26 maggio 2012

Spostare la priorità dalla crescita del PIL alla crescita dell’occupazione in lavori utili

Appello di imprenditori, tecnici, consulenti ed attivisti del Movimento per la Decrescita Felice per un cambio di priorità in Italia nelle scelte economiche ed industriali, al fine di iniziare a superare l’attuale crisi di sistema In tempi normali è sufficiente gestire l’ordinaria amministrazione con accortezza perché tutto proceda bene. Il governo può condurre la sua politica industriale mediando fra gli interessi di ognuna delle parti coinvolte nei processi economici, cercando di trovare punti di incontro per la difesa degli interessi generali. Ma quando, come ora, si vivono grandi cambiamenti epocali, dove masse sempre più grandi di persone soffrono per mancanza di lavoro, Occorre rimettere in discussione idee consolidate, in particolare il dogma della crescita continua del Prodotto Interno Lordo. Vediamo con apprensione che si parla di “Project Bond per realizzare grandi opere infrastrutturali. Si tratta in pratica di fare ancora altri debiti per realizzare di grandi opere finalizzate, più che alla reale utilità, al far ripartire la crescita, come se questa fosse la soluzione ad ogni male. Ancora grandi opere, ancora a debito … per riavviare la crescita e poter pagare gli interessi sul debito! Ma che follia è? E in questo teatro dell’assurdo, si inserisce anche il luogo comune del collegamento diretto fra crescita e occupazione. Si dà per scontato che la crescita faccia automaticamente aumentare l’occupazione, ma non è vero e ci sono i numeri a dimostrarlo. Dagli anni ’60 ad oggi il PIL è aumentato di quasi 4 volte, mentre l’occupazione in proporzione all’aumento della popolazione è diminuita! Ogni imprenditore sa che, nella maggior parte dei settori merceologici, l’aumento della produttività e quindi del PIL, si ottiene con l’automazione e con l’ottimizzazione dei processi produttivi e non aumentando proporzionalmente l’occupazione. Se si spendono i pochi soldi disponibili, o si creano altri debiti come quelli dei Project Bond, per fare grandi opere infrastrutturali, magari pianificate in altri tempi, prenderebbero gli appalti le solite poche grandi imprese che hanno le attrezzature necessarie. Sarebbero coinvolti qualche decina di sub appaltatori e lavorerebbero poche migliaia di operai, visto che il grosso del lavoro lo farebbero le macchine. I denari spesi sarebbero concentrati in poche mani e non servirebbero a riavviare l’economia neanche nei territori interessati dalle stesse opere, perché il grosso degli operai verrebbe da fuori. Per dimostrare le nostre tesi, abbiamo studiato i dati della galleria per il TAV in val di Susa. Abbiamo scelto questa grande opera a titolo di esempio perché sono disponibili molti dati forniti dal Ministero competente, quindi certi e utili per avviare delle comparazioni. Tali dati indicano che la nuova galleria del TAV consentirebbe di creare 2000 nuovi posti diretti e 4000 indiretti. In realtà le cifre sembrano ottimistiche, ma anche se si raggiungessero tali obiettivi occupazionali, avremmo al massimo 6000 nuovi posti di lavoro contro un investimento minimo di 8,2 mld di €, ovvero 0,73 nuovi posti per ogni milione di euro investito, sempre che il costo dei lavori non subisca aumenti esponenziali in corso d’opera come è sempre avvenuto fino ad oggi in Italia! In ogni caso la spesa sarebbe coperta a debito ribaltando ancora una volta il problema sulle generazioni future, che dovrebbero anche sorbirsi i danni ambientali e le spese per l’energia necessaria a illuminare e climatizzare l’opera. Tutte le grandi opere infrastrutturali hanno per comun denominatore l’uso del debito, di molto cemento, di molta energia e hanno quindi un impatto ambientale molto rilevante. In sintesi si può dire che sull’altare ideologico della crescita del PIL e a favore di pochi soggetti che guadagnerebbero molto denaro, sacrificheremmo ancora una volta l’ambiente, l’occupazione, gli interessi della gran parte della gente ed i diritti delle generazioni future. Si può fare diversamente? Certo che si! Bisogna solo cambiare le priorità e spendere il denaro in altro modo, partendo anche dalla consapevolezza che è convenienza di tutti investire subito le poche risorse disponibili in molte migliaia di piccoli e micro cantieri e solo successivamente, eventualmente, in grandi opere infrastrutturali. I micro cantieri dovrebbero riguardare in primo luogo l’efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati. Poi anche le bonifiche ambientali e per la messa in sicurezza del territorio rispetto agli eventi catastrofici. In uno studio dell’ENEA del 2009 (vedi allegato 1) si proponevano interventi di riqualificazione energetica in 15.000 scuole ed edifici pubblici, che attualmente spendono circa 1,8 Mld di € ogni anno in energia elettrica e termica. Con gli 8,2 miliardi di € previsti per il TAV si può risparmiare il 20% dei consumi di questi edifici, pari a oltre 420 mln€/anno e si possono creare almeno 150.000 nuovi posti di lavoro. Inoltre lavorerebbero decine di migliaia di pmi e artigiani installatori. E siccome a cambiare infissi, montare caldaie di nuova generazione, montare cappotti, costruire case efficienti, rifare tetti, ecc. non servono macchine, ma persone, si darebbe lavoro ad un sacco di gente facendo tra l’altro ripartire in maniera virtuosa il settore dell’edilizia, attualmente in grande sofferenza. In un articolo apparso il 13 febbraio 2012 sul Sole24ore (vedi allegato 2) si legge che investendo un milione di € in progetti di efficienza energetica si generano in media 13 posti di lavoro. Non si parla qui di energie rinnovabili, che pure generano 3 o 4 nuovi posti di lavoro per ogni milione di € investiti, ma del lavoro di “tappare i buchi” dai quali sfugge e viene sprecata gran parte dell’energia che usiamo nell’abitare. Per ogni 10 miliardi di € investiti si possono avere 130.000 nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere daremmo lavoro al massimo a 7.300 persone. Dobbiamo poi considerare che i costi delle opere di efficientamento si pagherebbero in pochi anni con il risparmio energetico e in meno di un decennio i soldi investiti sarebbero di nuovo disponibili per nuovi utilizzi. Diventerebbero di fatto dei fondi di rotazione. Immediatamente calerebbe la bolletta energetica e l’inquinamento da CO2. Quindi ci guadagneremmo tutti. Inoltre con commesse piccole e diffuse, i fenomeni di grande corruzione politica, tipici dei grandi appalti, sarebbero certamente più infrequenti. Infine, il denaro speso per far lavorare migliaia e migliaia di piccole imprese e di artigiani, resterebbe nel territorio contribuendo in maniera determinante al riavvio dell’economia! Noi facciamo appello alla politica perché dia priorità a questi interventi che generano molti benefici per tutti. Le grandi infrastrutture eventualmente si faranno in un secondo momento e solo quando si avrà la certezza che serviranno davvero! Occorre abbandonare il dogma della crescita continua. Nell’Universo NULLA cresce per sempre. Si tratta di una sciocca illusione generata dalla mente dell’homo oeconomicus, una delle specie più perniciose e imprevidenti mai apparsa sulla faccia del Pianeta. E solo per questa sciocca specie di umani, e per gli altri che ci credono, il PIL è l’indicatore unico ed indiscutibile del nostro benessere. Primo elenco di adesioni Giordano Mancini – Studio Mancini – consulenza e formazione per aziende, Ripe (AN) Maurizio Pallante – Presidente MDF, Passerano Marmorito (Asti) Tiziano Tanari – Tanari Srl, costruzione edicole e chioschi

25 maggio 2012

Equitalia è una pistola fumante

Spa a capitale pubblico – inflessibile coi deboli e malleabile con i forti – è al centro di dure contestazioni. Senza nessuna giustificazione per gli evasori, il nodo sono i metodi di “strozzinaggio” di Equitalia che funge da moltiplicatore del debito privato delle fasce sociali più basse del Paese.
equitaliaLe mobilitazioni contro Equitalia nel nostro paese si sono susseguite nelle ultime settimane. Per mobilitazioni qui si intende le proteste pubbliche, popolari ed alla luce del sole come quelle di Napoli e Mestre o come quella degli operai di Termini Imerese all’Agenzia delle Entrate. Un tema, quello del debito privato, che trova ancora poca centralità, suo malgrado, nello spazio dell’analisi politica. E’ vero che il tema della pressione fiscale lascia spazio a facili sortite demagogiche, come quelle in salsa verde dei leghisti contro le “tasse di Roma ladrona”. Bisogna innanzitutto centrare il tema, ed in questo le recenti mobilitazioni napoletane hanno avuto il merito di definire bene lo spazio rivendicativo. Le tasse vanno pagate e gli evasori fiscali devono essere perseguiti. Partiamo da questo dato, per tranquillizzare da subito tutti quelli che hanno letto con leggerezza le mobilitazioni contro Equitalia: nessuno di quelli che hanno manifestato a Napoli o a Mestre reclama la fine dei tributi. Fatta questa necessaria premessa, passiamo alla disamina della questione. Equitalia è una società per azioni a capitale pubblico – Ministero delle Finanze ed Agenzia delle Entrate – che risponde dunque alle esigenze di tutte le s.p.a. ovvero la necessità di fare profitti. La società si configura così come un esempio di quelle mostruosità giuridiche che sono le multiutility contro cui gli italiani si sono già espressi attraverso il referendum dell’estate del 2011. Equitalia riscuote i tributi per conto dello stato e degli enti locali che hanno esternalizzato la riscossione delle tasse. La sua natura di s.p.a., porta Equitalia ad accumulare interessi attraverso un complesso sistema di aumenti del credito da riscuotere nei confronti degli evasori. Un agio del 9% su ogni tassa non pagata. Una percentuale che è circa il doppio del tasso di interesse medio che gli istituti di credito impongono sui prestiti privati. A questa percentuale di interesse da usura si sommano le spese di notifica, le spese legali e la maturazione degli ulteriori interessi. Nel pieno rispetto di una legge visibilmente singolare ed ingiusta, Equitalia diventa così una macchina da strozzinaggio. A finire nel mirino di Equitalia ci sono tutti gli evasori fiscali senza nessun tipo di distinzione, siano essi evasori di una semplice multa per divieto di sosta oppure grandi evasori fiscali per milioni di euro. Il carico affidato ad Equitalia durante il 2010 è salito del 43% rispetto al 2007 ed attualmente è di 72 miliardi di euro*, più o meno due finanziarie. Ma la rigidità della s.p.a. dei tributi sembra sciogliersi come neve al sole davanti ai grandi evasori fiscali a cui vengono proposti accordi con enormi vantaggi. Di contro il resto dei creditori di Equitalia, principalmente lavoratori autonomi, precari e pensionati, vede solo la possibilità di rateizzazione del debito fissata in griglie strette ed inflessibili. La mission di Equitalia contribuisce così alla configurazione di un sistema fiscale palesemente discriminatorio, che risulta inflessibile coi deboli e malleabile con i forti. Una visione suffragata ulteriormente dal rifiuto del governo dei professori di istituire la tassazione dei capitali scudati che avevano goduto della norma del precedente governo sul rientro dei capitali evasi all’estero e l’istituzione di una tassa patrimoniale per finanziare la spesa sociale. In caso di mancato pagamento dopo la prima notifica della cartella esattoriale, Equitalia può procedere alla variegata gamma di azioni che rientrano nella riscossione coatta. Pignoramento del quinto dello stipendio, fermo amministrativo dei beni immobili, vendita coatta di auto, moto e case, fino al sequestro dei conti correnti come ha fatto Equitalia Calabria nei confronti dei pensionati. E così mentre si consente ai grandi evasori di chiudere accordi al ribasso recuperando qualche milione di euro rispetto a decine di milioni di evaso, sulle fasce sociali più deboli si abbatte la mannaia della riscossione coatta. Un meccanismo perverso che contribuisce, ai tempi della più grande crisi che il nostro paese abbia mai conosciuto, all’aumento esponenziale del debito privato. Ed è proprio questo il cuore della questione: Equitalia funge da moltiplicatore del debito privato delle fasce sociali più deboli del paese. All’aumento della pressione fiscale dovuta alla “ricetta” dei professori guidati da Mario Monti, che incide sulla consistenza dei salari e delle pensioni, si unisce l’aumento del debito privato nei confronti dello Stato. Un vero tritacarne soprattutto per i lavoratori autonomi che mentre fanno i conti con l’abbassamento del proprio potere d’acquisto devono contemporaneamente versare al fisco le tasse di oggi e quelle di ieri con gli aumenti da usura imposti da Equitalia. Ai lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione, su cui gli aumenti delle aliquote Irpef agiscono direttamente in busta paga, il tritacarne di Equitalia rischia di ridurre a poche centinaia di euro i salari attraverso il pignoramento del quinto dello stipendio. Il pignoramenti verso terzi operati da Equitalia sono circa 133.000 con un aumento del 50% tra il 2007 ed il 2010*. Una prospettiva che riduce in miseria una persona non per un periodo temporale, ma per tutta la vita che ti resta. Ecco cosa spinge un cittadino a puntarsi una pistola alla testa. In particolar modo accade nel Mezzogiorno, dove oltre allo Stato spesso l’altro creditore del debito privato è il sistema criminale. Creditori diversi, ma spesso sistemi di riscossione molto simili. Eppure non si comprende come mai in troppi facciano finta di non capire. Appena un mese fa la CGIL prospettava uno sciopero generale – l’ennesimo solo annunciato e mai praticato – contro le tasse. Eppure a nessuno venne in mente di parlare di demagogia. Nessuno ha mai chiesto la fine delle tasse, eppure sindaci di grandi città come Bologna si lanciano in iperboliche dichiarazioni su camorristi che protestano contro Equitalia. Cogliamo l’occasione per portare a conoscenza del sindaco di Bologna Virginio Merola che i camorristi sono tra quei grandi evasori a cui Equitalia offre accordi molto flessibili. Dal prossimo anno tutti gli Enti Locali possono dismettere il contratto con Equitalia. Moltissimi sindaci hanno già dismesso il contratto, altri come quello di Napoli hanno annunciato che lo faranno dal gennaio del 2013. Ma il problema, come è evidente, non è Equitalia in sé ma il meccanismo con cui si pensa di riscuotere i tributi per le fasce sociali maggiormente colpite dalla crisi. Se ci si affiderà nuovamente ad una s.p.a. che dovrà fare profitti, se sarà consentito alle nuove società la riscossione coatta dei tributi, allora sarà solo maquillage. C'è da dire che solo il 16% dell'attività di Equitalia è legata però alla riscossione dei tributi dei Comuni, una percentuale comunque piccola rispetto alla fetta di lavoro svolta per lo Stato e le Regioni che è del 48%*. I professori continuano a parlare della necessità di misure per la crescita economica del paese, ma non serve una laurea alla Bocconi per capire che senza un alleggerimento del debito privato per le fasce più povere non potrà mai esserci nessuna ripresa. Accanto allo smantellamento del welfare ed alla dismissione dello statuto dei lavoratori con il Ddl Fornero, il tema del debito privato per i lavoratori dipendenti risulta avere una drammatica centralità. Le mobilitazioni delle ultime settimane pongono dei punti di rivendicazioni semplici e chiari: sospensione della riscossione coatta dei tributi per le fasce sociali deboli (a tal proposito è stato già votato a maggioranza un ordine del giorno alla Camera), cessazione dei contratti tra gli Enti Locali ed Equitalia, internalizzazione del servizio di riscossione dei tributi da parte degli Enti Locali, istituzione di una tassa patrimoniale per finanziare la spesa sociale, tassazione dei capitali scudati. Proposte rispetto alle quali, i tanti che a sinistra hanno storto il naso davanti alle proteste contro Equitalia, farebbero bene a rispondere nel merito. di Antonio Musella * dati del Sole 24 Ore

24 maggio 2012

I tentacoli della Finanza internazionale che stritolano l'Italia

Le smancerie di Obama al nostro Presidente del Consiglio sono la mancia in spiccioli che gli Usa elargiscono all’Italia per aver eseguito gli ordini coloniali alla perfezione. Gli osservatori internazionali chiamano questa affettazione con nomi altisonanti ma l’immagine che essa rimanda alla mente è quella del biscotto tirato al cane da compagnia scodinzolante. Se a Monti è stato riconosciuto un ruolo di primo piano al G8 è soltanto perché questo evento è ormai inutile e squalificato, un summit delle chiacchiere (come lo ha definito il Generale Carlo Jean), e di una stanca ritualità ineffettuale, fuori dalle geometrie geopolitiche dell’attuale fase storica di un mondo non più unipolare e timidamente multicentrico. A Monti viene anche affidato il compito del mediatore tra la rigida Berlino e quel che resta della flaccida Europa, con quest’ultima davvero persuasa che i malanni comunitari abbiano origine nella foresta nera piuttosto che nella selva oscura del Nuovo Mondo, dove la nostra sovranità resta atterrita. Ma che strano intermediario questo professore affossatore al quale la divisa dell’arbitro serve solo per tenere nascosta, appena sopra la pelle, la casacca a stellette e striscette. Innalzare più in alto la bandiera europea per meglio seppellirla, ecco a cosa serve l’ostentato europeismo ex cathedra di questi illuminati spenti, pieni di sé e vuoti di spirito dei tempi. E sì, perché Monti, non può fare diversamente, essendo il prodotto di quei tentacoli finanziari atlantici che adesso rivendicano il momento della reminiscenza e della riconoscenza da parte del loro pupillo, il quale senza manine e spintarelle d’oltreoceano non sarebbe Premier e nemmeno Senatore. Così descrive il sito scandalistico Dagospia questa truce faccenda: “In qualsiasi parte del globo la politica è fatta di ideali, trame e baratti. Questi ultimi sono un ingrediente fondamentale nella logica del potere, soprattutto di quei poteri forti che non danno niente per niente e al momento buono presentano le cambiali da pagare. Tra gli ambienti che si aspettano da Monti qualche gesto concreto di buona volontà c’è sicuramente Goldman Sachs, la potente merchant bank americana nella quale il Professore ha lavorato a partire dal 2005, e che ha ingaggiato personaggi come Mario Draghi, Romano Prodi, Massimo Tononi e per ultimo il Maggiordomo di Sua Santità, Gianni Letta”. Goldman Sachs passa appunto ora dalla cassa, la Cassa Depositi e Prestiti per la precisione, al fine gestire direttamente l’acquisizione del 30% di Snam, scippata ad Eni, con evidenti scopi d’indebolimento del cane a sei zampe e con l’intento di pilotare le sue sfere di penetrazione estera, prevenendo ulteriori pericolosissimi smottamenti verso est. Qualcuno potrebbe obiettare che trattasi semplicemente di “melina” di Stato, di movimento apparente, perché in un caso come nell’altro, la proprietà resterebbe saldamente in mano pubblica. Ma lo Stato non è un monolite, i suoi apparati, nei quali agiscono uomini e drappelli in costante conflitto tra loro, possono perseguire obiettivi non convergenti in base ad intenzioni e piani persino contrastanti, in quanto nascenti da differenti esami della realtà e delle molteplici direzioni da far imboccare alle istituzioni e al Paese. Che questa “compravendita” sia sospetta lo dimostra il fatto che la merchant bank americana svolgerà il ruolo di Advisor nell’operazione praticamente gratis, alla cifra simbolica di 1013 euro. Va bene che sono periodi di crisi ma nessuno fa mai niente per niente. Infatti, non sono i soldi che contano in questa circostanza ma l’opportunità di poter manovrare a proprio piacimento l’acquisizione, ricavandosi uno spazio di azione presente e futuro nelle più importanti aziende strategiche nostrane. Sarà un caso che tutto avvenga nell’interregno impolitico e sempre più impopolare dei tecnici che si sono fatti le ossa all’estero, soprattutto negli Usa, prima di ritornare in patria per spezzare le reni agli italiani? Monti è stato dipendente di Goldman Sachs, oltreché membro del Bilderberg e della Trilaterale, organismi “anglo-globali” poco avvicinabili dall’uomo qualunque e per nulla trasparenti che non hanno mai nascosto le proprie manie di grandezza e di dominio sull’orbe terracqueo. Quel che importa, al di là dell’ossessione mondialista di tali gruppi, spesso più eccitati che conseguenti, è il luogo geografico dove si basano. Tutte le strade portano a Washington ed è proprio qui che si decidono le sorti politiche ed industriali di molte nazioni che non rivendicano e non fanno valere le proprie prerogative nazionali. Guardate chi sono i (ri)baldi caporioni che esultano per questo dubbio affare nel settore energetico nostrano: Franco Bassanini, membro della Fondazione Italia Usa, il quale dal 2008 è a capo della CDP e Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della medesima Cassa, nonché ex manager di JP Morgan. Se questi vi sembrano disinteressati ed innocenti perseguitori dell’interesse pubblico, in nome della concorrenza e dei vantaggi per i consumatori, allora il sole può riprendere benissimo a girare intorno alla terra, la quale ovviamente è ancora piatta come l’encefalogramma di chi ci crede. di Gianni Petrosillo

26 maggio 2012

Spostare la priorità dalla crescita del PIL alla crescita dell’occupazione in lavori utili

Appello di imprenditori, tecnici, consulenti ed attivisti del Movimento per la Decrescita Felice per un cambio di priorità in Italia nelle scelte economiche ed industriali, al fine di iniziare a superare l’attuale crisi di sistema In tempi normali è sufficiente gestire l’ordinaria amministrazione con accortezza perché tutto proceda bene. Il governo può condurre la sua politica industriale mediando fra gli interessi di ognuna delle parti coinvolte nei processi economici, cercando di trovare punti di incontro per la difesa degli interessi generali. Ma quando, come ora, si vivono grandi cambiamenti epocali, dove masse sempre più grandi di persone soffrono per mancanza di lavoro, Occorre rimettere in discussione idee consolidate, in particolare il dogma della crescita continua del Prodotto Interno Lordo. Vediamo con apprensione che si parla di “Project Bond per realizzare grandi opere infrastrutturali. Si tratta in pratica di fare ancora altri debiti per realizzare di grandi opere finalizzate, più che alla reale utilità, al far ripartire la crescita, come se questa fosse la soluzione ad ogni male. Ancora grandi opere, ancora a debito … per riavviare la crescita e poter pagare gli interessi sul debito! Ma che follia è? E in questo teatro dell’assurdo, si inserisce anche il luogo comune del collegamento diretto fra crescita e occupazione. Si dà per scontato che la crescita faccia automaticamente aumentare l’occupazione, ma non è vero e ci sono i numeri a dimostrarlo. Dagli anni ’60 ad oggi il PIL è aumentato di quasi 4 volte, mentre l’occupazione in proporzione all’aumento della popolazione è diminuita! Ogni imprenditore sa che, nella maggior parte dei settori merceologici, l’aumento della produttività e quindi del PIL, si ottiene con l’automazione e con l’ottimizzazione dei processi produttivi e non aumentando proporzionalmente l’occupazione. Se si spendono i pochi soldi disponibili, o si creano altri debiti come quelli dei Project Bond, per fare grandi opere infrastrutturali, magari pianificate in altri tempi, prenderebbero gli appalti le solite poche grandi imprese che hanno le attrezzature necessarie. Sarebbero coinvolti qualche decina di sub appaltatori e lavorerebbero poche migliaia di operai, visto che il grosso del lavoro lo farebbero le macchine. I denari spesi sarebbero concentrati in poche mani e non servirebbero a riavviare l’economia neanche nei territori interessati dalle stesse opere, perché il grosso degli operai verrebbe da fuori. Per dimostrare le nostre tesi, abbiamo studiato i dati della galleria per il TAV in val di Susa. Abbiamo scelto questa grande opera a titolo di esempio perché sono disponibili molti dati forniti dal Ministero competente, quindi certi e utili per avviare delle comparazioni. Tali dati indicano che la nuova galleria del TAV consentirebbe di creare 2000 nuovi posti diretti e 4000 indiretti. In realtà le cifre sembrano ottimistiche, ma anche se si raggiungessero tali obiettivi occupazionali, avremmo al massimo 6000 nuovi posti di lavoro contro un investimento minimo di 8,2 mld di €, ovvero 0,73 nuovi posti per ogni milione di euro investito, sempre che il costo dei lavori non subisca aumenti esponenziali in corso d’opera come è sempre avvenuto fino ad oggi in Italia! In ogni caso la spesa sarebbe coperta a debito ribaltando ancora una volta il problema sulle generazioni future, che dovrebbero anche sorbirsi i danni ambientali e le spese per l’energia necessaria a illuminare e climatizzare l’opera. Tutte le grandi opere infrastrutturali hanno per comun denominatore l’uso del debito, di molto cemento, di molta energia e hanno quindi un impatto ambientale molto rilevante. In sintesi si può dire che sull’altare ideologico della crescita del PIL e a favore di pochi soggetti che guadagnerebbero molto denaro, sacrificheremmo ancora una volta l’ambiente, l’occupazione, gli interessi della gran parte della gente ed i diritti delle generazioni future. Si può fare diversamente? Certo che si! Bisogna solo cambiare le priorità e spendere il denaro in altro modo, partendo anche dalla consapevolezza che è convenienza di tutti investire subito le poche risorse disponibili in molte migliaia di piccoli e micro cantieri e solo successivamente, eventualmente, in grandi opere infrastrutturali. I micro cantieri dovrebbero riguardare in primo luogo l’efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati. Poi anche le bonifiche ambientali e per la messa in sicurezza del territorio rispetto agli eventi catastrofici. In uno studio dell’ENEA del 2009 (vedi allegato 1) si proponevano interventi di riqualificazione energetica in 15.000 scuole ed edifici pubblici, che attualmente spendono circa 1,8 Mld di € ogni anno in energia elettrica e termica. Con gli 8,2 miliardi di € previsti per il TAV si può risparmiare il 20% dei consumi di questi edifici, pari a oltre 420 mln€/anno e si possono creare almeno 150.000 nuovi posti di lavoro. Inoltre lavorerebbero decine di migliaia di pmi e artigiani installatori. E siccome a cambiare infissi, montare caldaie di nuova generazione, montare cappotti, costruire case efficienti, rifare tetti, ecc. non servono macchine, ma persone, si darebbe lavoro ad un sacco di gente facendo tra l’altro ripartire in maniera virtuosa il settore dell’edilizia, attualmente in grande sofferenza. In un articolo apparso il 13 febbraio 2012 sul Sole24ore (vedi allegato 2) si legge che investendo un milione di € in progetti di efficienza energetica si generano in media 13 posti di lavoro. Non si parla qui di energie rinnovabili, che pure generano 3 o 4 nuovi posti di lavoro per ogni milione di € investiti, ma del lavoro di “tappare i buchi” dai quali sfugge e viene sprecata gran parte dell’energia che usiamo nell’abitare. Per ogni 10 miliardi di € investiti si possono avere 130.000 nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere daremmo lavoro al massimo a 7.300 persone. Dobbiamo poi considerare che i costi delle opere di efficientamento si pagherebbero in pochi anni con il risparmio energetico e in meno di un decennio i soldi investiti sarebbero di nuovo disponibili per nuovi utilizzi. Diventerebbero di fatto dei fondi di rotazione. Immediatamente calerebbe la bolletta energetica e l’inquinamento da CO2. Quindi ci guadagneremmo tutti. Inoltre con commesse piccole e diffuse, i fenomeni di grande corruzione politica, tipici dei grandi appalti, sarebbero certamente più infrequenti. Infine, il denaro speso per far lavorare migliaia e migliaia di piccole imprese e di artigiani, resterebbe nel territorio contribuendo in maniera determinante al riavvio dell’economia! Noi facciamo appello alla politica perché dia priorità a questi interventi che generano molti benefici per tutti. Le grandi infrastrutture eventualmente si faranno in un secondo momento e solo quando si avrà la certezza che serviranno davvero! Occorre abbandonare il dogma della crescita continua. Nell’Universo NULLA cresce per sempre. Si tratta di una sciocca illusione generata dalla mente dell’homo oeconomicus, una delle specie più perniciose e imprevidenti mai apparsa sulla faccia del Pianeta. E solo per questa sciocca specie di umani, e per gli altri che ci credono, il PIL è l’indicatore unico ed indiscutibile del nostro benessere. Primo elenco di adesioni Giordano Mancini – Studio Mancini – consulenza e formazione per aziende, Ripe (AN) Maurizio Pallante – Presidente MDF, Passerano Marmorito (Asti) Tiziano Tanari – Tanari Srl, costruzione edicole e chioschi

25 maggio 2012

Equitalia è una pistola fumante

Spa a capitale pubblico – inflessibile coi deboli e malleabile con i forti – è al centro di dure contestazioni. Senza nessuna giustificazione per gli evasori, il nodo sono i metodi di “strozzinaggio” di Equitalia che funge da moltiplicatore del debito privato delle fasce sociali più basse del Paese.
equitaliaLe mobilitazioni contro Equitalia nel nostro paese si sono susseguite nelle ultime settimane. Per mobilitazioni qui si intende le proteste pubbliche, popolari ed alla luce del sole come quelle di Napoli e Mestre o come quella degli operai di Termini Imerese all’Agenzia delle Entrate. Un tema, quello del debito privato, che trova ancora poca centralità, suo malgrado, nello spazio dell’analisi politica. E’ vero che il tema della pressione fiscale lascia spazio a facili sortite demagogiche, come quelle in salsa verde dei leghisti contro le “tasse di Roma ladrona”. Bisogna innanzitutto centrare il tema, ed in questo le recenti mobilitazioni napoletane hanno avuto il merito di definire bene lo spazio rivendicativo. Le tasse vanno pagate e gli evasori fiscali devono essere perseguiti. Partiamo da questo dato, per tranquillizzare da subito tutti quelli che hanno letto con leggerezza le mobilitazioni contro Equitalia: nessuno di quelli che hanno manifestato a Napoli o a Mestre reclama la fine dei tributi. Fatta questa necessaria premessa, passiamo alla disamina della questione. Equitalia è una società per azioni a capitale pubblico – Ministero delle Finanze ed Agenzia delle Entrate – che risponde dunque alle esigenze di tutte le s.p.a. ovvero la necessità di fare profitti. La società si configura così come un esempio di quelle mostruosità giuridiche che sono le multiutility contro cui gli italiani si sono già espressi attraverso il referendum dell’estate del 2011. Equitalia riscuote i tributi per conto dello stato e degli enti locali che hanno esternalizzato la riscossione delle tasse. La sua natura di s.p.a., porta Equitalia ad accumulare interessi attraverso un complesso sistema di aumenti del credito da riscuotere nei confronti degli evasori. Un agio del 9% su ogni tassa non pagata. Una percentuale che è circa il doppio del tasso di interesse medio che gli istituti di credito impongono sui prestiti privati. A questa percentuale di interesse da usura si sommano le spese di notifica, le spese legali e la maturazione degli ulteriori interessi. Nel pieno rispetto di una legge visibilmente singolare ed ingiusta, Equitalia diventa così una macchina da strozzinaggio. A finire nel mirino di Equitalia ci sono tutti gli evasori fiscali senza nessun tipo di distinzione, siano essi evasori di una semplice multa per divieto di sosta oppure grandi evasori fiscali per milioni di euro. Il carico affidato ad Equitalia durante il 2010 è salito del 43% rispetto al 2007 ed attualmente è di 72 miliardi di euro*, più o meno due finanziarie. Ma la rigidità della s.p.a. dei tributi sembra sciogliersi come neve al sole davanti ai grandi evasori fiscali a cui vengono proposti accordi con enormi vantaggi. Di contro il resto dei creditori di Equitalia, principalmente lavoratori autonomi, precari e pensionati, vede solo la possibilità di rateizzazione del debito fissata in griglie strette ed inflessibili. La mission di Equitalia contribuisce così alla configurazione di un sistema fiscale palesemente discriminatorio, che risulta inflessibile coi deboli e malleabile con i forti. Una visione suffragata ulteriormente dal rifiuto del governo dei professori di istituire la tassazione dei capitali scudati che avevano goduto della norma del precedente governo sul rientro dei capitali evasi all’estero e l’istituzione di una tassa patrimoniale per finanziare la spesa sociale. In caso di mancato pagamento dopo la prima notifica della cartella esattoriale, Equitalia può procedere alla variegata gamma di azioni che rientrano nella riscossione coatta. Pignoramento del quinto dello stipendio, fermo amministrativo dei beni immobili, vendita coatta di auto, moto e case, fino al sequestro dei conti correnti come ha fatto Equitalia Calabria nei confronti dei pensionati. E così mentre si consente ai grandi evasori di chiudere accordi al ribasso recuperando qualche milione di euro rispetto a decine di milioni di evaso, sulle fasce sociali più deboli si abbatte la mannaia della riscossione coatta. Un meccanismo perverso che contribuisce, ai tempi della più grande crisi che il nostro paese abbia mai conosciuto, all’aumento esponenziale del debito privato. Ed è proprio questo il cuore della questione: Equitalia funge da moltiplicatore del debito privato delle fasce sociali più deboli del paese. All’aumento della pressione fiscale dovuta alla “ricetta” dei professori guidati da Mario Monti, che incide sulla consistenza dei salari e delle pensioni, si unisce l’aumento del debito privato nei confronti dello Stato. Un vero tritacarne soprattutto per i lavoratori autonomi che mentre fanno i conti con l’abbassamento del proprio potere d’acquisto devono contemporaneamente versare al fisco le tasse di oggi e quelle di ieri con gli aumenti da usura imposti da Equitalia. Ai lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione, su cui gli aumenti delle aliquote Irpef agiscono direttamente in busta paga, il tritacarne di Equitalia rischia di ridurre a poche centinaia di euro i salari attraverso il pignoramento del quinto dello stipendio. Il pignoramenti verso terzi operati da Equitalia sono circa 133.000 con un aumento del 50% tra il 2007 ed il 2010*. Una prospettiva che riduce in miseria una persona non per un periodo temporale, ma per tutta la vita che ti resta. Ecco cosa spinge un cittadino a puntarsi una pistola alla testa. In particolar modo accade nel Mezzogiorno, dove oltre allo Stato spesso l’altro creditore del debito privato è il sistema criminale. Creditori diversi, ma spesso sistemi di riscossione molto simili. Eppure non si comprende come mai in troppi facciano finta di non capire. Appena un mese fa la CGIL prospettava uno sciopero generale – l’ennesimo solo annunciato e mai praticato – contro le tasse. Eppure a nessuno venne in mente di parlare di demagogia. Nessuno ha mai chiesto la fine delle tasse, eppure sindaci di grandi città come Bologna si lanciano in iperboliche dichiarazioni su camorristi che protestano contro Equitalia. Cogliamo l’occasione per portare a conoscenza del sindaco di Bologna Virginio Merola che i camorristi sono tra quei grandi evasori a cui Equitalia offre accordi molto flessibili. Dal prossimo anno tutti gli Enti Locali possono dismettere il contratto con Equitalia. Moltissimi sindaci hanno già dismesso il contratto, altri come quello di Napoli hanno annunciato che lo faranno dal gennaio del 2013. Ma il problema, come è evidente, non è Equitalia in sé ma il meccanismo con cui si pensa di riscuotere i tributi per le fasce sociali maggiormente colpite dalla crisi. Se ci si affiderà nuovamente ad una s.p.a. che dovrà fare profitti, se sarà consentito alle nuove società la riscossione coatta dei tributi, allora sarà solo maquillage. C'è da dire che solo il 16% dell'attività di Equitalia è legata però alla riscossione dei tributi dei Comuni, una percentuale comunque piccola rispetto alla fetta di lavoro svolta per lo Stato e le Regioni che è del 48%*. I professori continuano a parlare della necessità di misure per la crescita economica del paese, ma non serve una laurea alla Bocconi per capire che senza un alleggerimento del debito privato per le fasce più povere non potrà mai esserci nessuna ripresa. Accanto allo smantellamento del welfare ed alla dismissione dello statuto dei lavoratori con il Ddl Fornero, il tema del debito privato per i lavoratori dipendenti risulta avere una drammatica centralità. Le mobilitazioni delle ultime settimane pongono dei punti di rivendicazioni semplici e chiari: sospensione della riscossione coatta dei tributi per le fasce sociali deboli (a tal proposito è stato già votato a maggioranza un ordine del giorno alla Camera), cessazione dei contratti tra gli Enti Locali ed Equitalia, internalizzazione del servizio di riscossione dei tributi da parte degli Enti Locali, istituzione di una tassa patrimoniale per finanziare la spesa sociale, tassazione dei capitali scudati. Proposte rispetto alle quali, i tanti che a sinistra hanno storto il naso davanti alle proteste contro Equitalia, farebbero bene a rispondere nel merito. di Antonio Musella * dati del Sole 24 Ore

24 maggio 2012

I tentacoli della Finanza internazionale che stritolano l'Italia

Le smancerie di Obama al nostro Presidente del Consiglio sono la mancia in spiccioli che gli Usa elargiscono all’Italia per aver eseguito gli ordini coloniali alla perfezione. Gli osservatori internazionali chiamano questa affettazione con nomi altisonanti ma l’immagine che essa rimanda alla mente è quella del biscotto tirato al cane da compagnia scodinzolante. Se a Monti è stato riconosciuto un ruolo di primo piano al G8 è soltanto perché questo evento è ormai inutile e squalificato, un summit delle chiacchiere (come lo ha definito il Generale Carlo Jean), e di una stanca ritualità ineffettuale, fuori dalle geometrie geopolitiche dell’attuale fase storica di un mondo non più unipolare e timidamente multicentrico. A Monti viene anche affidato il compito del mediatore tra la rigida Berlino e quel che resta della flaccida Europa, con quest’ultima davvero persuasa che i malanni comunitari abbiano origine nella foresta nera piuttosto che nella selva oscura del Nuovo Mondo, dove la nostra sovranità resta atterrita. Ma che strano intermediario questo professore affossatore al quale la divisa dell’arbitro serve solo per tenere nascosta, appena sopra la pelle, la casacca a stellette e striscette. Innalzare più in alto la bandiera europea per meglio seppellirla, ecco a cosa serve l’ostentato europeismo ex cathedra di questi illuminati spenti, pieni di sé e vuoti di spirito dei tempi. E sì, perché Monti, non può fare diversamente, essendo il prodotto di quei tentacoli finanziari atlantici che adesso rivendicano il momento della reminiscenza e della riconoscenza da parte del loro pupillo, il quale senza manine e spintarelle d’oltreoceano non sarebbe Premier e nemmeno Senatore. Così descrive il sito scandalistico Dagospia questa truce faccenda: “In qualsiasi parte del globo la politica è fatta di ideali, trame e baratti. Questi ultimi sono un ingrediente fondamentale nella logica del potere, soprattutto di quei poteri forti che non danno niente per niente e al momento buono presentano le cambiali da pagare. Tra gli ambienti che si aspettano da Monti qualche gesto concreto di buona volontà c’è sicuramente Goldman Sachs, la potente merchant bank americana nella quale il Professore ha lavorato a partire dal 2005, e che ha ingaggiato personaggi come Mario Draghi, Romano Prodi, Massimo Tononi e per ultimo il Maggiordomo di Sua Santità, Gianni Letta”. Goldman Sachs passa appunto ora dalla cassa, la Cassa Depositi e Prestiti per la precisione, al fine gestire direttamente l’acquisizione del 30% di Snam, scippata ad Eni, con evidenti scopi d’indebolimento del cane a sei zampe e con l’intento di pilotare le sue sfere di penetrazione estera, prevenendo ulteriori pericolosissimi smottamenti verso est. Qualcuno potrebbe obiettare che trattasi semplicemente di “melina” di Stato, di movimento apparente, perché in un caso come nell’altro, la proprietà resterebbe saldamente in mano pubblica. Ma lo Stato non è un monolite, i suoi apparati, nei quali agiscono uomini e drappelli in costante conflitto tra loro, possono perseguire obiettivi non convergenti in base ad intenzioni e piani persino contrastanti, in quanto nascenti da differenti esami della realtà e delle molteplici direzioni da far imboccare alle istituzioni e al Paese. Che questa “compravendita” sia sospetta lo dimostra il fatto che la merchant bank americana svolgerà il ruolo di Advisor nell’operazione praticamente gratis, alla cifra simbolica di 1013 euro. Va bene che sono periodi di crisi ma nessuno fa mai niente per niente. Infatti, non sono i soldi che contano in questa circostanza ma l’opportunità di poter manovrare a proprio piacimento l’acquisizione, ricavandosi uno spazio di azione presente e futuro nelle più importanti aziende strategiche nostrane. Sarà un caso che tutto avvenga nell’interregno impolitico e sempre più impopolare dei tecnici che si sono fatti le ossa all’estero, soprattutto negli Usa, prima di ritornare in patria per spezzare le reni agli italiani? Monti è stato dipendente di Goldman Sachs, oltreché membro del Bilderberg e della Trilaterale, organismi “anglo-globali” poco avvicinabili dall’uomo qualunque e per nulla trasparenti che non hanno mai nascosto le proprie manie di grandezza e di dominio sull’orbe terracqueo. Quel che importa, al di là dell’ossessione mondialista di tali gruppi, spesso più eccitati che conseguenti, è il luogo geografico dove si basano. Tutte le strade portano a Washington ed è proprio qui che si decidono le sorti politiche ed industriali di molte nazioni che non rivendicano e non fanno valere le proprie prerogative nazionali. Guardate chi sono i (ri)baldi caporioni che esultano per questo dubbio affare nel settore energetico nostrano: Franco Bassanini, membro della Fondazione Italia Usa, il quale dal 2008 è a capo della CDP e Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della medesima Cassa, nonché ex manager di JP Morgan. Se questi vi sembrano disinteressati ed innocenti perseguitori dell’interesse pubblico, in nome della concorrenza e dei vantaggi per i consumatori, allora il sole può riprendere benissimo a girare intorno alla terra, la quale ovviamente è ancora piatta come l’encefalogramma di chi ci crede. di Gianni Petrosillo