13 giugno 2012

Ecco chi sono i responsabili del debito e della crisi

Fate attenzione a ciò che leggete in questo articolo, perché volutamente ho scritto cose che sono vere e cose che non lo sono, o lo sono solo apparentemente. Una mattina radiosa del gennaio 1998 mi sono svegliato di buon umore e mi son detto: “Adesso basta! Ho già lavorato abbastanza nella mia vita.” Così sono andato in ufficio ho chiesto un colloquio col capo del personale e gli ho detto: “Mio caro signore, io ho cominciato a lavorare negli anni ’60, adesso, sono passati più di 35 anni e sono stanco, direi che possono bastare, no? Quindi se non le dispiace tolgo il disturbo e mi vado a godere un po’ di riposo dove mi pare. La prego di formalizzare le mie immediate dimissioni e la mia iscrizione tra i pensionati a carico dello Stato”. Il direttore, pur sorpreso per la mia improvvisa decisione, non ha potuto che complimentarsi con me per la mia felice scelta e mi ha fatto tanti auguri per un sereno e prospero futuro. Naturalmente quell’anno non sono stato l’unico ad avere quella brillante idea, decine di migliaia di altri lavoratori, stufi di lavorare, mi hanno copiato, e si sono messi a carico dello Stato. Nello stesso anno mio nipote decideva di sposarsi e voleva comprar casa, ma non aveva soldi, così è andato a informarsi alla sua banca, ma il funzionario gli ha detto che poteva finanziare al massimo il 70% del costo, inoltre il suo reddito doveva essere adeguato a sostenere l’onere del rimborso rateizzato. Quando ho sentito questa cosa mi sono arrabbiato e ho detto a mio nipote di non preoccuparsi, io conosco diverse banche che saranno contentissime di finanziare anche più del 100% e faranno condizioni di tasso specialissime. Siamo andati insieme in una banca di mia conoscenza ed ha ottenuto quello che voleva senza problemi. Ma mio nipote non era l’unico a voler comprar casa quell’anno, così anche quell’idea di finanziare di più e meglio l’acquisto delle case è stata imitata da molte banche in Italia, e negli anni a seguire c’è stato un vero e proprio boom del comparto immobiliare, che con il solido sostegno finanziario del comparto bancario, ha potuto rendere felici milioni di persone in cerca di una abitazione. Qualche anno dopo ho conosciuto due persone attratte dall’impegno politico in Italia. Il primo era un pensionato molto serio e preparato, che voleva dare un valido contributo nella legislazione e gestione della cosa pubblica, la seconda era una signora di mezza età con una partecipazione proprietaria in un giornale locale, la quale vedeva nella politica una favorevolissima opportunità per raggiungere una posizione di grandissimo prestigio nel Parlamento nazionale e anche una buona occasione di incrementare notevolmente il suo reddito e concedersi finalmente un’abitazione di lusso e ... magari anche un brillante cabinato nel porticciolo della sua città. Si sono presentati entrambi in un partito della coalizione di sinistra e, francamente, sono rimasto sorpreso quando ho visto che il partito ha candidato il pensionato. Pensavo che quel partito, timoroso di non superare la soglia di sbarramento al 4%, avesse molta più convenienza a candidare la “giornalaia”, dato che col suo giornale poteva fare propaganda al partito e guadagnare più voti in generale. °°° Cosa c’è di vero in quello che ho scritto? E cosa c’è di falso? Le storie sono sostanzialmente tutte vere. Palesemente falsa è solo la decisione del partito. Tutti quelli che conoscono i partiti appena meglio che nella superficialità sanno che nessun partito in Italia avrebbe fatto la scelta che ho raccontato. Infatti quel partito (è storia vera!) ha candidato proprio la giornalaia, anche se poi in quella Circoscrizione elettorale non ha comunque conquistato seggi. La storia dei mutui concessi al 100% (e oltre) invece è vera, ma è falsa l’attribuzione del paese in cui è avvenuta. Non è in Italia ma negli Stati Uniti che sono avvenute quelle follie finanziarie. In Italia le banche non hanno mai dato i mutui con facilità. Ma negli Usa sì, e l’hanno fatto con tale ampiezza che hanno contribuito a creare una bolla finanziaria dalle dimensioni globali. Ho già descritto in articoli precedenti che l’immensa montagna di spazzatura finanziara in circolazione non derivava solo dai mutui detti “subprime”, ma comunque sono stati questi a scatenare l’incendio che si è subito allargato a tutto il sistema. E quando negli USA il castello di carte è crollato, e i finanzieri d’affari si sono accorti che la botte era piena (di porcheria finanziaria) e la moglie era già ubriaca (N.B. ottenere insieme la botte piena e la moglie ubriaca è una magia che riesce solo a loro), hanno cambiato vigna e sono andati in Grecia, Irlanda, Spagna ecc. a vendemmiare, cioè a fare lo stesso giochino che ha permesso loro di fare un sacco di soldi a Wall Street. Un giochino che funzionerà sempre benissimo fintanto che i legislatori e le autorità preposte al controllo su queste operazioni non interverranno a mettere precisi limiti e regole in questa complessa materia. E infine la storia delle pensioni “facili”, che è falsa e vera nello stesso tempo. Vero è che la normativa ha consentito a troppi di andare in pensione con troppa generosità, ma è chiaramente falso il modo in cui l’ho raccontato. A nessuno è mai stato consentito di svegliarsi alla mattina decidendo improvvisamente di andare da capo del personale a comunicargli la sua volontà di andare in pensione. Se qualcuno lo facesse vedrebbe subito arrivare, chiamata dal capo del personale, la “Croce verde del manicomio provinciale”. È la legge che stabilisce le condizioni per il pensionamento. E chi fa le leggi? Sono i politici! Quindi, se il costo dei pensionamenti è troppo alto è la politica responsabile dello scompenso, non i pensionati. Tuttavia gli economisti seri sanno che il problema principale non è quello. Il sistema era in equilibrio quando è stato creato, e poteva restare in equilibrio se la politica lo avesse protetto invece che usarlo a fini elettorali. L’equilibrio è stato perso in seguito, e solo in piccola parte a causa dell’aumento della vita media delle persone. La causa principale dell’attuale scompenso (visto in prospettiva) è per l’eccessiva libertà, diventata ad un certo punto necessità, data alle aziende di competere sui costi di produzione andando all’estero a produrre. In questo modo si è minato dall’interno l’equilibrio non solo del sistema industriale nazionale e del sistema pensionistico (ad esso direttamente collegato), ma di tutto il sistema economico tout court, che ne esce completamente scombussolato, indebolito, e ormai in grande difficoltà a proseguire sulle linee tracciate negli anni ruggenti della nostra democrazia. È convenuto alla popolazione questa evoluzione del sistema? A giudicare dalla gravità della crisi che attanaglia il paese è facile rispondere di no. Eppure siamo in democrazia, non è il popolo ad avere la possibilità di decidere, quale strada prendere nelle scelte che incidono sul suo futuro? Sì, teoricamente è così. Ma questo dipende molto anche dal modo in cui il popolo viene informato. Perciò ho impostato questo articolo in questo strano modo e descritto alcuni episodi in modo paradossale. Per evidenziarne l’incredibilità e sottolineare l’importanza di avere informazioni complete e corrette. Eppure nella stampa e televisione di sistema continuano a “bombardarci” di informazioni tendenti a farci credere che “abbiamo speso troppo”; che abbiamo fatto le “cicale”; che adesso dobbiamo fare le “formiche”. Usano la saggezza popolare per nascondere la verità. Le cicale, cioè gli spreconi; incapaci, e traditori del mandato elettorale sono stati loro: i politici. E hanno potuto farlo grazie anche alla complicità dei media, pubblici e privati; tutti (o quasi) d’accordo nello spartirsi la torta. Adesso che la torta non c’è più dicono che noi ce la siamo mangiata. Invece se la sono mangiata loro, a noi cittadini qualunque hanno lasciato solo le briciole. Questa è la verità. di Roberto Marchesi

11 giugno 2012

Cosa resta al cittadino beffato?

Nel 1998 pubblicai un libro, Denaro. “Sterco del demonio”, in cui prevedevo il tracollo del sistema del denaro e quindi del modello di sviluppo che su di esso si basa. Perchè le due cose sono strettissimamente legate, il capitalismo finanziario non è solo la logica e inevitabile conseguenza di quello industriale – e quindi chi si meraviglia, dei suoi cosiddetti eccessi è come uno che avendo inventato la pallottola si meravigli che si sia arrivati al missile – ma ne è anche la precondizione, senza il capitale non sono possibili gli investimenti. Quella previsione era basata su un calcolo molto semplice: fatto 100 il denaro circolante nel mondo nelle sue proteiformi incarnazioni, soprattutto quelle del credito e del debito che sono denaro nella sua forma più pura e astratta – quando il barista segna quanto gli devo crea denaro - con l'un per cento di quel cento si potevano comprare tutti i beni e i servizi del mondo. Che cos'era il resto? Non era ricchezza, non era nulla o, per essere più precisi, era una scommessa sul futuro che però, data l' enorme massa in gioco, ipotecava questo futuro fino a epoche così sideralmente lontane da renderlo, di fatto, inesistente. E concludevo così: “ questo futuro...dilatato a dimensioni mostruose dalla nostra fantasia e dalla nostra follia, un giorno ci ricadrà addosso come drammatico presente. Quel giorno il denaro non ci sarà più. Perchè non avremo più futuro, nemmeno da immaginare, ce lo saremo divorato”. Quel giorno è già qui. O ci siamo molto vicini. Mi rifiuto di credere che le leadership mondiali, i loro staff, gli economisti, i commentatori a vario titolo non fossero consapevoli. Han solo fatto finta di non vedere. E hanno continuato a far finta anche dopo la crisi dei 'subprime' americani del 2008. Si sono limitati a immettere nel sistema altro denaro inesistente, drogando così il cavallo già dopato nella speranza che faccia ancora qualche passo avanti (la truffa della 'crescita' quando è a tutti evidente che la follia delle crescite all'infinito è giunta al suo capolinea). La cosa può durare per un po', ma alla fine l'overdose mortale è certa. Gli scenari che si aprono sono sostanzialmente due. Il modello di sviluppo basato sulle crescite esponenziali si disfa gradualmente e altrettanto gradualmente azzera i nostri risparmi, le pensioni, le modeste ricchezze accumulate in decenni di lavoro. E in un certo senso è giusto che sia così perchè i risparmiatori sono i fessi istiruzionali del sistema, e non per nulla vengono sempre portati in palmo di mano, poiché sono dei creditori e c'è una legge dell'economia che dice che “alla lunga i debiti non vengono pagati”. Il secondo scenario è ancor più apocalittico ma, in un certo senso, più interessante. Il mondo del denaro crolla di colpo e, con esso, il sottostante modello di sviluppo industriale, la cosiddetta 'economia reale'. Avete presente quando guardate un film su una vecchia cassetta? All'andata il nastro procede regolarmente ma arrivato alla fine si riavvolge in pochi secondi. Anche per il sistema denaro-industria sarà una questione rapidissima, di settimane, forse di giorni. Allora la gente delle città rendendosi conto che non può mangiare l'asfalto né bere il petrolio si riverserà, alla ricerca di cibo, nelle campagne dove troverà i contadini pronti a riceverla con i forconi. Sarà un'apocalisse sanguinosa e lunga al termine della quale si ricostituirà, come dopo il crollo dell'Impero romano, il feudo, comunità di piccole dimensioni, chiuse, autosufficienti , difese da armigeri. Ma 'en attandant Godot' c'è una questione più impellente. Il cittadino schiuma di rabbia impotente perchè non sa con chi prendersela. Se c'è una dittatura si può fucilare il dittatore, se c'è un'autocrazia si può processare l'autocrate. Dal punto di vista politico non serve a nulla perchè quello che viene dopo è quasi sempre peggio. Però è almeno uno sfogo salutare, se non altro per le coronarie. Ma in democrazia? In democrazia, che è un sistema proteiforme, come il denaro, sgusciante, amorfo non c'è mai un responsabile ben individuabile. Per ritornare in Italia a chi andiamo a chieder conto? All' 'esule' di Hammamet, all'ecotoplasma di Andreotti, a Forlani che non si sa bene se sia ancora vivo o morto, a Giuliano Amato, a Ciampi, a Berlusconi e ai suoi scherani, ai Della Loggia, ai Panebianco, agli Ostellini che lo hanno sostenuto, a D'Alema, a Veltroni 'l'amerikano', a una sinistra ameboide? Una rivoluzione allora? Le rivoluzioni sono sempre andate in culo alla povera gente. La rivoluzione contro lo zarismo, una autocrazia paternalistica, all'acqua di rose (dieci fucilati in tutto) ha partorito lo stalinismo, vale a dire venti milioni di kulaki e di contadini sterminati. Quella francese non eliminò la nobiltà ma spremette a sangue i contadini come l'aristocrazia, sciamannata, pochissimo attenta a sfruttare le sue terre, non aveva mai fatto. Eloquente è una lettera che un proprietario dell'Indre, Gabriel Alamore, scrive al proprio affittuario, Pierre Henry: “Quello che deve approfittare dell'abolizione dei diritti feudali sono io, il proprietario, non tu, l'affittuario”. L'aristocrazia era arrogante ma non aveva sulle proprie rendite l'attenzione micragnosa, burocratica, arida dei borghesi. Lo stesso Adam Smith si meraviglia che su grandi appezzamenti di terra dati in possesso ai contadini i nobili si accontentassero, come remunerazione, di un paio di galline e di qualche corvée personale. Il fascismo nacque anche sulla spinta dei fanti-contadini reduci dalla guerra, cui era stato promesso, in cambio, il riscatto delle terre. Ma Italo Balbo preferì l'alleanza con gli agrari e i contadini rimasero in braghe di tela. Le sole rivolte realmente popolari di cui si abbia conoscenza in Europa, quelle di Stenka Razin e di Pugacev in Russia, furono soffocate nel sangue. Con le rivoluzioni quindi è meglio lasciar perdere se oltre ai danni non si vogliono subire anche le beffe. Del resto le democrazie hanno provveduto a mettersi al sicuro. Nate su bagni di sangue non accettano, nemmeno concettualmente, che possa esser loro resa la pariglia. Se in Italia dai un onesto cazzotto a Daniele Capezzone insorge tutto l'arco costituzionale gridando all'eversione. In Italia si può rubare, taglieggiare, imporre tangenti, farsi regalare mezze case, vacanze, viaggi, corrompere testimoni, promuovere troie a cariche pubbliche, ma se ti azzardi a fare uno sgambetto a uno stronzo questa è la cosa veramente intollerabile. E allora cosa resta al cittadino beffato, ingannato, depredato? Nulla. Se non, forse, nel proprio piccolo, alzare steccati. Con certi mascalzoni non si parla, non si interloquisce, non si polemizza nemmeno. Si lascia che affondino nella loro merda. Non è granchè, poiché ci sguazzano a meraviglia, ma in fondo è pur sempre una punizione dantesca. di Massimo Fini

10 giugno 2012

La ripresa americana

Sino a poche settimane fa, a fronte della mediocre prestazione dell’economia europea, era sottolineata la pur contenuta ripresa americana, che lasciava presagire una crescita del Pil prossima al 3%. In questo quadro era sbandierato come un risultato eccezionale l’aumento di circa 800.000 posti di lavoro. Poi è arrivata la “gelata” di fine maggio: l’indice si crescita si è abbassato e soprattutto, i 180.000 nuovi posti di lavoro attesi, si sono ridotti ad un dato molto più striminzito: 59.000. Obama se l’è cavata dicendo che è tutta colpa dell’Europa (ma pensava “Germania”) che non sta dimostrando coraggio e con la sua “austerità” sta accentuando le tendenze recessive mondiali. Naturalmente nelle affermazioni del Presidente americano c’è del vero: la stupida fissazione dei tedeschi per il pareggio di bilancio è la più sonora sciocchezza che sia dato di vedere e questo incide sulla situazione economica mondiale, ma la spiegazione è troppo sbrigativa. Intanto siamo di fronte ad un rallentamento mondiale dell’economia (e di Cina, India e Russia torneremo a parlare), ed, in questo, gli Usa ci mettono del proprio. Era vera ripresa quella a cui abbiamo assistito sinora? In primo luogo, una ripresa intorno al 3% è un risultato meno che mediocre per gli Usa che, dopo le fasi recessive, hanno sempre avuto scatti in avanti del 5-6%. Peraltro questo risultato è avvenuto dopo un ennesimo quantitative easing della Fed che ha inondato il mondo di altri miliardi di dollari, cui si sono accompagnati progetti di stimolo alle imprese. Ciò considerato, non è davvero un gran risultato in sé. Per di più, dopo i primi mesi, le aspettative sono scese sotto l’asticella del 2%, quel che ha gelato gli entusiasmi delle borse. Tutto sommato, a fine anno si faticherà a tenere il livello di +1,5%. Decisamente poco. Una riflessione a parte meritano i quasi 800.000 posti di lavoro nuovi. Anche qui, non si tratta davvero di un risultato da favola: in proporzione sarebbero circa 130.000 posti di lavoro in Italia. Un risultato da non disprezzare, ma quando si hanno indici di disoccupazione all’8-9% della forza lavoro, è come dare mezzo bicchiere d’acqua ad uno che non beve da tre giorni. Ma guardiamoci un po’ dentro. In primo luogo non si tratta in assoluto di nuovi posti di lavoro, ma di posti in cui erano impiegati immigrati (prevalentemente chicanos) costretti a rimpatriare e dove sono stati piazzati cittadini americani. In effetti la disoccupazione scende un po’ ma dal punto di vista del Pil non si aggiunge uno spillo. In secondo luogo, ci sono stati contratti in scadenza nel 2012 che sono stati protratti un po’ artificiosamente nel 2012 e di altri contratti anticipati dal 2013. Questo vuol dire che si tratta di posti di lavoro che non troveremo il prossimo anno. Insomma, la crescita effettiva sembra non raggiunga le 160.000 unità. Nulla di cui valga la pena di parlare se non come di un brillante spot elettorale in vista del voto di novembre. Il guaio è che, nel frattempo, si sta profilando un nuovo crack bancario di vaste proporzioni e forse peggiore del precedente. E peggio ancora ove si consideri la debolezza del sistema bancario europeo: ogni banca ha obbligazioni delle altre in un intreccio inestricabile di crediti e debiti, cosi che il crollo di ciascuna pone le premesse per quello dell’altra in un inarrestabile effetto domino. Naturalmente è possibile calmierare un po’ le cose con nuovi gettiti di liquidità (l’unica cura che i governi occidentali conoscono, compresi i tedeschi, avarissimi con gli stati ma assai prodighi con le banche, perché anche loro hanno qualche gatta da penare con la Commerzbank). Ma su questo conviene essere chiari: questo genere di interventi servono solo a “comperare tempo”, buttando in avanti la palla, ma non possono andare avanti in eterno e, nell’attuale sistema finanziario, finiscono per porre le premesse per la successiva ondata di crisi: il denaro vuol essere costantemente remunerato e, se non finisce in attività produttive, ma in investimenti finanziari, chiede nuovi interessi, quindi produce debito allargato. La liquidità di oggi è solo la premessa per i nuovi debiti di domani. Obama è stato bravo nel creare la sensazione di essere l’uomo del “secondo new deal” ma si è trattato solo di un abile giochetto ed il suo è stato solo un “keynesismo per banchieri”. La sua politica espansiva è servita essenzialmente a rifinanziare la forte massa di titoli ad alto rischio che vanno scadendo in questo anno, ma non ha prodotto un’unghia di crescita economica. Le ragioni della crisi dell’Occidente non sono poi così misteriose: mancano investimenti nella produzione che rilancino la base occupazionale e risanino la bilancia commerciale, ma questo è reso impossibile dall’attuale modo di funzionare dell’economia che spinge verso un crescente impiego finanziario di ogni dollaro o euro che esca dalla Fed o dalla Bce. Per invertire la rotta occorrerebbe una drastica riforma punitiva nei confronti della finanza. Ma Obama non ha il coraggio necessario per tentarlo e la sua riforma è stato solo un macilento topolino partorito dalla montagna delle sue dichiarazioni iniziali. In queste condizioni, è del tutto lecito attendersi che l’anno prossimo, dopo l’appuntamento elettorale di novembre, segnerà una nuova recessione degli Usa. di Aldo Giannuli

13 giugno 2012

Ecco chi sono i responsabili del debito e della crisi

Fate attenzione a ciò che leggete in questo articolo, perché volutamente ho scritto cose che sono vere e cose che non lo sono, o lo sono solo apparentemente. Una mattina radiosa del gennaio 1998 mi sono svegliato di buon umore e mi son detto: “Adesso basta! Ho già lavorato abbastanza nella mia vita.” Così sono andato in ufficio ho chiesto un colloquio col capo del personale e gli ho detto: “Mio caro signore, io ho cominciato a lavorare negli anni ’60, adesso, sono passati più di 35 anni e sono stanco, direi che possono bastare, no? Quindi se non le dispiace tolgo il disturbo e mi vado a godere un po’ di riposo dove mi pare. La prego di formalizzare le mie immediate dimissioni e la mia iscrizione tra i pensionati a carico dello Stato”. Il direttore, pur sorpreso per la mia improvvisa decisione, non ha potuto che complimentarsi con me per la mia felice scelta e mi ha fatto tanti auguri per un sereno e prospero futuro. Naturalmente quell’anno non sono stato l’unico ad avere quella brillante idea, decine di migliaia di altri lavoratori, stufi di lavorare, mi hanno copiato, e si sono messi a carico dello Stato. Nello stesso anno mio nipote decideva di sposarsi e voleva comprar casa, ma non aveva soldi, così è andato a informarsi alla sua banca, ma il funzionario gli ha detto che poteva finanziare al massimo il 70% del costo, inoltre il suo reddito doveva essere adeguato a sostenere l’onere del rimborso rateizzato. Quando ho sentito questa cosa mi sono arrabbiato e ho detto a mio nipote di non preoccuparsi, io conosco diverse banche che saranno contentissime di finanziare anche più del 100% e faranno condizioni di tasso specialissime. Siamo andati insieme in una banca di mia conoscenza ed ha ottenuto quello che voleva senza problemi. Ma mio nipote non era l’unico a voler comprar casa quell’anno, così anche quell’idea di finanziare di più e meglio l’acquisto delle case è stata imitata da molte banche in Italia, e negli anni a seguire c’è stato un vero e proprio boom del comparto immobiliare, che con il solido sostegno finanziario del comparto bancario, ha potuto rendere felici milioni di persone in cerca di una abitazione. Qualche anno dopo ho conosciuto due persone attratte dall’impegno politico in Italia. Il primo era un pensionato molto serio e preparato, che voleva dare un valido contributo nella legislazione e gestione della cosa pubblica, la seconda era una signora di mezza età con una partecipazione proprietaria in un giornale locale, la quale vedeva nella politica una favorevolissima opportunità per raggiungere una posizione di grandissimo prestigio nel Parlamento nazionale e anche una buona occasione di incrementare notevolmente il suo reddito e concedersi finalmente un’abitazione di lusso e ... magari anche un brillante cabinato nel porticciolo della sua città. Si sono presentati entrambi in un partito della coalizione di sinistra e, francamente, sono rimasto sorpreso quando ho visto che il partito ha candidato il pensionato. Pensavo che quel partito, timoroso di non superare la soglia di sbarramento al 4%, avesse molta più convenienza a candidare la “giornalaia”, dato che col suo giornale poteva fare propaganda al partito e guadagnare più voti in generale. °°° Cosa c’è di vero in quello che ho scritto? E cosa c’è di falso? Le storie sono sostanzialmente tutte vere. Palesemente falsa è solo la decisione del partito. Tutti quelli che conoscono i partiti appena meglio che nella superficialità sanno che nessun partito in Italia avrebbe fatto la scelta che ho raccontato. Infatti quel partito (è storia vera!) ha candidato proprio la giornalaia, anche se poi in quella Circoscrizione elettorale non ha comunque conquistato seggi. La storia dei mutui concessi al 100% (e oltre) invece è vera, ma è falsa l’attribuzione del paese in cui è avvenuta. Non è in Italia ma negli Stati Uniti che sono avvenute quelle follie finanziarie. In Italia le banche non hanno mai dato i mutui con facilità. Ma negli Usa sì, e l’hanno fatto con tale ampiezza che hanno contribuito a creare una bolla finanziaria dalle dimensioni globali. Ho già descritto in articoli precedenti che l’immensa montagna di spazzatura finanziara in circolazione non derivava solo dai mutui detti “subprime”, ma comunque sono stati questi a scatenare l’incendio che si è subito allargato a tutto il sistema. E quando negli USA il castello di carte è crollato, e i finanzieri d’affari si sono accorti che la botte era piena (di porcheria finanziaria) e la moglie era già ubriaca (N.B. ottenere insieme la botte piena e la moglie ubriaca è una magia che riesce solo a loro), hanno cambiato vigna e sono andati in Grecia, Irlanda, Spagna ecc. a vendemmiare, cioè a fare lo stesso giochino che ha permesso loro di fare un sacco di soldi a Wall Street. Un giochino che funzionerà sempre benissimo fintanto che i legislatori e le autorità preposte al controllo su queste operazioni non interverranno a mettere precisi limiti e regole in questa complessa materia. E infine la storia delle pensioni “facili”, che è falsa e vera nello stesso tempo. Vero è che la normativa ha consentito a troppi di andare in pensione con troppa generosità, ma è chiaramente falso il modo in cui l’ho raccontato. A nessuno è mai stato consentito di svegliarsi alla mattina decidendo improvvisamente di andare da capo del personale a comunicargli la sua volontà di andare in pensione. Se qualcuno lo facesse vedrebbe subito arrivare, chiamata dal capo del personale, la “Croce verde del manicomio provinciale”. È la legge che stabilisce le condizioni per il pensionamento. E chi fa le leggi? Sono i politici! Quindi, se il costo dei pensionamenti è troppo alto è la politica responsabile dello scompenso, non i pensionati. Tuttavia gli economisti seri sanno che il problema principale non è quello. Il sistema era in equilibrio quando è stato creato, e poteva restare in equilibrio se la politica lo avesse protetto invece che usarlo a fini elettorali. L’equilibrio è stato perso in seguito, e solo in piccola parte a causa dell’aumento della vita media delle persone. La causa principale dell’attuale scompenso (visto in prospettiva) è per l’eccessiva libertà, diventata ad un certo punto necessità, data alle aziende di competere sui costi di produzione andando all’estero a produrre. In questo modo si è minato dall’interno l’equilibrio non solo del sistema industriale nazionale e del sistema pensionistico (ad esso direttamente collegato), ma di tutto il sistema economico tout court, che ne esce completamente scombussolato, indebolito, e ormai in grande difficoltà a proseguire sulle linee tracciate negli anni ruggenti della nostra democrazia. È convenuto alla popolazione questa evoluzione del sistema? A giudicare dalla gravità della crisi che attanaglia il paese è facile rispondere di no. Eppure siamo in democrazia, non è il popolo ad avere la possibilità di decidere, quale strada prendere nelle scelte che incidono sul suo futuro? Sì, teoricamente è così. Ma questo dipende molto anche dal modo in cui il popolo viene informato. Perciò ho impostato questo articolo in questo strano modo e descritto alcuni episodi in modo paradossale. Per evidenziarne l’incredibilità e sottolineare l’importanza di avere informazioni complete e corrette. Eppure nella stampa e televisione di sistema continuano a “bombardarci” di informazioni tendenti a farci credere che “abbiamo speso troppo”; che abbiamo fatto le “cicale”; che adesso dobbiamo fare le “formiche”. Usano la saggezza popolare per nascondere la verità. Le cicale, cioè gli spreconi; incapaci, e traditori del mandato elettorale sono stati loro: i politici. E hanno potuto farlo grazie anche alla complicità dei media, pubblici e privati; tutti (o quasi) d’accordo nello spartirsi la torta. Adesso che la torta non c’è più dicono che noi ce la siamo mangiata. Invece se la sono mangiata loro, a noi cittadini qualunque hanno lasciato solo le briciole. Questa è la verità. di Roberto Marchesi

11 giugno 2012

Cosa resta al cittadino beffato?

Nel 1998 pubblicai un libro, Denaro. “Sterco del demonio”, in cui prevedevo il tracollo del sistema del denaro e quindi del modello di sviluppo che su di esso si basa. Perchè le due cose sono strettissimamente legate, il capitalismo finanziario non è solo la logica e inevitabile conseguenza di quello industriale – e quindi chi si meraviglia, dei suoi cosiddetti eccessi è come uno che avendo inventato la pallottola si meravigli che si sia arrivati al missile – ma ne è anche la precondizione, senza il capitale non sono possibili gli investimenti. Quella previsione era basata su un calcolo molto semplice: fatto 100 il denaro circolante nel mondo nelle sue proteiformi incarnazioni, soprattutto quelle del credito e del debito che sono denaro nella sua forma più pura e astratta – quando il barista segna quanto gli devo crea denaro - con l'un per cento di quel cento si potevano comprare tutti i beni e i servizi del mondo. Che cos'era il resto? Non era ricchezza, non era nulla o, per essere più precisi, era una scommessa sul futuro che però, data l' enorme massa in gioco, ipotecava questo futuro fino a epoche così sideralmente lontane da renderlo, di fatto, inesistente. E concludevo così: “ questo futuro...dilatato a dimensioni mostruose dalla nostra fantasia e dalla nostra follia, un giorno ci ricadrà addosso come drammatico presente. Quel giorno il denaro non ci sarà più. Perchè non avremo più futuro, nemmeno da immaginare, ce lo saremo divorato”. Quel giorno è già qui. O ci siamo molto vicini. Mi rifiuto di credere che le leadership mondiali, i loro staff, gli economisti, i commentatori a vario titolo non fossero consapevoli. Han solo fatto finta di non vedere. E hanno continuato a far finta anche dopo la crisi dei 'subprime' americani del 2008. Si sono limitati a immettere nel sistema altro denaro inesistente, drogando così il cavallo già dopato nella speranza che faccia ancora qualche passo avanti (la truffa della 'crescita' quando è a tutti evidente che la follia delle crescite all'infinito è giunta al suo capolinea). La cosa può durare per un po', ma alla fine l'overdose mortale è certa. Gli scenari che si aprono sono sostanzialmente due. Il modello di sviluppo basato sulle crescite esponenziali si disfa gradualmente e altrettanto gradualmente azzera i nostri risparmi, le pensioni, le modeste ricchezze accumulate in decenni di lavoro. E in un certo senso è giusto che sia così perchè i risparmiatori sono i fessi istiruzionali del sistema, e non per nulla vengono sempre portati in palmo di mano, poiché sono dei creditori e c'è una legge dell'economia che dice che “alla lunga i debiti non vengono pagati”. Il secondo scenario è ancor più apocalittico ma, in un certo senso, più interessante. Il mondo del denaro crolla di colpo e, con esso, il sottostante modello di sviluppo industriale, la cosiddetta 'economia reale'. Avete presente quando guardate un film su una vecchia cassetta? All'andata il nastro procede regolarmente ma arrivato alla fine si riavvolge in pochi secondi. Anche per il sistema denaro-industria sarà una questione rapidissima, di settimane, forse di giorni. Allora la gente delle città rendendosi conto che non può mangiare l'asfalto né bere il petrolio si riverserà, alla ricerca di cibo, nelle campagne dove troverà i contadini pronti a riceverla con i forconi. Sarà un'apocalisse sanguinosa e lunga al termine della quale si ricostituirà, come dopo il crollo dell'Impero romano, il feudo, comunità di piccole dimensioni, chiuse, autosufficienti , difese da armigeri. Ma 'en attandant Godot' c'è una questione più impellente. Il cittadino schiuma di rabbia impotente perchè non sa con chi prendersela. Se c'è una dittatura si può fucilare il dittatore, se c'è un'autocrazia si può processare l'autocrate. Dal punto di vista politico non serve a nulla perchè quello che viene dopo è quasi sempre peggio. Però è almeno uno sfogo salutare, se non altro per le coronarie. Ma in democrazia? In democrazia, che è un sistema proteiforme, come il denaro, sgusciante, amorfo non c'è mai un responsabile ben individuabile. Per ritornare in Italia a chi andiamo a chieder conto? All' 'esule' di Hammamet, all'ecotoplasma di Andreotti, a Forlani che non si sa bene se sia ancora vivo o morto, a Giuliano Amato, a Ciampi, a Berlusconi e ai suoi scherani, ai Della Loggia, ai Panebianco, agli Ostellini che lo hanno sostenuto, a D'Alema, a Veltroni 'l'amerikano', a una sinistra ameboide? Una rivoluzione allora? Le rivoluzioni sono sempre andate in culo alla povera gente. La rivoluzione contro lo zarismo, una autocrazia paternalistica, all'acqua di rose (dieci fucilati in tutto) ha partorito lo stalinismo, vale a dire venti milioni di kulaki e di contadini sterminati. Quella francese non eliminò la nobiltà ma spremette a sangue i contadini come l'aristocrazia, sciamannata, pochissimo attenta a sfruttare le sue terre, non aveva mai fatto. Eloquente è una lettera che un proprietario dell'Indre, Gabriel Alamore, scrive al proprio affittuario, Pierre Henry: “Quello che deve approfittare dell'abolizione dei diritti feudali sono io, il proprietario, non tu, l'affittuario”. L'aristocrazia era arrogante ma non aveva sulle proprie rendite l'attenzione micragnosa, burocratica, arida dei borghesi. Lo stesso Adam Smith si meraviglia che su grandi appezzamenti di terra dati in possesso ai contadini i nobili si accontentassero, come remunerazione, di un paio di galline e di qualche corvée personale. Il fascismo nacque anche sulla spinta dei fanti-contadini reduci dalla guerra, cui era stato promesso, in cambio, il riscatto delle terre. Ma Italo Balbo preferì l'alleanza con gli agrari e i contadini rimasero in braghe di tela. Le sole rivolte realmente popolari di cui si abbia conoscenza in Europa, quelle di Stenka Razin e di Pugacev in Russia, furono soffocate nel sangue. Con le rivoluzioni quindi è meglio lasciar perdere se oltre ai danni non si vogliono subire anche le beffe. Del resto le democrazie hanno provveduto a mettersi al sicuro. Nate su bagni di sangue non accettano, nemmeno concettualmente, che possa esser loro resa la pariglia. Se in Italia dai un onesto cazzotto a Daniele Capezzone insorge tutto l'arco costituzionale gridando all'eversione. In Italia si può rubare, taglieggiare, imporre tangenti, farsi regalare mezze case, vacanze, viaggi, corrompere testimoni, promuovere troie a cariche pubbliche, ma se ti azzardi a fare uno sgambetto a uno stronzo questa è la cosa veramente intollerabile. E allora cosa resta al cittadino beffato, ingannato, depredato? Nulla. Se non, forse, nel proprio piccolo, alzare steccati. Con certi mascalzoni non si parla, non si interloquisce, non si polemizza nemmeno. Si lascia che affondino nella loro merda. Non è granchè, poiché ci sguazzano a meraviglia, ma in fondo è pur sempre una punizione dantesca. di Massimo Fini

10 giugno 2012

La ripresa americana

Sino a poche settimane fa, a fronte della mediocre prestazione dell’economia europea, era sottolineata la pur contenuta ripresa americana, che lasciava presagire una crescita del Pil prossima al 3%. In questo quadro era sbandierato come un risultato eccezionale l’aumento di circa 800.000 posti di lavoro. Poi è arrivata la “gelata” di fine maggio: l’indice si crescita si è abbassato e soprattutto, i 180.000 nuovi posti di lavoro attesi, si sono ridotti ad un dato molto più striminzito: 59.000. Obama se l’è cavata dicendo che è tutta colpa dell’Europa (ma pensava “Germania”) che non sta dimostrando coraggio e con la sua “austerità” sta accentuando le tendenze recessive mondiali. Naturalmente nelle affermazioni del Presidente americano c’è del vero: la stupida fissazione dei tedeschi per il pareggio di bilancio è la più sonora sciocchezza che sia dato di vedere e questo incide sulla situazione economica mondiale, ma la spiegazione è troppo sbrigativa. Intanto siamo di fronte ad un rallentamento mondiale dell’economia (e di Cina, India e Russia torneremo a parlare), ed, in questo, gli Usa ci mettono del proprio. Era vera ripresa quella a cui abbiamo assistito sinora? In primo luogo, una ripresa intorno al 3% è un risultato meno che mediocre per gli Usa che, dopo le fasi recessive, hanno sempre avuto scatti in avanti del 5-6%. Peraltro questo risultato è avvenuto dopo un ennesimo quantitative easing della Fed che ha inondato il mondo di altri miliardi di dollari, cui si sono accompagnati progetti di stimolo alle imprese. Ciò considerato, non è davvero un gran risultato in sé. Per di più, dopo i primi mesi, le aspettative sono scese sotto l’asticella del 2%, quel che ha gelato gli entusiasmi delle borse. Tutto sommato, a fine anno si faticherà a tenere il livello di +1,5%. Decisamente poco. Una riflessione a parte meritano i quasi 800.000 posti di lavoro nuovi. Anche qui, non si tratta davvero di un risultato da favola: in proporzione sarebbero circa 130.000 posti di lavoro in Italia. Un risultato da non disprezzare, ma quando si hanno indici di disoccupazione all’8-9% della forza lavoro, è come dare mezzo bicchiere d’acqua ad uno che non beve da tre giorni. Ma guardiamoci un po’ dentro. In primo luogo non si tratta in assoluto di nuovi posti di lavoro, ma di posti in cui erano impiegati immigrati (prevalentemente chicanos) costretti a rimpatriare e dove sono stati piazzati cittadini americani. In effetti la disoccupazione scende un po’ ma dal punto di vista del Pil non si aggiunge uno spillo. In secondo luogo, ci sono stati contratti in scadenza nel 2012 che sono stati protratti un po’ artificiosamente nel 2012 e di altri contratti anticipati dal 2013. Questo vuol dire che si tratta di posti di lavoro che non troveremo il prossimo anno. Insomma, la crescita effettiva sembra non raggiunga le 160.000 unità. Nulla di cui valga la pena di parlare se non come di un brillante spot elettorale in vista del voto di novembre. Il guaio è che, nel frattempo, si sta profilando un nuovo crack bancario di vaste proporzioni e forse peggiore del precedente. E peggio ancora ove si consideri la debolezza del sistema bancario europeo: ogni banca ha obbligazioni delle altre in un intreccio inestricabile di crediti e debiti, cosi che il crollo di ciascuna pone le premesse per quello dell’altra in un inarrestabile effetto domino. Naturalmente è possibile calmierare un po’ le cose con nuovi gettiti di liquidità (l’unica cura che i governi occidentali conoscono, compresi i tedeschi, avarissimi con gli stati ma assai prodighi con le banche, perché anche loro hanno qualche gatta da penare con la Commerzbank). Ma su questo conviene essere chiari: questo genere di interventi servono solo a “comperare tempo”, buttando in avanti la palla, ma non possono andare avanti in eterno e, nell’attuale sistema finanziario, finiscono per porre le premesse per la successiva ondata di crisi: il denaro vuol essere costantemente remunerato e, se non finisce in attività produttive, ma in investimenti finanziari, chiede nuovi interessi, quindi produce debito allargato. La liquidità di oggi è solo la premessa per i nuovi debiti di domani. Obama è stato bravo nel creare la sensazione di essere l’uomo del “secondo new deal” ma si è trattato solo di un abile giochetto ed il suo è stato solo un “keynesismo per banchieri”. La sua politica espansiva è servita essenzialmente a rifinanziare la forte massa di titoli ad alto rischio che vanno scadendo in questo anno, ma non ha prodotto un’unghia di crescita economica. Le ragioni della crisi dell’Occidente non sono poi così misteriose: mancano investimenti nella produzione che rilancino la base occupazionale e risanino la bilancia commerciale, ma questo è reso impossibile dall’attuale modo di funzionare dell’economia che spinge verso un crescente impiego finanziario di ogni dollaro o euro che esca dalla Fed o dalla Bce. Per invertire la rotta occorrerebbe una drastica riforma punitiva nei confronti della finanza. Ma Obama non ha il coraggio necessario per tentarlo e la sua riforma è stato solo un macilento topolino partorito dalla montagna delle sue dichiarazioni iniziali. In queste condizioni, è del tutto lecito attendersi che l’anno prossimo, dopo l’appuntamento elettorale di novembre, segnerà una nuova recessione degli Usa. di Aldo Giannuli