29 maggio 2012
L'Italia in bilico tra antipolitica e sfiducia
Lo scenario attuale
Che dalla politica dipenda l'organizzazione della società civile e la vita di ciascun individuo oggi è più che mai evidente. Un lungo e triste elenco di suicidi scandisce il tempo di questo governo tecnico[1]: lavoratori che hanno perso il proprio posto di lavoro e imprenditori in gravissime difficoltà economiche. Disoccupazione, impossibilità di accesso al credito, mancanza di liquidità, pagamenti a lunghissimo termine, scarsità d'investimenti e soprattutto l'assenza di qualunque prospettiva per il futuro sono alcune tra le cause principali della disperazione. Alla drammaticità dell'attuale situazione economica, apparentemente senza una chiara e immediata via di uscita, si contrappone ogni giorno in misura sempre maggiore un senso di sfiducia collettivo. L'angoscia di tantissimi cittadini rimane soffocata all'interno delle mura domestiche, spesso accompagnata dalla depressione o dalla rabbia che esplode verso se stessi e verso gli altri.
La frustrazione a livello sociale deriva principalmente dalla sensazione d'impotenza a fronte di quella che viene proposta alla popolazione, da parte di molti politici, economisti e mezzi di informazione, come l'unica soluzione possibile per l'uscita dalla crisi: una ricetta economica fatta di tasse, tagli ed aumenti delle tariffe. Pena l'incremento del deficit - ora incostituzionale - e l'aumento del debito pubblico che, nonostante le manovre di austerità e gli enormi sacrifici imposti agli italiani, continua a crescere a ritmi record[2]. È chiaro che all'interno di questo sistema di vincoli europei, costituiti dalla moneta unica e dai vari trattati firmati, sembra apparentemente non esserci altra via di uscita. Eppure professori ed economisti italiani del calibro di Paolo Savona[3], Giulio Sapelli[4], Emiliano Brancaccio[5], Loretta Napoleoni[6] e di fama internazionale, come i due premi nobel per l'economia Paul Krugman[7] e Joseph Stiglitz[8], si sono schierati apertamente contro queste politiche di austerità, deflattive e recessive. L'impostazione dettata dai vincoli di bilancio e dalle logiche di rigore sta alimentando una spirale negativa che porta a un'ulteriore contrazione del PIL, facendo così diminuire il gettito fiscale, aumentando i rischi di solvibilità sul piano internazionale, accrescendo l'esborso per interessi, diminuendo la capacità di spesa per gli investimenti necessari a stimolare l'economia. Tutto ciò a detrimento di quelle risorse finanziare pubbliche che sono indispensabili anche per fornire servizi sociali e assistenziali primari.
Nel quadro normativo europeo attuale, taluni vedrebbero come possibile strada per abbattere il debito pubblico, la vendita delle partecipazioni statali nelle poche grandi aziende italiane rimaste[9](Finmeccanica, Enel, Eni,…). Questo in realtà comporterebbe un duplice rischio: da un lato favorire pochi grandi speculatori privati a caccia di rendite e dall'altro vedere i flussi finanziari derivanti dalla vendita prendere la strada delle tasche degli investitori stranieri, i quali detengono direttamente circa il 44% del debito pubblico italiano[10] ed esigono annualmente il pagamento di circa 37 miliardi di euro di interessi[11]. Ma poi quale sarebbe il beneficio per lo sviluppo del Paese derivante da ulteriori privatizzazioni? Come sarebbero reinvestiti i proventi delle vendite dei beni pubblici? Chi potrebbe garantire che non sia solo una manovra "una tantum" che ben lungi dal rilanciare l'economia ci renderebbe a posteriori (come collettività) ancora più poveri? La "sbornia" delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni avviate nel 1992 ha condotto a degli utili e dei benefici per l'economia nazionale quasi insignificanti. È dato storico incontrovertibile invece, che da allora è cominciato un lento e progressivo declino industriale ed occupazionale del Paese[12]. Un declino oramai certificato dalle statistiche ufficiali che vedono l'Italia in recessione economica.
Altri vorrebbero utilizzare il patrimonio della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. per pagare i debiti dello Stato, come dire: lo strumento che a suon d'investimenti dovrebbe servire per lo sviluppo strategico del Paese, utilizzato come cassa per la spesa corrente.
I risultati elettorali delle ultime votazioni amministrative ben rappresentano il malessere che serpeggia a livello sociale: sfiducia che si manifesta in un alto tasso di astensione; rabbia che ha condotto a un vero e proprio tracollo dei maggiori partiti a sostegno del governo Monti; vittoria dei movimenti di protesta come quello a cinque stelle di Beppe Grillo. La forte disapprovazione per le politiche di austerità, che in diversa misura toccano tutti gli Stati europei, non ha risparmiato neppure Francia e Grecia, dove i partiti al governo hanno subito pesantissime sconfitte in termini di consensi e voti, a tutto vantaggio di forze politiche estremiste. Infine, anche chi ha sostenuto maggiormente misure di rigore e austerità a livello europeo ha subito duri e forti contraccolpi: nelle recenti elezioni regionali, il movimento dei cristiano democratici nel Land del Nord Reno Westfalia ha incassato il peggior risultato elettorale dal 1947. Una cocente sconfitta per il partito guida al governo tedesco che ben indica l'apprezzamento per le politiche economiche della cancelliera Merkel.
Inquietanti similitudini
A rendere ancor più drammatica la situazione italiana, nelle ultime settimane si sono aggiunti alcuni tragici attentati, farneticanti rivendicazioni e incomprensibili moventi. Dopo che per mesi gli scontri tra frange estremiste del movimento NO TAV e polizia avevano alzato la tensione sociale. "Non possiamo escludere un ritorno alla strategia stragista", ha affermato il Capo dello Stato Napolitano[13]. Tutto questo riporta alla memoria un annus horribilis, il 1992, quando l'Italia vide una successione di eventi tragici ed incalzanti[14] che cambiarono per sempre la storia del nostro Paese. Quello che oggi stiamo vivendo ha similitudini inquietanti con quella stagione che portò all'avvio dell'operazione Mani Pulite; alle stragi di Capaci e via D'Amelio; all'attacco speculativo contro la lira da parte del finanziere George Soros e alla conseguente uscita della lira dallo SME; alla crisi finanziaria che condusse il governo Amato a varare una manovra da 100.000 miliardi delle vecchie lire[15]. Un'escalation di eventi che probabilmente servì a piegare ogni volontà politica del Parlamento italiano di allora e portare così alla ratifica del trattato di Maastricht, senza alcuna esitazione. Ciò che spinse l'allora ministro del tesoro a porre in modo incondizionato quella firma fu la sfiducia negli italiani, i quali dovevano essere guidati da una "elite" che mettesse il bene comune sopra tutto, anche a scapito delle regole della democrazia parlamentare[16]. Parlando di Guido Carli, Paolo Savona scrive: «so per certo che egli avesse perso fiducia nella capacità degli italiani di sapersi dare comportamenti coerenti con le necessità del nuovo quadro geopolitico e geoeconomico e, pertanto, fosse necessario rinforzare il "vincolo esterno"»[17]. Il vincolo esterno. Carli cercò ed ottenne un aiuto dall'esterno del Paese per imporre all'Italia quella politica di rigore di bilancio che da ministro del tesoro non era riuscito a far accettare. Affinché si potesse così "innestare l'economia di mercato, nel tessuto vivente, nelle fibre della società e introdurla nella mentalità della classe dirigente"[18]. Tentativo questo che egli più volte fallì nei decenni, anche nel ruolo di presidente di Confindustria[19]. Affinché si potesse così liberare l'economia italiana dagli aiuti di Stato e dai "lacci e lacciuoli" della burocrazia.
Quest'aiuto alla fine arrivò dalla firma del trattato dell'unione europea, politica, economica e monetaria. La classe politica di allora veniva giudicata debole, screditata, senza forza ed autorità morale per far accettare sacrifici agli elettori. Occorreva un vincolo esterno; quindi per sua natura limitativo, restrittivo. La ferma convinzione e la tenacia con cui il "partito liberista trasversale" perseguì l'adesione al Trattato di Maastricht, dovrebbe quantomeno far riflettere anche i più accaniti europeisti sulle reali finalità dell'unione europea e sulla reale democraticità dei processi economici e sociali che già allora venivano programmati. Un'unione pensata come vincolo esterno. Lo stesso che fu imposto agli italiani anche nel dopoguerra affinché il Paese non prendesse una "deriva statalista", così come le forze liberali volevano[20]. Cosicché per l'ennesima volta nella Storia italiana si fece ricorso alla "chiamata dello straniero", affinché gli interessi di una parte del Paese o di un'elite con una ben precisa visione del mondo, un'ideologia, divenissero elementi costitutivi dell'ordinamento giuridico.
Gli italiani che non si sanno governare, gli italiani che necessitano di una "guida", gli italiani non responsabilizzati nelle tante scelte strategiche del Paese e che nel corso della Storia troppo spesso non hanno goduto neppure della fiducia della propria classe dirigente. Gli italiani "consegnati nelle mani di elite illuminate". Gli italiani che, forse proprio per queste ragioni, non sono mai stati davvero indipendenti e liberi all'interno della propria nazione. Non dovremmo sorprenderci più di tanto quindi, se oggi ci scopriamo "etero diretti", poco autonomi e dunque incapaci di uscire dalle maglie di questa crisi. Non abbiamo più gli strumenti per farlo, gli strumenti sono "altrove" e per il momento non vengono utilizzati a nostro favore. A testimonianza si possono citare le parole del professor Giuseppe Guarino: « Nel campo normativo l'Unione [Europea N.d.A.] è assolutamente prevalente. La sua competenza è esclusiva in materie fondamentali. Le sue norme prevalgono su quelle degli Stati membri. La sfera dell'Unione si allarga (e corrispondentemente si restringe l'ambito normativo degli Stati) man mano che le competenze vengono concretamente esercitate. La competenza dell'Unione è esclusiva persino nel valutare se sussistono le condizioni per estendere le sue competenze. Una domanda: gli Stati che ci stanno a fare? I dati statistici ci dicono che in Italia nei nove anni dal 2000 al 2008 (per il 2008 analizzati solo i primi tre trimestri) gli atti nazionali con forza di legge sono stati 1.072; i regolamenti e le direttive comunitarie 20.976.»[21]
Un dovere morale
La stessa sfiducia verso la popolazione è presente anche in gran parte dell'attuale classe politica, la stessa che ha introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione e che sta per ratificare il trattato ESM, nel silenzio più assoluto della politica e degli organi d'informazione[22]. Il responsabile economia e lavoro del PD, Stefano Fassina, si è spinto ad affermare che il pareggio di bilancio è uno strumento economicamente sbagliato, ma politicamente corretto (sic!) per riacquistare la fiducia dell'Europa[23]. Per Fassina non c'è futuro al di fuori dell'unione europea, la finanza e l'economia globale schiacciano gli Stati e di fronte a Paesi come la Cina, l'India, il Brasile,… non ha più senso parlare di sovranità nazionale: è la resa completa della politica di fronte alla globalizzazione. Ma non è unicamente nel numero di abitanti che va ricercato il senso di una sovranità nazionale, come Fassina da buon materialista vorrebbe far credere, ma innanzitutto nella cultura di una popolazione. È necessario tornare ad avere fiducia nella cultura e nelle capacità degli italiani: questo più che un compito è un dovere morale della politica! C'è stato un periodo della Storia recente in cui l'Italia aveva qualcosa da dire al mondo e l'economia cresceva come in nessun'altra nazione[24]. Bisogna avere quella fiducia che è mancata a Guido Carli e a molti altri negli ultimi anni, pensando che si può ripartire, ricostruendo un tessuto sociale ed una economia solida. La storia italiana del dopoguerra dovrebbe darci l'esempio, il caso argentino potrebbe guidarci nella giusta direzione. L'economia argentina, abbandonato il cambio fisso con il dollaro e le ricette di austerità imposte per decenni dall'FMI, dal 2002 al 2011 ha visto crescere la sua economia del 94% e tutt'ora vanta una crescita del PIL annuale attorno all'8%[25].
L'Italia oggi è in bilico, tra una strada di lenta agonia e una possibilità di riscatto, faticosa ma possibile. Come oramai da anni Lyndon LaRouche sostiene: è necessario tornare alla separazione bancaria tra banche commerciali e banche d'affari, secondo il modello Glass-Steagall. Concetto questo ripreso e promosso sempre più anche da voci autorevoli del mondo politico ed accademico. È necessario pensare ad una banca nazionale per lo sviluppo, che finanzi progetti a lungo termine nelle infrastrutture e nell'industria ad alta tecnologia, sullo stile di quella creata dal primo ministro del tesoro americano Alexander Hamilton. È necessario investire in ricerca ed in solidarietà. È necessario riscoprire la vera cultura e puntare sulle nuove generazioni affinché siano loro i primi a beneficiarne.
Spetta a noi decidere se siamo ancora l'Italia del Rinascimento o solo quella del neo-darwinismo sociale. Solamente se la politica italiana saprà scommettere sul futuro ed imboccare la strada verso nuova crescita e migliore sviluppo, ci potrà essere una vera svolta. Solo quando saprà credere di nuovo nella cultura e nella forza dell'Italia, riacquisterà dignità e rispetto.
Non vi è altra scelta, è passaggio obbligato.
Andrea Pomozzi
Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà
28 maggio 2012
Il nemico politico, in questa fase, è il Partito Democratico
Ci sono sempre nella storia nemici principali e nemici secondari.
Ambedue si devono combattere, ma in determinate contingenze, prima di attaccare il nemico principale, è necessario “sgomberare il campo” dai nemici secondari, liberando spazi limitati (come quelli nazionali) per aggredire poi aree geopolitiche più vaste..
Ciò non significa che la lotta contro nemici di “rango” inferiore è tanto più agevole, e meno cruda, di quella che si svilupperà contro il nemico principale, ma è chiaro che si tratta di nemici più “prossimi” a noi, con maggiori punti deboli, e perciò attaccabili con maggiori speranze di successo.
Nell’Italia di oggi, paese occupato e soggetto al governo direttoriale euro-globalista affidato a Mario Monti, il nemico secondario locale, che si muove su un piano politico di sub-dominanza e supporta la dittatura globalista, è senza ombre di dubbio il Partito democratico.
Dopo l’inizio di una rapida dissoluzione del cosiddetto centro-destra, con la liquefazione del PdL “abbandonato” da Berlusconi ed il crollo dei consensi registrato dalla Lega, travolta con singolare tempismo dagli scandali, resta soltanto il Pd all’interno del sistema, con tutte le forze di contorno, in rappresentanza di una sinistra neoliberista, filo-globalista, antipopolare ed “antipopulista”, che dovrebbe neutralizzare ipotetiche proteste di massa (per ora soltanto temute), imbrogliando i dominati e supportando le politiche applicate da Monti.
Infatti, il puntello al momento più saldo del governo direttoriale globalista – non eletto, non richiesto, non amato – che sta saccheggiando l’Italia e uccidendo la popolazione (letteralmente, dati i continui suicidi per ragioni economiche), è rappresentato dalla B del terzetto politico ABC di sostegno all’esecutivo, e cioè da Pier Luigi Bersani.
Questo piccolo funambolo della politica degenere, che “parla come mangia” (ed evidentemente mangia molto male, nutrendosi di cibo-spazzatura), ha stretto un patto di sangue con il grande capitale finanziario e con la classe neodominante che lo controlla, o meglio, si è proposto come servitore politico, ed ha accettato, in qualità di kapò di quel grande campo di concentramento sperimentale che è diventata l’Italia, di supportarne fino in fondo gli interessi.
Bersani – rappresentante di una squallida camarilla politico-burocratica che si annida in parlamento, collocata a sinistra nell’emiciclo, dietro la quale non sembra che ci sia un vero e coeso blocco-sociale – ha rinnegato il paese, ha ripudiato la bandiera, ha supportato Napolitano, ha appoggiato Monti, ha contribuito a svendere gli ultimi scampoli di sovranità, di socialità, di patrimonio pubblico, permettendo che si calpesti la residua dignità nazionale, in cambio del mantenimento, per lui e i suoi, di una posizione di sub-potere e dei benefit che questa comporta.
La consorteria politica della sinistra, alimentata dalla corruzione materiale ed etica, preda del cinismo che ha fatto seguito alla fine della Grande Narrazione marxista – della quale già il PCI “eurocomunista” figlio della svolta berlingueriana, prima di essere soppresso nel febbraio del 1991, cercava di sbarazzarsi definitivamente – è composta di un coacervo di forze del tutto subalterne al neocapitalismo e al neoliberalismo, a partire dall’informe alleanza fra apostati del comunismo e catto-democristiani “di sinistra,” chiamata Pd, e dai comunisti individualistici postsovietici del SEL, completamente fagocitati negli immaginari capitalistici, fino ad arrivare ai patetici resti di formazioni che ancora, impropriamente, si chiamano comuniste, come Rifondazione e il PdCI.
Il tutto integrato dalla CGIL di Camusso e dalla Fiom apparentemente ribelle, che indicono scioperi “parafulmine” a protezione del sistema neoliberista, impedendo che le proteste dei lavoratori trovino uno sfogo concreto, pericoloso per il potere e per i sindacati stessi.
Bersani viene dal PCI del crepuscolo, già socialdemocratico, poi eurocomunista (conferenza di Berlino del 1976), filoamericano e filo-NATO, e in qualità di “politico di professione” ha attraversato, facendo carriera e diventando ministro, tutta la concatenazione trasformistica successiva, PDS-DS-Pd, a ribasso, anzi, a precipizio, per quanto riguarda la rappresentanza politica effettiva delle classi subalterne, la tutela dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori, la stessa legalità costituzionale (se mai si è veramente affermata, almeno per qualche anno, in Italia).
Bersani, burocrate trasformista e servo dell’Aristocrazia globale, prima comunista e poi liberista (autore, nel recente passato, di una “lenzuolata” di liberalizzazioni), non è un leader, non ha carisma, non esprime una linea politica chiara – infatti, il servile Pd non ha un programma, né è necessario che lo abbia, vista la sua funzione subalterna e di “ruota di scorta” del potere neocapitalista.
Bersani non è neppure un oratore apprezzabile, per quel che può contare, esprimendosi confusamente, non disdegnando discorsi ed espressioni da “bar sport”, pur di non dare l’impressione, davanti alle telecamere e ai microfoni, di usare il “politichese”.
La caduta del muro di Berlino, del 1989, non è stato soltanto un evento di grande portata storica, che ha aperto la strada al neoliberismo, alla globalizzazione e alla successiva caduta del “muro di Pechino”, con lo sdoganamento di un Golem neocapitalistico, cioè della potenza commerciale Cinese.
Un simile evento, dalle conseguenze socioeconomiche e geopolitiche epocali, qui, in Italia, in quella che oggi sta diventando periferia del sistema globale, ha rappresentato la fortuna per individui come Bersani (e D’Alema, e Veltroni, ed altri ancora), consentendogli finalmente di liquidare anche il ricordo del PCI, già edulcorato e interno al sistema della cosiddetta prima repubblica (arco costituzionale, unità nazionale, eurocomunismo), per riciclarsi e creare sulle sue rovine nuovi cartelli elettorali, di sostanza liberaldemocratica e liberista, adatti a servire la nuova classe dominante postborghese, razza padrona del ventunesimo secolo.
Consideriamo che se tutto fosse dipeso dal centro-destra, Lega compresa, anzi, soprattutto da quella Lega, oggi in rapido declino, che sapeva che con la fine del Cav. per lei sarebbe finita la “cuccagna”, Berlusconi sarebbe ancora lì dove si trovava fino al 16 novembre 2011, e per quanto sbilanciate verso alcuni gruppi sociali, per quanto raffazzonate ed elettoralistiche, le politiche attuate da un esecutivo berlusconiano non avrebbero potuto portare, in pochi mesi, alla drammatica situazione sociale che viviamo attualmente.
L’accelerazione delle politiche di de-emancipazione e il diffuso impoverimento si sono manifestati nel dopo Berlusconi, ed ora, a distanza di alcuni mesi dall’insediamento di Monti, cominciamo a sentirne in pieno gli effetti.
Queste ultime elezioni amministrative hanno dato inizio alla dissoluzione del PdL, hanno segnato il declino irreversibile della lega, ma hanno “graziato”, o colpito in misura minore, il Pd.
Per tale motivo Bersani ha potuto cantare vittoria “senza se e senza ma”, mentre l’esecutivo Monti-Napolitano da lui appoggiato e difeso a spada tratta, attraverso Fornero prepara il terreno per togliere il sussidio agli invalidi proprietari della loro casa, privandoli di assistenza e condannandoli così a morire di fame, e si lava le mani dei danni subiti dalle popolazioni dell’Emilia colpite dal terremoto, perché in seguito alla riforma della protezione civile, lo stato non ha più il dovere di ricostruire gli immobili distrutti o lesionati, e ci si deve arrangiare con assicurazioni private.
Ma a Bersani tutto ciò non importa, finge di non vedere o borbotta qualche assurdità, e non importa all’infame Pd, che esulta per la “vittoria” nei ballottaggi alle amministrative – elezioni concesse semplicemente perché non incidono sulle politiche strategiche nazionali – incurante delle astensioni e di un’affermazione della cosiddetta antipolitica (M5S a Parma con Pizzarotti sindaco), mentre i suoi giornali, come l’Unità, si occupano delle solite cose che interessano la politica minore, a partire dalla riforma elettorale.
Si procede truffaldinamente su due binari.
Sul primo binario, quello più importante, il direttorio globalista assegnato a Monti, voluto ed appoggiato fino alle estreme conseguenze dalla sinistra spergiura e truffatrice di Bersani, continua con l’applicazione del programma contenuto nella lettera del 5 agosto 2012, di Draghi e Trichet, all’allora esecutivo Berlusconi.
Sul secondo binario, si celebra il rito elettorale in “tono minore”, limitandolo ad una tornata amministrativa parziale, per legittimare i cartelli elettorali che sostengono Monti (a partire dal Pd), per eliminare gli indisciplinati (la Lega travolta dagli scandali esplosi al momento giusto) e per ricomporre in forma diversa il centro-destra, a partire dai pezzi di un PdL da sciogliere e dai rimasugli di un centro inesistente.
Il primo binario è una strada obbligata, tracciata dalle Aristocrazie finanziarie globaliste, e su questo viaggia il treno “blindato” di Monti-Napolitano, il secondo binario, invece, può riservare qualche limitata sorpresa, e serve a distrarre dalle grandi questioni politiche e sociali.
Così, si è avuta l’affermazione del M5S in qualche comune e una forte “diserzione” dell’elettorato nei ballottaggi (oltre il 48% non ha partecipato), riguardanti, se non erro, 4,5 milioni di “aventi diritto”e non certo l’intero corpo elettorale.
Ciò ha dato a Bersani, che oggi rappresenta il puntello più saldo dell’esecutivo Monti, l’occasione per cantare vittoria – con il conforto di Monti – alla Lega lo “sprone” per rinnovarsi (e per cessare una sia pur blanda opposizione in parlamento), e al cosiddetto centro-destra, ormai orfano di Berlusconi, la possibilità di ricomporsi in altra forma, magari mescolando Alfano e Casini, ma continuando ad appoggiare il direttorio globalista al potere.
E’ chiaro che da ora in poi, il nemico politico nazionale, che indubbiamente esiste ma è secondario – quello principale è rappresentato dall’Aristocrazia globale esterna – si identifica quasi per intero in quel infame centro-sinistra che sostiene Monti, supporta il genocidio sociale in atto, e va da Bersani a Vendola, dal Pd fino alla CGIL e alla Fiom “normalizzata”.
Queste forze ascare, corrispondenti ad altrettante strutture politiche e sindacali di sub-potere, lavorano incessantemente contro le masse pauperizzate e i ceti medi declassati, quindi partecipano, sia pur vigliaccamente, nascostamente, senza sporcarsi troppo le mani, alla demolizione dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori, al ridimensionamento della struttura produttiva nazionale, al trasferimento di risorse collettive nelle tasche dei “grandi prenditori” finanziari.
Nessuna di queste forze della sinistra degenerata e serva fa eccezione.
Niente di loro può essere salvato, nessuno dei “sinistri” capi-kapò può essere assolto, a partire proprio da Pier Luigi Bersani.
di Eugenio Orso
27 maggio 2012
I rischi del sistema finanziario ombra
Dopo la crisi finanziaria del 2008 uno degli elementi oggetto d’attenzione da parte dei media specializzati è il cosiddetto Shadow Banking System (il sistema bancario ombra - SBS). Come suggerisce il suo nome, questo termine raggruppa una serie di istituzioni e di pratiche basate sull’utilizzo di derivati finanziari che si collocano al di fuori dalla regolamentazione e dell’attenzione pubblica. Proprio quest’assenza di regolamentazione ha facilitato la rapida espansione del suddetto segmento dei mercati finanziari globali, segmento che, durante suo apice alla fine del 2011, è passato da un volume di attività di poco inferiore a 20.000 miliardi di dollari a un volume di 60.000 miliardi di dollari [1].
A dispetto del volume di transazioni, delle attività in gioco e dei rischi sistemici che si corrono, lo SBS ha continuato a ricevere un’attenzione marginale da parte dei media che si rivolgono al grande pubblico. Per comprendere questo sistema, è utile effettuare un paragone con il sistema bancario commerciale. Infatti, il finanziamento del sistema bancario tradizionale è, in teoria, il frutto dell’insieme dei depositi dei risparmiatori che costituiscono l’oggetto dei prestiti alle imprese e agli individui.
Lo SBS funziona in modo differente. Per finanziarsi, una Shadow Bank emette dei titoli e delle cambiali a breve termine (la durata varia da un giorno a un mese) che vengono successivamente investiti in prodotti finanziari strutturati a lungo termine come gli Asset Backed Securities (ABS [2]) o i Collateral Debt Obligations (CDO [3]). Il margine di profitto di questo modello bancario deriva direttamente dalla differenza tra il costo del finanziamento nei mercati di credito a breve temine e il rendimento superiore fornito dai prodotti finanziari strutturati.
La principale differenza tra le attività del sistema bancario tradizionale e quelle dello SBS è l’assenza di regolamentazione che riguarda il secondo. Le restrizioni in termini di riserve di capitale che obbligano una banca a mantenere, per ogni prestito effettuato, una parte dell’ammontare del prestito, non sono valide nel caso dei mercati finanziari a breve termine nei quali avvengono le transazioni dello SBS. Nel loro tentativo di aumentare i livelli dell’effetto leva per aumentare i profitti, le principali banche statunitensi ed europee sono entrate in una forte competizione con Hedge Funds e Private Equity Funds per raccogliere i finanziamenti in quei mercati. È così che delle banche come BNP PARIBAS o Dexia hanno potuto ampliare in maniera significativa i loro conti di bilancio senza doversi preoccupare di raccogliere i depositi dei risparmiatori.
Il problema è che queste banche non dichiarano questo tipo di transazione nei loro bilanci. Infatti, per raccogliere delle risorse nei mercati finanziari a breve termine attraverso l’emissione di titoli, le banche hanno proceduto alla creazione di entità legali parallele come gli Special Investment Vehicules (SIV [4]) o i Conduits [5]. Sebbene i benefici ottenuti dai SIV finiscano per essere registrati nel bilancio contabile delle banche, gli attivi e i passivi e, dunque, il rischio di finanziamento affrontato da queste entità speciali sono contabilizzati separatamente.
Dal punto di vista dei mercati, l’esistenza di questa relazione implicita tra le banche e queste entità speciali riveste due implicazioni concrete. In primo luogo, riduce i costi dei finanziamenti dei SIV quando i mercati sanno che in caso di problemi di liquidità o di insolvenza, le banche responsabili della creazione di queste entità speciali se ne faranno carico attraverso crediti o con l’integrazione diretta nel loro bilancio. In secondo luogo, i SIV permettono di aumentare i profitti contabili delle banche e parallelamente di ridurre il profilo di rischio grazie alla contabilizzazione separata. In un ambiente caratterizzato da tassi d’interesse bassi, una complessiva riduzione della volatilità e una regolamentazione lassista, ecco che questi elementi ci permettono di comprendere come lo SBS sia passato dall’essere un meccanismo alternativo di finanziamento delle entità bancarie statunitensi ed europee ad essere l’essenza stessa di questi modelli di transazioni finanziarie.
L’illusione dell’effetto leva illimitato e di un aumento permanente dei profitti si è conclusa nel 2007con un incremento di volatilità nei mercati dei prodotti finanziari strutturati. La prima protagonista nota dello SBS che ha sperimentato dei problemi è stata la Hedge Fund High-Grade Structured Credit Streategies (HGSCS) amministrata da Bear Stearns. A marzo 2007, la HGSCS aveva delle posizioni ABS sul mercato dei Subprime per un valore complessivo di 13,7 miliardi di dollari con un capitale proprio di 925 milioni di dollari. L’annuncio di perdite per un equivalente di 3,7% del portafoglio della Hedge Fund durante quello stesso mese ha portato gli investitori a ritirare 100 milioni di dollari. La perdita di fiducia nel fondo ha generato un effetto domino: la perdita del suo accesso al mercato dei finanziamenti a breve termine, ha dato luogo a una vendita al ribasso delle sue attività (a 60 centesimi di dollaro). A fine giugno 2007, Bear Stearns si è visto costretto a correre in soccorso della HGSCS registrando così una perdita di 3,2 miliardi di dollari [6].
Questo schema di annunci di perdite, di congelamento dell’accesso ai mercati di finanziamento a breve termine e di integrazione nei conti di bilancio delle banche responsabili con le conseguenti perdite significative, si è ripetuto nel caso della BNP PARIBAS ad agosto 2007, nel caso di Bear Stearns e Lehman Brothers a marzo e settembre 2008. La storia è risaputa: il crollo in questi due ultimi casi ha portato alla scomparsa di queste istituzioni finanziarie. In ultimo, l’incertezza ha finito per colpire una delle principali fonti di finanziamento dello SBS, i Money Market Funds (MMF [7]). Nel corso della settimana successiva al fallimento di Lehman Brothers, i MMF hanno dovuto affrontare dei prelievi da parte degli investitori equivalenti al 14% delle loro attività, circa 193 miliardi di dollari. A fine ottobre 2008 l’importo aveva raggiunto i 400 miliardi di dollari [8].
Dopo un periodo di declino successivo alla crisi finanziaria associato agli eventi descritti, lo SBS ha iniziato a recuperare la sua preponderanza nelle strategie di finanziamento del settore bancario. È necessario, dunque, comprendere la strategia di questo segmento dei mercati finanziari che continua a essere uno degli anelli deboli del sistema. Il recente crollo della MMF Global Funds nel novembre 2011 lo dimostra chiaramente. Un Primary Dealer [9] con sede a New York e diretto da John Corzine ex-direttore di Goldman Sachs, la MMF Global Funds, è stata portata alla bancarotta a causa dei progressivi rifiuti della MMF di finanziare delle entità che avessero delle esposizioni sul debito sovrano europeo. Nel corso dei mesi precedenti, il fondo aveva costruito un’importante posizione in questi portafogli utilizzando dei finanziamenti a breve termine ottenuti attraverso l’emissione di cambiali a breve termine nei MMF e ottenendo profitti significativi derivati da tassi d’interesse elevati legati ai titoli dei debiti di paesi come l’Irlanda e la Spagna. Tuttavia, con la diffusione della notizia fornita dalla Global Funds concernente la posizione rischiosa [10], gli investitori hanno iniziato a ritirare i loro soldi e il fondo ha perso l’accesso al finanziamento a breve termine. In assenza di liquidità per rifinanziare le sue posizioni, la Global Funds è fallita lasciandosi alle spalle delle perdite stimate per 2 miliardi di dollari.
Questa storia recente sottolinea uno dei rischi più significativi che rappresenta uno SBS in espansione per la stabilità dei mercati finanziari. In buona parte, grazie all’assenza di regolamentazione, le entità che operano su questi segmenti possono raggiungere livelli di effetto leva significativi che non potrebbero essere ottenuti altrimenti. Tuttavia, l’effetto leva è associato a un’alta vulnerabilità rispetto alle variazioni legate alle condizioni di finanziamento dei mercati a breve termine che, nella maggior parte dei casi, è implicato in posizioni complesse che associano bassa liquidità e impegni a lungo termine, non facili da trasformare rapidamente in liquidità. È così che un problema di liquidità può dare luogo molto rapidamente a un problema di solvibilità, che si traduce, in ultima analisi, nella sopravvivenza stessa dell’entità in questione.
All’eccessiva fragilità dello SBS, da un punto di vista pubblico, bisogna aggiungere degli altri rischi associati a questo sistema. In primo luogo, permettendo alle banche commerciali con depositi assicurati di creare delle entità specifiche, si incorre in una violazione di quegli stessi principi che hanno portato alla creazione delle assicurazioni sui depositi. Le suddette assicurazioni hanno lo scopo di proteggere i depositi dei risparmiatori ed esigono in cambio una gestione stabile e sicura dei depositi da parte delle banche. Tuttavia, come segnalato in precedenza, il rischio di finanziamenti corso dalle entità speciali si trova, in ultima istanza, legato al conto di bilancio e dunque alle garanzie pubbliche di cui godono le banche commerciali. Vale a dire che, nel contesto attuale, le garanzie sui depositi proteggono più le controparti implicate nelle transazioni dello SBS che i depositi senza i quali non esisterebbero. Un esempio pratico di questa situazione è la recente misura della Bank of America di integrare nella propria banca commerciale le operazioni sui prodotti derivati, così in caso di problemi legati ai prodotti derivati, queste transazioni beneficiano della copertura concessa dal FDIC per la banca commerciale [11].
Inoltre, bisogna menzionare anche l’esposizione dei Fondi pensionistici alle transazioni che si svolgono nello SBS. Per definizione, questi fondi hanno l’obbligo di gestire un profilo di rischio d’investimento minimo. Allo stesso tempo, motivi organizzativi li costringono a tenere da parte una piccola percentuale del loro portafoglio di investimenti in attivi liquidi a breve termine. Questi attivi liquidi facilitano i prelievi e le richieste di denaro contante nel breve termine. Ciononostante, visto la gran quantità di fondi che gestiscono questa “piccola” percentuale si aggira attorno ai 400-500 miliardi l’anno [12]. Prima queste risorse erano investite direttamente in titoli di debito pubblico a breve termine. Ma con l’espansione dello SBS e la ricerca di margini di profitto più elevati, i securities e altri tipi di risorse liquide sotto il controllo dei fondi pensionistici finiscono per essere prestati a Hedge Funds, MMF e ad altre entità operanti nell’ombra. Di conseguenza viene messo a rischio il risparmio depositato sotto l’amministrazione dei fondi pensionistici senza che il pubblico ne sia al corrente.
Un terzo rischio è associato ai problemi che lo SBS implica per la regolamentazione effettiva delle entità finanziarie. Se le recenti disposizioni in materia di regolamento hanno avuto l’obiettivo di consolidare le basi del capitale delle banche e di ridurre i loro livelli di effetto leva, il risultato è stato il ritiro delle attività più rischiose dai conti di bilancio e, di fatto, dai registri ufficiali. Questo ci permette di spiegare il forte recupero dello SBS nel corso del 2011 e agli inizi del 2012. È dunque possibile che la recente riduzione dell’effetto leva delle banche europee e statunitensi non rifletta una riduzione reale del rischio sistemico. Le attività più rischiose e instabili avvengono ora fuori dal controllo degli enti regolatori.
Nel complesso, questa serie di rischi associati allo SBS forniscono un’immagine estremamente preoccupante delle implicazioni che potrebbe avere un’espansione incontrollata del settore. La crisi del 2008 ha dimostrato che in caso di instabilità, le operazioni che avvengono nell’ombra finiscono per essere assunte, nella maggior parte dei casi, da entità finanziarie considerate too big to fail e che a loro volta sono salvate con i soldi pubblici. Nella misura in cui la stabilità di un sistema finanziario risiede nelle garanzie pubbliche offerte dallo Stato, è sua responsabilità assicurare le condizioni affinché le queste garanzie non debbano essere utilizzate. Ignorando lo SBS, le autorità vengono meno non soltanto a questa loro responsabilità ma spianano la strada, a ritmo accelerato, a nuovi e sempre più grandi salvataggi finanziari facendo ricorso al denaro pubblico.
di Daniel Munevar
Note
[1] Financial Times, “Traditional lenders shiver as shadow banking grows”, disponible en:http://www.ft.com/intl/cms/s/0/f63bea6c-2d5c-11e1-b985-00144feabdc0.html#axzz1lud8ehpR
[2] Un ABS consiste nella creazione di un titolo, prodotto della somma di un numero determinato di crediti individuali dalle caratteristiche simili. I flussi degli effettivi associati al titolo provengono direttamente dai crediti individuali.
[3] Un CDO permette di stabilire una struttura di pagamento subordinata associata a un gruppo di strumenti a reddito fisso come i titoli o le cambiali commerciali a breve termine. L’entità che si incarica di creare il CDO stabilisce segmenti di rischio direttamente relazionati con il rendimento dello strumento e la sua priorità nella struttura del pagamento. Un investitore con un basso appetito per il rischio acquisterà una posizione senior nel CDO, ricevendo i primi pagamenti della struttura finanziaria. Invece un investitore che cerchi un maggiore rendimento acquisterà una posizione con più rischio e minore priorità di pagamento nella detta struttura.
[4] Entità legali parallele create dalle banche di investimento per evitare le regolamentazioni delle riserve di capitale. Generalmente i SIV si finanziano attraverso l’emissione di cambiali commerciali a breve termine. A metà del 2007 si stima che banche a livello mondiale mantenessero in SIV un portafoglio di ABS e CDO per un valore di 1,5 miliardi di dollari. Vedi Thomas, L. (2011), ¨The Financial Crisis and Federal Reserve Policy¨, Palgrave Macmillan - New York, Ch. 5.
[5] I “conduits” furono istituiti dalle banche per facilitare il processo di creazione di ABS a partire da prestiti individuali. Nel periodo tra l’acquisto di detti crediti e la creazione e la vendita di ABS, i primi erano mantenuti nei “conduits”. I “conduits” sono delle entità legali indipendenti, le banche non sono obbligate a fornire riserve di capitale per garantire le attività di queste entità.
[6] Hsu J. y Moroz M. (2010), “Shadow Banks and the Financial Crisis of 2007–2008” in The Banking Crisis Handbook, edito da Gregoriou G., CRC Press - New York.
[7] I Money Market Funds sono dei fondi comuni che investono in cambiali a breve termine come i Buoni del Tesoro degli Stati Uniti e le azioni e obbligazioni societarie. Questi fondi giocano un ruolo centrale nella fornitura di liquidità a breve termine.
[8] Op. Cit. 6.
[9] I Primary Dealer sono delle entità che negli Stati Uniti si occupano di portare a buon fine l’acquisto e la vendita di titoli, in gran parte Bonus del Tesoro durante delle operazioni di mercato aperto intraprese dalla Fed. Fino alla bancarotta della Global Funds, esistevano 18 entità che svolgevano questa funzione.
[10] A causa della relativa assenza di liquidità che presentano i mercati del debito sovrano europeo, è molto difficile poter mettere fine a queste posizioni sui mercati.
[11] ¨ Bank of America Deadwatch : Moves Risky Derivatives from Holding Company to Taxpayer Backstopped depository ” http://www.nakedcapitalism.com/2011...
[12] Pozsar Z. e Singh M. (2011), ¨The Nonbank-Bank Nexus and the Shadow Banking System¨, IMF Working Paper - Research Department, WP/11/289
Daniel Munevar, economista, è membro del CADTM Colombia e della coordinazione del CADTM “Abya-Yala Nuestra America”.
Titolo originale: "Les risques du système bancaire de l’ombre "
Fonte: http://www.cadtm.org
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29 maggio 2012
L'Italia in bilico tra antipolitica e sfiducia
Lo scenario attuale
Che dalla politica dipenda l'organizzazione della società civile e la vita di ciascun individuo oggi è più che mai evidente. Un lungo e triste elenco di suicidi scandisce il tempo di questo governo tecnico[1]: lavoratori che hanno perso il proprio posto di lavoro e imprenditori in gravissime difficoltà economiche. Disoccupazione, impossibilità di accesso al credito, mancanza di liquidità, pagamenti a lunghissimo termine, scarsità d'investimenti e soprattutto l'assenza di qualunque prospettiva per il futuro sono alcune tra le cause principali della disperazione. Alla drammaticità dell'attuale situazione economica, apparentemente senza una chiara e immediata via di uscita, si contrappone ogni giorno in misura sempre maggiore un senso di sfiducia collettivo. L'angoscia di tantissimi cittadini rimane soffocata all'interno delle mura domestiche, spesso accompagnata dalla depressione o dalla rabbia che esplode verso se stessi e verso gli altri.
La frustrazione a livello sociale deriva principalmente dalla sensazione d'impotenza a fronte di quella che viene proposta alla popolazione, da parte di molti politici, economisti e mezzi di informazione, come l'unica soluzione possibile per l'uscita dalla crisi: una ricetta economica fatta di tasse, tagli ed aumenti delle tariffe. Pena l'incremento del deficit - ora incostituzionale - e l'aumento del debito pubblico che, nonostante le manovre di austerità e gli enormi sacrifici imposti agli italiani, continua a crescere a ritmi record[2]. È chiaro che all'interno di questo sistema di vincoli europei, costituiti dalla moneta unica e dai vari trattati firmati, sembra apparentemente non esserci altra via di uscita. Eppure professori ed economisti italiani del calibro di Paolo Savona[3], Giulio Sapelli[4], Emiliano Brancaccio[5], Loretta Napoleoni[6] e di fama internazionale, come i due premi nobel per l'economia Paul Krugman[7] e Joseph Stiglitz[8], si sono schierati apertamente contro queste politiche di austerità, deflattive e recessive. L'impostazione dettata dai vincoli di bilancio e dalle logiche di rigore sta alimentando una spirale negativa che porta a un'ulteriore contrazione del PIL, facendo così diminuire il gettito fiscale, aumentando i rischi di solvibilità sul piano internazionale, accrescendo l'esborso per interessi, diminuendo la capacità di spesa per gli investimenti necessari a stimolare l'economia. Tutto ciò a detrimento di quelle risorse finanziare pubbliche che sono indispensabili anche per fornire servizi sociali e assistenziali primari.
Nel quadro normativo europeo attuale, taluni vedrebbero come possibile strada per abbattere il debito pubblico, la vendita delle partecipazioni statali nelle poche grandi aziende italiane rimaste[9](Finmeccanica, Enel, Eni,…). Questo in realtà comporterebbe un duplice rischio: da un lato favorire pochi grandi speculatori privati a caccia di rendite e dall'altro vedere i flussi finanziari derivanti dalla vendita prendere la strada delle tasche degli investitori stranieri, i quali detengono direttamente circa il 44% del debito pubblico italiano[10] ed esigono annualmente il pagamento di circa 37 miliardi di euro di interessi[11]. Ma poi quale sarebbe il beneficio per lo sviluppo del Paese derivante da ulteriori privatizzazioni? Come sarebbero reinvestiti i proventi delle vendite dei beni pubblici? Chi potrebbe garantire che non sia solo una manovra "una tantum" che ben lungi dal rilanciare l'economia ci renderebbe a posteriori (come collettività) ancora più poveri? La "sbornia" delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni avviate nel 1992 ha condotto a degli utili e dei benefici per l'economia nazionale quasi insignificanti. È dato storico incontrovertibile invece, che da allora è cominciato un lento e progressivo declino industriale ed occupazionale del Paese[12]. Un declino oramai certificato dalle statistiche ufficiali che vedono l'Italia in recessione economica.
Altri vorrebbero utilizzare il patrimonio della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. per pagare i debiti dello Stato, come dire: lo strumento che a suon d'investimenti dovrebbe servire per lo sviluppo strategico del Paese, utilizzato come cassa per la spesa corrente.
I risultati elettorali delle ultime votazioni amministrative ben rappresentano il malessere che serpeggia a livello sociale: sfiducia che si manifesta in un alto tasso di astensione; rabbia che ha condotto a un vero e proprio tracollo dei maggiori partiti a sostegno del governo Monti; vittoria dei movimenti di protesta come quello a cinque stelle di Beppe Grillo. La forte disapprovazione per le politiche di austerità, che in diversa misura toccano tutti gli Stati europei, non ha risparmiato neppure Francia e Grecia, dove i partiti al governo hanno subito pesantissime sconfitte in termini di consensi e voti, a tutto vantaggio di forze politiche estremiste. Infine, anche chi ha sostenuto maggiormente misure di rigore e austerità a livello europeo ha subito duri e forti contraccolpi: nelle recenti elezioni regionali, il movimento dei cristiano democratici nel Land del Nord Reno Westfalia ha incassato il peggior risultato elettorale dal 1947. Una cocente sconfitta per il partito guida al governo tedesco che ben indica l'apprezzamento per le politiche economiche della cancelliera Merkel.
Inquietanti similitudini
A rendere ancor più drammatica la situazione italiana, nelle ultime settimane si sono aggiunti alcuni tragici attentati, farneticanti rivendicazioni e incomprensibili moventi. Dopo che per mesi gli scontri tra frange estremiste del movimento NO TAV e polizia avevano alzato la tensione sociale. "Non possiamo escludere un ritorno alla strategia stragista", ha affermato il Capo dello Stato Napolitano[13]. Tutto questo riporta alla memoria un annus horribilis, il 1992, quando l'Italia vide una successione di eventi tragici ed incalzanti[14] che cambiarono per sempre la storia del nostro Paese. Quello che oggi stiamo vivendo ha similitudini inquietanti con quella stagione che portò all'avvio dell'operazione Mani Pulite; alle stragi di Capaci e via D'Amelio; all'attacco speculativo contro la lira da parte del finanziere George Soros e alla conseguente uscita della lira dallo SME; alla crisi finanziaria che condusse il governo Amato a varare una manovra da 100.000 miliardi delle vecchie lire[15]. Un'escalation di eventi che probabilmente servì a piegare ogni volontà politica del Parlamento italiano di allora e portare così alla ratifica del trattato di Maastricht, senza alcuna esitazione. Ciò che spinse l'allora ministro del tesoro a porre in modo incondizionato quella firma fu la sfiducia negli italiani, i quali dovevano essere guidati da una "elite" che mettesse il bene comune sopra tutto, anche a scapito delle regole della democrazia parlamentare[16]. Parlando di Guido Carli, Paolo Savona scrive: «so per certo che egli avesse perso fiducia nella capacità degli italiani di sapersi dare comportamenti coerenti con le necessità del nuovo quadro geopolitico e geoeconomico e, pertanto, fosse necessario rinforzare il "vincolo esterno"»[17]. Il vincolo esterno. Carli cercò ed ottenne un aiuto dall'esterno del Paese per imporre all'Italia quella politica di rigore di bilancio che da ministro del tesoro non era riuscito a far accettare. Affinché si potesse così "innestare l'economia di mercato, nel tessuto vivente, nelle fibre della società e introdurla nella mentalità della classe dirigente"[18]. Tentativo questo che egli più volte fallì nei decenni, anche nel ruolo di presidente di Confindustria[19]. Affinché si potesse così liberare l'economia italiana dagli aiuti di Stato e dai "lacci e lacciuoli" della burocrazia.
Quest'aiuto alla fine arrivò dalla firma del trattato dell'unione europea, politica, economica e monetaria. La classe politica di allora veniva giudicata debole, screditata, senza forza ed autorità morale per far accettare sacrifici agli elettori. Occorreva un vincolo esterno; quindi per sua natura limitativo, restrittivo. La ferma convinzione e la tenacia con cui il "partito liberista trasversale" perseguì l'adesione al Trattato di Maastricht, dovrebbe quantomeno far riflettere anche i più accaniti europeisti sulle reali finalità dell'unione europea e sulla reale democraticità dei processi economici e sociali che già allora venivano programmati. Un'unione pensata come vincolo esterno. Lo stesso che fu imposto agli italiani anche nel dopoguerra affinché il Paese non prendesse una "deriva statalista", così come le forze liberali volevano[20]. Cosicché per l'ennesima volta nella Storia italiana si fece ricorso alla "chiamata dello straniero", affinché gli interessi di una parte del Paese o di un'elite con una ben precisa visione del mondo, un'ideologia, divenissero elementi costitutivi dell'ordinamento giuridico.
Gli italiani che non si sanno governare, gli italiani che necessitano di una "guida", gli italiani non responsabilizzati nelle tante scelte strategiche del Paese e che nel corso della Storia troppo spesso non hanno goduto neppure della fiducia della propria classe dirigente. Gli italiani "consegnati nelle mani di elite illuminate". Gli italiani che, forse proprio per queste ragioni, non sono mai stati davvero indipendenti e liberi all'interno della propria nazione. Non dovremmo sorprenderci più di tanto quindi, se oggi ci scopriamo "etero diretti", poco autonomi e dunque incapaci di uscire dalle maglie di questa crisi. Non abbiamo più gli strumenti per farlo, gli strumenti sono "altrove" e per il momento non vengono utilizzati a nostro favore. A testimonianza si possono citare le parole del professor Giuseppe Guarino: « Nel campo normativo l'Unione [Europea N.d.A.] è assolutamente prevalente. La sua competenza è esclusiva in materie fondamentali. Le sue norme prevalgono su quelle degli Stati membri. La sfera dell'Unione si allarga (e corrispondentemente si restringe l'ambito normativo degli Stati) man mano che le competenze vengono concretamente esercitate. La competenza dell'Unione è esclusiva persino nel valutare se sussistono le condizioni per estendere le sue competenze. Una domanda: gli Stati che ci stanno a fare? I dati statistici ci dicono che in Italia nei nove anni dal 2000 al 2008 (per il 2008 analizzati solo i primi tre trimestri) gli atti nazionali con forza di legge sono stati 1.072; i regolamenti e le direttive comunitarie 20.976.»[21]
Un dovere morale
La stessa sfiducia verso la popolazione è presente anche in gran parte dell'attuale classe politica, la stessa che ha introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione e che sta per ratificare il trattato ESM, nel silenzio più assoluto della politica e degli organi d'informazione[22]. Il responsabile economia e lavoro del PD, Stefano Fassina, si è spinto ad affermare che il pareggio di bilancio è uno strumento economicamente sbagliato, ma politicamente corretto (sic!) per riacquistare la fiducia dell'Europa[23]. Per Fassina non c'è futuro al di fuori dell'unione europea, la finanza e l'economia globale schiacciano gli Stati e di fronte a Paesi come la Cina, l'India, il Brasile,… non ha più senso parlare di sovranità nazionale: è la resa completa della politica di fronte alla globalizzazione. Ma non è unicamente nel numero di abitanti che va ricercato il senso di una sovranità nazionale, come Fassina da buon materialista vorrebbe far credere, ma innanzitutto nella cultura di una popolazione. È necessario tornare ad avere fiducia nella cultura e nelle capacità degli italiani: questo più che un compito è un dovere morale della politica! C'è stato un periodo della Storia recente in cui l'Italia aveva qualcosa da dire al mondo e l'economia cresceva come in nessun'altra nazione[24]. Bisogna avere quella fiducia che è mancata a Guido Carli e a molti altri negli ultimi anni, pensando che si può ripartire, ricostruendo un tessuto sociale ed una economia solida. La storia italiana del dopoguerra dovrebbe darci l'esempio, il caso argentino potrebbe guidarci nella giusta direzione. L'economia argentina, abbandonato il cambio fisso con il dollaro e le ricette di austerità imposte per decenni dall'FMI, dal 2002 al 2011 ha visto crescere la sua economia del 94% e tutt'ora vanta una crescita del PIL annuale attorno all'8%[25].
L'Italia oggi è in bilico, tra una strada di lenta agonia e una possibilità di riscatto, faticosa ma possibile. Come oramai da anni Lyndon LaRouche sostiene: è necessario tornare alla separazione bancaria tra banche commerciali e banche d'affari, secondo il modello Glass-Steagall. Concetto questo ripreso e promosso sempre più anche da voci autorevoli del mondo politico ed accademico. È necessario pensare ad una banca nazionale per lo sviluppo, che finanzi progetti a lungo termine nelle infrastrutture e nell'industria ad alta tecnologia, sullo stile di quella creata dal primo ministro del tesoro americano Alexander Hamilton. È necessario investire in ricerca ed in solidarietà. È necessario riscoprire la vera cultura e puntare sulle nuove generazioni affinché siano loro i primi a beneficiarne.
Spetta a noi decidere se siamo ancora l'Italia del Rinascimento o solo quella del neo-darwinismo sociale. Solamente se la politica italiana saprà scommettere sul futuro ed imboccare la strada verso nuova crescita e migliore sviluppo, ci potrà essere una vera svolta. Solo quando saprà credere di nuovo nella cultura e nella forza dell'Italia, riacquisterà dignità e rispetto.
Non vi è altra scelta, è passaggio obbligato.
Andrea Pomozzi
Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà
28 maggio 2012
Il nemico politico, in questa fase, è il Partito Democratico
Ci sono sempre nella storia nemici principali e nemici secondari.
Ambedue si devono combattere, ma in determinate contingenze, prima di attaccare il nemico principale, è necessario “sgomberare il campo” dai nemici secondari, liberando spazi limitati (come quelli nazionali) per aggredire poi aree geopolitiche più vaste..
Ciò non significa che la lotta contro nemici di “rango” inferiore è tanto più agevole, e meno cruda, di quella che si svilupperà contro il nemico principale, ma è chiaro che si tratta di nemici più “prossimi” a noi, con maggiori punti deboli, e perciò attaccabili con maggiori speranze di successo.
Nell’Italia di oggi, paese occupato e soggetto al governo direttoriale euro-globalista affidato a Mario Monti, il nemico secondario locale, che si muove su un piano politico di sub-dominanza e supporta la dittatura globalista, è senza ombre di dubbio il Partito democratico.
Dopo l’inizio di una rapida dissoluzione del cosiddetto centro-destra, con la liquefazione del PdL “abbandonato” da Berlusconi ed il crollo dei consensi registrato dalla Lega, travolta con singolare tempismo dagli scandali, resta soltanto il Pd all’interno del sistema, con tutte le forze di contorno, in rappresentanza di una sinistra neoliberista, filo-globalista, antipopolare ed “antipopulista”, che dovrebbe neutralizzare ipotetiche proteste di massa (per ora soltanto temute), imbrogliando i dominati e supportando le politiche applicate da Monti.
Infatti, il puntello al momento più saldo del governo direttoriale globalista – non eletto, non richiesto, non amato – che sta saccheggiando l’Italia e uccidendo la popolazione (letteralmente, dati i continui suicidi per ragioni economiche), è rappresentato dalla B del terzetto politico ABC di sostegno all’esecutivo, e cioè da Pier Luigi Bersani.
Questo piccolo funambolo della politica degenere, che “parla come mangia” (ed evidentemente mangia molto male, nutrendosi di cibo-spazzatura), ha stretto un patto di sangue con il grande capitale finanziario e con la classe neodominante che lo controlla, o meglio, si è proposto come servitore politico, ed ha accettato, in qualità di kapò di quel grande campo di concentramento sperimentale che è diventata l’Italia, di supportarne fino in fondo gli interessi.
Bersani – rappresentante di una squallida camarilla politico-burocratica che si annida in parlamento, collocata a sinistra nell’emiciclo, dietro la quale non sembra che ci sia un vero e coeso blocco-sociale – ha rinnegato il paese, ha ripudiato la bandiera, ha supportato Napolitano, ha appoggiato Monti, ha contribuito a svendere gli ultimi scampoli di sovranità, di socialità, di patrimonio pubblico, permettendo che si calpesti la residua dignità nazionale, in cambio del mantenimento, per lui e i suoi, di una posizione di sub-potere e dei benefit che questa comporta.
La consorteria politica della sinistra, alimentata dalla corruzione materiale ed etica, preda del cinismo che ha fatto seguito alla fine della Grande Narrazione marxista – della quale già il PCI “eurocomunista” figlio della svolta berlingueriana, prima di essere soppresso nel febbraio del 1991, cercava di sbarazzarsi definitivamente – è composta di un coacervo di forze del tutto subalterne al neocapitalismo e al neoliberalismo, a partire dall’informe alleanza fra apostati del comunismo e catto-democristiani “di sinistra,” chiamata Pd, e dai comunisti individualistici postsovietici del SEL, completamente fagocitati negli immaginari capitalistici, fino ad arrivare ai patetici resti di formazioni che ancora, impropriamente, si chiamano comuniste, come Rifondazione e il PdCI.
Il tutto integrato dalla CGIL di Camusso e dalla Fiom apparentemente ribelle, che indicono scioperi “parafulmine” a protezione del sistema neoliberista, impedendo che le proteste dei lavoratori trovino uno sfogo concreto, pericoloso per il potere e per i sindacati stessi.
Bersani viene dal PCI del crepuscolo, già socialdemocratico, poi eurocomunista (conferenza di Berlino del 1976), filoamericano e filo-NATO, e in qualità di “politico di professione” ha attraversato, facendo carriera e diventando ministro, tutta la concatenazione trasformistica successiva, PDS-DS-Pd, a ribasso, anzi, a precipizio, per quanto riguarda la rappresentanza politica effettiva delle classi subalterne, la tutela dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori, la stessa legalità costituzionale (se mai si è veramente affermata, almeno per qualche anno, in Italia).
Bersani, burocrate trasformista e servo dell’Aristocrazia globale, prima comunista e poi liberista (autore, nel recente passato, di una “lenzuolata” di liberalizzazioni), non è un leader, non ha carisma, non esprime una linea politica chiara – infatti, il servile Pd non ha un programma, né è necessario che lo abbia, vista la sua funzione subalterna e di “ruota di scorta” del potere neocapitalista.
Bersani non è neppure un oratore apprezzabile, per quel che può contare, esprimendosi confusamente, non disdegnando discorsi ed espressioni da “bar sport”, pur di non dare l’impressione, davanti alle telecamere e ai microfoni, di usare il “politichese”.
La caduta del muro di Berlino, del 1989, non è stato soltanto un evento di grande portata storica, che ha aperto la strada al neoliberismo, alla globalizzazione e alla successiva caduta del “muro di Pechino”, con lo sdoganamento di un Golem neocapitalistico, cioè della potenza commerciale Cinese.
Un simile evento, dalle conseguenze socioeconomiche e geopolitiche epocali, qui, in Italia, in quella che oggi sta diventando periferia del sistema globale, ha rappresentato la fortuna per individui come Bersani (e D’Alema, e Veltroni, ed altri ancora), consentendogli finalmente di liquidare anche il ricordo del PCI, già edulcorato e interno al sistema della cosiddetta prima repubblica (arco costituzionale, unità nazionale, eurocomunismo), per riciclarsi e creare sulle sue rovine nuovi cartelli elettorali, di sostanza liberaldemocratica e liberista, adatti a servire la nuova classe dominante postborghese, razza padrona del ventunesimo secolo.
Consideriamo che se tutto fosse dipeso dal centro-destra, Lega compresa, anzi, soprattutto da quella Lega, oggi in rapido declino, che sapeva che con la fine del Cav. per lei sarebbe finita la “cuccagna”, Berlusconi sarebbe ancora lì dove si trovava fino al 16 novembre 2011, e per quanto sbilanciate verso alcuni gruppi sociali, per quanto raffazzonate ed elettoralistiche, le politiche attuate da un esecutivo berlusconiano non avrebbero potuto portare, in pochi mesi, alla drammatica situazione sociale che viviamo attualmente.
L’accelerazione delle politiche di de-emancipazione e il diffuso impoverimento si sono manifestati nel dopo Berlusconi, ed ora, a distanza di alcuni mesi dall’insediamento di Monti, cominciamo a sentirne in pieno gli effetti.
Queste ultime elezioni amministrative hanno dato inizio alla dissoluzione del PdL, hanno segnato il declino irreversibile della lega, ma hanno “graziato”, o colpito in misura minore, il Pd.
Per tale motivo Bersani ha potuto cantare vittoria “senza se e senza ma”, mentre l’esecutivo Monti-Napolitano da lui appoggiato e difeso a spada tratta, attraverso Fornero prepara il terreno per togliere il sussidio agli invalidi proprietari della loro casa, privandoli di assistenza e condannandoli così a morire di fame, e si lava le mani dei danni subiti dalle popolazioni dell’Emilia colpite dal terremoto, perché in seguito alla riforma della protezione civile, lo stato non ha più il dovere di ricostruire gli immobili distrutti o lesionati, e ci si deve arrangiare con assicurazioni private.
Ma a Bersani tutto ciò non importa, finge di non vedere o borbotta qualche assurdità, e non importa all’infame Pd, che esulta per la “vittoria” nei ballottaggi alle amministrative – elezioni concesse semplicemente perché non incidono sulle politiche strategiche nazionali – incurante delle astensioni e di un’affermazione della cosiddetta antipolitica (M5S a Parma con Pizzarotti sindaco), mentre i suoi giornali, come l’Unità, si occupano delle solite cose che interessano la politica minore, a partire dalla riforma elettorale.
Si procede truffaldinamente su due binari.
Sul primo binario, quello più importante, il direttorio globalista assegnato a Monti, voluto ed appoggiato fino alle estreme conseguenze dalla sinistra spergiura e truffatrice di Bersani, continua con l’applicazione del programma contenuto nella lettera del 5 agosto 2012, di Draghi e Trichet, all’allora esecutivo Berlusconi.
Sul secondo binario, si celebra il rito elettorale in “tono minore”, limitandolo ad una tornata amministrativa parziale, per legittimare i cartelli elettorali che sostengono Monti (a partire dal Pd), per eliminare gli indisciplinati (la Lega travolta dagli scandali esplosi al momento giusto) e per ricomporre in forma diversa il centro-destra, a partire dai pezzi di un PdL da sciogliere e dai rimasugli di un centro inesistente.
Il primo binario è una strada obbligata, tracciata dalle Aristocrazie finanziarie globaliste, e su questo viaggia il treno “blindato” di Monti-Napolitano, il secondo binario, invece, può riservare qualche limitata sorpresa, e serve a distrarre dalle grandi questioni politiche e sociali.
Così, si è avuta l’affermazione del M5S in qualche comune e una forte “diserzione” dell’elettorato nei ballottaggi (oltre il 48% non ha partecipato), riguardanti, se non erro, 4,5 milioni di “aventi diritto”e non certo l’intero corpo elettorale.
Ciò ha dato a Bersani, che oggi rappresenta il puntello più saldo dell’esecutivo Monti, l’occasione per cantare vittoria – con il conforto di Monti – alla Lega lo “sprone” per rinnovarsi (e per cessare una sia pur blanda opposizione in parlamento), e al cosiddetto centro-destra, ormai orfano di Berlusconi, la possibilità di ricomporsi in altra forma, magari mescolando Alfano e Casini, ma continuando ad appoggiare il direttorio globalista al potere.
E’ chiaro che da ora in poi, il nemico politico nazionale, che indubbiamente esiste ma è secondario – quello principale è rappresentato dall’Aristocrazia globale esterna – si identifica quasi per intero in quel infame centro-sinistra che sostiene Monti, supporta il genocidio sociale in atto, e va da Bersani a Vendola, dal Pd fino alla CGIL e alla Fiom “normalizzata”.
Queste forze ascare, corrispondenti ad altrettante strutture politiche e sindacali di sub-potere, lavorano incessantemente contro le masse pauperizzate e i ceti medi declassati, quindi partecipano, sia pur vigliaccamente, nascostamente, senza sporcarsi troppo le mani, alla demolizione dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori, al ridimensionamento della struttura produttiva nazionale, al trasferimento di risorse collettive nelle tasche dei “grandi prenditori” finanziari.
Nessuna di queste forze della sinistra degenerata e serva fa eccezione.
Niente di loro può essere salvato, nessuno dei “sinistri” capi-kapò può essere assolto, a partire proprio da Pier Luigi Bersani.
di Eugenio Orso
27 maggio 2012
I rischi del sistema finanziario ombra
Dopo la crisi finanziaria del 2008 uno degli elementi oggetto d’attenzione da parte dei media specializzati è il cosiddetto Shadow Banking System (il sistema bancario ombra - SBS). Come suggerisce il suo nome, questo termine raggruppa una serie di istituzioni e di pratiche basate sull’utilizzo di derivati finanziari che si collocano al di fuori dalla regolamentazione e dell’attenzione pubblica. Proprio quest’assenza di regolamentazione ha facilitato la rapida espansione del suddetto segmento dei mercati finanziari globali, segmento che, durante suo apice alla fine del 2011, è passato da un volume di attività di poco inferiore a 20.000 miliardi di dollari a un volume di 60.000 miliardi di dollari [1].
A dispetto del volume di transazioni, delle attività in gioco e dei rischi sistemici che si corrono, lo SBS ha continuato a ricevere un’attenzione marginale da parte dei media che si rivolgono al grande pubblico. Per comprendere questo sistema, è utile effettuare un paragone con il sistema bancario commerciale. Infatti, il finanziamento del sistema bancario tradizionale è, in teoria, il frutto dell’insieme dei depositi dei risparmiatori che costituiscono l’oggetto dei prestiti alle imprese e agli individui.
Lo SBS funziona in modo differente. Per finanziarsi, una Shadow Bank emette dei titoli e delle cambiali a breve termine (la durata varia da un giorno a un mese) che vengono successivamente investiti in prodotti finanziari strutturati a lungo termine come gli Asset Backed Securities (ABS [2]) o i Collateral Debt Obligations (CDO [3]). Il margine di profitto di questo modello bancario deriva direttamente dalla differenza tra il costo del finanziamento nei mercati di credito a breve temine e il rendimento superiore fornito dai prodotti finanziari strutturati.
La principale differenza tra le attività del sistema bancario tradizionale e quelle dello SBS è l’assenza di regolamentazione che riguarda il secondo. Le restrizioni in termini di riserve di capitale che obbligano una banca a mantenere, per ogni prestito effettuato, una parte dell’ammontare del prestito, non sono valide nel caso dei mercati finanziari a breve termine nei quali avvengono le transazioni dello SBS. Nel loro tentativo di aumentare i livelli dell’effetto leva per aumentare i profitti, le principali banche statunitensi ed europee sono entrate in una forte competizione con Hedge Funds e Private Equity Funds per raccogliere i finanziamenti in quei mercati. È così che delle banche come BNP PARIBAS o Dexia hanno potuto ampliare in maniera significativa i loro conti di bilancio senza doversi preoccupare di raccogliere i depositi dei risparmiatori.
Il problema è che queste banche non dichiarano questo tipo di transazione nei loro bilanci. Infatti, per raccogliere delle risorse nei mercati finanziari a breve termine attraverso l’emissione di titoli, le banche hanno proceduto alla creazione di entità legali parallele come gli Special Investment Vehicules (SIV [4]) o i Conduits [5]. Sebbene i benefici ottenuti dai SIV finiscano per essere registrati nel bilancio contabile delle banche, gli attivi e i passivi e, dunque, il rischio di finanziamento affrontato da queste entità speciali sono contabilizzati separatamente.
Dal punto di vista dei mercati, l’esistenza di questa relazione implicita tra le banche e queste entità speciali riveste due implicazioni concrete. In primo luogo, riduce i costi dei finanziamenti dei SIV quando i mercati sanno che in caso di problemi di liquidità o di insolvenza, le banche responsabili della creazione di queste entità speciali se ne faranno carico attraverso crediti o con l’integrazione diretta nel loro bilancio. In secondo luogo, i SIV permettono di aumentare i profitti contabili delle banche e parallelamente di ridurre il profilo di rischio grazie alla contabilizzazione separata. In un ambiente caratterizzato da tassi d’interesse bassi, una complessiva riduzione della volatilità e una regolamentazione lassista, ecco che questi elementi ci permettono di comprendere come lo SBS sia passato dall’essere un meccanismo alternativo di finanziamento delle entità bancarie statunitensi ed europee ad essere l’essenza stessa di questi modelli di transazioni finanziarie.
L’illusione dell’effetto leva illimitato e di un aumento permanente dei profitti si è conclusa nel 2007con un incremento di volatilità nei mercati dei prodotti finanziari strutturati. La prima protagonista nota dello SBS che ha sperimentato dei problemi è stata la Hedge Fund High-Grade Structured Credit Streategies (HGSCS) amministrata da Bear Stearns. A marzo 2007, la HGSCS aveva delle posizioni ABS sul mercato dei Subprime per un valore complessivo di 13,7 miliardi di dollari con un capitale proprio di 925 milioni di dollari. L’annuncio di perdite per un equivalente di 3,7% del portafoglio della Hedge Fund durante quello stesso mese ha portato gli investitori a ritirare 100 milioni di dollari. La perdita di fiducia nel fondo ha generato un effetto domino: la perdita del suo accesso al mercato dei finanziamenti a breve termine, ha dato luogo a una vendita al ribasso delle sue attività (a 60 centesimi di dollaro). A fine giugno 2007, Bear Stearns si è visto costretto a correre in soccorso della HGSCS registrando così una perdita di 3,2 miliardi di dollari [6].
Questo schema di annunci di perdite, di congelamento dell’accesso ai mercati di finanziamento a breve termine e di integrazione nei conti di bilancio delle banche responsabili con le conseguenti perdite significative, si è ripetuto nel caso della BNP PARIBAS ad agosto 2007, nel caso di Bear Stearns e Lehman Brothers a marzo e settembre 2008. La storia è risaputa: il crollo in questi due ultimi casi ha portato alla scomparsa di queste istituzioni finanziarie. In ultimo, l’incertezza ha finito per colpire una delle principali fonti di finanziamento dello SBS, i Money Market Funds (MMF [7]). Nel corso della settimana successiva al fallimento di Lehman Brothers, i MMF hanno dovuto affrontare dei prelievi da parte degli investitori equivalenti al 14% delle loro attività, circa 193 miliardi di dollari. A fine ottobre 2008 l’importo aveva raggiunto i 400 miliardi di dollari [8].
Dopo un periodo di declino successivo alla crisi finanziaria associato agli eventi descritti, lo SBS ha iniziato a recuperare la sua preponderanza nelle strategie di finanziamento del settore bancario. È necessario, dunque, comprendere la strategia di questo segmento dei mercati finanziari che continua a essere uno degli anelli deboli del sistema. Il recente crollo della MMF Global Funds nel novembre 2011 lo dimostra chiaramente. Un Primary Dealer [9] con sede a New York e diretto da John Corzine ex-direttore di Goldman Sachs, la MMF Global Funds, è stata portata alla bancarotta a causa dei progressivi rifiuti della MMF di finanziare delle entità che avessero delle esposizioni sul debito sovrano europeo. Nel corso dei mesi precedenti, il fondo aveva costruito un’importante posizione in questi portafogli utilizzando dei finanziamenti a breve termine ottenuti attraverso l’emissione di cambiali a breve termine nei MMF e ottenendo profitti significativi derivati da tassi d’interesse elevati legati ai titoli dei debiti di paesi come l’Irlanda e la Spagna. Tuttavia, con la diffusione della notizia fornita dalla Global Funds concernente la posizione rischiosa [10], gli investitori hanno iniziato a ritirare i loro soldi e il fondo ha perso l’accesso al finanziamento a breve termine. In assenza di liquidità per rifinanziare le sue posizioni, la Global Funds è fallita lasciandosi alle spalle delle perdite stimate per 2 miliardi di dollari.
Questa storia recente sottolinea uno dei rischi più significativi che rappresenta uno SBS in espansione per la stabilità dei mercati finanziari. In buona parte, grazie all’assenza di regolamentazione, le entità che operano su questi segmenti possono raggiungere livelli di effetto leva significativi che non potrebbero essere ottenuti altrimenti. Tuttavia, l’effetto leva è associato a un’alta vulnerabilità rispetto alle variazioni legate alle condizioni di finanziamento dei mercati a breve termine che, nella maggior parte dei casi, è implicato in posizioni complesse che associano bassa liquidità e impegni a lungo termine, non facili da trasformare rapidamente in liquidità. È così che un problema di liquidità può dare luogo molto rapidamente a un problema di solvibilità, che si traduce, in ultima analisi, nella sopravvivenza stessa dell’entità in questione.
All’eccessiva fragilità dello SBS, da un punto di vista pubblico, bisogna aggiungere degli altri rischi associati a questo sistema. In primo luogo, permettendo alle banche commerciali con depositi assicurati di creare delle entità specifiche, si incorre in una violazione di quegli stessi principi che hanno portato alla creazione delle assicurazioni sui depositi. Le suddette assicurazioni hanno lo scopo di proteggere i depositi dei risparmiatori ed esigono in cambio una gestione stabile e sicura dei depositi da parte delle banche. Tuttavia, come segnalato in precedenza, il rischio di finanziamenti corso dalle entità speciali si trova, in ultima istanza, legato al conto di bilancio e dunque alle garanzie pubbliche di cui godono le banche commerciali. Vale a dire che, nel contesto attuale, le garanzie sui depositi proteggono più le controparti implicate nelle transazioni dello SBS che i depositi senza i quali non esisterebbero. Un esempio pratico di questa situazione è la recente misura della Bank of America di integrare nella propria banca commerciale le operazioni sui prodotti derivati, così in caso di problemi legati ai prodotti derivati, queste transazioni beneficiano della copertura concessa dal FDIC per la banca commerciale [11].
Inoltre, bisogna menzionare anche l’esposizione dei Fondi pensionistici alle transazioni che si svolgono nello SBS. Per definizione, questi fondi hanno l’obbligo di gestire un profilo di rischio d’investimento minimo. Allo stesso tempo, motivi organizzativi li costringono a tenere da parte una piccola percentuale del loro portafoglio di investimenti in attivi liquidi a breve termine. Questi attivi liquidi facilitano i prelievi e le richieste di denaro contante nel breve termine. Ciononostante, visto la gran quantità di fondi che gestiscono questa “piccola” percentuale si aggira attorno ai 400-500 miliardi l’anno [12]. Prima queste risorse erano investite direttamente in titoli di debito pubblico a breve termine. Ma con l’espansione dello SBS e la ricerca di margini di profitto più elevati, i securities e altri tipi di risorse liquide sotto il controllo dei fondi pensionistici finiscono per essere prestati a Hedge Funds, MMF e ad altre entità operanti nell’ombra. Di conseguenza viene messo a rischio il risparmio depositato sotto l’amministrazione dei fondi pensionistici senza che il pubblico ne sia al corrente.
Un terzo rischio è associato ai problemi che lo SBS implica per la regolamentazione effettiva delle entità finanziarie. Se le recenti disposizioni in materia di regolamento hanno avuto l’obiettivo di consolidare le basi del capitale delle banche e di ridurre i loro livelli di effetto leva, il risultato è stato il ritiro delle attività più rischiose dai conti di bilancio e, di fatto, dai registri ufficiali. Questo ci permette di spiegare il forte recupero dello SBS nel corso del 2011 e agli inizi del 2012. È dunque possibile che la recente riduzione dell’effetto leva delle banche europee e statunitensi non rifletta una riduzione reale del rischio sistemico. Le attività più rischiose e instabili avvengono ora fuori dal controllo degli enti regolatori.
Nel complesso, questa serie di rischi associati allo SBS forniscono un’immagine estremamente preoccupante delle implicazioni che potrebbe avere un’espansione incontrollata del settore. La crisi del 2008 ha dimostrato che in caso di instabilità, le operazioni che avvengono nell’ombra finiscono per essere assunte, nella maggior parte dei casi, da entità finanziarie considerate too big to fail e che a loro volta sono salvate con i soldi pubblici. Nella misura in cui la stabilità di un sistema finanziario risiede nelle garanzie pubbliche offerte dallo Stato, è sua responsabilità assicurare le condizioni affinché le queste garanzie non debbano essere utilizzate. Ignorando lo SBS, le autorità vengono meno non soltanto a questa loro responsabilità ma spianano la strada, a ritmo accelerato, a nuovi e sempre più grandi salvataggi finanziari facendo ricorso al denaro pubblico.
di Daniel Munevar
Note
[1] Financial Times, “Traditional lenders shiver as shadow banking grows”, disponible en:http://www.ft.com/intl/cms/s/0/f63bea6c-2d5c-11e1-b985-00144feabdc0.html#axzz1lud8ehpR
[2] Un ABS consiste nella creazione di un titolo, prodotto della somma di un numero determinato di crediti individuali dalle caratteristiche simili. I flussi degli effettivi associati al titolo provengono direttamente dai crediti individuali.
[3] Un CDO permette di stabilire una struttura di pagamento subordinata associata a un gruppo di strumenti a reddito fisso come i titoli o le cambiali commerciali a breve termine. L’entità che si incarica di creare il CDO stabilisce segmenti di rischio direttamente relazionati con il rendimento dello strumento e la sua priorità nella struttura del pagamento. Un investitore con un basso appetito per il rischio acquisterà una posizione senior nel CDO, ricevendo i primi pagamenti della struttura finanziaria. Invece un investitore che cerchi un maggiore rendimento acquisterà una posizione con più rischio e minore priorità di pagamento nella detta struttura.
[4] Entità legali parallele create dalle banche di investimento per evitare le regolamentazioni delle riserve di capitale. Generalmente i SIV si finanziano attraverso l’emissione di cambiali commerciali a breve termine. A metà del 2007 si stima che banche a livello mondiale mantenessero in SIV un portafoglio di ABS e CDO per un valore di 1,5 miliardi di dollari. Vedi Thomas, L. (2011), ¨The Financial Crisis and Federal Reserve Policy¨, Palgrave Macmillan - New York, Ch. 5.
[5] I “conduits” furono istituiti dalle banche per facilitare il processo di creazione di ABS a partire da prestiti individuali. Nel periodo tra l’acquisto di detti crediti e la creazione e la vendita di ABS, i primi erano mantenuti nei “conduits”. I “conduits” sono delle entità legali indipendenti, le banche non sono obbligate a fornire riserve di capitale per garantire le attività di queste entità.
[6] Hsu J. y Moroz M. (2010), “Shadow Banks and the Financial Crisis of 2007–2008” in The Banking Crisis Handbook, edito da Gregoriou G., CRC Press - New York.
[7] I Money Market Funds sono dei fondi comuni che investono in cambiali a breve termine come i Buoni del Tesoro degli Stati Uniti e le azioni e obbligazioni societarie. Questi fondi giocano un ruolo centrale nella fornitura di liquidità a breve termine.
[8] Op. Cit. 6.
[9] I Primary Dealer sono delle entità che negli Stati Uniti si occupano di portare a buon fine l’acquisto e la vendita di titoli, in gran parte Bonus del Tesoro durante delle operazioni di mercato aperto intraprese dalla Fed. Fino alla bancarotta della Global Funds, esistevano 18 entità che svolgevano questa funzione.
[10] A causa della relativa assenza di liquidità che presentano i mercati del debito sovrano europeo, è molto difficile poter mettere fine a queste posizioni sui mercati.
[11] ¨ Bank of America Deadwatch : Moves Risky Derivatives from Holding Company to Taxpayer Backstopped depository ” http://www.nakedcapitalism.com/2011...
[12] Pozsar Z. e Singh M. (2011), ¨The Nonbank-Bank Nexus and the Shadow Banking System¨, IMF Working Paper - Research Department, WP/11/289
Daniel Munevar, economista, è membro del CADTM Colombia e della coordinazione del CADTM “Abya-Yala Nuestra America”.
Titolo originale: "Les risques du système bancaire de l’ombre "
Fonte: http://www.cadtm.org
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