04 giugno 2012
L'Italia nelle mani del Bilderberg e soci
Siamo stretti alla gola, immobilizzati, ridotti alla paralisi davanti a un suicidio al giorno, perché ci troviamo nelle mani di banchieri che non sono soltanto banchieri ma anche membri della Commissione Trilaterale, del Club Bilderberg, dell’Aspen Institute, associazioni massoniche che gestiscono in Europa il potere ai massimi livelli e che non lavorano per noi ma per realizzare il Governo mondiale. L’Italia ne dipende in assoluto perché sono sempre appartenuti a qualcuna di queste associazioni i massimi esponenti dei partiti di sinistra.
Nel suo prezioso “angolo” del “Giornale” Paolo Granzotto elenca fra i nomi dei possibili candidati alla presidenza della Repubblica quelli di Giuliano Amato, Romano Prodi, Mario Monti, tutti importantissimi membri del Bilderberg, dell’Aspen Institut, della Trilateral Commission e operatori del governo mondiale. È il motivo principale per il quale bisognerebbe realizzare la proposta del Pdl di far eleggere il presidente della repubblica dai cittadini, unico sistema per sfuggire al nostro eterno destino di avere un presidente scelto da queste associazioni. Sarebbe necessario, però, lasciare intatta la forma costituzionale dei suoi poteri, visto che tutto l’assetto politico italiano andrebbe cambiato e non è possibile farlo in breve tempo, mentre si dovrebbe affiancare alla proposta di elezione diretta del presidente della repubblica un’iniziativa d’azione concreta per affrontare i problemi urgentissimi della sopravvivenza economica.
Nessun partito, oggi, può permettersi di non parlare della realtà fallimentare in cui ci troviamo a vivere, praticamente “alla giornata”, guardando gli indici di borsa o lo spread, aspettando le elezioni in Grecia o il fallimento delle banche spagnole, con un governo di emergenza che ha trasformato l’emergenza in lungo, luttuoso stato di normalità, inventando ogni giorno una tassa e inducendo i governati alla disperazione. Non si può sopportare più neanche un suicidio senza addebitarlo alla volontà di distruggere la nazione italiana (o alla incapacità di governarla) e senza pretendere dai politici ancora in carica di scuotersi dalla comoda inerzia nella quale si sono adagiati. Il problema è la moneta? Ebbene il Pdl come gli altri partiti dicano esplicitamente cosa vogliono fare della moneta perché è di questo che ha parlato Grillo ed è per questo che ha realizzato il suo movimento attraverso il web. Nel web si discute appassionatamente ormai da anni dei problemi della sovranità monetaria, di come i politici abbiano ceduto ai banchieri il diritto di battere moneta, così come basta un clic per trovare i nomi di tutte le associazioni che lavorano alla realizzazione del governo mondiale e i nomi dei loro membri, inclusi quelli italiani. Nel web sono presenti e a disposizione dei lettori centinaia di ipotesi e di simulazioni eseguite da famosi economisti sul futuro dell’euro, vantaggi e svantaggi del rimanere nella moneta unica.
Non conviene a nessuno, ma soprattutto non conviene ai politici mantenere il silenzio sulle due direzioni antitetiche che ormai si contendono la politica sia a livello dei singoli stati che a livello mondiale: quella che vuole conservare le nazioni e l’indipendenza dei popoli e quella che vuole eliminare il più possibile le differenze fra i popoli e fra gli stati per giungere alla totale uguaglianza e a un governo globale. La crisi dell’Europa obbliga tutti a prendere posizione pro o contro la globalizzazione perché l’unificazione europea non è un fine in se stessa ma il passo determinante verso il governo mondiale. La sinistra sta dove stava, ma sembra vincente perché è stata sempre mondialista, mentre quei partiti di centro destra che, contrariamente a quanto è stato fatto in Francia e in Germania, non hanno detto con chiarezza quali fossero le loro intenzioni, sono diventati all’improvviso debolissimi come è successo in Italia. Se non vogliono morire debbono uscire allo scoperto e decidere in quale direzione andare.
di Ida Magli
03 giugno 2012
La guerra dell’informazione nell’ interpretazione di Jacques Baud
La guerra dell’informazione nell’ interpretazione di Jacques Baud
Constatare che la società occidentale dipenda dall’informazione è certamente un truismo logico. La conoscenza degli avvenimenti ma anche la capacità di apportare rapidamente delle risposte pertinenti sono diventate parte integrante della società attuale. Ebbene, in materia di guerra dell’informazione, si è messo eccessivamente l’accento sulla dipendenza crescente dell’Occidente nei confronti della tecnologia dell’informazione; tuttavia le vere minacce non sono solo nel settore tecnologico ma sulla dimensione dell’influenza dell’informazione. Pensiamo al fatto che il terrorismo può essere visto anche come una maniera di comunicare. Ad ogni modo, a differenza delle armi tradizionali, quelle della guerra dell’informazione sono utilizzabili in tutti i tempi sia per servire interessi economici sia per neutralizzare la concorrenza internazionale. Inoltre, la loro messa in opera risulta estremamente agevole e queste armi possono esser utilizzate o da organizzazioni o da individui. La dimensione della guerra dell’informazione comprende tre aspetti:
1. La guerra informatica o guerra numerica relativa alla distruzione delle infrastrutture informatiche e che mira a paralizzare gli schemi difensivi dell’avversario;
2. La guerra del sapere che ha come obiettivo l’acquisizione, la circolazione e l’integrazione delle informazioni necessarie a mantenere una conoscenza superiore rispetto all’avversario per potersene poi avvantaggiare in ambito operativo;
3. La guerra d’influenza che è volta a manipolare le opinioni religiose e politiche al fine di agevolare l’azione contro la parte avversaria.
Anche se questi tre aspetti sono autonomi sono tuttavia strettamente interdipendenti. Non bisogna dimenticare che nella lotta al terrorismo, l’Occidente ha concentrato con eccessiva frequenza la sua attenzione solo sulla dimensione informatica; al contrario, la reale vulnerabilità delle società democratiche si situa nel contesto dell’influenza che costituisce, ribadiamo, il campo d’azione del terrorismo. Ebbene, l’intelligence deve intervenire all’interno della guerra dell’informazione – come d’altra parte all’interno delle altre forma di conflitto – come elemento per prendere decisioni e non come arma. Non c’è dubbio, a tale proposito, che l’intelligence avendo come suo obiettivo la conoscenza dell’avversario, può servirsene a livello di guerra informativa per conoscere i punti deboli e per attuare una campagna di influenza.
Volgiamo ora la nostra attenzione alla guerra del sapere che comprende tutti i metodi e i processi per acquisire, esplorare e diffondere le informazioni necessarie in ambito operativo. L’acquisizione dell’informazione in tutte le sue forme, anche quella informatica, fa parte delle guerre e implica non soltanto di poter avere notizie maggiori rispetto all’avversario ma anche di avere accesso più rapidamente alle fonti informative al fine di poter agire in modo più efficace. Di conseguenza la guerra del sapere comprende misure di camuffamento e di protezione dell’informazione – le cosiddette misure passive – ma comprende anche gli strumenti destinati a ingannare l’avversario sulle nostre intenzioni operative reali (le cosiddette misure attive). Inoltre, la guerra del sapere è un elemento che si trova anche all’interno dei meccanismi della gestione industriale poiché essa integra la nozione di intelligence economica ma anche i meccanismi di gestione della conoscenza, i processi di diffusione del sapere con i meccanismi di protezione.
Per quanto riguarda la guerra di influenza, essa non rappresenta solamente una minaccia assai concreta ma sta alla base di numerosi conflitti asimmetrici. Infatti questa riguarda, in primo luogo, l’uso dei media e l’utilizzazione dei messaggi destinati a influenzare o manipolare l’opinione pubblica (o comunque le decisioni politiche). La società democratica basata sulla circolazione fluida dell’informazione non accetta – almeno apertamente – una pratica attiva di influenza; nonostante ciò le nostre società democratiche sono molto vulnerabili alla manipolazione informativa. Naturalmente questa manipolazione non viene fatta solo dagli Stati ma anche da gruppi di pressione privati e può rivestire un ruolo considerevole nell’influenzare l’opinione pubblica. In secondo luogo, le azioni di influenza devono necessariamente mirare al conseguimento di obiettivi strategici, devono essere conosciute congiuntamente sia nell’ambito civile che in quello militare, devono essere controllate per conseguire obiettivi psicologici specifici, essere fondate su una stretta collaborazione tra organismi di intelligence civili e militari; quanto alle azioni di influenza, queste rispondono ad una finalità fondamentale e cioè a quella di restaurare o mantenere la fiducia della popolazione civile all’interno dell’autorità o indebolire la volontà combattiva delle forze avversarie. Allo scopo di conseguire in modo efficace questi obiettivi, le azioni d’influenza devono essere condotte come se fossero operazioni militari e quindi sulla base di informative obiettive non faziose. Naturalmente questi obiettivi possono essere condotti attraverso operazioni discrete che comprendano la propaganda e la disinformazione. D’altra parte, valorizzare la propria potenza – denigrando o compromettendo quella dell’avversario attraverso la disinformazione, ha sempre fatto parte dell’arte della guerra. In una società aperta e democratica la manipolazione dell’opinione pubblica resta certamente possibile ma si deve attuare attraverso nuove forme. Nel contesto della lotta al terrorismo, l’informazione rimane un elemento determinante e nella guerra dell’informazione deve articolarsi secondo questi tre obiettivi:
a)vi deve essere una matrice informativa a monte della presa di decisione operativa che suppone una capacità di generare la conoscenza del campo di battaglia e di integrarla insieme alle informazioni necessarie per gestire e condurre una guerra (concerne sostanzialmente la capacità di anticipare il nemico);
b)la matrice di informazione che si trova a valle della decisione che è volta ad acquisire e mantenere i mezzi tecnici e i processi di comando e di condotta che permettono di seguire una determinata missione;
c)la matrice della comunicazione tra lo Stato e l’opinione pubblica relativa alla gestione e alla percezione del conflitto.
di Giuseppe Gagliano
02 giugno 2012
Meglio aumentare la benzina
Più passano i mesi vissuti all'insegna del governo golpista del duo Monti/ Napolitano, più quella che inizialmente era solamente una sensazione a pelle si trasforma in una certezza granitica. Per affossare definitivamente l'Italia, eliminando lo stato sociale, svendendone il residuo patrimonio e creando un regime di polizia fiscale, dove ogni problema si "risolve" attraverso l'introduzione di una nuova tassa, non era certo necessario scomodare i banchieri di Goldman Sachs e tanti "cervelli fini" che hanno studiato alla Bocconi. Sarebbe stato sufficiente un gruppo di detenuti prelevato dalle patrie galere, che almeno avrebbero praticato il ladrocinio con quel briciolo di umanità sconosciuta ai banco robot della banda Monti.
La gestione da parte del governo dei rovinosi terremoti che stanno mettendo in ginocchio l'Emilia Romagna ed hanno già provocato una trentina di vittime e almeno 14mila sollati, è stata fin da subito grottesca, vissuta all'insegna di un mix fra il più totale disinteresse e la ferma volontà di far si che la catastrofe non incidesse minimamente sulle casse dello stato.
Solamente poche ore prima che le scosse iniziassero a martoriare i territori oggetto della devastazione, il governo golpista, dimostrando sorprendenti doti di lungimiranza, già si era preoccupato di mettere le proprie casse in sicurezza, varando una legge che sgravava lo stato dall'obbligo della ricostruzione nel caso di calamità naturali, naturalmente senza che i media mainstream sentissero la necessità di rendere pubblica la cosa, documentata solamente all'interno di qualche trafiletto sms dell'Ansa.....
Solamente dopo avere proclamato lo stato di emergenza, a tre giorni dalle prime scosse, Mario Monti assai svogliatamente ha adempiuto al suo dovere di visitare le zone terremotate, scortato dal bodyguard Cancellieri. Una toccata e fuga estremamente veloce, qualche frasetta di circostanza mormorata con il classico tono da macchinetta del casello autostradale, la promessa di devolvere qualche decina di milioni di euro, sufficienti al massimo per gestire alla meno peggio le prime settimane dell'emergenza, e poi via verso questioni più pregnanti e più degne di cotanto ingegno.
A soli 9 giorni di distanza dal primo sisma, quando ancora le popolazioni dei territori devastati vivevano sotto shock il proprio dramma, ieri mattina la terra veniva squassata da un nuovo terremoto, se possibile ancora più intenso del precedente. Altri morti (finora ne sono stati conteggiati 17), altre case e capannoni distrutti, molte altre migliaia di cittadini ritrovatisi senza una casa e senza un lavoro, altro panico ed altro dolore.
L'anomalia di quanto sta accadendo in Emilia Romagna è facilmente percettibile anche da chiunque non addetto ai lavori guardi con attenzione all'evolversi degli eventi. Un terremoto di queste proporzioni che colpisca un territorio ritenuto a basso rischio sismico è già un accadimento assai inconsueto, ma la possibilità che lo stesso territorio subisca a distanza di una settimana un nuovo sisma di elevata intensità, legato ad una faglia differente dalla prima, rasenta davvero la fantascienza. Se a queste "coincidenze" davvero originali aggiungiamo il fatto che i territori oggetto del disastro "sembra siano stati oggetto di attività di fracking e trivellazioni "misteriose", spesso nascoste dai media sotto un candido lenzuolo e che alcuni fenomeni riscontrati, fontanazzi, liquefazione a livello del terreno, innalzamento dello stesso e apertura di lunghe e profonde fenditure, sicuramente risulterà chiaro che esiste materiale in abbondanza per procedere ad un'analisi approfondita e professionale delle troppe anomalie riscontrate.
Ciò nonostante tanto il governo quanto i tecnici al suo servizio hanno preferito glissare sull'argomento, appena sfiorato dai media mainstrem, spesso al solo scopo di metterlo in ridicolo etichetandolo come "teorie complottiste", fingendo si tratti di un normale terremoto, una calamità naturale come quelle del passato e nulla più.
Il problema è dunque esclusivamente di ordine economico, perché se è vero che lo stato non sarà più tenuto a ricostruire le case distrutte dalle catastrofi naturali, è altrettanto vero che un aiuto nell'immediato per far sopravvivere gli sfollati, magari di malavoglia ma dovrà continuare a darlo.
Una cospicua parte dell'opinione pubblica ha fatto pressing su Giorgio Napolitano, perché procedesse a sospendere la silata militare del 2 giugno, devolvendo la spesa necessaria per mobilitare aerei, carri armati e diavolerie assortite, alle popolazioni terremotate. Ma l'imbolsito presidente (lui sa di cosa) i carri armati li ama in maniera viscerale fin dai tempi di Budapest ed ha risposto di NO.
Le macchine da guerra sfileranno lo stesso, ma lo faranno in onore dei terremotati che certo non mancheranno di apprezzare il nobile gesto, magari su qualche schermo piazzato nelle tendopoli.
A procurarsi il denaro per l'emergenza ci penserà l'usuraio di stato e siccome le visite della finanza nei bar assiepati di terremotati, non hanno finora portato grandi introiti, basterà introdurre una nuova accisa sulla benzina. Due centesimi al litro, cosa volete che sia, ed il gioco è fatto. Ecco perchè è importante avere al governo banchieri e tecnici, anche se nessuno li ha votati. Loro sanno sempre cosa fare, magari non si tratta di soluzioni originali ma raggiungono sempre lo scopo, senza privare gli italiani neppure della sfilata militare, delle scie colorate e dei mezzi da guerra comprati di recente, spendendendo decine di miliardi di euro per ordine di Washington.
di Marco Cedolin
Iscriviti a:
Commenti (Atom)
04 giugno 2012
L'Italia nelle mani del Bilderberg e soci
Siamo stretti alla gola, immobilizzati, ridotti alla paralisi davanti a un suicidio al giorno, perché ci troviamo nelle mani di banchieri che non sono soltanto banchieri ma anche membri della Commissione Trilaterale, del Club Bilderberg, dell’Aspen Institute, associazioni massoniche che gestiscono in Europa il potere ai massimi livelli e che non lavorano per noi ma per realizzare il Governo mondiale. L’Italia ne dipende in assoluto perché sono sempre appartenuti a qualcuna di queste associazioni i massimi esponenti dei partiti di sinistra.
Nel suo prezioso “angolo” del “Giornale” Paolo Granzotto elenca fra i nomi dei possibili candidati alla presidenza della Repubblica quelli di Giuliano Amato, Romano Prodi, Mario Monti, tutti importantissimi membri del Bilderberg, dell’Aspen Institut, della Trilateral Commission e operatori del governo mondiale. È il motivo principale per il quale bisognerebbe realizzare la proposta del Pdl di far eleggere il presidente della repubblica dai cittadini, unico sistema per sfuggire al nostro eterno destino di avere un presidente scelto da queste associazioni. Sarebbe necessario, però, lasciare intatta la forma costituzionale dei suoi poteri, visto che tutto l’assetto politico italiano andrebbe cambiato e non è possibile farlo in breve tempo, mentre si dovrebbe affiancare alla proposta di elezione diretta del presidente della repubblica un’iniziativa d’azione concreta per affrontare i problemi urgentissimi della sopravvivenza economica.
Nessun partito, oggi, può permettersi di non parlare della realtà fallimentare in cui ci troviamo a vivere, praticamente “alla giornata”, guardando gli indici di borsa o lo spread, aspettando le elezioni in Grecia o il fallimento delle banche spagnole, con un governo di emergenza che ha trasformato l’emergenza in lungo, luttuoso stato di normalità, inventando ogni giorno una tassa e inducendo i governati alla disperazione. Non si può sopportare più neanche un suicidio senza addebitarlo alla volontà di distruggere la nazione italiana (o alla incapacità di governarla) e senza pretendere dai politici ancora in carica di scuotersi dalla comoda inerzia nella quale si sono adagiati. Il problema è la moneta? Ebbene il Pdl come gli altri partiti dicano esplicitamente cosa vogliono fare della moneta perché è di questo che ha parlato Grillo ed è per questo che ha realizzato il suo movimento attraverso il web. Nel web si discute appassionatamente ormai da anni dei problemi della sovranità monetaria, di come i politici abbiano ceduto ai banchieri il diritto di battere moneta, così come basta un clic per trovare i nomi di tutte le associazioni che lavorano alla realizzazione del governo mondiale e i nomi dei loro membri, inclusi quelli italiani. Nel web sono presenti e a disposizione dei lettori centinaia di ipotesi e di simulazioni eseguite da famosi economisti sul futuro dell’euro, vantaggi e svantaggi del rimanere nella moneta unica.
Non conviene a nessuno, ma soprattutto non conviene ai politici mantenere il silenzio sulle due direzioni antitetiche che ormai si contendono la politica sia a livello dei singoli stati che a livello mondiale: quella che vuole conservare le nazioni e l’indipendenza dei popoli e quella che vuole eliminare il più possibile le differenze fra i popoli e fra gli stati per giungere alla totale uguaglianza e a un governo globale. La crisi dell’Europa obbliga tutti a prendere posizione pro o contro la globalizzazione perché l’unificazione europea non è un fine in se stessa ma il passo determinante verso il governo mondiale. La sinistra sta dove stava, ma sembra vincente perché è stata sempre mondialista, mentre quei partiti di centro destra che, contrariamente a quanto è stato fatto in Francia e in Germania, non hanno detto con chiarezza quali fossero le loro intenzioni, sono diventati all’improvviso debolissimi come è successo in Italia. Se non vogliono morire debbono uscire allo scoperto e decidere in quale direzione andare.
di Ida Magli
03 giugno 2012
La guerra dell’informazione nell’ interpretazione di Jacques Baud
La guerra dell’informazione nell’ interpretazione di Jacques Baud
Constatare che la società occidentale dipenda dall’informazione è certamente un truismo logico. La conoscenza degli avvenimenti ma anche la capacità di apportare rapidamente delle risposte pertinenti sono diventate parte integrante della società attuale. Ebbene, in materia di guerra dell’informazione, si è messo eccessivamente l’accento sulla dipendenza crescente dell’Occidente nei confronti della tecnologia dell’informazione; tuttavia le vere minacce non sono solo nel settore tecnologico ma sulla dimensione dell’influenza dell’informazione. Pensiamo al fatto che il terrorismo può essere visto anche come una maniera di comunicare. Ad ogni modo, a differenza delle armi tradizionali, quelle della guerra dell’informazione sono utilizzabili in tutti i tempi sia per servire interessi economici sia per neutralizzare la concorrenza internazionale. Inoltre, la loro messa in opera risulta estremamente agevole e queste armi possono esser utilizzate o da organizzazioni o da individui. La dimensione della guerra dell’informazione comprende tre aspetti:
1. La guerra informatica o guerra numerica relativa alla distruzione delle infrastrutture informatiche e che mira a paralizzare gli schemi difensivi dell’avversario;
2. La guerra del sapere che ha come obiettivo l’acquisizione, la circolazione e l’integrazione delle informazioni necessarie a mantenere una conoscenza superiore rispetto all’avversario per potersene poi avvantaggiare in ambito operativo;
3. La guerra d’influenza che è volta a manipolare le opinioni religiose e politiche al fine di agevolare l’azione contro la parte avversaria.
Anche se questi tre aspetti sono autonomi sono tuttavia strettamente interdipendenti. Non bisogna dimenticare che nella lotta al terrorismo, l’Occidente ha concentrato con eccessiva frequenza la sua attenzione solo sulla dimensione informatica; al contrario, la reale vulnerabilità delle società democratiche si situa nel contesto dell’influenza che costituisce, ribadiamo, il campo d’azione del terrorismo. Ebbene, l’intelligence deve intervenire all’interno della guerra dell’informazione – come d’altra parte all’interno delle altre forma di conflitto – come elemento per prendere decisioni e non come arma. Non c’è dubbio, a tale proposito, che l’intelligence avendo come suo obiettivo la conoscenza dell’avversario, può servirsene a livello di guerra informativa per conoscere i punti deboli e per attuare una campagna di influenza.
Volgiamo ora la nostra attenzione alla guerra del sapere che comprende tutti i metodi e i processi per acquisire, esplorare e diffondere le informazioni necessarie in ambito operativo. L’acquisizione dell’informazione in tutte le sue forme, anche quella informatica, fa parte delle guerre e implica non soltanto di poter avere notizie maggiori rispetto all’avversario ma anche di avere accesso più rapidamente alle fonti informative al fine di poter agire in modo più efficace. Di conseguenza la guerra del sapere comprende misure di camuffamento e di protezione dell’informazione – le cosiddette misure passive – ma comprende anche gli strumenti destinati a ingannare l’avversario sulle nostre intenzioni operative reali (le cosiddette misure attive). Inoltre, la guerra del sapere è un elemento che si trova anche all’interno dei meccanismi della gestione industriale poiché essa integra la nozione di intelligence economica ma anche i meccanismi di gestione della conoscenza, i processi di diffusione del sapere con i meccanismi di protezione.
Per quanto riguarda la guerra di influenza, essa non rappresenta solamente una minaccia assai concreta ma sta alla base di numerosi conflitti asimmetrici. Infatti questa riguarda, in primo luogo, l’uso dei media e l’utilizzazione dei messaggi destinati a influenzare o manipolare l’opinione pubblica (o comunque le decisioni politiche). La società democratica basata sulla circolazione fluida dell’informazione non accetta – almeno apertamente – una pratica attiva di influenza; nonostante ciò le nostre società democratiche sono molto vulnerabili alla manipolazione informativa. Naturalmente questa manipolazione non viene fatta solo dagli Stati ma anche da gruppi di pressione privati e può rivestire un ruolo considerevole nell’influenzare l’opinione pubblica. In secondo luogo, le azioni di influenza devono necessariamente mirare al conseguimento di obiettivi strategici, devono essere conosciute congiuntamente sia nell’ambito civile che in quello militare, devono essere controllate per conseguire obiettivi psicologici specifici, essere fondate su una stretta collaborazione tra organismi di intelligence civili e militari; quanto alle azioni di influenza, queste rispondono ad una finalità fondamentale e cioè a quella di restaurare o mantenere la fiducia della popolazione civile all’interno dell’autorità o indebolire la volontà combattiva delle forze avversarie. Allo scopo di conseguire in modo efficace questi obiettivi, le azioni d’influenza devono essere condotte come se fossero operazioni militari e quindi sulla base di informative obiettive non faziose. Naturalmente questi obiettivi possono essere condotti attraverso operazioni discrete che comprendano la propaganda e la disinformazione. D’altra parte, valorizzare la propria potenza – denigrando o compromettendo quella dell’avversario attraverso la disinformazione, ha sempre fatto parte dell’arte della guerra. In una società aperta e democratica la manipolazione dell’opinione pubblica resta certamente possibile ma si deve attuare attraverso nuove forme. Nel contesto della lotta al terrorismo, l’informazione rimane un elemento determinante e nella guerra dell’informazione deve articolarsi secondo questi tre obiettivi:
a)vi deve essere una matrice informativa a monte della presa di decisione operativa che suppone una capacità di generare la conoscenza del campo di battaglia e di integrarla insieme alle informazioni necessarie per gestire e condurre una guerra (concerne sostanzialmente la capacità di anticipare il nemico);
b)la matrice di informazione che si trova a valle della decisione che è volta ad acquisire e mantenere i mezzi tecnici e i processi di comando e di condotta che permettono di seguire una determinata missione;
c)la matrice della comunicazione tra lo Stato e l’opinione pubblica relativa alla gestione e alla percezione del conflitto.
di Giuseppe Gagliano
02 giugno 2012
Meglio aumentare la benzina
Più passano i mesi vissuti all'insegna del governo golpista del duo Monti/ Napolitano, più quella che inizialmente era solamente una sensazione a pelle si trasforma in una certezza granitica. Per affossare definitivamente l'Italia, eliminando lo stato sociale, svendendone il residuo patrimonio e creando un regime di polizia fiscale, dove ogni problema si "risolve" attraverso l'introduzione di una nuova tassa, non era certo necessario scomodare i banchieri di Goldman Sachs e tanti "cervelli fini" che hanno studiato alla Bocconi. Sarebbe stato sufficiente un gruppo di detenuti prelevato dalle patrie galere, che almeno avrebbero praticato il ladrocinio con quel briciolo di umanità sconosciuta ai banco robot della banda Monti.
La gestione da parte del governo dei rovinosi terremoti che stanno mettendo in ginocchio l'Emilia Romagna ed hanno già provocato una trentina di vittime e almeno 14mila sollati, è stata fin da subito grottesca, vissuta all'insegna di un mix fra il più totale disinteresse e la ferma volontà di far si che la catastrofe non incidesse minimamente sulle casse dello stato.
Solamente poche ore prima che le scosse iniziassero a martoriare i territori oggetto della devastazione, il governo golpista, dimostrando sorprendenti doti di lungimiranza, già si era preoccupato di mettere le proprie casse in sicurezza, varando una legge che sgravava lo stato dall'obbligo della ricostruzione nel caso di calamità naturali, naturalmente senza che i media mainstream sentissero la necessità di rendere pubblica la cosa, documentata solamente all'interno di qualche trafiletto sms dell'Ansa.....
Solamente dopo avere proclamato lo stato di emergenza, a tre giorni dalle prime scosse, Mario Monti assai svogliatamente ha adempiuto al suo dovere di visitare le zone terremotate, scortato dal bodyguard Cancellieri. Una toccata e fuga estremamente veloce, qualche frasetta di circostanza mormorata con il classico tono da macchinetta del casello autostradale, la promessa di devolvere qualche decina di milioni di euro, sufficienti al massimo per gestire alla meno peggio le prime settimane dell'emergenza, e poi via verso questioni più pregnanti e più degne di cotanto ingegno.
A soli 9 giorni di distanza dal primo sisma, quando ancora le popolazioni dei territori devastati vivevano sotto shock il proprio dramma, ieri mattina la terra veniva squassata da un nuovo terremoto, se possibile ancora più intenso del precedente. Altri morti (finora ne sono stati conteggiati 17), altre case e capannoni distrutti, molte altre migliaia di cittadini ritrovatisi senza una casa e senza un lavoro, altro panico ed altro dolore.
L'anomalia di quanto sta accadendo in Emilia Romagna è facilmente percettibile anche da chiunque non addetto ai lavori guardi con attenzione all'evolversi degli eventi. Un terremoto di queste proporzioni che colpisca un territorio ritenuto a basso rischio sismico è già un accadimento assai inconsueto, ma la possibilità che lo stesso territorio subisca a distanza di una settimana un nuovo sisma di elevata intensità, legato ad una faglia differente dalla prima, rasenta davvero la fantascienza. Se a queste "coincidenze" davvero originali aggiungiamo il fatto che i territori oggetto del disastro "sembra siano stati oggetto di attività di fracking e trivellazioni "misteriose", spesso nascoste dai media sotto un candido lenzuolo e che alcuni fenomeni riscontrati, fontanazzi, liquefazione a livello del terreno, innalzamento dello stesso e apertura di lunghe e profonde fenditure, sicuramente risulterà chiaro che esiste materiale in abbondanza per procedere ad un'analisi approfondita e professionale delle troppe anomalie riscontrate.
Ciò nonostante tanto il governo quanto i tecnici al suo servizio hanno preferito glissare sull'argomento, appena sfiorato dai media mainstrem, spesso al solo scopo di metterlo in ridicolo etichetandolo come "teorie complottiste", fingendo si tratti di un normale terremoto, una calamità naturale come quelle del passato e nulla più.
Il problema è dunque esclusivamente di ordine economico, perché se è vero che lo stato non sarà più tenuto a ricostruire le case distrutte dalle catastrofi naturali, è altrettanto vero che un aiuto nell'immediato per far sopravvivere gli sfollati, magari di malavoglia ma dovrà continuare a darlo.
Una cospicua parte dell'opinione pubblica ha fatto pressing su Giorgio Napolitano, perché procedesse a sospendere la silata militare del 2 giugno, devolvendo la spesa necessaria per mobilitare aerei, carri armati e diavolerie assortite, alle popolazioni terremotate. Ma l'imbolsito presidente (lui sa di cosa) i carri armati li ama in maniera viscerale fin dai tempi di Budapest ed ha risposto di NO.
Le macchine da guerra sfileranno lo stesso, ma lo faranno in onore dei terremotati che certo non mancheranno di apprezzare il nobile gesto, magari su qualche schermo piazzato nelle tendopoli.
A procurarsi il denaro per l'emergenza ci penserà l'usuraio di stato e siccome le visite della finanza nei bar assiepati di terremotati, non hanno finora portato grandi introiti, basterà introdurre una nuova accisa sulla benzina. Due centesimi al litro, cosa volete che sia, ed il gioco è fatto. Ecco perchè è importante avere al governo banchieri e tecnici, anche se nessuno li ha votati. Loro sanno sempre cosa fare, magari non si tratta di soluzioni originali ma raggiungono sempre lo scopo, senza privare gli italiani neppure della sfilata militare, delle scie colorate e dei mezzi da guerra comprati di recente, spendendendo decine di miliardi di euro per ordine di Washington.
di Marco Cedolin
Iscriviti a:
Commenti (Atom)