30 maggio 2012

G8

Secondo i mass-media sempre impegnatissimi nell' acritico sostegno al governo dei tecnocrati, l'appena concluso G8 di Camp David è stato un successo sia in termini generali sia per l'Italia, che ha riacquistato il posto che le compete in Europa e nel mondo. Il merito di questo recupero viene equamente suddiviso fra Mario Monti e Barack Obama col supporto della new entry francese François Hollande. A conferma vengono citate le parole del caro leader, che ha evidenziato la ''convergenza molto forte'' con Hollande e il ruolo svolto da Obama nel creare le condizioni per un dibattito costruttivo, grazie a discussioni fatte intorno al caminetto che contribuiscono a creare un clima informale diverso da quello dei vertici europei, ''ingessati, e non sempre positivi''. Pressoché solitaria voce dissenziente quella di Massimo Fini, che si azzarda a ricordare vicende non più vecchie di un quinquennio e che tuttavia sembrano da tutti dimenticate, scrivendo:“La crisi è partita dall'America, ma quel pseudodemocratico e pseudonero di Obama ha la faccia tosta di impartirci lezioni di moralità economica”. In realtà sono mesi che Obama esprime il timore che la crisi dell'economia europea possa contagiare gli Stati Uniti, fingendo di dimenticare che finora l'unico contagio ha attraversato l'Atlantico in direzione opposta: dall'America all'Europa. La crisi, difatti, non è scoppiata nel 2010, ma nell'estate del 2007 e proprio negli Stati Uniti con l'esplosione della “bolla immobiliare” determinata dai cosiddetti “mutui subprime”, cioè a bassa garanzia, e dal marchingegno escogitato dalle banche americane per scaricare su altri i rischi di questi mutui concessi a chi non era in grado di far fronte agli impegni assunti: la loro “cartolarizzazione” in titoli poi proposti dal sistema bancario a risparmiatori di tutti il mondo (in particolare di quello occidentale), che ben presto si meritarono la definizione di “titoli tossici” per avere diffuso negli altri paesi la crisi americana. La situazione esplose nel 2007, quando le banche si ritrovarono sul groppone poco meno di due milioni di case pignorate a proprietari che non erano più in grado di pagare le rate del mutuo, troppe per trovare, anche a prezzi minimi, acquirenti su un mercato dissestato. Abbiamo scarsa memoria, ma qualcuno dovrebbe ricordare che i mostri telegiornali ci mostrarono strade e strade fiancheggiate da villette e giardinetti stile “american way” poste in vendita a poche centinaia di dollari e tuttavia invendute. Seguirono gli interventi di Washington per salvare Fannie Mae e Freddy Mac, il Citygroup e altri istituti di credito e assicurativi e (15 settembre 2008) il crac della banca d'investimento Lehman Brothers reso più disastrosi per gli investitori di tutto il mondo e anche per molti istituti finanziari europei dal fatto che fino al giorno prima i suoi titoli godevano di un buon “rating” da parte delle agenzie Standard & Poor's, Moody's e Fitch, tutte statunitensi. Si dirà che è storia passata e che, mentre occorre lavorare insieme per uscire dalla crisi, non vale la pena di litigare come fanno i bambini per attribuirsi reciprocamente la colpa. Il fatto è che, come sempre, non si possono curare gli effetti se non si individuano le cause. In particolare, pur se è vero che dal 2009 l'Europa ci ha messo del suo, dal momento che anche tempo e durata contano, sarebbe un grave errore dimenticare non tanto le responsabilità degli Usa (se non per suggerire ad Obama meno iattanza e più umiltà), ma che la crisi riguarda fin d'ora, e non per futuri temuti contagi, l'intero mondo occidentale (Usa inclusi) e che è vecchia non di due-tre, ma di cinque anni. In ogni caso, venendo all'oggi, il G8 di Camp David è stato di qualche consolazione per l'Italia, ma, al contrario di quanto sostiene la piaggeria mass-mediale, non per la ritrovata autorevolezza dell'Italia sul fronte internazionale, ma perché, se noi contiamo su tecnici che hanno dovuto chiamare altri tecnici per fare il loro lavoro, i politici degli altri paesi non se la molto cavano meglio se tutto quello che hanno saputo tirar fuori dalle discussioni “intorno al caminetto” di cui tanto si è compiaciuto il prof. Monti è che occorre coniugare il rigore con la crescita. In realtà se non proprio la crescita (per questa servirebbe un sostanziale mutamento del modello economico), almeno una ripresa, magari una “ripresina”, sarebbe coniugabile col rigore, ma con un rigore non come l'intendono Monti e i suoi colleghi (quelli che Maffeo Pantaleoni classifica come “imbecilli” a causa del loro esclusivo amore per le tasse), ma di tagli alla spesa pubblica improduttiva a cominciare, per dare l'esempio, da una severa sforbiciata ai 224.milioni di euro che, secondo una recente inchiesta, costa alle casse pubbliche italiane il Quirinale, il quadruplo di quanto gli inglesi pagano per Buckingham Palace. di Francesco Mario Agnoli

29 maggio 2012

L'Italia in bilico tra antipolitica e sfiducia

Lo scenario attuale Che dalla politica dipenda l'organizzazione della società civile e la vita di ciascun individuo oggi è più che mai evidente. Un lungo e triste elenco di suicidi scandisce il tempo di questo governo tecnico[1]: lavoratori che hanno perso il proprio posto di lavoro e imprenditori in gravissime difficoltà economiche. Disoccupazione, impossibilità di accesso al credito, mancanza di liquidità, pagamenti a lunghissimo termine, scarsità d'investimenti e soprattutto l'assenza di qualunque prospettiva per il futuro sono alcune tra le cause principali della disperazione. Alla drammaticità dell'attuale situazione economica, apparentemente senza una chiara e immediata via di uscita, si contrappone ogni giorno in misura sempre maggiore un senso di sfiducia collettivo. L'angoscia di tantissimi cittadini rimane soffocata all'interno delle mura domestiche, spesso accompagnata dalla depressione o dalla rabbia che esplode verso se stessi e verso gli altri. La frustrazione a livello sociale deriva principalmente dalla sensazione d'impotenza a fronte di quella che viene proposta alla popolazione, da parte di molti politici, economisti e mezzi di informazione, come l'unica soluzione possibile per l'uscita dalla crisi: una ricetta economica fatta di tasse, tagli ed aumenti delle tariffe. Pena l'incremento del deficit - ora incostituzionale - e l'aumento del debito pubblico che, nonostante le manovre di austerità e gli enormi sacrifici imposti agli italiani, continua a crescere a ritmi record[2]. È chiaro che all'interno di questo sistema di vincoli europei, costituiti dalla moneta unica e dai vari trattati firmati, sembra apparentemente non esserci altra via di uscita. Eppure professori ed economisti italiani del calibro di Paolo Savona[3], Giulio Sapelli[4], Emiliano Brancaccio[5], Loretta Napoleoni[6] e di fama internazionale, come i due premi nobel per l'economia Paul Krugman[7] e Joseph Stiglitz[8], si sono schierati apertamente contro queste politiche di austerità, deflattive e recessive. L'impostazione dettata dai vincoli di bilancio e dalle logiche di rigore sta alimentando una spirale negativa che porta a un'ulteriore contrazione del PIL, facendo così diminuire il gettito fiscale, aumentando i rischi di solvibilità sul piano internazionale, accrescendo l'esborso per interessi, diminuendo la capacità di spesa per gli investimenti necessari a stimolare l'economia. Tutto ciò a detrimento di quelle risorse finanziare pubbliche che sono indispensabili anche per fornire servizi sociali e assistenziali primari. Nel quadro normativo europeo attuale, taluni vedrebbero come possibile strada per abbattere il debito pubblico, la vendita delle partecipazioni statali nelle poche grandi aziende italiane rimaste[9](Finmeccanica, Enel, Eni,…). Questo in realtà comporterebbe un duplice rischio: da un lato favorire pochi grandi speculatori privati a caccia di rendite e dall'altro vedere i flussi finanziari derivanti dalla vendita prendere la strada delle tasche degli investitori stranieri, i quali detengono direttamente circa il 44% del debito pubblico italiano[10] ed esigono annualmente il pagamento di circa 37 miliardi di euro di interessi[11]. Ma poi quale sarebbe il beneficio per lo sviluppo del Paese derivante da ulteriori privatizzazioni? Come sarebbero reinvestiti i proventi delle vendite dei beni pubblici? Chi potrebbe garantire che non sia solo una manovra "una tantum" che ben lungi dal rilanciare l'economia ci renderebbe a posteriori (come collettività) ancora più poveri? La "sbornia" delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni avviate nel 1992 ha condotto a degli utili e dei benefici per l'economia nazionale quasi insignificanti. È dato storico incontrovertibile invece, che da allora è cominciato un lento e progressivo declino industriale ed occupazionale del Paese[12]. Un declino oramai certificato dalle statistiche ufficiali che vedono l'Italia in recessione economica. Altri vorrebbero utilizzare il patrimonio della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. per pagare i debiti dello Stato, come dire: lo strumento che a suon d'investimenti dovrebbe servire per lo sviluppo strategico del Paese, utilizzato come cassa per la spesa corrente. I risultati elettorali delle ultime votazioni amministrative ben rappresentano il malessere che serpeggia a livello sociale: sfiducia che si manifesta in un alto tasso di astensione; rabbia che ha condotto a un vero e proprio tracollo dei maggiori partiti a sostegno del governo Monti; vittoria dei movimenti di protesta come quello a cinque stelle di Beppe Grillo. La forte disapprovazione per le politiche di austerità, che in diversa misura toccano tutti gli Stati europei, non ha risparmiato neppure Francia e Grecia, dove i partiti al governo hanno subito pesantissime sconfitte in termini di consensi e voti, a tutto vantaggio di forze politiche estremiste. Infine, anche chi ha sostenuto maggiormente misure di rigore e austerità a livello europeo ha subito duri e forti contraccolpi: nelle recenti elezioni regionali, il movimento dei cristiano democratici nel Land del Nord Reno Westfalia ha incassato il peggior risultato elettorale dal 1947. Una cocente sconfitta per il partito guida al governo tedesco che ben indica l'apprezzamento per le politiche economiche della cancelliera Merkel. Inquietanti similitudini A rendere ancor più drammatica la situazione italiana, nelle ultime settimane si sono aggiunti alcuni tragici attentati, farneticanti rivendicazioni e incomprensibili moventi. Dopo che per mesi gli scontri tra frange estremiste del movimento NO TAV e polizia avevano alzato la tensione sociale. "Non possiamo escludere un ritorno alla strategia stragista", ha affermato il Capo dello Stato Napolitano[13]. Tutto questo riporta alla memoria un annus horribilis, il 1992, quando l'Italia vide una successione di eventi tragici ed incalzanti[14] che cambiarono per sempre la storia del nostro Paese. Quello che oggi stiamo vivendo ha similitudini inquietanti con quella stagione che portò all'avvio dell'operazione Mani Pulite; alle stragi di Capaci e via D'Amelio; all'attacco speculativo contro la lira da parte del finanziere George Soros e alla conseguente uscita della lira dallo SME; alla crisi finanziaria che condusse il governo Amato a varare una manovra da 100.000 miliardi delle vecchie lire[15]. Un'escalation di eventi che probabilmente servì a piegare ogni volontà politica del Parlamento italiano di allora e portare così alla ratifica del trattato di Maastricht, senza alcuna esitazione. Ciò che spinse l'allora ministro del tesoro a porre in modo incondizionato quella firma fu la sfiducia negli italiani, i quali dovevano essere guidati da una "elite" che mettesse il bene comune sopra tutto, anche a scapito delle regole della democrazia parlamentare[16]. Parlando di Guido Carli, Paolo Savona scrive: «so per certo che egli avesse perso fiducia nella capacità degli italiani di sapersi dare comportamenti coerenti con le necessità del nuovo quadro geopolitico e geoeconomico e, pertanto, fosse necessario rinforzare il "vincolo esterno"»[17]. Il vincolo esterno. Carli cercò ed ottenne un aiuto dall'esterno del Paese per imporre all'Italia quella politica di rigore di bilancio che da ministro del tesoro non era riuscito a far accettare. Affinché si potesse così "innestare l'economia di mercato, nel tessuto vivente, nelle fibre della società e introdurla nella mentalità della classe dirigente"[18]. Tentativo questo che egli più volte fallì nei decenni, anche nel ruolo di presidente di Confindustria[19]. Affinché si potesse così liberare l'economia italiana dagli aiuti di Stato e dai "lacci e lacciuoli" della burocrazia. Quest'aiuto alla fine arrivò dalla firma del trattato dell'unione europea, politica, economica e monetaria. La classe politica di allora veniva giudicata debole, screditata, senza forza ed autorità morale per far accettare sacrifici agli elettori. Occorreva un vincolo esterno; quindi per sua natura limitativo, restrittivo. La ferma convinzione e la tenacia con cui il "partito liberista trasversale" perseguì l'adesione al Trattato di Maastricht, dovrebbe quantomeno far riflettere anche i più accaniti europeisti sulle reali finalità dell'unione europea e sulla reale democraticità dei processi economici e sociali che già allora venivano programmati. Un'unione pensata come vincolo esterno. Lo stesso che fu imposto agli italiani anche nel dopoguerra affinché il Paese non prendesse una "deriva statalista", così come le forze liberali volevano[20]. Cosicché per l'ennesima volta nella Storia italiana si fece ricorso alla "chiamata dello straniero", affinché gli interessi di una parte del Paese o di un'elite con una ben precisa visione del mondo, un'ideologia, divenissero elementi costitutivi dell'ordinamento giuridico. Gli italiani che non si sanno governare, gli italiani che necessitano di una "guida", gli italiani non responsabilizzati nelle tante scelte strategiche del Paese e che nel corso della Storia troppo spesso non hanno goduto neppure della fiducia della propria classe dirigente. Gli italiani "consegnati nelle mani di elite illuminate". Gli italiani che, forse proprio per queste ragioni, non sono mai stati davvero indipendenti e liberi all'interno della propria nazione. Non dovremmo sorprenderci più di tanto quindi, se oggi ci scopriamo "etero diretti", poco autonomi e dunque incapaci di uscire dalle maglie di questa crisi. Non abbiamo più gli strumenti per farlo, gli strumenti sono "altrove" e per il momento non vengono utilizzati a nostro favore. A testimonianza si possono citare le parole del professor Giuseppe Guarino: « Nel campo normativo l'Unione [Europea N.d.A.] è assolutamente prevalente. La sua competenza è esclusiva in materie fondamentali. Le sue norme prevalgono su quelle degli Stati membri. La sfera dell'Unione si allarga (e corrispondentemente si restringe l'ambito normativo degli Stati) man mano che le competenze vengono concretamente esercitate. La competenza dell'Unione è esclusiva persino nel valutare se sussistono le condizioni per estendere le sue competenze. Una domanda: gli Stati che ci stanno a fare? I dati statistici ci dicono che in Italia nei nove anni dal 2000 al 2008 (per il 2008 analizzati solo i primi tre trimestri) gli atti nazionali con forza di legge sono stati 1.072; i regolamenti e le direttive comunitarie 20.976.»[21] Un dovere morale La stessa sfiducia verso la popolazione è presente anche in gran parte dell'attuale classe politica, la stessa che ha introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione e che sta per ratificare il trattato ESM, nel silenzio più assoluto della politica e degli organi d'informazione[22]. Il responsabile economia e lavoro del PD, Stefano Fassina, si è spinto ad affermare che il pareggio di bilancio è uno strumento economicamente sbagliato, ma politicamente corretto (sic!) per riacquistare la fiducia dell'Europa[23]. Per Fassina non c'è futuro al di fuori dell'unione europea, la finanza e l'economia globale schiacciano gli Stati e di fronte a Paesi come la Cina, l'India, il Brasile,… non ha più senso parlare di sovranità nazionale: è la resa completa della politica di fronte alla globalizzazione. Ma non è unicamente nel numero di abitanti che va ricercato il senso di una sovranità nazionale, come Fassina da buon materialista vorrebbe far credere, ma innanzitutto nella cultura di una popolazione. È necessario tornare ad avere fiducia nella cultura e nelle capacità degli italiani: questo più che un compito è un dovere morale della politica! C'è stato un periodo della Storia recente in cui l'Italia aveva qualcosa da dire al mondo e l'economia cresceva come in nessun'altra nazione[24]. Bisogna avere quella fiducia che è mancata a Guido Carli e a molti altri negli ultimi anni, pensando che si può ripartire, ricostruendo un tessuto sociale ed una economia solida. La storia italiana del dopoguerra dovrebbe darci l'esempio, il caso argentino potrebbe guidarci nella giusta direzione. L'economia argentina, abbandonato il cambio fisso con il dollaro e le ricette di austerità imposte per decenni dall'FMI, dal 2002 al 2011 ha visto crescere la sua economia del 94% e tutt'ora vanta una crescita del PIL annuale attorno all'8%[25]. L'Italia oggi è in bilico, tra una strada di lenta agonia e una possibilità di riscatto, faticosa ma possibile. Come oramai da anni Lyndon LaRouche sostiene: è necessario tornare alla separazione bancaria tra banche commerciali e banche d'affari, secondo il modello Glass-Steagall. Concetto questo ripreso e promosso sempre più anche da voci autorevoli del mondo politico ed accademico. È necessario pensare ad una banca nazionale per lo sviluppo, che finanzi progetti a lungo termine nelle infrastrutture e nell'industria ad alta tecnologia, sullo stile di quella creata dal primo ministro del tesoro americano Alexander Hamilton. È necessario investire in ricerca ed in solidarietà. È necessario riscoprire la vera cultura e puntare sulle nuove generazioni affinché siano loro i primi a beneficiarne. Spetta a noi decidere se siamo ancora l'Italia del Rinascimento o solo quella del neo-darwinismo sociale. Solamente se la politica italiana saprà scommettere sul futuro ed imboccare la strada verso nuova crescita e migliore sviluppo, ci potrà essere una vera svolta. Solo quando saprà credere di nuovo nella cultura e nella forza dell'Italia, riacquisterà dignità e rispetto. Non vi è altra scelta, è passaggio obbligato. Andrea Pomozzi Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà

28 maggio 2012

Il nemico politico, in questa fase, è il Partito Democratico

Ci sono sempre nella storia nemici principali e nemici secondari. Ambedue si devono combattere, ma in determinate contingenze, prima di attaccare il nemico principale, è necessario “sgomberare il campo” dai nemici secondari, liberando spazi limitati (come quelli nazionali) per aggredire poi aree geopolitiche più vaste.. Ciò non significa che la lotta contro nemici di “rango” inferiore è tanto più agevole, e meno cruda, di quella che si svilupperà contro il nemico principale, ma è chiaro che si tratta di nemici più “prossimi” a noi, con maggiori punti deboli, e perciò attaccabili con maggiori speranze di successo. Nell’Italia di oggi, paese occupato e soggetto al governo direttoriale euro-globalista affidato a Mario Monti, il nemico secondario locale, che si muove su un piano politico di sub-dominanza e supporta la dittatura globalista, è senza ombre di dubbio il Partito democratico. Dopo l’inizio di una rapida dissoluzione del cosiddetto centro-destra, con la liquefazione del PdL “abbandonato” da Berlusconi ed il crollo dei consensi registrato dalla Lega, travolta con singolare tempismo dagli scandali, resta soltanto il Pd all’interno del sistema, con tutte le forze di contorno, in rappresentanza di una sinistra neoliberista, filo-globalista, antipopolare ed “antipopulista”, che dovrebbe neutralizzare ipotetiche proteste di massa (per ora soltanto temute), imbrogliando i dominati e supportando le politiche applicate da Monti. Infatti, il puntello al momento più saldo del governo direttoriale globalista – non eletto, non richiesto, non amato – che sta saccheggiando l’Italia e uccidendo la popolazione (letteralmente, dati i continui suicidi per ragioni economiche), è rappresentato dalla B del terzetto politico ABC di sostegno all’esecutivo, e cioè da Pier Luigi Bersani. Questo piccolo funambolo della politica degenere, che “parla come mangia” (ed evidentemente mangia molto male, nutrendosi di cibo-spazzatura), ha stretto un patto di sangue con il grande capitale finanziario e con la classe neodominante che lo controlla, o meglio, si è proposto come servitore politico, ed ha accettato, in qualità di kapò di quel grande campo di concentramento sperimentale che è diventata l’Italia, di supportarne fino in fondo gli interessi. Bersani – rappresentante di una squallida camarilla politico-burocratica che si annida in parlamento, collocata a sinistra nell’emiciclo, dietro la quale non sembra che ci sia un vero e coeso blocco-sociale – ha rinnegato il paese, ha ripudiato la bandiera, ha supportato Napolitano, ha appoggiato Monti, ha contribuito a svendere gli ultimi scampoli di sovranità, di socialità, di patrimonio pubblico, permettendo che si calpesti la residua dignità nazionale, in cambio del mantenimento, per lui e i suoi, di una posizione di sub-potere e dei benefit che questa comporta. La consorteria politica della sinistra, alimentata dalla corruzione materiale ed etica, preda del cinismo che ha fatto seguito alla fine della Grande Narrazione marxista – della quale già il PCI “eurocomunista” figlio della svolta berlingueriana, prima di essere soppresso nel febbraio del 1991, cercava di sbarazzarsi definitivamente – è composta di un coacervo di forze del tutto subalterne al neocapitalismo e al neoliberalismo, a partire dall’informe alleanza fra apostati del comunismo e catto-democristiani “di sinistra,” chiamata Pd, e dai comunisti individualistici postsovietici del SEL, completamente fagocitati negli immaginari capitalistici, fino ad arrivare ai patetici resti di formazioni che ancora, impropriamente, si chiamano comuniste, come Rifondazione e il PdCI. Il tutto integrato dalla CGIL di Camusso e dalla Fiom apparentemente ribelle, che indicono scioperi “parafulmine” a protezione del sistema neoliberista, impedendo che le proteste dei lavoratori trovino uno sfogo concreto, pericoloso per il potere e per i sindacati stessi. Bersani viene dal PCI del crepuscolo, già socialdemocratico, poi eurocomunista (conferenza di Berlino del 1976), filoamericano e filo-NATO, e in qualità di “politico di professione” ha attraversato, facendo carriera e diventando ministro, tutta la concatenazione trasformistica successiva, PDS-DS-Pd, a ribasso, anzi, a precipizio, per quanto riguarda la rappresentanza politica effettiva delle classi subalterne, la tutela dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori, la stessa legalità costituzionale (se mai si è veramente affermata, almeno per qualche anno, in Italia). Bersani, burocrate trasformista e servo dell’Aristocrazia globale, prima comunista e poi liberista (autore, nel recente passato, di una “lenzuolata” di liberalizzazioni), non è un leader, non ha carisma, non esprime una linea politica chiara – infatti, il servile Pd non ha un programma, né è necessario che lo abbia, vista la sua funzione subalterna e di “ruota di scorta” del potere neocapitalista. Bersani non è neppure un oratore apprezzabile, per quel che può contare, esprimendosi confusamente, non disdegnando discorsi ed espressioni da “bar sport”, pur di non dare l’impressione, davanti alle telecamere e ai microfoni, di usare il “politichese”. La caduta del muro di Berlino, del 1989, non è stato soltanto un evento di grande portata storica, che ha aperto la strada al neoliberismo, alla globalizzazione e alla successiva caduta del “muro di Pechino”, con lo sdoganamento di un Golem neocapitalistico, cioè della potenza commerciale Cinese. Un simile evento, dalle conseguenze socioeconomiche e geopolitiche epocali, qui, in Italia, in quella che oggi sta diventando periferia del sistema globale, ha rappresentato la fortuna per individui come Bersani (e D’Alema, e Veltroni, ed altri ancora), consentendogli finalmente di liquidare anche il ricordo del PCI, già edulcorato e interno al sistema della cosiddetta prima repubblica (arco costituzionale, unità nazionale, eurocomunismo), per riciclarsi e creare sulle sue rovine nuovi cartelli elettorali, di sostanza liberaldemocratica e liberista, adatti a servire la nuova classe dominante postborghese, razza padrona del ventunesimo secolo. Consideriamo che se tutto fosse dipeso dal centro-destra, Lega compresa, anzi, soprattutto da quella Lega, oggi in rapido declino, che sapeva che con la fine del Cav. per lei sarebbe finita la “cuccagna”, Berlusconi sarebbe ancora lì dove si trovava fino al 16 novembre 2011, e per quanto sbilanciate verso alcuni gruppi sociali, per quanto raffazzonate ed elettoralistiche, le politiche attuate da un esecutivo berlusconiano non avrebbero potuto portare, in pochi mesi, alla drammatica situazione sociale che viviamo attualmente. L’accelerazione delle politiche di de-emancipazione e il diffuso impoverimento si sono manifestati nel dopo Berlusconi, ed ora, a distanza di alcuni mesi dall’insediamento di Monti, cominciamo a sentirne in pieno gli effetti. Queste ultime elezioni amministrative hanno dato inizio alla dissoluzione del PdL, hanno segnato il declino irreversibile della lega, ma hanno “graziato”, o colpito in misura minore, il Pd. Per tale motivo Bersani ha potuto cantare vittoria “senza se e senza ma”, mentre l’esecutivo Monti-Napolitano da lui appoggiato e difeso a spada tratta, attraverso Fornero prepara il terreno per togliere il sussidio agli invalidi proprietari della loro casa, privandoli di assistenza e condannandoli così a morire di fame, e si lava le mani dei danni subiti dalle popolazioni dell’Emilia colpite dal terremoto, perché in seguito alla riforma della protezione civile, lo stato non ha più il dovere di ricostruire gli immobili distrutti o lesionati, e ci si deve arrangiare con assicurazioni private. Ma a Bersani tutto ciò non importa, finge di non vedere o borbotta qualche assurdità, e non importa all’infame Pd, che esulta per la “vittoria” nei ballottaggi alle amministrative – elezioni concesse semplicemente perché non incidono sulle politiche strategiche nazionali – incurante delle astensioni e di un’affermazione della cosiddetta antipolitica (M5S a Parma con Pizzarotti sindaco), mentre i suoi giornali, come l’Unità, si occupano delle solite cose che interessano la politica minore, a partire dalla riforma elettorale. Si procede truffaldinamente su due binari. Sul primo binario, quello più importante, il direttorio globalista assegnato a Monti, voluto ed appoggiato fino alle estreme conseguenze dalla sinistra spergiura e truffatrice di Bersani, continua con l’applicazione del programma contenuto nella lettera del 5 agosto 2012, di Draghi e Trichet, all’allora esecutivo Berlusconi. Sul secondo binario, si celebra il rito elettorale in “tono minore”, limitandolo ad una tornata amministrativa parziale, per legittimare i cartelli elettorali che sostengono Monti (a partire dal Pd), per eliminare gli indisciplinati (la Lega travolta dagli scandali esplosi al momento giusto) e per ricomporre in forma diversa il centro-destra, a partire dai pezzi di un PdL da sciogliere e dai rimasugli di un centro inesistente. Il primo binario è una strada obbligata, tracciata dalle Aristocrazie finanziarie globaliste, e su questo viaggia il treno “blindato” di Monti-Napolitano, il secondo binario, invece, può riservare qualche limitata sorpresa, e serve a distrarre dalle grandi questioni politiche e sociali. Così, si è avuta l’affermazione del M5S in qualche comune e una forte “diserzione” dell’elettorato nei ballottaggi (oltre il 48% non ha partecipato), riguardanti, se non erro, 4,5 milioni di “aventi diritto”e non certo l’intero corpo elettorale. Ciò ha dato a Bersani, che oggi rappresenta il puntello più saldo dell’esecutivo Monti, l’occasione per cantare vittoria – con il conforto di Monti – alla Lega lo “sprone” per rinnovarsi (e per cessare una sia pur blanda opposizione in parlamento), e al cosiddetto centro-destra, ormai orfano di Berlusconi, la possibilità di ricomporsi in altra forma, magari mescolando Alfano e Casini, ma continuando ad appoggiare il direttorio globalista al potere. E’ chiaro che da ora in poi, il nemico politico nazionale, che indubbiamente esiste ma è secondario – quello principale è rappresentato dall’Aristocrazia globale esterna – si identifica quasi per intero in quel infame centro-sinistra che sostiene Monti, supporta il genocidio sociale in atto, e va da Bersani a Vendola, dal Pd fino alla CGIL e alla Fiom “normalizzata”. Queste forze ascare, corrispondenti ad altrettante strutture politiche e sindacali di sub-potere, lavorano incessantemente contro le masse pauperizzate e i ceti medi declassati, quindi partecipano, sia pur vigliaccamente, nascostamente, senza sporcarsi troppo le mani, alla demolizione dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori, al ridimensionamento della struttura produttiva nazionale, al trasferimento di risorse collettive nelle tasche dei “grandi prenditori” finanziari. Nessuna di queste forze della sinistra degenerata e serva fa eccezione. Niente di loro può essere salvato, nessuno dei “sinistri” capi-kapò può essere assolto, a partire proprio da Pier Luigi Bersani. di Eugenio Orso

30 maggio 2012

G8

Secondo i mass-media sempre impegnatissimi nell' acritico sostegno al governo dei tecnocrati, l'appena concluso G8 di Camp David è stato un successo sia in termini generali sia per l'Italia, che ha riacquistato il posto che le compete in Europa e nel mondo. Il merito di questo recupero viene equamente suddiviso fra Mario Monti e Barack Obama col supporto della new entry francese François Hollande. A conferma vengono citate le parole del caro leader, che ha evidenziato la ''convergenza molto forte'' con Hollande e il ruolo svolto da Obama nel creare le condizioni per un dibattito costruttivo, grazie a discussioni fatte intorno al caminetto che contribuiscono a creare un clima informale diverso da quello dei vertici europei, ''ingessati, e non sempre positivi''. Pressoché solitaria voce dissenziente quella di Massimo Fini, che si azzarda a ricordare vicende non più vecchie di un quinquennio e che tuttavia sembrano da tutti dimenticate, scrivendo:“La crisi è partita dall'America, ma quel pseudodemocratico e pseudonero di Obama ha la faccia tosta di impartirci lezioni di moralità economica”. In realtà sono mesi che Obama esprime il timore che la crisi dell'economia europea possa contagiare gli Stati Uniti, fingendo di dimenticare che finora l'unico contagio ha attraversato l'Atlantico in direzione opposta: dall'America all'Europa. La crisi, difatti, non è scoppiata nel 2010, ma nell'estate del 2007 e proprio negli Stati Uniti con l'esplosione della “bolla immobiliare” determinata dai cosiddetti “mutui subprime”, cioè a bassa garanzia, e dal marchingegno escogitato dalle banche americane per scaricare su altri i rischi di questi mutui concessi a chi non era in grado di far fronte agli impegni assunti: la loro “cartolarizzazione” in titoli poi proposti dal sistema bancario a risparmiatori di tutti il mondo (in particolare di quello occidentale), che ben presto si meritarono la definizione di “titoli tossici” per avere diffuso negli altri paesi la crisi americana. La situazione esplose nel 2007, quando le banche si ritrovarono sul groppone poco meno di due milioni di case pignorate a proprietari che non erano più in grado di pagare le rate del mutuo, troppe per trovare, anche a prezzi minimi, acquirenti su un mercato dissestato. Abbiamo scarsa memoria, ma qualcuno dovrebbe ricordare che i mostri telegiornali ci mostrarono strade e strade fiancheggiate da villette e giardinetti stile “american way” poste in vendita a poche centinaia di dollari e tuttavia invendute. Seguirono gli interventi di Washington per salvare Fannie Mae e Freddy Mac, il Citygroup e altri istituti di credito e assicurativi e (15 settembre 2008) il crac della banca d'investimento Lehman Brothers reso più disastrosi per gli investitori di tutto il mondo e anche per molti istituti finanziari europei dal fatto che fino al giorno prima i suoi titoli godevano di un buon “rating” da parte delle agenzie Standard & Poor's, Moody's e Fitch, tutte statunitensi. Si dirà che è storia passata e che, mentre occorre lavorare insieme per uscire dalla crisi, non vale la pena di litigare come fanno i bambini per attribuirsi reciprocamente la colpa. Il fatto è che, come sempre, non si possono curare gli effetti se non si individuano le cause. In particolare, pur se è vero che dal 2009 l'Europa ci ha messo del suo, dal momento che anche tempo e durata contano, sarebbe un grave errore dimenticare non tanto le responsabilità degli Usa (se non per suggerire ad Obama meno iattanza e più umiltà), ma che la crisi riguarda fin d'ora, e non per futuri temuti contagi, l'intero mondo occidentale (Usa inclusi) e che è vecchia non di due-tre, ma di cinque anni. In ogni caso, venendo all'oggi, il G8 di Camp David è stato di qualche consolazione per l'Italia, ma, al contrario di quanto sostiene la piaggeria mass-mediale, non per la ritrovata autorevolezza dell'Italia sul fronte internazionale, ma perché, se noi contiamo su tecnici che hanno dovuto chiamare altri tecnici per fare il loro lavoro, i politici degli altri paesi non se la molto cavano meglio se tutto quello che hanno saputo tirar fuori dalle discussioni “intorno al caminetto” di cui tanto si è compiaciuto il prof. Monti è che occorre coniugare il rigore con la crescita. In realtà se non proprio la crescita (per questa servirebbe un sostanziale mutamento del modello economico), almeno una ripresa, magari una “ripresina”, sarebbe coniugabile col rigore, ma con un rigore non come l'intendono Monti e i suoi colleghi (quelli che Maffeo Pantaleoni classifica come “imbecilli” a causa del loro esclusivo amore per le tasse), ma di tagli alla spesa pubblica improduttiva a cominciare, per dare l'esempio, da una severa sforbiciata ai 224.milioni di euro che, secondo una recente inchiesta, costa alle casse pubbliche italiane il Quirinale, il quadruplo di quanto gli inglesi pagano per Buckingham Palace. di Francesco Mario Agnoli

29 maggio 2012

L'Italia in bilico tra antipolitica e sfiducia

Lo scenario attuale Che dalla politica dipenda l'organizzazione della società civile e la vita di ciascun individuo oggi è più che mai evidente. Un lungo e triste elenco di suicidi scandisce il tempo di questo governo tecnico[1]: lavoratori che hanno perso il proprio posto di lavoro e imprenditori in gravissime difficoltà economiche. Disoccupazione, impossibilità di accesso al credito, mancanza di liquidità, pagamenti a lunghissimo termine, scarsità d'investimenti e soprattutto l'assenza di qualunque prospettiva per il futuro sono alcune tra le cause principali della disperazione. Alla drammaticità dell'attuale situazione economica, apparentemente senza una chiara e immediata via di uscita, si contrappone ogni giorno in misura sempre maggiore un senso di sfiducia collettivo. L'angoscia di tantissimi cittadini rimane soffocata all'interno delle mura domestiche, spesso accompagnata dalla depressione o dalla rabbia che esplode verso se stessi e verso gli altri. La frustrazione a livello sociale deriva principalmente dalla sensazione d'impotenza a fronte di quella che viene proposta alla popolazione, da parte di molti politici, economisti e mezzi di informazione, come l'unica soluzione possibile per l'uscita dalla crisi: una ricetta economica fatta di tasse, tagli ed aumenti delle tariffe. Pena l'incremento del deficit - ora incostituzionale - e l'aumento del debito pubblico che, nonostante le manovre di austerità e gli enormi sacrifici imposti agli italiani, continua a crescere a ritmi record[2]. È chiaro che all'interno di questo sistema di vincoli europei, costituiti dalla moneta unica e dai vari trattati firmati, sembra apparentemente non esserci altra via di uscita. Eppure professori ed economisti italiani del calibro di Paolo Savona[3], Giulio Sapelli[4], Emiliano Brancaccio[5], Loretta Napoleoni[6] e di fama internazionale, come i due premi nobel per l'economia Paul Krugman[7] e Joseph Stiglitz[8], si sono schierati apertamente contro queste politiche di austerità, deflattive e recessive. L'impostazione dettata dai vincoli di bilancio e dalle logiche di rigore sta alimentando una spirale negativa che porta a un'ulteriore contrazione del PIL, facendo così diminuire il gettito fiscale, aumentando i rischi di solvibilità sul piano internazionale, accrescendo l'esborso per interessi, diminuendo la capacità di spesa per gli investimenti necessari a stimolare l'economia. Tutto ciò a detrimento di quelle risorse finanziare pubbliche che sono indispensabili anche per fornire servizi sociali e assistenziali primari. Nel quadro normativo europeo attuale, taluni vedrebbero come possibile strada per abbattere il debito pubblico, la vendita delle partecipazioni statali nelle poche grandi aziende italiane rimaste[9](Finmeccanica, Enel, Eni,…). Questo in realtà comporterebbe un duplice rischio: da un lato favorire pochi grandi speculatori privati a caccia di rendite e dall'altro vedere i flussi finanziari derivanti dalla vendita prendere la strada delle tasche degli investitori stranieri, i quali detengono direttamente circa il 44% del debito pubblico italiano[10] ed esigono annualmente il pagamento di circa 37 miliardi di euro di interessi[11]. Ma poi quale sarebbe il beneficio per lo sviluppo del Paese derivante da ulteriori privatizzazioni? Come sarebbero reinvestiti i proventi delle vendite dei beni pubblici? Chi potrebbe garantire che non sia solo una manovra "una tantum" che ben lungi dal rilanciare l'economia ci renderebbe a posteriori (come collettività) ancora più poveri? La "sbornia" delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni avviate nel 1992 ha condotto a degli utili e dei benefici per l'economia nazionale quasi insignificanti. È dato storico incontrovertibile invece, che da allora è cominciato un lento e progressivo declino industriale ed occupazionale del Paese[12]. Un declino oramai certificato dalle statistiche ufficiali che vedono l'Italia in recessione economica. Altri vorrebbero utilizzare il patrimonio della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. per pagare i debiti dello Stato, come dire: lo strumento che a suon d'investimenti dovrebbe servire per lo sviluppo strategico del Paese, utilizzato come cassa per la spesa corrente. I risultati elettorali delle ultime votazioni amministrative ben rappresentano il malessere che serpeggia a livello sociale: sfiducia che si manifesta in un alto tasso di astensione; rabbia che ha condotto a un vero e proprio tracollo dei maggiori partiti a sostegno del governo Monti; vittoria dei movimenti di protesta come quello a cinque stelle di Beppe Grillo. La forte disapprovazione per le politiche di austerità, che in diversa misura toccano tutti gli Stati europei, non ha risparmiato neppure Francia e Grecia, dove i partiti al governo hanno subito pesantissime sconfitte in termini di consensi e voti, a tutto vantaggio di forze politiche estremiste. Infine, anche chi ha sostenuto maggiormente misure di rigore e austerità a livello europeo ha subito duri e forti contraccolpi: nelle recenti elezioni regionali, il movimento dei cristiano democratici nel Land del Nord Reno Westfalia ha incassato il peggior risultato elettorale dal 1947. Una cocente sconfitta per il partito guida al governo tedesco che ben indica l'apprezzamento per le politiche economiche della cancelliera Merkel. Inquietanti similitudini A rendere ancor più drammatica la situazione italiana, nelle ultime settimane si sono aggiunti alcuni tragici attentati, farneticanti rivendicazioni e incomprensibili moventi. Dopo che per mesi gli scontri tra frange estremiste del movimento NO TAV e polizia avevano alzato la tensione sociale. "Non possiamo escludere un ritorno alla strategia stragista", ha affermato il Capo dello Stato Napolitano[13]. Tutto questo riporta alla memoria un annus horribilis, il 1992, quando l'Italia vide una successione di eventi tragici ed incalzanti[14] che cambiarono per sempre la storia del nostro Paese. Quello che oggi stiamo vivendo ha similitudini inquietanti con quella stagione che portò all'avvio dell'operazione Mani Pulite; alle stragi di Capaci e via D'Amelio; all'attacco speculativo contro la lira da parte del finanziere George Soros e alla conseguente uscita della lira dallo SME; alla crisi finanziaria che condusse il governo Amato a varare una manovra da 100.000 miliardi delle vecchie lire[15]. Un'escalation di eventi che probabilmente servì a piegare ogni volontà politica del Parlamento italiano di allora e portare così alla ratifica del trattato di Maastricht, senza alcuna esitazione. Ciò che spinse l'allora ministro del tesoro a porre in modo incondizionato quella firma fu la sfiducia negli italiani, i quali dovevano essere guidati da una "elite" che mettesse il bene comune sopra tutto, anche a scapito delle regole della democrazia parlamentare[16]. Parlando di Guido Carli, Paolo Savona scrive: «so per certo che egli avesse perso fiducia nella capacità degli italiani di sapersi dare comportamenti coerenti con le necessità del nuovo quadro geopolitico e geoeconomico e, pertanto, fosse necessario rinforzare il "vincolo esterno"»[17]. Il vincolo esterno. Carli cercò ed ottenne un aiuto dall'esterno del Paese per imporre all'Italia quella politica di rigore di bilancio che da ministro del tesoro non era riuscito a far accettare. Affinché si potesse così "innestare l'economia di mercato, nel tessuto vivente, nelle fibre della società e introdurla nella mentalità della classe dirigente"[18]. Tentativo questo che egli più volte fallì nei decenni, anche nel ruolo di presidente di Confindustria[19]. Affinché si potesse così liberare l'economia italiana dagli aiuti di Stato e dai "lacci e lacciuoli" della burocrazia. Quest'aiuto alla fine arrivò dalla firma del trattato dell'unione europea, politica, economica e monetaria. La classe politica di allora veniva giudicata debole, screditata, senza forza ed autorità morale per far accettare sacrifici agli elettori. Occorreva un vincolo esterno; quindi per sua natura limitativo, restrittivo. La ferma convinzione e la tenacia con cui il "partito liberista trasversale" perseguì l'adesione al Trattato di Maastricht, dovrebbe quantomeno far riflettere anche i più accaniti europeisti sulle reali finalità dell'unione europea e sulla reale democraticità dei processi economici e sociali che già allora venivano programmati. Un'unione pensata come vincolo esterno. Lo stesso che fu imposto agli italiani anche nel dopoguerra affinché il Paese non prendesse una "deriva statalista", così come le forze liberali volevano[20]. Cosicché per l'ennesima volta nella Storia italiana si fece ricorso alla "chiamata dello straniero", affinché gli interessi di una parte del Paese o di un'elite con una ben precisa visione del mondo, un'ideologia, divenissero elementi costitutivi dell'ordinamento giuridico. Gli italiani che non si sanno governare, gli italiani che necessitano di una "guida", gli italiani non responsabilizzati nelle tante scelte strategiche del Paese e che nel corso della Storia troppo spesso non hanno goduto neppure della fiducia della propria classe dirigente. Gli italiani "consegnati nelle mani di elite illuminate". Gli italiani che, forse proprio per queste ragioni, non sono mai stati davvero indipendenti e liberi all'interno della propria nazione. Non dovremmo sorprenderci più di tanto quindi, se oggi ci scopriamo "etero diretti", poco autonomi e dunque incapaci di uscire dalle maglie di questa crisi. Non abbiamo più gli strumenti per farlo, gli strumenti sono "altrove" e per il momento non vengono utilizzati a nostro favore. A testimonianza si possono citare le parole del professor Giuseppe Guarino: « Nel campo normativo l'Unione [Europea N.d.A.] è assolutamente prevalente. La sua competenza è esclusiva in materie fondamentali. Le sue norme prevalgono su quelle degli Stati membri. La sfera dell'Unione si allarga (e corrispondentemente si restringe l'ambito normativo degli Stati) man mano che le competenze vengono concretamente esercitate. La competenza dell'Unione è esclusiva persino nel valutare se sussistono le condizioni per estendere le sue competenze. Una domanda: gli Stati che ci stanno a fare? I dati statistici ci dicono che in Italia nei nove anni dal 2000 al 2008 (per il 2008 analizzati solo i primi tre trimestri) gli atti nazionali con forza di legge sono stati 1.072; i regolamenti e le direttive comunitarie 20.976.»[21] Un dovere morale La stessa sfiducia verso la popolazione è presente anche in gran parte dell'attuale classe politica, la stessa che ha introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione e che sta per ratificare il trattato ESM, nel silenzio più assoluto della politica e degli organi d'informazione[22]. Il responsabile economia e lavoro del PD, Stefano Fassina, si è spinto ad affermare che il pareggio di bilancio è uno strumento economicamente sbagliato, ma politicamente corretto (sic!) per riacquistare la fiducia dell'Europa[23]. Per Fassina non c'è futuro al di fuori dell'unione europea, la finanza e l'economia globale schiacciano gli Stati e di fronte a Paesi come la Cina, l'India, il Brasile,… non ha più senso parlare di sovranità nazionale: è la resa completa della politica di fronte alla globalizzazione. Ma non è unicamente nel numero di abitanti che va ricercato il senso di una sovranità nazionale, come Fassina da buon materialista vorrebbe far credere, ma innanzitutto nella cultura di una popolazione. È necessario tornare ad avere fiducia nella cultura e nelle capacità degli italiani: questo più che un compito è un dovere morale della politica! C'è stato un periodo della Storia recente in cui l'Italia aveva qualcosa da dire al mondo e l'economia cresceva come in nessun'altra nazione[24]. Bisogna avere quella fiducia che è mancata a Guido Carli e a molti altri negli ultimi anni, pensando che si può ripartire, ricostruendo un tessuto sociale ed una economia solida. La storia italiana del dopoguerra dovrebbe darci l'esempio, il caso argentino potrebbe guidarci nella giusta direzione. L'economia argentina, abbandonato il cambio fisso con il dollaro e le ricette di austerità imposte per decenni dall'FMI, dal 2002 al 2011 ha visto crescere la sua economia del 94% e tutt'ora vanta una crescita del PIL annuale attorno all'8%[25]. L'Italia oggi è in bilico, tra una strada di lenta agonia e una possibilità di riscatto, faticosa ma possibile. Come oramai da anni Lyndon LaRouche sostiene: è necessario tornare alla separazione bancaria tra banche commerciali e banche d'affari, secondo il modello Glass-Steagall. Concetto questo ripreso e promosso sempre più anche da voci autorevoli del mondo politico ed accademico. È necessario pensare ad una banca nazionale per lo sviluppo, che finanzi progetti a lungo termine nelle infrastrutture e nell'industria ad alta tecnologia, sullo stile di quella creata dal primo ministro del tesoro americano Alexander Hamilton. È necessario investire in ricerca ed in solidarietà. È necessario riscoprire la vera cultura e puntare sulle nuove generazioni affinché siano loro i primi a beneficiarne. Spetta a noi decidere se siamo ancora l'Italia del Rinascimento o solo quella del neo-darwinismo sociale. Solamente se la politica italiana saprà scommettere sul futuro ed imboccare la strada verso nuova crescita e migliore sviluppo, ci potrà essere una vera svolta. Solo quando saprà credere di nuovo nella cultura e nella forza dell'Italia, riacquisterà dignità e rispetto. Non vi è altra scelta, è passaggio obbligato. Andrea Pomozzi Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà

28 maggio 2012

Il nemico politico, in questa fase, è il Partito Democratico

Ci sono sempre nella storia nemici principali e nemici secondari. Ambedue si devono combattere, ma in determinate contingenze, prima di attaccare il nemico principale, è necessario “sgomberare il campo” dai nemici secondari, liberando spazi limitati (come quelli nazionali) per aggredire poi aree geopolitiche più vaste.. Ciò non significa che la lotta contro nemici di “rango” inferiore è tanto più agevole, e meno cruda, di quella che si svilupperà contro il nemico principale, ma è chiaro che si tratta di nemici più “prossimi” a noi, con maggiori punti deboli, e perciò attaccabili con maggiori speranze di successo. Nell’Italia di oggi, paese occupato e soggetto al governo direttoriale euro-globalista affidato a Mario Monti, il nemico secondario locale, che si muove su un piano politico di sub-dominanza e supporta la dittatura globalista, è senza ombre di dubbio il Partito democratico. Dopo l’inizio di una rapida dissoluzione del cosiddetto centro-destra, con la liquefazione del PdL “abbandonato” da Berlusconi ed il crollo dei consensi registrato dalla Lega, travolta con singolare tempismo dagli scandali, resta soltanto il Pd all’interno del sistema, con tutte le forze di contorno, in rappresentanza di una sinistra neoliberista, filo-globalista, antipopolare ed “antipopulista”, che dovrebbe neutralizzare ipotetiche proteste di massa (per ora soltanto temute), imbrogliando i dominati e supportando le politiche applicate da Monti. Infatti, il puntello al momento più saldo del governo direttoriale globalista – non eletto, non richiesto, non amato – che sta saccheggiando l’Italia e uccidendo la popolazione (letteralmente, dati i continui suicidi per ragioni economiche), è rappresentato dalla B del terzetto politico ABC di sostegno all’esecutivo, e cioè da Pier Luigi Bersani. Questo piccolo funambolo della politica degenere, che “parla come mangia” (ed evidentemente mangia molto male, nutrendosi di cibo-spazzatura), ha stretto un patto di sangue con il grande capitale finanziario e con la classe neodominante che lo controlla, o meglio, si è proposto come servitore politico, ed ha accettato, in qualità di kapò di quel grande campo di concentramento sperimentale che è diventata l’Italia, di supportarne fino in fondo gli interessi. Bersani – rappresentante di una squallida camarilla politico-burocratica che si annida in parlamento, collocata a sinistra nell’emiciclo, dietro la quale non sembra che ci sia un vero e coeso blocco-sociale – ha rinnegato il paese, ha ripudiato la bandiera, ha supportato Napolitano, ha appoggiato Monti, ha contribuito a svendere gli ultimi scampoli di sovranità, di socialità, di patrimonio pubblico, permettendo che si calpesti la residua dignità nazionale, in cambio del mantenimento, per lui e i suoi, di una posizione di sub-potere e dei benefit che questa comporta. La consorteria politica della sinistra, alimentata dalla corruzione materiale ed etica, preda del cinismo che ha fatto seguito alla fine della Grande Narrazione marxista – della quale già il PCI “eurocomunista” figlio della svolta berlingueriana, prima di essere soppresso nel febbraio del 1991, cercava di sbarazzarsi definitivamente – è composta di un coacervo di forze del tutto subalterne al neocapitalismo e al neoliberalismo, a partire dall’informe alleanza fra apostati del comunismo e catto-democristiani “di sinistra,” chiamata Pd, e dai comunisti individualistici postsovietici del SEL, completamente fagocitati negli immaginari capitalistici, fino ad arrivare ai patetici resti di formazioni che ancora, impropriamente, si chiamano comuniste, come Rifondazione e il PdCI. Il tutto integrato dalla CGIL di Camusso e dalla Fiom apparentemente ribelle, che indicono scioperi “parafulmine” a protezione del sistema neoliberista, impedendo che le proteste dei lavoratori trovino uno sfogo concreto, pericoloso per il potere e per i sindacati stessi. Bersani viene dal PCI del crepuscolo, già socialdemocratico, poi eurocomunista (conferenza di Berlino del 1976), filoamericano e filo-NATO, e in qualità di “politico di professione” ha attraversato, facendo carriera e diventando ministro, tutta la concatenazione trasformistica successiva, PDS-DS-Pd, a ribasso, anzi, a precipizio, per quanto riguarda la rappresentanza politica effettiva delle classi subalterne, la tutela dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori, la stessa legalità costituzionale (se mai si è veramente affermata, almeno per qualche anno, in Italia). Bersani, burocrate trasformista e servo dell’Aristocrazia globale, prima comunista e poi liberista (autore, nel recente passato, di una “lenzuolata” di liberalizzazioni), non è un leader, non ha carisma, non esprime una linea politica chiara – infatti, il servile Pd non ha un programma, né è necessario che lo abbia, vista la sua funzione subalterna e di “ruota di scorta” del potere neocapitalista. Bersani non è neppure un oratore apprezzabile, per quel che può contare, esprimendosi confusamente, non disdegnando discorsi ed espressioni da “bar sport”, pur di non dare l’impressione, davanti alle telecamere e ai microfoni, di usare il “politichese”. La caduta del muro di Berlino, del 1989, non è stato soltanto un evento di grande portata storica, che ha aperto la strada al neoliberismo, alla globalizzazione e alla successiva caduta del “muro di Pechino”, con lo sdoganamento di un Golem neocapitalistico, cioè della potenza commerciale Cinese. Un simile evento, dalle conseguenze socioeconomiche e geopolitiche epocali, qui, in Italia, in quella che oggi sta diventando periferia del sistema globale, ha rappresentato la fortuna per individui come Bersani (e D’Alema, e Veltroni, ed altri ancora), consentendogli finalmente di liquidare anche il ricordo del PCI, già edulcorato e interno al sistema della cosiddetta prima repubblica (arco costituzionale, unità nazionale, eurocomunismo), per riciclarsi e creare sulle sue rovine nuovi cartelli elettorali, di sostanza liberaldemocratica e liberista, adatti a servire la nuova classe dominante postborghese, razza padrona del ventunesimo secolo. Consideriamo che se tutto fosse dipeso dal centro-destra, Lega compresa, anzi, soprattutto da quella Lega, oggi in rapido declino, che sapeva che con la fine del Cav. per lei sarebbe finita la “cuccagna”, Berlusconi sarebbe ancora lì dove si trovava fino al 16 novembre 2011, e per quanto sbilanciate verso alcuni gruppi sociali, per quanto raffazzonate ed elettoralistiche, le politiche attuate da un esecutivo berlusconiano non avrebbero potuto portare, in pochi mesi, alla drammatica situazione sociale che viviamo attualmente. L’accelerazione delle politiche di de-emancipazione e il diffuso impoverimento si sono manifestati nel dopo Berlusconi, ed ora, a distanza di alcuni mesi dall’insediamento di Monti, cominciamo a sentirne in pieno gli effetti. Queste ultime elezioni amministrative hanno dato inizio alla dissoluzione del PdL, hanno segnato il declino irreversibile della lega, ma hanno “graziato”, o colpito in misura minore, il Pd. Per tale motivo Bersani ha potuto cantare vittoria “senza se e senza ma”, mentre l’esecutivo Monti-Napolitano da lui appoggiato e difeso a spada tratta, attraverso Fornero prepara il terreno per togliere il sussidio agli invalidi proprietari della loro casa, privandoli di assistenza e condannandoli così a morire di fame, e si lava le mani dei danni subiti dalle popolazioni dell’Emilia colpite dal terremoto, perché in seguito alla riforma della protezione civile, lo stato non ha più il dovere di ricostruire gli immobili distrutti o lesionati, e ci si deve arrangiare con assicurazioni private. Ma a Bersani tutto ciò non importa, finge di non vedere o borbotta qualche assurdità, e non importa all’infame Pd, che esulta per la “vittoria” nei ballottaggi alle amministrative – elezioni concesse semplicemente perché non incidono sulle politiche strategiche nazionali – incurante delle astensioni e di un’affermazione della cosiddetta antipolitica (M5S a Parma con Pizzarotti sindaco), mentre i suoi giornali, come l’Unità, si occupano delle solite cose che interessano la politica minore, a partire dalla riforma elettorale. Si procede truffaldinamente su due binari. Sul primo binario, quello più importante, il direttorio globalista assegnato a Monti, voluto ed appoggiato fino alle estreme conseguenze dalla sinistra spergiura e truffatrice di Bersani, continua con l’applicazione del programma contenuto nella lettera del 5 agosto 2012, di Draghi e Trichet, all’allora esecutivo Berlusconi. Sul secondo binario, si celebra il rito elettorale in “tono minore”, limitandolo ad una tornata amministrativa parziale, per legittimare i cartelli elettorali che sostengono Monti (a partire dal Pd), per eliminare gli indisciplinati (la Lega travolta dagli scandali esplosi al momento giusto) e per ricomporre in forma diversa il centro-destra, a partire dai pezzi di un PdL da sciogliere e dai rimasugli di un centro inesistente. Il primo binario è una strada obbligata, tracciata dalle Aristocrazie finanziarie globaliste, e su questo viaggia il treno “blindato” di Monti-Napolitano, il secondo binario, invece, può riservare qualche limitata sorpresa, e serve a distrarre dalle grandi questioni politiche e sociali. Così, si è avuta l’affermazione del M5S in qualche comune e una forte “diserzione” dell’elettorato nei ballottaggi (oltre il 48% non ha partecipato), riguardanti, se non erro, 4,5 milioni di “aventi diritto”e non certo l’intero corpo elettorale. Ciò ha dato a Bersani, che oggi rappresenta il puntello più saldo dell’esecutivo Monti, l’occasione per cantare vittoria – con il conforto di Monti – alla Lega lo “sprone” per rinnovarsi (e per cessare una sia pur blanda opposizione in parlamento), e al cosiddetto centro-destra, ormai orfano di Berlusconi, la possibilità di ricomporsi in altra forma, magari mescolando Alfano e Casini, ma continuando ad appoggiare il direttorio globalista al potere. E’ chiaro che da ora in poi, il nemico politico nazionale, che indubbiamente esiste ma è secondario – quello principale è rappresentato dall’Aristocrazia globale esterna – si identifica quasi per intero in quel infame centro-sinistra che sostiene Monti, supporta il genocidio sociale in atto, e va da Bersani a Vendola, dal Pd fino alla CGIL e alla Fiom “normalizzata”. Queste forze ascare, corrispondenti ad altrettante strutture politiche e sindacali di sub-potere, lavorano incessantemente contro le masse pauperizzate e i ceti medi declassati, quindi partecipano, sia pur vigliaccamente, nascostamente, senza sporcarsi troppo le mani, alla demolizione dello stato sociale e dei diritti dei lavoratori, al ridimensionamento della struttura produttiva nazionale, al trasferimento di risorse collettive nelle tasche dei “grandi prenditori” finanziari. Nessuna di queste forze della sinistra degenerata e serva fa eccezione. Niente di loro può essere salvato, nessuno dei “sinistri” capi-kapò può essere assolto, a partire proprio da Pier Luigi Bersani. di Eugenio Orso