27 maggio 2012
I rischi del sistema finanziario ombra
Dopo la crisi finanziaria del 2008 uno degli elementi oggetto d’attenzione da parte dei media specializzati è il cosiddetto Shadow Banking System (il sistema bancario ombra - SBS). Come suggerisce il suo nome, questo termine raggruppa una serie di istituzioni e di pratiche basate sull’utilizzo di derivati finanziari che si collocano al di fuori dalla regolamentazione e dell’attenzione pubblica. Proprio quest’assenza di regolamentazione ha facilitato la rapida espansione del suddetto segmento dei mercati finanziari globali, segmento che, durante suo apice alla fine del 2011, è passato da un volume di attività di poco inferiore a 20.000 miliardi di dollari a un volume di 60.000 miliardi di dollari [1].
A dispetto del volume di transazioni, delle attività in gioco e dei rischi sistemici che si corrono, lo SBS ha continuato a ricevere un’attenzione marginale da parte dei media che si rivolgono al grande pubblico. Per comprendere questo sistema, è utile effettuare un paragone con il sistema bancario commerciale. Infatti, il finanziamento del sistema bancario tradizionale è, in teoria, il frutto dell’insieme dei depositi dei risparmiatori che costituiscono l’oggetto dei prestiti alle imprese e agli individui.
Lo SBS funziona in modo differente. Per finanziarsi, una Shadow Bank emette dei titoli e delle cambiali a breve termine (la durata varia da un giorno a un mese) che vengono successivamente investiti in prodotti finanziari strutturati a lungo termine come gli Asset Backed Securities (ABS [2]) o i Collateral Debt Obligations (CDO [3]). Il margine di profitto di questo modello bancario deriva direttamente dalla differenza tra il costo del finanziamento nei mercati di credito a breve temine e il rendimento superiore fornito dai prodotti finanziari strutturati.
La principale differenza tra le attività del sistema bancario tradizionale e quelle dello SBS è l’assenza di regolamentazione che riguarda il secondo. Le restrizioni in termini di riserve di capitale che obbligano una banca a mantenere, per ogni prestito effettuato, una parte dell’ammontare del prestito, non sono valide nel caso dei mercati finanziari a breve termine nei quali avvengono le transazioni dello SBS. Nel loro tentativo di aumentare i livelli dell’effetto leva per aumentare i profitti, le principali banche statunitensi ed europee sono entrate in una forte competizione con Hedge Funds e Private Equity Funds per raccogliere i finanziamenti in quei mercati. È così che delle banche come BNP PARIBAS o Dexia hanno potuto ampliare in maniera significativa i loro conti di bilancio senza doversi preoccupare di raccogliere i depositi dei risparmiatori.
Il problema è che queste banche non dichiarano questo tipo di transazione nei loro bilanci. Infatti, per raccogliere delle risorse nei mercati finanziari a breve termine attraverso l’emissione di titoli, le banche hanno proceduto alla creazione di entità legali parallele come gli Special Investment Vehicules (SIV [4]) o i Conduits [5]. Sebbene i benefici ottenuti dai SIV finiscano per essere registrati nel bilancio contabile delle banche, gli attivi e i passivi e, dunque, il rischio di finanziamento affrontato da queste entità speciali sono contabilizzati separatamente.
Dal punto di vista dei mercati, l’esistenza di questa relazione implicita tra le banche e queste entità speciali riveste due implicazioni concrete. In primo luogo, riduce i costi dei finanziamenti dei SIV quando i mercati sanno che in caso di problemi di liquidità o di insolvenza, le banche responsabili della creazione di queste entità speciali se ne faranno carico attraverso crediti o con l’integrazione diretta nel loro bilancio. In secondo luogo, i SIV permettono di aumentare i profitti contabili delle banche e parallelamente di ridurre il profilo di rischio grazie alla contabilizzazione separata. In un ambiente caratterizzato da tassi d’interesse bassi, una complessiva riduzione della volatilità e una regolamentazione lassista, ecco che questi elementi ci permettono di comprendere come lo SBS sia passato dall’essere un meccanismo alternativo di finanziamento delle entità bancarie statunitensi ed europee ad essere l’essenza stessa di questi modelli di transazioni finanziarie.
L’illusione dell’effetto leva illimitato e di un aumento permanente dei profitti si è conclusa nel 2007con un incremento di volatilità nei mercati dei prodotti finanziari strutturati. La prima protagonista nota dello SBS che ha sperimentato dei problemi è stata la Hedge Fund High-Grade Structured Credit Streategies (HGSCS) amministrata da Bear Stearns. A marzo 2007, la HGSCS aveva delle posizioni ABS sul mercato dei Subprime per un valore complessivo di 13,7 miliardi di dollari con un capitale proprio di 925 milioni di dollari. L’annuncio di perdite per un equivalente di 3,7% del portafoglio della Hedge Fund durante quello stesso mese ha portato gli investitori a ritirare 100 milioni di dollari. La perdita di fiducia nel fondo ha generato un effetto domino: la perdita del suo accesso al mercato dei finanziamenti a breve termine, ha dato luogo a una vendita al ribasso delle sue attività (a 60 centesimi di dollaro). A fine giugno 2007, Bear Stearns si è visto costretto a correre in soccorso della HGSCS registrando così una perdita di 3,2 miliardi di dollari [6].
Questo schema di annunci di perdite, di congelamento dell’accesso ai mercati di finanziamento a breve termine e di integrazione nei conti di bilancio delle banche responsabili con le conseguenti perdite significative, si è ripetuto nel caso della BNP PARIBAS ad agosto 2007, nel caso di Bear Stearns e Lehman Brothers a marzo e settembre 2008. La storia è risaputa: il crollo in questi due ultimi casi ha portato alla scomparsa di queste istituzioni finanziarie. In ultimo, l’incertezza ha finito per colpire una delle principali fonti di finanziamento dello SBS, i Money Market Funds (MMF [7]). Nel corso della settimana successiva al fallimento di Lehman Brothers, i MMF hanno dovuto affrontare dei prelievi da parte degli investitori equivalenti al 14% delle loro attività, circa 193 miliardi di dollari. A fine ottobre 2008 l’importo aveva raggiunto i 400 miliardi di dollari [8].
Dopo un periodo di declino successivo alla crisi finanziaria associato agli eventi descritti, lo SBS ha iniziato a recuperare la sua preponderanza nelle strategie di finanziamento del settore bancario. È necessario, dunque, comprendere la strategia di questo segmento dei mercati finanziari che continua a essere uno degli anelli deboli del sistema. Il recente crollo della MMF Global Funds nel novembre 2011 lo dimostra chiaramente. Un Primary Dealer [9] con sede a New York e diretto da John Corzine ex-direttore di Goldman Sachs, la MMF Global Funds, è stata portata alla bancarotta a causa dei progressivi rifiuti della MMF di finanziare delle entità che avessero delle esposizioni sul debito sovrano europeo. Nel corso dei mesi precedenti, il fondo aveva costruito un’importante posizione in questi portafogli utilizzando dei finanziamenti a breve termine ottenuti attraverso l’emissione di cambiali a breve termine nei MMF e ottenendo profitti significativi derivati da tassi d’interesse elevati legati ai titoli dei debiti di paesi come l’Irlanda e la Spagna. Tuttavia, con la diffusione della notizia fornita dalla Global Funds concernente la posizione rischiosa [10], gli investitori hanno iniziato a ritirare i loro soldi e il fondo ha perso l’accesso al finanziamento a breve termine. In assenza di liquidità per rifinanziare le sue posizioni, la Global Funds è fallita lasciandosi alle spalle delle perdite stimate per 2 miliardi di dollari.
Questa storia recente sottolinea uno dei rischi più significativi che rappresenta uno SBS in espansione per la stabilità dei mercati finanziari. In buona parte, grazie all’assenza di regolamentazione, le entità che operano su questi segmenti possono raggiungere livelli di effetto leva significativi che non potrebbero essere ottenuti altrimenti. Tuttavia, l’effetto leva è associato a un’alta vulnerabilità rispetto alle variazioni legate alle condizioni di finanziamento dei mercati a breve termine che, nella maggior parte dei casi, è implicato in posizioni complesse che associano bassa liquidità e impegni a lungo termine, non facili da trasformare rapidamente in liquidità. È così che un problema di liquidità può dare luogo molto rapidamente a un problema di solvibilità, che si traduce, in ultima analisi, nella sopravvivenza stessa dell’entità in questione.
All’eccessiva fragilità dello SBS, da un punto di vista pubblico, bisogna aggiungere degli altri rischi associati a questo sistema. In primo luogo, permettendo alle banche commerciali con depositi assicurati di creare delle entità specifiche, si incorre in una violazione di quegli stessi principi che hanno portato alla creazione delle assicurazioni sui depositi. Le suddette assicurazioni hanno lo scopo di proteggere i depositi dei risparmiatori ed esigono in cambio una gestione stabile e sicura dei depositi da parte delle banche. Tuttavia, come segnalato in precedenza, il rischio di finanziamenti corso dalle entità speciali si trova, in ultima istanza, legato al conto di bilancio e dunque alle garanzie pubbliche di cui godono le banche commerciali. Vale a dire che, nel contesto attuale, le garanzie sui depositi proteggono più le controparti implicate nelle transazioni dello SBS che i depositi senza i quali non esisterebbero. Un esempio pratico di questa situazione è la recente misura della Bank of America di integrare nella propria banca commerciale le operazioni sui prodotti derivati, così in caso di problemi legati ai prodotti derivati, queste transazioni beneficiano della copertura concessa dal FDIC per la banca commerciale [11].
Inoltre, bisogna menzionare anche l’esposizione dei Fondi pensionistici alle transazioni che si svolgono nello SBS. Per definizione, questi fondi hanno l’obbligo di gestire un profilo di rischio d’investimento minimo. Allo stesso tempo, motivi organizzativi li costringono a tenere da parte una piccola percentuale del loro portafoglio di investimenti in attivi liquidi a breve termine. Questi attivi liquidi facilitano i prelievi e le richieste di denaro contante nel breve termine. Ciononostante, visto la gran quantità di fondi che gestiscono questa “piccola” percentuale si aggira attorno ai 400-500 miliardi l’anno [12]. Prima queste risorse erano investite direttamente in titoli di debito pubblico a breve termine. Ma con l’espansione dello SBS e la ricerca di margini di profitto più elevati, i securities e altri tipi di risorse liquide sotto il controllo dei fondi pensionistici finiscono per essere prestati a Hedge Funds, MMF e ad altre entità operanti nell’ombra. Di conseguenza viene messo a rischio il risparmio depositato sotto l’amministrazione dei fondi pensionistici senza che il pubblico ne sia al corrente.
Un terzo rischio è associato ai problemi che lo SBS implica per la regolamentazione effettiva delle entità finanziarie. Se le recenti disposizioni in materia di regolamento hanno avuto l’obiettivo di consolidare le basi del capitale delle banche e di ridurre i loro livelli di effetto leva, il risultato è stato il ritiro delle attività più rischiose dai conti di bilancio e, di fatto, dai registri ufficiali. Questo ci permette di spiegare il forte recupero dello SBS nel corso del 2011 e agli inizi del 2012. È dunque possibile che la recente riduzione dell’effetto leva delle banche europee e statunitensi non rifletta una riduzione reale del rischio sistemico. Le attività più rischiose e instabili avvengono ora fuori dal controllo degli enti regolatori.
Nel complesso, questa serie di rischi associati allo SBS forniscono un’immagine estremamente preoccupante delle implicazioni che potrebbe avere un’espansione incontrollata del settore. La crisi del 2008 ha dimostrato che in caso di instabilità, le operazioni che avvengono nell’ombra finiscono per essere assunte, nella maggior parte dei casi, da entità finanziarie considerate too big to fail e che a loro volta sono salvate con i soldi pubblici. Nella misura in cui la stabilità di un sistema finanziario risiede nelle garanzie pubbliche offerte dallo Stato, è sua responsabilità assicurare le condizioni affinché le queste garanzie non debbano essere utilizzate. Ignorando lo SBS, le autorità vengono meno non soltanto a questa loro responsabilità ma spianano la strada, a ritmo accelerato, a nuovi e sempre più grandi salvataggi finanziari facendo ricorso al denaro pubblico.
di Daniel Munevar
Note
[1] Financial Times, “Traditional lenders shiver as shadow banking grows”, disponible en:http://www.ft.com/intl/cms/s/0/f63bea6c-2d5c-11e1-b985-00144feabdc0.html#axzz1lud8ehpR
[2] Un ABS consiste nella creazione di un titolo, prodotto della somma di un numero determinato di crediti individuali dalle caratteristiche simili. I flussi degli effettivi associati al titolo provengono direttamente dai crediti individuali.
[3] Un CDO permette di stabilire una struttura di pagamento subordinata associata a un gruppo di strumenti a reddito fisso come i titoli o le cambiali commerciali a breve termine. L’entità che si incarica di creare il CDO stabilisce segmenti di rischio direttamente relazionati con il rendimento dello strumento e la sua priorità nella struttura del pagamento. Un investitore con un basso appetito per il rischio acquisterà una posizione senior nel CDO, ricevendo i primi pagamenti della struttura finanziaria. Invece un investitore che cerchi un maggiore rendimento acquisterà una posizione con più rischio e minore priorità di pagamento nella detta struttura.
[4] Entità legali parallele create dalle banche di investimento per evitare le regolamentazioni delle riserve di capitale. Generalmente i SIV si finanziano attraverso l’emissione di cambiali commerciali a breve termine. A metà del 2007 si stima che banche a livello mondiale mantenessero in SIV un portafoglio di ABS e CDO per un valore di 1,5 miliardi di dollari. Vedi Thomas, L. (2011), ¨The Financial Crisis and Federal Reserve Policy¨, Palgrave Macmillan - New York, Ch. 5.
[5] I “conduits” furono istituiti dalle banche per facilitare il processo di creazione di ABS a partire da prestiti individuali. Nel periodo tra l’acquisto di detti crediti e la creazione e la vendita di ABS, i primi erano mantenuti nei “conduits”. I “conduits” sono delle entità legali indipendenti, le banche non sono obbligate a fornire riserve di capitale per garantire le attività di queste entità.
[6] Hsu J. y Moroz M. (2010), “Shadow Banks and the Financial Crisis of 2007–2008” in The Banking Crisis Handbook, edito da Gregoriou G., CRC Press - New York.
[7] I Money Market Funds sono dei fondi comuni che investono in cambiali a breve termine come i Buoni del Tesoro degli Stati Uniti e le azioni e obbligazioni societarie. Questi fondi giocano un ruolo centrale nella fornitura di liquidità a breve termine.
[8] Op. Cit. 6.
[9] I Primary Dealer sono delle entità che negli Stati Uniti si occupano di portare a buon fine l’acquisto e la vendita di titoli, in gran parte Bonus del Tesoro durante delle operazioni di mercato aperto intraprese dalla Fed. Fino alla bancarotta della Global Funds, esistevano 18 entità che svolgevano questa funzione.
[10] A causa della relativa assenza di liquidità che presentano i mercati del debito sovrano europeo, è molto difficile poter mettere fine a queste posizioni sui mercati.
[11] ¨ Bank of America Deadwatch : Moves Risky Derivatives from Holding Company to Taxpayer Backstopped depository ” http://www.nakedcapitalism.com/2011...
[12] Pozsar Z. e Singh M. (2011), ¨The Nonbank-Bank Nexus and the Shadow Banking System¨, IMF Working Paper - Research Department, WP/11/289
Daniel Munevar, economista, è membro del CADTM Colombia e della coordinazione del CADTM “Abya-Yala Nuestra America”.
Titolo originale: "Les risques du système bancaire de l’ombre "
Fonte: http://www.cadtm.org
26 maggio 2012
Spostare la priorità dalla crescita del PIL alla crescita dell’occupazione in lavori utili
Appello di imprenditori, tecnici, consulenti ed attivisti del Movimento per la Decrescita Felice per un cambio di priorità in Italia nelle scelte economiche ed industriali, al fine di iniziare a superare l’attuale crisi di sistema
In tempi normali è sufficiente gestire l’ordinaria amministrazione con accortezza perché tutto proceda bene. Il governo può condurre la sua politica industriale mediando fra gli interessi di ognuna delle parti coinvolte nei processi economici, cercando di trovare punti di incontro per la difesa degli interessi generali. Ma quando, come ora, si vivono grandi cambiamenti epocali, dove masse sempre più grandi di persone soffrono per mancanza di lavoro, Occorre rimettere in discussione idee consolidate, in particolare il dogma della crescita continua del Prodotto Interno Lordo. Vediamo con apprensione che si parla di “Project Bond per realizzare grandi opere infrastrutturali. Si tratta in pratica di fare ancora altri debiti per realizzare di grandi opere finalizzate, più che alla reale utilità, al far ripartire la crescita, come se questa fosse la soluzione ad ogni male.
Ancora grandi opere, ancora a debito … per riavviare la crescita e poter pagare gli interessi sul debito! Ma che follia è? E in questo teatro dell’assurdo, si inserisce anche il luogo comune del collegamento diretto fra crescita e occupazione. Si dà per scontato che la crescita faccia automaticamente aumentare l’occupazione, ma non è vero e ci sono i numeri a dimostrarlo. Dagli anni ’60 ad oggi il PIL è aumentato di quasi 4 volte, mentre l’occupazione in proporzione all’aumento della popolazione è diminuita!
Ogni imprenditore sa che, nella maggior parte dei settori merceologici, l’aumento della produttività e quindi del PIL, si ottiene con l’automazione e con l’ottimizzazione dei processi produttivi e non aumentando proporzionalmente l’occupazione.
Se si spendono i pochi soldi disponibili, o si creano altri debiti come quelli dei Project Bond, per fare grandi opere infrastrutturali, magari pianificate in altri tempi, prenderebbero gli appalti le solite poche grandi imprese che hanno le attrezzature necessarie. Sarebbero coinvolti qualche decina di sub appaltatori e lavorerebbero poche migliaia di operai, visto che il grosso del lavoro lo farebbero le macchine. I denari spesi sarebbero concentrati in poche mani e non servirebbero a riavviare l’economia neanche nei territori interessati dalle stesse opere, perché il grosso degli operai verrebbe da fuori.
Per dimostrare le nostre tesi, abbiamo studiato i dati della galleria per il TAV in val di Susa. Abbiamo scelto questa grande opera a titolo di esempio perché sono disponibili molti dati forniti dal Ministero competente, quindi certi e utili per avviare delle comparazioni. Tali dati indicano che la nuova galleria del TAV consentirebbe di creare 2000 nuovi posti diretti e 4000 indiretti. In realtà le cifre sembrano ottimistiche, ma anche se si raggiungessero tali obiettivi occupazionali, avremmo al massimo 6000 nuovi posti di lavoro contro un investimento minimo di 8,2 mld di €, ovvero 0,73 nuovi posti per ogni milione di euro investito, sempre che il costo dei lavori non subisca aumenti esponenziali in corso d’opera come è sempre avvenuto fino ad oggi in Italia!
In ogni caso la spesa sarebbe coperta a debito ribaltando ancora una volta il problema sulle generazioni future, che dovrebbero anche sorbirsi i danni ambientali e le spese per l’energia necessaria a illuminare e climatizzare l’opera.
Tutte le grandi opere infrastrutturali hanno per comun denominatore l’uso del debito, di molto cemento, di molta energia e hanno quindi un impatto ambientale molto rilevante. In sintesi si può dire che sull’altare ideologico della crescita del PIL e a favore di pochi soggetti che guadagnerebbero molto denaro, sacrificheremmo ancora una volta l’ambiente, l’occupazione, gli interessi della gran parte della gente ed i diritti delle generazioni future.
Si può fare diversamente? Certo che si! Bisogna solo cambiare le priorità e spendere il denaro in altro modo, partendo anche dalla consapevolezza che è convenienza di tutti investire subito le poche risorse disponibili in molte migliaia di piccoli e micro cantieri e solo successivamente, eventualmente, in grandi opere infrastrutturali.
I micro cantieri dovrebbero riguardare in primo luogo l’efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati. Poi anche le bonifiche ambientali e per la messa in sicurezza del territorio rispetto agli eventi catastrofici. In uno studio dell’ENEA del 2009 (vedi allegato 1) si proponevano interventi di riqualificazione energetica in 15.000 scuole ed edifici pubblici, che attualmente spendono circa 1,8 Mld di € ogni anno in energia elettrica e termica. Con gli 8,2 miliardi di € previsti per il TAV si può risparmiare il 20% dei consumi di questi edifici, pari a oltre 420 mln€/anno e si possono creare almeno 150.000 nuovi posti di lavoro. Inoltre lavorerebbero decine di migliaia di pmi e artigiani installatori. E siccome a cambiare infissi, montare caldaie di nuova generazione, montare cappotti, costruire case efficienti, rifare tetti, ecc. non servono macchine, ma persone, si darebbe lavoro ad un sacco di gente facendo tra l’altro ripartire in maniera virtuosa il settore dell’edilizia, attualmente in grande sofferenza.
In un articolo apparso il 13 febbraio 2012 sul Sole24ore (vedi allegato 2) si legge che investendo un milione di € in progetti di efficienza energetica si generano in media 13 posti di lavoro. Non si parla qui di energie rinnovabili, che pure generano 3 o 4 nuovi posti di lavoro per ogni milione di € investiti, ma del lavoro di “tappare i buchi” dai quali sfugge e viene sprecata gran parte dell’energia che usiamo nell’abitare. Per ogni 10 miliardi di € investiti si possono avere 130.000 nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere daremmo lavoro al massimo a 7.300 persone.
Dobbiamo poi considerare che i costi delle opere di efficientamento si pagherebbero in pochi anni con il risparmio energetico e in meno di un decennio i soldi investiti sarebbero di nuovo disponibili per nuovi utilizzi. Diventerebbero di fatto dei fondi di rotazione. Immediatamente calerebbe la bolletta energetica e l’inquinamento da CO2. Quindi ci guadagneremmo tutti. Inoltre con commesse piccole e diffuse, i fenomeni di grande corruzione politica, tipici dei grandi appalti, sarebbero certamente più infrequenti. Infine, il denaro speso per far lavorare migliaia e migliaia di piccole imprese e di artigiani, resterebbe nel territorio contribuendo in maniera determinante al riavvio dell’economia!
Noi facciamo appello alla politica perché dia priorità a questi interventi che generano molti benefici per tutti. Le grandi infrastrutture eventualmente si faranno in un secondo momento e solo quando si avrà la certezza che serviranno davvero!
Occorre abbandonare il dogma della crescita continua. Nell’Universo NULLA cresce per sempre. Si tratta di una sciocca illusione generata dalla mente dell’homo oeconomicus, una delle specie più perniciose e imprevidenti mai apparsa sulla faccia del Pianeta. E solo per questa sciocca specie di umani, e per gli altri che ci credono, il PIL è l’indicatore unico ed indiscutibile del nostro benessere.
Primo elenco di adesioni
Giordano Mancini – Studio Mancini – consulenza e formazione per aziende, Ripe (AN)
Maurizio Pallante – Presidente MDF, Passerano Marmorito (Asti)
Tiziano Tanari – Tanari Srl, costruzione edicole e chioschi
25 maggio 2012
Equitalia è una pistola fumante
Spa a capitale pubblico – inflessibile coi deboli e malleabile con i forti – è al centro di dure contestazioni. Senza nessuna giustificazione per gli evasori, il nodo sono i metodi di “strozzinaggio” di Equitalia che funge da moltiplicatore del debito privato delle fasce sociali più basse del Paese.
equitaliaLe mobilitazioni contro Equitalia nel nostro paese si sono susseguite nelle ultime settimane. Per mobilitazioni qui si intende le proteste pubbliche, popolari ed alla luce del sole come quelle di Napoli e Mestre o come quella degli operai di Termini Imerese all’Agenzia delle Entrate. Un tema, quello del debito privato, che trova ancora poca centralità, suo malgrado, nello spazio dell’analisi politica.
E’ vero che il tema della pressione fiscale lascia spazio a facili sortite demagogiche, come quelle in salsa verde dei leghisti contro le “tasse di Roma ladrona”. Bisogna innanzitutto centrare il tema, ed in questo le recenti mobilitazioni napoletane hanno avuto il merito di definire bene lo spazio rivendicativo. Le tasse vanno pagate e gli evasori fiscali devono essere perseguiti. Partiamo da questo dato, per tranquillizzare da subito tutti quelli che hanno letto con leggerezza le mobilitazioni contro Equitalia: nessuno di quelli che hanno manifestato a Napoli o a Mestre reclama la fine dei tributi.
Fatta questa necessaria premessa, passiamo alla disamina della questione.
Equitalia è una società per azioni a capitale pubblico – Ministero delle Finanze ed Agenzia delle Entrate – che risponde dunque alle esigenze di tutte le s.p.a. ovvero la necessità di fare profitti. La società si configura così come un esempio di quelle mostruosità giuridiche che sono le multiutility contro cui gli italiani si sono già espressi attraverso il referendum dell’estate del 2011.
Equitalia riscuote i tributi per conto dello stato e degli enti locali che hanno esternalizzato la riscossione delle tasse. La sua natura di s.p.a., porta Equitalia ad accumulare interessi attraverso un complesso sistema di aumenti del credito da riscuotere nei confronti degli evasori. Un agio del 9% su ogni tassa non pagata. Una percentuale che è circa il doppio del tasso di interesse medio che gli istituti di credito impongono sui prestiti privati. A questa percentuale di interesse da usura si sommano le spese di notifica, le spese legali e la maturazione degli ulteriori interessi. Nel pieno rispetto di una legge visibilmente singolare ed ingiusta, Equitalia diventa così una macchina da strozzinaggio.
A finire nel mirino di Equitalia ci sono tutti gli evasori fiscali senza nessun tipo di distinzione, siano essi evasori di una semplice multa per divieto di sosta oppure grandi evasori fiscali per milioni di euro. Il carico affidato ad Equitalia durante il 2010 è salito del 43% rispetto al 2007 ed attualmente è di 72 miliardi di euro*, più o meno due finanziarie.
Ma la rigidità della s.p.a. dei tributi sembra sciogliersi come neve al sole davanti ai grandi evasori fiscali a cui vengono proposti accordi con enormi vantaggi. Di contro il resto dei creditori di Equitalia, principalmente lavoratori autonomi, precari e pensionati, vede solo la possibilità di rateizzazione del debito fissata in griglie strette ed inflessibili. La mission di Equitalia contribuisce così alla configurazione di un sistema fiscale palesemente discriminatorio, che risulta inflessibile coi deboli e malleabile con i forti. Una visione suffragata ulteriormente dal rifiuto del governo dei professori di istituire la tassazione dei capitali scudati che avevano goduto della norma del precedente governo sul rientro dei capitali evasi all’estero e l’istituzione di una tassa patrimoniale per finanziare la spesa sociale.
In caso di mancato pagamento dopo la prima notifica della cartella esattoriale, Equitalia può procedere alla variegata gamma di azioni che rientrano nella riscossione coatta. Pignoramento del quinto dello stipendio, fermo amministrativo dei beni immobili, vendita coatta di auto, moto e case, fino al sequestro dei conti correnti come ha fatto Equitalia Calabria nei confronti dei pensionati. E così mentre si consente ai grandi evasori di chiudere accordi al ribasso recuperando qualche milione di euro rispetto a decine di milioni di evaso, sulle fasce sociali più deboli si abbatte la mannaia della riscossione coatta.
Un meccanismo perverso che contribuisce, ai tempi della più grande crisi che il nostro paese abbia mai conosciuto, all’aumento esponenziale del debito privato. Ed è proprio questo il cuore della questione: Equitalia funge da moltiplicatore del debito privato delle fasce sociali più deboli del paese. All’aumento della pressione fiscale dovuta alla “ricetta” dei professori guidati da Mario Monti, che incide sulla consistenza dei salari e delle pensioni, si unisce l’aumento del debito privato nei confronti dello Stato.
Un vero tritacarne soprattutto per i lavoratori autonomi che mentre fanno i conti con l’abbassamento del proprio potere d’acquisto devono contemporaneamente versare al fisco le tasse di oggi e quelle di ieri con gli aumenti da usura imposti da Equitalia. Ai lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione, su cui gli aumenti delle aliquote Irpef agiscono direttamente in busta paga, il tritacarne di Equitalia rischia di ridurre a poche centinaia di euro i salari attraverso il pignoramento del quinto dello stipendio. Il pignoramenti verso terzi operati da Equitalia sono circa 133.000 con un aumento del 50% tra il 2007 ed il 2010*. Una prospettiva che riduce in miseria una persona non per un periodo temporale, ma per tutta la vita che ti resta.
Ecco cosa spinge un cittadino a puntarsi una pistola alla testa. In particolar modo accade nel Mezzogiorno, dove oltre allo Stato spesso l’altro creditore del debito privato è il sistema criminale. Creditori diversi, ma spesso sistemi di riscossione molto simili. Eppure non si comprende come mai in troppi facciano finta di non capire.
Appena un mese fa la CGIL prospettava uno sciopero generale – l’ennesimo solo annunciato e mai praticato – contro le tasse. Eppure a nessuno venne in mente di parlare di demagogia. Nessuno ha mai chiesto la fine delle tasse, eppure sindaci di grandi città come Bologna si lanciano in iperboliche dichiarazioni su camorristi che protestano contro Equitalia. Cogliamo l’occasione per portare a conoscenza del sindaco di Bologna Virginio Merola che i camorristi sono tra quei grandi evasori a cui Equitalia offre accordi molto flessibili.
Dal prossimo anno tutti gli Enti Locali possono dismettere il contratto con Equitalia. Moltissimi sindaci hanno già dismesso il contratto, altri come quello di Napoli hanno annunciato che lo faranno dal gennaio del 2013. Ma il problema, come è evidente, non è Equitalia in sé ma il meccanismo con cui si pensa di riscuotere i tributi per le fasce sociali maggiormente colpite dalla crisi. Se ci si affiderà nuovamente ad una s.p.a. che dovrà fare profitti, se sarà consentito alle nuove società la riscossione coatta dei tributi, allora sarà solo maquillage. C'è da dire che solo il 16% dell'attività di Equitalia è legata però alla riscossione dei tributi dei Comuni, una percentuale comunque piccola rispetto alla fetta di lavoro svolta per lo Stato e le Regioni che è del 48%*.
I professori continuano a parlare della necessità di misure per la crescita economica del paese, ma non serve una laurea alla Bocconi per capire che senza un alleggerimento del debito privato per le fasce più povere non potrà mai esserci nessuna ripresa. Accanto allo smantellamento del welfare ed alla dismissione dello statuto dei lavoratori con il Ddl Fornero, il tema del debito privato per i lavoratori dipendenti risulta avere una drammatica centralità.
Le mobilitazioni delle ultime settimane pongono dei punti di rivendicazioni semplici e chiari: sospensione della riscossione coatta dei tributi per le fasce sociali deboli (a tal proposito è stato già votato a maggioranza un ordine del giorno alla Camera), cessazione dei contratti tra gli Enti Locali ed Equitalia, internalizzazione del servizio di riscossione dei tributi da parte degli Enti Locali, istituzione di una tassa patrimoniale per finanziare la spesa sociale, tassazione dei capitali scudati.
Proposte rispetto alle quali, i tanti che a sinistra hanno storto il naso davanti alle proteste contro Equitalia, farebbero bene a rispondere nel merito.
di Antonio Musella
* dati del Sole 24 Ore
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27 maggio 2012
I rischi del sistema finanziario ombra
Dopo la crisi finanziaria del 2008 uno degli elementi oggetto d’attenzione da parte dei media specializzati è il cosiddetto Shadow Banking System (il sistema bancario ombra - SBS). Come suggerisce il suo nome, questo termine raggruppa una serie di istituzioni e di pratiche basate sull’utilizzo di derivati finanziari che si collocano al di fuori dalla regolamentazione e dell’attenzione pubblica. Proprio quest’assenza di regolamentazione ha facilitato la rapida espansione del suddetto segmento dei mercati finanziari globali, segmento che, durante suo apice alla fine del 2011, è passato da un volume di attività di poco inferiore a 20.000 miliardi di dollari a un volume di 60.000 miliardi di dollari [1].
A dispetto del volume di transazioni, delle attività in gioco e dei rischi sistemici che si corrono, lo SBS ha continuato a ricevere un’attenzione marginale da parte dei media che si rivolgono al grande pubblico. Per comprendere questo sistema, è utile effettuare un paragone con il sistema bancario commerciale. Infatti, il finanziamento del sistema bancario tradizionale è, in teoria, il frutto dell’insieme dei depositi dei risparmiatori che costituiscono l’oggetto dei prestiti alle imprese e agli individui.
Lo SBS funziona in modo differente. Per finanziarsi, una Shadow Bank emette dei titoli e delle cambiali a breve termine (la durata varia da un giorno a un mese) che vengono successivamente investiti in prodotti finanziari strutturati a lungo termine come gli Asset Backed Securities (ABS [2]) o i Collateral Debt Obligations (CDO [3]). Il margine di profitto di questo modello bancario deriva direttamente dalla differenza tra il costo del finanziamento nei mercati di credito a breve temine e il rendimento superiore fornito dai prodotti finanziari strutturati.
La principale differenza tra le attività del sistema bancario tradizionale e quelle dello SBS è l’assenza di regolamentazione che riguarda il secondo. Le restrizioni in termini di riserve di capitale che obbligano una banca a mantenere, per ogni prestito effettuato, una parte dell’ammontare del prestito, non sono valide nel caso dei mercati finanziari a breve termine nei quali avvengono le transazioni dello SBS. Nel loro tentativo di aumentare i livelli dell’effetto leva per aumentare i profitti, le principali banche statunitensi ed europee sono entrate in una forte competizione con Hedge Funds e Private Equity Funds per raccogliere i finanziamenti in quei mercati. È così che delle banche come BNP PARIBAS o Dexia hanno potuto ampliare in maniera significativa i loro conti di bilancio senza doversi preoccupare di raccogliere i depositi dei risparmiatori.
Il problema è che queste banche non dichiarano questo tipo di transazione nei loro bilanci. Infatti, per raccogliere delle risorse nei mercati finanziari a breve termine attraverso l’emissione di titoli, le banche hanno proceduto alla creazione di entità legali parallele come gli Special Investment Vehicules (SIV [4]) o i Conduits [5]. Sebbene i benefici ottenuti dai SIV finiscano per essere registrati nel bilancio contabile delle banche, gli attivi e i passivi e, dunque, il rischio di finanziamento affrontato da queste entità speciali sono contabilizzati separatamente.
Dal punto di vista dei mercati, l’esistenza di questa relazione implicita tra le banche e queste entità speciali riveste due implicazioni concrete. In primo luogo, riduce i costi dei finanziamenti dei SIV quando i mercati sanno che in caso di problemi di liquidità o di insolvenza, le banche responsabili della creazione di queste entità speciali se ne faranno carico attraverso crediti o con l’integrazione diretta nel loro bilancio. In secondo luogo, i SIV permettono di aumentare i profitti contabili delle banche e parallelamente di ridurre il profilo di rischio grazie alla contabilizzazione separata. In un ambiente caratterizzato da tassi d’interesse bassi, una complessiva riduzione della volatilità e una regolamentazione lassista, ecco che questi elementi ci permettono di comprendere come lo SBS sia passato dall’essere un meccanismo alternativo di finanziamento delle entità bancarie statunitensi ed europee ad essere l’essenza stessa di questi modelli di transazioni finanziarie.
L’illusione dell’effetto leva illimitato e di un aumento permanente dei profitti si è conclusa nel 2007con un incremento di volatilità nei mercati dei prodotti finanziari strutturati. La prima protagonista nota dello SBS che ha sperimentato dei problemi è stata la Hedge Fund High-Grade Structured Credit Streategies (HGSCS) amministrata da Bear Stearns. A marzo 2007, la HGSCS aveva delle posizioni ABS sul mercato dei Subprime per un valore complessivo di 13,7 miliardi di dollari con un capitale proprio di 925 milioni di dollari. L’annuncio di perdite per un equivalente di 3,7% del portafoglio della Hedge Fund durante quello stesso mese ha portato gli investitori a ritirare 100 milioni di dollari. La perdita di fiducia nel fondo ha generato un effetto domino: la perdita del suo accesso al mercato dei finanziamenti a breve termine, ha dato luogo a una vendita al ribasso delle sue attività (a 60 centesimi di dollaro). A fine giugno 2007, Bear Stearns si è visto costretto a correre in soccorso della HGSCS registrando così una perdita di 3,2 miliardi di dollari [6].
Questo schema di annunci di perdite, di congelamento dell’accesso ai mercati di finanziamento a breve termine e di integrazione nei conti di bilancio delle banche responsabili con le conseguenti perdite significative, si è ripetuto nel caso della BNP PARIBAS ad agosto 2007, nel caso di Bear Stearns e Lehman Brothers a marzo e settembre 2008. La storia è risaputa: il crollo in questi due ultimi casi ha portato alla scomparsa di queste istituzioni finanziarie. In ultimo, l’incertezza ha finito per colpire una delle principali fonti di finanziamento dello SBS, i Money Market Funds (MMF [7]). Nel corso della settimana successiva al fallimento di Lehman Brothers, i MMF hanno dovuto affrontare dei prelievi da parte degli investitori equivalenti al 14% delle loro attività, circa 193 miliardi di dollari. A fine ottobre 2008 l’importo aveva raggiunto i 400 miliardi di dollari [8].
Dopo un periodo di declino successivo alla crisi finanziaria associato agli eventi descritti, lo SBS ha iniziato a recuperare la sua preponderanza nelle strategie di finanziamento del settore bancario. È necessario, dunque, comprendere la strategia di questo segmento dei mercati finanziari che continua a essere uno degli anelli deboli del sistema. Il recente crollo della MMF Global Funds nel novembre 2011 lo dimostra chiaramente. Un Primary Dealer [9] con sede a New York e diretto da John Corzine ex-direttore di Goldman Sachs, la MMF Global Funds, è stata portata alla bancarotta a causa dei progressivi rifiuti della MMF di finanziare delle entità che avessero delle esposizioni sul debito sovrano europeo. Nel corso dei mesi precedenti, il fondo aveva costruito un’importante posizione in questi portafogli utilizzando dei finanziamenti a breve termine ottenuti attraverso l’emissione di cambiali a breve termine nei MMF e ottenendo profitti significativi derivati da tassi d’interesse elevati legati ai titoli dei debiti di paesi come l’Irlanda e la Spagna. Tuttavia, con la diffusione della notizia fornita dalla Global Funds concernente la posizione rischiosa [10], gli investitori hanno iniziato a ritirare i loro soldi e il fondo ha perso l’accesso al finanziamento a breve termine. In assenza di liquidità per rifinanziare le sue posizioni, la Global Funds è fallita lasciandosi alle spalle delle perdite stimate per 2 miliardi di dollari.
Questa storia recente sottolinea uno dei rischi più significativi che rappresenta uno SBS in espansione per la stabilità dei mercati finanziari. In buona parte, grazie all’assenza di regolamentazione, le entità che operano su questi segmenti possono raggiungere livelli di effetto leva significativi che non potrebbero essere ottenuti altrimenti. Tuttavia, l’effetto leva è associato a un’alta vulnerabilità rispetto alle variazioni legate alle condizioni di finanziamento dei mercati a breve termine che, nella maggior parte dei casi, è implicato in posizioni complesse che associano bassa liquidità e impegni a lungo termine, non facili da trasformare rapidamente in liquidità. È così che un problema di liquidità può dare luogo molto rapidamente a un problema di solvibilità, che si traduce, in ultima analisi, nella sopravvivenza stessa dell’entità in questione.
All’eccessiva fragilità dello SBS, da un punto di vista pubblico, bisogna aggiungere degli altri rischi associati a questo sistema. In primo luogo, permettendo alle banche commerciali con depositi assicurati di creare delle entità specifiche, si incorre in una violazione di quegli stessi principi che hanno portato alla creazione delle assicurazioni sui depositi. Le suddette assicurazioni hanno lo scopo di proteggere i depositi dei risparmiatori ed esigono in cambio una gestione stabile e sicura dei depositi da parte delle banche. Tuttavia, come segnalato in precedenza, il rischio di finanziamenti corso dalle entità speciali si trova, in ultima istanza, legato al conto di bilancio e dunque alle garanzie pubbliche di cui godono le banche commerciali. Vale a dire che, nel contesto attuale, le garanzie sui depositi proteggono più le controparti implicate nelle transazioni dello SBS che i depositi senza i quali non esisterebbero. Un esempio pratico di questa situazione è la recente misura della Bank of America di integrare nella propria banca commerciale le operazioni sui prodotti derivati, così in caso di problemi legati ai prodotti derivati, queste transazioni beneficiano della copertura concessa dal FDIC per la banca commerciale [11].
Inoltre, bisogna menzionare anche l’esposizione dei Fondi pensionistici alle transazioni che si svolgono nello SBS. Per definizione, questi fondi hanno l’obbligo di gestire un profilo di rischio d’investimento minimo. Allo stesso tempo, motivi organizzativi li costringono a tenere da parte una piccola percentuale del loro portafoglio di investimenti in attivi liquidi a breve termine. Questi attivi liquidi facilitano i prelievi e le richieste di denaro contante nel breve termine. Ciononostante, visto la gran quantità di fondi che gestiscono questa “piccola” percentuale si aggira attorno ai 400-500 miliardi l’anno [12]. Prima queste risorse erano investite direttamente in titoli di debito pubblico a breve termine. Ma con l’espansione dello SBS e la ricerca di margini di profitto più elevati, i securities e altri tipi di risorse liquide sotto il controllo dei fondi pensionistici finiscono per essere prestati a Hedge Funds, MMF e ad altre entità operanti nell’ombra. Di conseguenza viene messo a rischio il risparmio depositato sotto l’amministrazione dei fondi pensionistici senza che il pubblico ne sia al corrente.
Un terzo rischio è associato ai problemi che lo SBS implica per la regolamentazione effettiva delle entità finanziarie. Se le recenti disposizioni in materia di regolamento hanno avuto l’obiettivo di consolidare le basi del capitale delle banche e di ridurre i loro livelli di effetto leva, il risultato è stato il ritiro delle attività più rischiose dai conti di bilancio e, di fatto, dai registri ufficiali. Questo ci permette di spiegare il forte recupero dello SBS nel corso del 2011 e agli inizi del 2012. È dunque possibile che la recente riduzione dell’effetto leva delle banche europee e statunitensi non rifletta una riduzione reale del rischio sistemico. Le attività più rischiose e instabili avvengono ora fuori dal controllo degli enti regolatori.
Nel complesso, questa serie di rischi associati allo SBS forniscono un’immagine estremamente preoccupante delle implicazioni che potrebbe avere un’espansione incontrollata del settore. La crisi del 2008 ha dimostrato che in caso di instabilità, le operazioni che avvengono nell’ombra finiscono per essere assunte, nella maggior parte dei casi, da entità finanziarie considerate too big to fail e che a loro volta sono salvate con i soldi pubblici. Nella misura in cui la stabilità di un sistema finanziario risiede nelle garanzie pubbliche offerte dallo Stato, è sua responsabilità assicurare le condizioni affinché le queste garanzie non debbano essere utilizzate. Ignorando lo SBS, le autorità vengono meno non soltanto a questa loro responsabilità ma spianano la strada, a ritmo accelerato, a nuovi e sempre più grandi salvataggi finanziari facendo ricorso al denaro pubblico.
di Daniel Munevar
Note
[1] Financial Times, “Traditional lenders shiver as shadow banking grows”, disponible en:http://www.ft.com/intl/cms/s/0/f63bea6c-2d5c-11e1-b985-00144feabdc0.html#axzz1lud8ehpR
[2] Un ABS consiste nella creazione di un titolo, prodotto della somma di un numero determinato di crediti individuali dalle caratteristiche simili. I flussi degli effettivi associati al titolo provengono direttamente dai crediti individuali.
[3] Un CDO permette di stabilire una struttura di pagamento subordinata associata a un gruppo di strumenti a reddito fisso come i titoli o le cambiali commerciali a breve termine. L’entità che si incarica di creare il CDO stabilisce segmenti di rischio direttamente relazionati con il rendimento dello strumento e la sua priorità nella struttura del pagamento. Un investitore con un basso appetito per il rischio acquisterà una posizione senior nel CDO, ricevendo i primi pagamenti della struttura finanziaria. Invece un investitore che cerchi un maggiore rendimento acquisterà una posizione con più rischio e minore priorità di pagamento nella detta struttura.
[4] Entità legali parallele create dalle banche di investimento per evitare le regolamentazioni delle riserve di capitale. Generalmente i SIV si finanziano attraverso l’emissione di cambiali commerciali a breve termine. A metà del 2007 si stima che banche a livello mondiale mantenessero in SIV un portafoglio di ABS e CDO per un valore di 1,5 miliardi di dollari. Vedi Thomas, L. (2011), ¨The Financial Crisis and Federal Reserve Policy¨, Palgrave Macmillan - New York, Ch. 5.
[5] I “conduits” furono istituiti dalle banche per facilitare il processo di creazione di ABS a partire da prestiti individuali. Nel periodo tra l’acquisto di detti crediti e la creazione e la vendita di ABS, i primi erano mantenuti nei “conduits”. I “conduits” sono delle entità legali indipendenti, le banche non sono obbligate a fornire riserve di capitale per garantire le attività di queste entità.
[6] Hsu J. y Moroz M. (2010), “Shadow Banks and the Financial Crisis of 2007–2008” in The Banking Crisis Handbook, edito da Gregoriou G., CRC Press - New York.
[7] I Money Market Funds sono dei fondi comuni che investono in cambiali a breve termine come i Buoni del Tesoro degli Stati Uniti e le azioni e obbligazioni societarie. Questi fondi giocano un ruolo centrale nella fornitura di liquidità a breve termine.
[8] Op. Cit. 6.
[9] I Primary Dealer sono delle entità che negli Stati Uniti si occupano di portare a buon fine l’acquisto e la vendita di titoli, in gran parte Bonus del Tesoro durante delle operazioni di mercato aperto intraprese dalla Fed. Fino alla bancarotta della Global Funds, esistevano 18 entità che svolgevano questa funzione.
[10] A causa della relativa assenza di liquidità che presentano i mercati del debito sovrano europeo, è molto difficile poter mettere fine a queste posizioni sui mercati.
[11] ¨ Bank of America Deadwatch : Moves Risky Derivatives from Holding Company to Taxpayer Backstopped depository ” http://www.nakedcapitalism.com/2011...
[12] Pozsar Z. e Singh M. (2011), ¨The Nonbank-Bank Nexus and the Shadow Banking System¨, IMF Working Paper - Research Department, WP/11/289
Daniel Munevar, economista, è membro del CADTM Colombia e della coordinazione del CADTM “Abya-Yala Nuestra America”.
Titolo originale: "Les risques du système bancaire de l’ombre "
Fonte: http://www.cadtm.org
26 maggio 2012
Spostare la priorità dalla crescita del PIL alla crescita dell’occupazione in lavori utili
Appello di imprenditori, tecnici, consulenti ed attivisti del Movimento per la Decrescita Felice per un cambio di priorità in Italia nelle scelte economiche ed industriali, al fine di iniziare a superare l’attuale crisi di sistema
In tempi normali è sufficiente gestire l’ordinaria amministrazione con accortezza perché tutto proceda bene. Il governo può condurre la sua politica industriale mediando fra gli interessi di ognuna delle parti coinvolte nei processi economici, cercando di trovare punti di incontro per la difesa degli interessi generali. Ma quando, come ora, si vivono grandi cambiamenti epocali, dove masse sempre più grandi di persone soffrono per mancanza di lavoro, Occorre rimettere in discussione idee consolidate, in particolare il dogma della crescita continua del Prodotto Interno Lordo. Vediamo con apprensione che si parla di “Project Bond per realizzare grandi opere infrastrutturali. Si tratta in pratica di fare ancora altri debiti per realizzare di grandi opere finalizzate, più che alla reale utilità, al far ripartire la crescita, come se questa fosse la soluzione ad ogni male.
Ancora grandi opere, ancora a debito … per riavviare la crescita e poter pagare gli interessi sul debito! Ma che follia è? E in questo teatro dell’assurdo, si inserisce anche il luogo comune del collegamento diretto fra crescita e occupazione. Si dà per scontato che la crescita faccia automaticamente aumentare l’occupazione, ma non è vero e ci sono i numeri a dimostrarlo. Dagli anni ’60 ad oggi il PIL è aumentato di quasi 4 volte, mentre l’occupazione in proporzione all’aumento della popolazione è diminuita!
Ogni imprenditore sa che, nella maggior parte dei settori merceologici, l’aumento della produttività e quindi del PIL, si ottiene con l’automazione e con l’ottimizzazione dei processi produttivi e non aumentando proporzionalmente l’occupazione.
Se si spendono i pochi soldi disponibili, o si creano altri debiti come quelli dei Project Bond, per fare grandi opere infrastrutturali, magari pianificate in altri tempi, prenderebbero gli appalti le solite poche grandi imprese che hanno le attrezzature necessarie. Sarebbero coinvolti qualche decina di sub appaltatori e lavorerebbero poche migliaia di operai, visto che il grosso del lavoro lo farebbero le macchine. I denari spesi sarebbero concentrati in poche mani e non servirebbero a riavviare l’economia neanche nei territori interessati dalle stesse opere, perché il grosso degli operai verrebbe da fuori.
Per dimostrare le nostre tesi, abbiamo studiato i dati della galleria per il TAV in val di Susa. Abbiamo scelto questa grande opera a titolo di esempio perché sono disponibili molti dati forniti dal Ministero competente, quindi certi e utili per avviare delle comparazioni. Tali dati indicano che la nuova galleria del TAV consentirebbe di creare 2000 nuovi posti diretti e 4000 indiretti. In realtà le cifre sembrano ottimistiche, ma anche se si raggiungessero tali obiettivi occupazionali, avremmo al massimo 6000 nuovi posti di lavoro contro un investimento minimo di 8,2 mld di €, ovvero 0,73 nuovi posti per ogni milione di euro investito, sempre che il costo dei lavori non subisca aumenti esponenziali in corso d’opera come è sempre avvenuto fino ad oggi in Italia!
In ogni caso la spesa sarebbe coperta a debito ribaltando ancora una volta il problema sulle generazioni future, che dovrebbero anche sorbirsi i danni ambientali e le spese per l’energia necessaria a illuminare e climatizzare l’opera.
Tutte le grandi opere infrastrutturali hanno per comun denominatore l’uso del debito, di molto cemento, di molta energia e hanno quindi un impatto ambientale molto rilevante. In sintesi si può dire che sull’altare ideologico della crescita del PIL e a favore di pochi soggetti che guadagnerebbero molto denaro, sacrificheremmo ancora una volta l’ambiente, l’occupazione, gli interessi della gran parte della gente ed i diritti delle generazioni future.
Si può fare diversamente? Certo che si! Bisogna solo cambiare le priorità e spendere il denaro in altro modo, partendo anche dalla consapevolezza che è convenienza di tutti investire subito le poche risorse disponibili in molte migliaia di piccoli e micro cantieri e solo successivamente, eventualmente, in grandi opere infrastrutturali.
I micro cantieri dovrebbero riguardare in primo luogo l’efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati. Poi anche le bonifiche ambientali e per la messa in sicurezza del territorio rispetto agli eventi catastrofici. In uno studio dell’ENEA del 2009 (vedi allegato 1) si proponevano interventi di riqualificazione energetica in 15.000 scuole ed edifici pubblici, che attualmente spendono circa 1,8 Mld di € ogni anno in energia elettrica e termica. Con gli 8,2 miliardi di € previsti per il TAV si può risparmiare il 20% dei consumi di questi edifici, pari a oltre 420 mln€/anno e si possono creare almeno 150.000 nuovi posti di lavoro. Inoltre lavorerebbero decine di migliaia di pmi e artigiani installatori. E siccome a cambiare infissi, montare caldaie di nuova generazione, montare cappotti, costruire case efficienti, rifare tetti, ecc. non servono macchine, ma persone, si darebbe lavoro ad un sacco di gente facendo tra l’altro ripartire in maniera virtuosa il settore dell’edilizia, attualmente in grande sofferenza.
In un articolo apparso il 13 febbraio 2012 sul Sole24ore (vedi allegato 2) si legge che investendo un milione di € in progetti di efficienza energetica si generano in media 13 posti di lavoro. Non si parla qui di energie rinnovabili, che pure generano 3 o 4 nuovi posti di lavoro per ogni milione di € investiti, ma del lavoro di “tappare i buchi” dai quali sfugge e viene sprecata gran parte dell’energia che usiamo nell’abitare. Per ogni 10 miliardi di € investiti si possono avere 130.000 nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere daremmo lavoro al massimo a 7.300 persone.
Dobbiamo poi considerare che i costi delle opere di efficientamento si pagherebbero in pochi anni con il risparmio energetico e in meno di un decennio i soldi investiti sarebbero di nuovo disponibili per nuovi utilizzi. Diventerebbero di fatto dei fondi di rotazione. Immediatamente calerebbe la bolletta energetica e l’inquinamento da CO2. Quindi ci guadagneremmo tutti. Inoltre con commesse piccole e diffuse, i fenomeni di grande corruzione politica, tipici dei grandi appalti, sarebbero certamente più infrequenti. Infine, il denaro speso per far lavorare migliaia e migliaia di piccole imprese e di artigiani, resterebbe nel territorio contribuendo in maniera determinante al riavvio dell’economia!
Noi facciamo appello alla politica perché dia priorità a questi interventi che generano molti benefici per tutti. Le grandi infrastrutture eventualmente si faranno in un secondo momento e solo quando si avrà la certezza che serviranno davvero!
Occorre abbandonare il dogma della crescita continua. Nell’Universo NULLA cresce per sempre. Si tratta di una sciocca illusione generata dalla mente dell’homo oeconomicus, una delle specie più perniciose e imprevidenti mai apparsa sulla faccia del Pianeta. E solo per questa sciocca specie di umani, e per gli altri che ci credono, il PIL è l’indicatore unico ed indiscutibile del nostro benessere.
Primo elenco di adesioni
Giordano Mancini – Studio Mancini – consulenza e formazione per aziende, Ripe (AN)
Maurizio Pallante – Presidente MDF, Passerano Marmorito (Asti)
Tiziano Tanari – Tanari Srl, costruzione edicole e chioschi
25 maggio 2012
Equitalia è una pistola fumante
Spa a capitale pubblico – inflessibile coi deboli e malleabile con i forti – è al centro di dure contestazioni. Senza nessuna giustificazione per gli evasori, il nodo sono i metodi di “strozzinaggio” di Equitalia che funge da moltiplicatore del debito privato delle fasce sociali più basse del Paese.
equitaliaLe mobilitazioni contro Equitalia nel nostro paese si sono susseguite nelle ultime settimane. Per mobilitazioni qui si intende le proteste pubbliche, popolari ed alla luce del sole come quelle di Napoli e Mestre o come quella degli operai di Termini Imerese all’Agenzia delle Entrate. Un tema, quello del debito privato, che trova ancora poca centralità, suo malgrado, nello spazio dell’analisi politica.
E’ vero che il tema della pressione fiscale lascia spazio a facili sortite demagogiche, come quelle in salsa verde dei leghisti contro le “tasse di Roma ladrona”. Bisogna innanzitutto centrare il tema, ed in questo le recenti mobilitazioni napoletane hanno avuto il merito di definire bene lo spazio rivendicativo. Le tasse vanno pagate e gli evasori fiscali devono essere perseguiti. Partiamo da questo dato, per tranquillizzare da subito tutti quelli che hanno letto con leggerezza le mobilitazioni contro Equitalia: nessuno di quelli che hanno manifestato a Napoli o a Mestre reclama la fine dei tributi.
Fatta questa necessaria premessa, passiamo alla disamina della questione.
Equitalia è una società per azioni a capitale pubblico – Ministero delle Finanze ed Agenzia delle Entrate – che risponde dunque alle esigenze di tutte le s.p.a. ovvero la necessità di fare profitti. La società si configura così come un esempio di quelle mostruosità giuridiche che sono le multiutility contro cui gli italiani si sono già espressi attraverso il referendum dell’estate del 2011.
Equitalia riscuote i tributi per conto dello stato e degli enti locali che hanno esternalizzato la riscossione delle tasse. La sua natura di s.p.a., porta Equitalia ad accumulare interessi attraverso un complesso sistema di aumenti del credito da riscuotere nei confronti degli evasori. Un agio del 9% su ogni tassa non pagata. Una percentuale che è circa il doppio del tasso di interesse medio che gli istituti di credito impongono sui prestiti privati. A questa percentuale di interesse da usura si sommano le spese di notifica, le spese legali e la maturazione degli ulteriori interessi. Nel pieno rispetto di una legge visibilmente singolare ed ingiusta, Equitalia diventa così una macchina da strozzinaggio.
A finire nel mirino di Equitalia ci sono tutti gli evasori fiscali senza nessun tipo di distinzione, siano essi evasori di una semplice multa per divieto di sosta oppure grandi evasori fiscali per milioni di euro. Il carico affidato ad Equitalia durante il 2010 è salito del 43% rispetto al 2007 ed attualmente è di 72 miliardi di euro*, più o meno due finanziarie.
Ma la rigidità della s.p.a. dei tributi sembra sciogliersi come neve al sole davanti ai grandi evasori fiscali a cui vengono proposti accordi con enormi vantaggi. Di contro il resto dei creditori di Equitalia, principalmente lavoratori autonomi, precari e pensionati, vede solo la possibilità di rateizzazione del debito fissata in griglie strette ed inflessibili. La mission di Equitalia contribuisce così alla configurazione di un sistema fiscale palesemente discriminatorio, che risulta inflessibile coi deboli e malleabile con i forti. Una visione suffragata ulteriormente dal rifiuto del governo dei professori di istituire la tassazione dei capitali scudati che avevano goduto della norma del precedente governo sul rientro dei capitali evasi all’estero e l’istituzione di una tassa patrimoniale per finanziare la spesa sociale.
In caso di mancato pagamento dopo la prima notifica della cartella esattoriale, Equitalia può procedere alla variegata gamma di azioni che rientrano nella riscossione coatta. Pignoramento del quinto dello stipendio, fermo amministrativo dei beni immobili, vendita coatta di auto, moto e case, fino al sequestro dei conti correnti come ha fatto Equitalia Calabria nei confronti dei pensionati. E così mentre si consente ai grandi evasori di chiudere accordi al ribasso recuperando qualche milione di euro rispetto a decine di milioni di evaso, sulle fasce sociali più deboli si abbatte la mannaia della riscossione coatta.
Un meccanismo perverso che contribuisce, ai tempi della più grande crisi che il nostro paese abbia mai conosciuto, all’aumento esponenziale del debito privato. Ed è proprio questo il cuore della questione: Equitalia funge da moltiplicatore del debito privato delle fasce sociali più deboli del paese. All’aumento della pressione fiscale dovuta alla “ricetta” dei professori guidati da Mario Monti, che incide sulla consistenza dei salari e delle pensioni, si unisce l’aumento del debito privato nei confronti dello Stato.
Un vero tritacarne soprattutto per i lavoratori autonomi che mentre fanno i conti con l’abbassamento del proprio potere d’acquisto devono contemporaneamente versare al fisco le tasse di oggi e quelle di ieri con gli aumenti da usura imposti da Equitalia. Ai lavoratori dipendenti della pubblica amministrazione, su cui gli aumenti delle aliquote Irpef agiscono direttamente in busta paga, il tritacarne di Equitalia rischia di ridurre a poche centinaia di euro i salari attraverso il pignoramento del quinto dello stipendio. Il pignoramenti verso terzi operati da Equitalia sono circa 133.000 con un aumento del 50% tra il 2007 ed il 2010*. Una prospettiva che riduce in miseria una persona non per un periodo temporale, ma per tutta la vita che ti resta.
Ecco cosa spinge un cittadino a puntarsi una pistola alla testa. In particolar modo accade nel Mezzogiorno, dove oltre allo Stato spesso l’altro creditore del debito privato è il sistema criminale. Creditori diversi, ma spesso sistemi di riscossione molto simili. Eppure non si comprende come mai in troppi facciano finta di non capire.
Appena un mese fa la CGIL prospettava uno sciopero generale – l’ennesimo solo annunciato e mai praticato – contro le tasse. Eppure a nessuno venne in mente di parlare di demagogia. Nessuno ha mai chiesto la fine delle tasse, eppure sindaci di grandi città come Bologna si lanciano in iperboliche dichiarazioni su camorristi che protestano contro Equitalia. Cogliamo l’occasione per portare a conoscenza del sindaco di Bologna Virginio Merola che i camorristi sono tra quei grandi evasori a cui Equitalia offre accordi molto flessibili.
Dal prossimo anno tutti gli Enti Locali possono dismettere il contratto con Equitalia. Moltissimi sindaci hanno già dismesso il contratto, altri come quello di Napoli hanno annunciato che lo faranno dal gennaio del 2013. Ma il problema, come è evidente, non è Equitalia in sé ma il meccanismo con cui si pensa di riscuotere i tributi per le fasce sociali maggiormente colpite dalla crisi. Se ci si affiderà nuovamente ad una s.p.a. che dovrà fare profitti, se sarà consentito alle nuove società la riscossione coatta dei tributi, allora sarà solo maquillage. C'è da dire che solo il 16% dell'attività di Equitalia è legata però alla riscossione dei tributi dei Comuni, una percentuale comunque piccola rispetto alla fetta di lavoro svolta per lo Stato e le Regioni che è del 48%*.
I professori continuano a parlare della necessità di misure per la crescita economica del paese, ma non serve una laurea alla Bocconi per capire che senza un alleggerimento del debito privato per le fasce più povere non potrà mai esserci nessuna ripresa. Accanto allo smantellamento del welfare ed alla dismissione dello statuto dei lavoratori con il Ddl Fornero, il tema del debito privato per i lavoratori dipendenti risulta avere una drammatica centralità.
Le mobilitazioni delle ultime settimane pongono dei punti di rivendicazioni semplici e chiari: sospensione della riscossione coatta dei tributi per le fasce sociali deboli (a tal proposito è stato già votato a maggioranza un ordine del giorno alla Camera), cessazione dei contratti tra gli Enti Locali ed Equitalia, internalizzazione del servizio di riscossione dei tributi da parte degli Enti Locali, istituzione di una tassa patrimoniale per finanziare la spesa sociale, tassazione dei capitali scudati.
Proposte rispetto alle quali, i tanti che a sinistra hanno storto il naso davanti alle proteste contro Equitalia, farebbero bene a rispondere nel merito.
di Antonio Musella
* dati del Sole 24 Ore
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