso l'Università del Missouri-Kansas City. Ex consulente finanziario per il governo e esperto di criminologia dei colletti bianchi, è autore di "The Best Way to Rob a Bank is to Own One." .
Fonte: http://edition.cnn.com
Link: http://edition.cnn.com/2012/05/14/opinion/black-jpmorgan-banks/index.html
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17 maggio 2012
Quella crisi prodotta dalla nostra stessa economia
"Per spiegare la crisi si parla di banche e di debito pubblico, di finanza piratesca e di speculazioni, ma tutto questo non è che la deriva di un’economia. Come le metastasi di un tumore non sono che lo sviluppo 'naturale' del tumore stesso". E intanto, mentre ci si preoccupa di salvare un modello economico fallimentare e insostenibile, si ignorano le fondamenta delle nostre vite che, inesorabilmente, stanno andando alla malora: l’aria, l’acqua, la terra.
crisi economica
Per spiegare la crisi si parla di banche e di debito pubblico, di finanza piratesca e di speculazioni ma tutto questo non è che la deriva di un modello economico
Rimango sempre sconcertata quando leggo le analisi anche di prestigiosi economisti sulle ragioni e gli sviluppi della crisi economica. Io non sono un economista ma le cose ovvie e palesi credo di essere in grado di vederle e comprenderle. Così come non sono un geologo ma, se vedo un bosco tagliato a raso su un ripido pendio dal terreno sciolto, non ho bisogno del parere di esperti per capire in futuro cosa avrà determinato la frana di quel pendio. Può darsi che gli 'specialisti' siano svantaggiati: a furia di scrutare nel profondo si finisce, come dice Tolkien, per non vedere la realtà nel suo complesso, quella che sta alla luce del sole.
Per spiegare la crisi si parla di banche e di debito pubblico, di finanza piratesca e di speculazioni ma tutto questo non è che la deriva di un’economia. Come le metastasi di un tumore non sono che lo sviluppo 'naturale' del tumore stesso.
Alla base di qualsiasi economia ci sono cose concrete e semplici: le risorse materiali e il lavoro umano. In un’economia capitalista quelle risorse si chiamano 'materie prime' e/o 'merci'.
In un’economia capitalista, e cioè in una società di dominio e competizione, le risorse materiali vengono sottratte all’ambiente e ai popoli che di esse vivevano senza alcuno scrupolo e senza alcun limite; il lavoro poi, in tale economia, significa il maggior sfruttamento possibile, considerati i rapporti di forza.
Essendo un’economia basata sul dominio e sulla competizione, come la società che l’ha generata, è inevitabile che cerchi sempre di superare i limiti, di 'crescere'. La globalizzazione è stato un salto quantitativo e qualitativo in tale crescita: i capitalisti di tutto il mondo hanno cominciato a 'de-localizzare'. Questa parolina inventata, come tante ultimamente, per nascondere la realtà, significa di fatto far produrre le proprie merci in paesi asserviti e impoveriti, per non pagare i lavoratori ridotti ormai a poco più che schiavi.
carrelli
La globalizzazione è stata, fino a un certo punto del suo sviluppo, la causa di un aumento vertiginoso dei consumi nel mondo occidentale
A me, e spero non solo a me, da quando la globalizzazione neoliberista ha trionfato, è sembrato chiaro che la fine dell’economia capitalista era alle porte, e proprio a causa della sua incapacità di darsi dei limiti e di rispettarli. Del resto, competizione e limiti sono in antitesi, così come sono in antitesi dominio e rispetto.
La globalizzazione è stata, fino a un certo punto del suo sviluppo, la causa di un aumento vertiginoso dei consumi nel mondo occidentale, cioè in quello dominante: i paesi asserviti ci davano le loro preziose materie prima in cambio di quasi nulla, le loro popolazioni asservite lavoravano per i nostri capitalisti (detti 'imprenditori') in cambio di quasi nulla. Così noi per quattro lire potevamo comperare cibo e benzina, scarpe e vestiti, borse e mobili.
Qualche inconveniente si manifestò subito: i nostri contadini, per esempio, si trovarono a dover fronteggiare la concorrenza dei prodotti agricoli che venivano dai paesi schiavi e che costavano cifre da vergogna. Arrendersi o perire. Furono costretti a rinunciare all’agricoltura o ad abbassare i prezzi a livelli schiavistici. L’Italia è piena di piccoli agricoltori che fanno il doppio lavoro: un lavoro fuori dalla loro azienda per mantenere la famiglia, l’altro nella loro campagna perché non hanno cuore di abbandonarla. Ma finché si trattava dei contadini, questi fantasmi della nostra civiltà che danno da mangiare a tutti, nessuno si mise a parlare di crisi.
Come si poteva parlare di crisi mentre il potere d’acquisto degli italiani cresceva vertiginosamente e ci rotolavamo in un’orgia di consumi superflui e spreco? I bambini indiani producevano le nostre scarpe e i nostri tappeti, quelli turchi i nostri golfini, gli schiavi della Del Monte i nostri ananas… roba quasi regalata. E intanto noi lavoravamo come operai elettronici, impiegate, architetti d’interni, programmatori informatici, ma… chi si ferma è perduto. Man mano sono state 'de- localizzate' tutte le attività che era possibile delocalizzare: ci sono call center ('centralini' in italiano) di aziende occidentali in India e in Tunisia e fabbriche di mobili occidentali in Indonesia.
disoccupazione
Tra disoccupazione o condizioni di lavoro da terzo mondo, che fine faranno i consumatori occidentali?
Tutto questo non poteva avere che una conseguenza a lungo andare: la disoccupazione dei lavoratori occidentali. E allora, se produzione, terziario e persino servizi vengono spostati nei paesi in cui i lavoratori sono sottopagati e i lavoratori occidentali possono scegliere, a quel punto, solo tra disoccupazione o condizioni di lavoro da terzo mondo, che fine faranno i consumatori occidentali (che sono stati le colonne della 'crescita' e dello 'sviluppo')?
Il destino del Consumatore Occidentale, una volta che in Occidente scompaiono i lavoratori adeguatamente remunerati, è un fatale declino fino all’estinzione. Con quali soldi il disoccupato, il co.co.co., il sottopagato possono pagare i mobili anche se fatti in Indonesia, le scarpe pachistane, le borse cinesi?
Ed ecco che la competizione e il trionfo finale dell’imperialismo economico (e non solo) hanno prodotto la propria stessa crisi. Come per tutti gli imperi, il trionfo finale, in questo caso la globalizzazione neoliberista, era solo l’inizio dell’implosione finale: un’economia basata sui consumi superflui e frenetici è riuscita, per la brama insaziabile di sviluppo e crescita insita in lei stessa, a distruggere le basi sulle quali poggiava: il consumatore occidentale e il consumismo.
Questo, ovviamente, mentre già aveva impoverito anche i popoli del resto del mondo: quell’impoverimento era una delle condizioni dell’aumento del profitto capitalista e della ricchezza occidentale. E adesso?
portafogli vuoto
Impoverire i ceti medi, dopo i lavoratori salariati, non potrà che diminuire anche i consumi che finora avevano retto
Si potrebbe dire “chi la fa l’aspetti”. Non ci siamo mai preoccupati delle crisi che il neoliberismo imponeva ai paesi di Africa, Asia, America Latina, est Europa. Non abbiamo lottato per migliori condizioni di lavoro di operai o braccianti o minatori peruviani o senegalesi. Se l’avessimo fatto, forse non avremmo subito la loro involontaria concorrenza; forse il neoliberismo sarebbe crollato prima di distruggere ambiente e società umana; forse la storia avrebbe preso un altro corso. Però coi 'se' e coi 'ma' la storia non si fa e nemmeno coi 'forse'. Adesso lo sfruttamento disumano di quei popoli si ritorce contro di noi, che finora ne avevamo beneficiato.
Adesso anche i nostri governi, del tutto asserviti agli interessi del grande padronato mondiale, ci 'svendono' ai loro e nostri padroni: riducono salari e servizi sociali, aumentano tasse e vincoli in modo da distruggere anche la piccola impresa privata e il piccolo commercio, eliminano i diritti dei lavoratori. E tutto questo non farà che accelerare la conclusione: impoverire i ceti medi, dopo i lavoratori salariati, non potrà che diminuire anche i consumi che finora avevano retto.
Quanto al mitico debito pubblico, le sue cause sono più semplici di quello che si vuole far credere. Le spese che hanno contribuito maggiormente all’indebitamento dell’Italia, per esempio, sono state quelle militari, quelle delle grandi opere come il TAV oltre, naturalmente, al 'mangia mangia' diffuso di ministri, parlamentari, amministratori pubblici & co.
Ora, non è affatto vero che si cerchi di diminuire quel debito. Quello che il nostro governo cerca di fare, dato che le vacche grasse sono finite e non si possono più salvare capra e cavoli, è far mangiare i cavoli alla capra. I cavoli siamo noi e ci tolgono le pensioni, i trasporti pubblici, gli insegnanti di sostegno e le mense universitarie, oltre a tassarci la casa, il campo e poi tutto, compresa l’acqua del rubinetto. La capra sono i padroni, che prendono soldi dallo stato per fare i raddoppi delle autostrade, i viadotti e i tav, gli inceneritori, e a cui vengono regalate le ferrovie.
crisi
In questa crisi le banche hanno lo stesso ruolo dello stato capitalista-sviluppista: rubare ai poveri per dare ai ricchi
In questa crisi le banche hanno lo stesso ruolo dello stato capitalista-sviluppista: rubare ai poveri per dare ai ricchi. Perché quello che nessuno dice è che le banche appartengono agli stessi che costruiscono autostrade e ferrovie ad alta velocità, dighe e palazzoni, catene di ipermercati. Le banche prestano i nostri soldi ai loro padroni per costruire i palazzoni o le catene di ipermercati; se poi i palazzi non si vendono o gli ipermercati sono in perdita, lo stato rimpingua le banche coi nostri soldi.
Forse il quadro è schematico, ma a volte gli schemi aiutano a fare un po’ d’ordine.
Tuttavia, a molti sembrerà strano ma io non riesco a considerare tutto questo di importanza fondamentale. Certamente è importante, condiziona e condizionerà le nostre vite, ma non è fondamentale. Alle fondamenta delle nostre vite ci sono altre cose: l’aria, l’acqua, la terra. Che stanno andando alla malora e che gli economisti non considerano. Pare anzi che non le consideri quasi nessuno, tranne i superstiti popoli 'primitivi', eppure l’ambiente naturale dovrebbe condizionare anche l’economia.
Per esempio, se il petrolio sottoterra finisce, si può sempre andare a cercarlo sotto il mare; aumentano i costi ma si può aumentare anche il prezzo o farsi sovvenzionare da governi servi. Ma se la piattaforma salta in aria e la marea nera distrugge l’industria della pesca e quella del turismo? E se tempeste inaudite distruggono porti e radono al suolo migliaia di ettari di foresta di legname da esportazione? E se lo tsunami, dato che non ci sono più i mangrovieti a fermare l’onda, spazza via anche gli allevamenti di gamberetti?
Qualcuno ha detto che chi crede in una crescita illimitata, in un pianeta limitato, può essere solo un folle o un economista. Voi cosa pensate, che i nostri governanti, politici, mas mediatori ovvero 'giornalisti' siano economisti o siano folli?
di Sonia Savioli
Partitocrazia, tasse, spending review, rivoluzione
“NOI CONTINUEREMO A MANGIARE SULLA SPESA PUBBLICA, PERCIO’ VOI DOVETE PAGARE SEMPRE PIU’ TASSE, ANCHE OLTRE IL LIVELLO ATTUALE (CA. 70% SULL’EMERSO, 50% SUL TOTALE)”.
Questo è il messaggio che la politica lancia al popolo con la beffarda spending review di 2,2 miliardi su circa 300 tra spesa per acquisti di beni e servizi e spesa per opere pubbliche – una spesa che è gonfiata grosso modo del 50%, ossia della quale politici e burocrati mangiano circa la metà. Che il gonfiaggio sia di quest’ordine lo dimostrano molti elementi: dalla pratica di moltiplicare il corrispettivo degli appalti in corso d’opera, a quella di moltiplicare il costo delle forniture ospedaliere di molte volte da Milano a Palermo).
La politica non rinuncia a rubare e a sprecare perché quello è il suo guadagno e la sua fonte di mezzi per comprare consensi. Perciò parla di pagare le tasse come di un dovere assoluto, metafisico, indipendentemente dall’uso che la politica ne fa:
“DOVETE PAGARE LE TASSE ANCHE SE NOI LE USIAMO MALISSIMO E SE LE RUBIAMO”.
Se si andasse a sindacare come le spendono, altroché pagargli le tasse, li si toglierebbe in blocco dalle spese.
Lo Stato è l’azienda della partitocrazia, che attraverso di esso realizza i suoi profitti. Dal punto di vista dei politici, il conto dei profitti e delle perdite di questa loro azienda si presenta così:
A- RICAVI
Tributi
Sanzioni pecuniarie
Proventi da cessione di beni e servizi pubblici
[altri]
+ TOTALE RICAVI
B- COSTI PUBBLICI
Oneri finanziari
Costi legittimi: investimenti, spese sociali, spese nell’interesse del paese – per il personale, per acquisti di beni e servizi, per appalti
[altri]
C- COSTI POLITICI
Costi illegittimi: spese clientelari per comperare i consensi – investimenti, spese sociali, spese nell’interesse del paese – per il personale, per acquisti di beni e servizi, per appalti
A – B – C = UTILE INTASCABILE DAI POLITICI
+ Finanziamento pubblico dei partiti e dei loro organi di stampa
+ Proventi da corruzione
+ Regalie lecite
- Sopravvenienze giudiziarie (parcelle legali, pene pecuniarie, risarcimenti passivi)
TOTALE PROFITTI DEI POLITICI ____________
E’ chiaro, dunque, che i partiti hanno interesse ad aumentare continuamente le tasse e le multe, mentre hanno interesse a diminuire la spesa utile per il paese, onde avere più soldi per comperare i consensi e più soldi da intascarsi personalmente. Il rischio di una condanna penale, per il politico, è semplicemente il rischio di impresa, il suo rischio professionale.
Come naturale, i partiti avversari si uniscono tra di loro nella difesa del loro reddito e potere. Niente è servito a cambiare le cose: non le riforme elettorali, non i cambi di maggioranza, non le indagini giudiziarie, non i partiti di protesta.
Ovviamente, questo sistema non dà alcuna rappresentanza ai cittadini. Quindi lo Stato che abbiamo, con le sue regole, le sue tasse, il suo esattore Equitalia è completamente illegittimo rispetto ai principi costituzionali.
Al contempo, lo spreco di circa 150 miliardi l’anno solo per i due capitoli di spesa suddetti impedisce di fare investimenti e di ridurre il debito pubblico, che esso stesso ha generato. La partitocrazia non rinuncerà mai a rubare, e neppure si lascia sostituire, quindi il paese è condannato.
La soluzione, in astratto, sarebbe una rivoluzione violenta che eliminasse fisicamente la partitocrazia assieme a tutti i suoi ausiliari, e creasse le condizioni sia per la democrazia che per la legalità e per lo sviluppo. Un terzo della popolazione dichiara di sperare nella rivoluzione.
La rivoluzione però non è possibile a causa dei caratteri della società italiana: mancano la fiducia sociale e la lealtà sociale necessarie per fare una rivoluzione, per costituire un movimento rivoluzionario. Per non parlare della mancanza di coraggio fisico e dell’inclinazione al servilismo infedele – altri due tipici tratti nazionali. E anche perché il ceto politico italiano è espressione della mentalità della popolazione generale.
Quindi, anche considerando i rapporti col contesto europeo e mondiale, l’Italia continuerà il suo declino più o meno rapido e più o meno sussultorio, e che i capitali stranieri potranno rilevarne i pezzi utili con gli avanzi commerciali accumulati, approfittando della crisi finanziaria irreversibile del paese.
La linea sostanziale della governance italiana, da molto tempo, è quindi quella di cavalcare questo processo e predisporne l’esito, nell’interesse del capitale straniero (soprattutto tedesco) che deve fare questo take-over dell’Italia, coniugando i suoi interessi con le forze reali italiane: partitocrazia, burocrazia, finanza, mafie.
Oggettivamente, sono gli interessi stranieri e quelli di queste forze a venire tutelati e promossi dalle scelte politiche, soprattutto degli ultimi anni: agevolazioni alle acquisizioni di aziende e servizi strategici da parte di capitali stranieri, aumento dei soldi per spesa partitocratica e burocratica (incluse le pensioni d’oro), politiche creditizie che soffocano la piccola imprenditoria italiana normale facendo largo a quella straniera e a quella mafiosa e alla grande distribuzione perlopiù straniera. Questi sono solo alcuni esempi generici, ovviamente.
Nel breve termine, queste politiche “europee” vanno a dissolvere il risparmio, il reddito e la piccola impresa nazionale, concentrando il denaro nelle mani di banche, assicurazioni, partitocrazia, mafie, così che questi soggetti potranno partecipare, assieme ai capitali stranieri, al take over del paese dopo il suo ormai non lontano collasso terminale.
Ecco spiegata la logica, perfettamente realistica, di politiche economiche altrimenti assurde e inspiegabili, portate tenacemente avanti, dal centro destra come dal centro sinistra, anche dopo il loro fallimento rispetto ai loro scopi dichiarati.
di Marco Della Luna
16 maggio 2012
La JPMorgan scommette, specula e la fa franca
JPMorgan ha perso più di 2 miliardi di dollari a causa di scommesse speculative.
“E' semplicemente irrazionale consentire che esistano certi istituti finanziari.”
“Né i democratici né i repubblicani hanno il coraggio di riformare le banche”.
“Sono i contribuenti a farne le spese quando le banche, come JPMorgan, possono stravolgere le regole”.
(CNN) – JP Morgan Chase può essere considerata una istituzione sistematicamente pericolosa, il che significa che è "troppo grande per fallire", perché il governo teme che il suo crollo causerebbe una crisi finanziaria globale.
E' semplicemente irrazionale consentire che una tale istituzione esista, particolarmente perché può facilmente incappare in una perdita di gestione ordinaria di due miliardi di dollari.
Le banche sono più efficienti quando sono controllate in modo da non poter più mettere in pericolo l'economia mondiale. Ma visto che le banche JP Morgan e simili sono i maggiori patrocinatori di democratici e repubblicani, nessun partito politico ha il coraggio di ordinare loro di riformarsi.
La Regola Volcker, che ha lo scopo di evitare alle banche assicurate di impelagarsi in scommesse speculative, è stata approvata nell'ambito del Dodd-Frank Act nonostante le obiezioni del Segretario del Tesoro Timothy Geithner e quasi tutta la delegazione repubblicana del Congresso.
Già nel 2008, quando la crisi finanziaria ci ha colpito duramente, sono andate in rovina una serie di grandi istituzioni. AIG, Merrill Lynch, Bear Stearns, Lehman Brothers, Fannie Mae, Freddie Mac, Washington Mutual e Wachovia hanno subito enormi perdite sui loro derivati tossici, particolarmente le obbligazioni di debito collaterale (CDO) e i credit default swaps (CDS), meglio conosciuti come "green slime- bava verde ". Sarebbe bello pensare che qualcuno abbia imparato una lezione. Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, adesso è d'accordo che le banche non dovrebbero investire in “ derivati”. Ma i sussidi governativi sono una spinta per incoraggiare la frode e la speculazione.
JP Morgan, la più grande banca della nazione, riceve una sovvenzione federale esplicita (l'assicurazione sui depositi) e un altro, ben più sostanzioso, sussidio federale implicito. E’ scorretto per una megabanca utilizzare queste sovvenzioni per speculare sui derivati. E tuttavia può farlo quasi senza gravi conseguenze normative.
Le istituzioni finanziarie, come JP Morgan amano comprare i derivati perché non sono trasparenti e creano un reddito fittizio che porta “bonus veri e propri” e quando (…. non se …) le perdite diventano tanto grandi da spingere la banca al fallimento, c’è sempre qualcuno che la salverà.
La “Volcker Rule è stata inserita nel “Dodd-Frank Act” per risolvere il problema.
Tuttavia, JP Morgan ha fatto il tentativo di sventrare la Volcker Rule e le disposizioni che richiedono trasparenza. JP Morgan è il più grande acquirente del mondo di strumenti finanziari derivati dalle proprietà - esattamente quella attività a cui la Volcker Rule ha cercato di porre fine. La banca dichiara di non essere impegnata in compravendite- immobiliari ma che acquista i derivati esclusivamente per la loro copertura.
Questa dichiarazione è un esempio di ciò che Stephen Colbert intendeva quando ha inventato il termine: "truthiness". (La qualità di affermare concetti che si vuole o si crede che siano veri, malgrado i fatti reali dimostrino il contrario).
Si definisce “ hedge/siepe” un investimento che compensa le perdite con un altro investimento. Le siepi immaginate da JP Morgan non sono “siepi” basate su delle regole contabili perché hanno dimostrato di non funzionare come copertura.
JP Morgan ha comprato decine di miliardi di dollari di derivati che hanno aumentato le perdite, piuttosto che ridurle. Queste operazioni si chiamano “Anti-Hedges- Antisiepi" - in altre parole, hanno creato un "hedginess" - un parallelo immaginario del "truthiness". Allora l'approccio della banca all’"hedginess" è stato fatto per coprire le proprie perdite, quindi vorrebbe acquistare un derivato, se crede che i derivati siano una hedge/siepe o qualcos'altro: quindi se lo crede si “deve trattare di un hedge/siepe”.
Le norme interpretative della Regola Volcker consentono queste false operazioni di copertura solo perché JP Morgan ha fatto pressione per rendere questa regola inutile.
JP Morgan asserisce che queste anti-siepi (che sono profondamente dannose e immorali) devono essere considerate vere "siepi", in quanto solo questo termine è contemplato nelle norme del regolamento di attuazione della Volcker Rule.
Ma se l’“hedginess” è ammissibile, ”ergo”la regola Volcker è inapplicabile.
Si tratta di un trucco della JP Morgan con cui è stata capace di creare una ulteriore perdita di $ 2 miliardi con investimenti che avrebbero dovuto essere autorizzati solo per ridurre le perdite. Il governo deve rivedere i regolamenti e rifiutare l’assurda interpretazione di JP Morgan sulle anti-siepi di copertura.
Le false siepi sono un abuso generalizzato, pericoloso e sono una forma letale di speculazione. Dal 2003 al 2006, la Commissione Securities and Exchange ha scoperto che i giganti dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac violavano l'hedge accounting per massimizzare i bonus dei loro dirigenti. Le siepi finte di Fannie, come quelle di JP Morgan, hanno aumentato le loro perdite. Il Dipartimento di Giustizia non è riuscito a fare un processo, e i dirigenti se ne sono andati più ricchi di prima. I loro successori hanno fatto scoppiare il “caso Fannie” e il tutto è costato ai contribuenti qualche centinaio di miliardi di dollari.
Quando un amministratore delegato della banca è onesto, ma incompetente, le siepi finte oltre ad aumentare i rischi, creano anche un diffuso compiacimento ingiustificato che la copertura abbia compensato il rischio. E’ così che si possono provocare perdite catastrofiche.
Un amministratore delegato disonesto di una banca usa le false siepi per saccheggiare la banca creando un reddito immaginario e nascondendo le perdite reali. Un reddito falsificato rende ricco il CEO grazie ai suoi compensi massimizzati.
L’ attuale speculazione in derivati della JP Morgan indebolisce ma non uccide la banca. Se questa e altre istituzioni sistematicamente pericolose continueranno ancora a poter giocare con l’ hedginess, sarà solo questione di tempo, ma si ripeterà un’altra crisi finanziaria. E chi la pagherà ? I contribuenti come voi e me, naturalmente.
di William K. Black
William K. Black è professore associato di economia e diritto presso l'Università del Missouri-Kansas City. Ex consulente finanziario per il governo e esperto di criminologia dei colletti bianchi, è autore di "The Best Way to Rob a Bank is to Own One." .
Fonte: http://edition.cnn.com
Link: http://edition.cnn.com/2012/05/14/opinion/black-jpmorgan-banks/index.html
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