20 giugno 2012

Giannuli: a casa Monti e il suo governo di tecnici cialtroni

Monti? No, grazie. L’economista Aldo Giannuli boccia senza appello il governo dei tecnocrati: «Rare volte, in politica, è stato possibile assistere ad un fallimento più pieno, palese e veloce di quello che sta accadendo al governo Monti». Doveva essere il governo dei tecnici puri, insensibili alle ragioni politiche e si è dimostrato «un governo di destra». Non solo in economia, anche in materie come la giustizia o i diritti civili. Doveva essere un governo dei “competenti”, la crema dell’intellighenzia manageriale, amministrativa, diplomatica, e «si sta dimostrando un governo di cialtroni incompetenti senza pari: pensate alla figuraccia della Fornero sugli esodati che, per di più, anziché prendere il primo aereo per il Tibet, dove ritirarsi in solitaria meditazione cercando di farsi dimenticare, si scaglia contro i dirigenti dell’Inps meditando di cacciarli perché hanno osato smentirla dati alla mano». Soprattutto: l’esecutivo Monti, imposto da Napolitano e sostenuto da Pd e Pdl, doveva essere il governo del risanamento dell’economia. Risultato: «Lo Aldo Giannulispread è risalito poco sotto i 500 punti, la fracassata di tasse ha messo a terra famiglie e aziende inasprendo la recessione e, come beffa finale, l’aumento di 1 punto dell’Iva ha causato un introito complessivo di tasse inferiore di tre punti all’anno prossimo. Verrebbe da dire a Monti: ma dove hai studiato economia?». Vero, non è tutta colpa sua, aggiunge Giannuli, «ma lui ci mette del suo per peggiorare le cose, facendo l’esatto opposto di quanto andrebbe fatto». Zero in condotta: «Come tecnico è solo una mezza cartuccia, ma come politico è una vera bestia». Insieme a Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda, l’Italia resta il principale bersaglio della speculazione finanziaria: questo «avrebbe dovuto indurre il governo italiano a cercare una linea comune con questi paesi per pesare rispetto all’Europa», dialogando con gli Stati «a prescindere dai governi», senza consentire alla Germania di parlare di “elemosine”, ma offrendo «contropartite politiche ed economiche precise». La Merkel? «Sappiamo che è una mediocrità collocata in un posto molto al di sopra delle sue capacità e della sua intelligenza, esattamente come accadeva a quel playboy da strapazzo di Sarkozy, ma qualche ragione ce l’ha pure lei, povera donna: fra poco più di sei mesi deve affrontare elezioni difficilissime», e i tedeschi non vogliono sentir parlare di aiuti agli europei del “Club Med”. «Dunque, prima ancora che alla Merkel – la cui limitata velocità di comprensione è nota – occorre parlare ai tedeschi», insiste Giannuli. Tedeschi, ai quali occorre spiegare che, sin qui, l’euro ha molto avvantaggiato le loro esportazioni: non si tratta di pietire “aiuti”, ma di impostare progetti e convenienze comuni, allargando l’area della manifattura tedesca verso produzioni complementari. E attenzione: il debito reale della Germania non è il celebrato 83% del Pil, ma il 105%: Berlino scoprirebbe di non essere lontana da Roma, se smettesse di “dimenticare” la Mario MontiCassa Depositi e Prestiti, «senza la quale anche noi saremmo sotto il 100%». E se anche l’euro dovesse saltare, continua Giannuli, sarebbe conveniente anche per la Germania mantenere una politica di cooperazione europea per non essere spazzata via dalla crisi della globalizzazione: «Se l’euro andasse a carte quarantotto, gli altri si spezzerebbero le ossa, ma anche i tedeschi non se la caverebbero mica con tre graffi: il conto sarebbe salatissimo anche per loro». La prima azione congiunta su cui puntare? «La messa in comune di parte del debito», con garanzie per tutti. Monti, aggiunge Giannuli, dovrebbe sapere che, quando va ad un summit europeo, «se si presenta con il cappello in mano facendo la figura dello straccione non è che disponga bene gli altri», specie se poi non fa che obbedire all’euro-diktat sul rigore, senza un’idea su come sostenere davvero l’economia. «Come si fa ad affidarsi ad uno come Monti che ha la vis comunicativa e la simpatia umana di un merluzzo surgelato?». Insomma, tempo scaduto: «Direi che ormai il fallimento dell’esperimento dei “tecnici” non potrebbe essere più completo e che è il momento di trarne le dovute conseguenze». Quali? Votare ad ottobre. «Mi direte: “Ma non è il momento, siamo in piena bufera finanziaria”. Verissimo – ammette Giannuli – ma cosa vi fa pensare che in marzo saremo in piena bonaccia?». Secondo l’economista, «qui rischiamo una campagna elettorale di otto mesi, con un governo di nessuna rappresentatività e credibilità, per poi andare comunque a votare (con il conseguente inevitabile vuoto di potere) in marzo, quando magari ci sarà una tempesta ancora peggiore. Non vi sembra il caso di darci un taglio?» di Giorgio Cattaneo

18 giugno 2012

Iniziate a pregare

Ancora pochi giorni di attesa per conoscere il verdetto degli ellenici, euro si o euro no, che per noi significherà euro salvezza o euro disastro. A quel punto infatti se la Grecia esigerà per pretesa politica di voler abbandonare la moneta unica, accollandosi tutti i rischi che questo comporterà per la propria economia, si produrrà un pericoloso precedente, a cui nel breve futuro altri paesi vorranno fare riferimento. La maggior parte degli italiani, complice forse i campionati di calcio europei e gli scandali del campionato italiano, non ha minimamente idea dei rischi che potrebbe vivere se le autorità sovranazionali (BCE, FMI ed Eurogruppo) non si inventeranno velocemente una exit strategy credibile. Perchè è di questo che il mondo si interroga: l'immobilismo politico europeo, quasi a voler aspettare di vedere il crash per poi intervenire all'ultimo minuto. Questo inizio settimana si è parlato di un Big Plan per salvare l'Europa: Draghi & Company ci stanno lavorando. Dovremmo essere ottimisti per una volta tanto, tuttavia siamo arrivati a questo punto perchè sino ad oggi di decisioni forti e autoritarie non se ne sono mai viste. Solo nella giornata di ieri ho ricevuto qualche centinaia di email di risparmiatori in preda ad una crisi di nervi dopo quanto è stato fatto trapelare sulle misure di possibile contenimento post elezioni greche: si va dal contigentamento dei conti correnti (come in Argentina nel 2001) sino al bando del trattato di Shenghen. Nonostante questo, ci sono ancora italiani che alle 18:30 corrono a casa per non perdersi l'Olanda che gioca con la Germania agli Europei. Mi viene da sorridere in questo momento perchè se la situazione sfuggisse di mano vedremo (forse) la finale di una competizione sportiva per l'assegnazione di un titolo europeo quando di Europa potrebbe veramente rimanere poca cosa (e questo nel giro di qualche settimana). Affannarsi adesso a cercare di aprire il conto in Svizzera o di investire sull'oro in pochi giorni non ha proprio senso: pensate che proprio il metallo giallo si sta muovendo in controtendenza con la percezione del rischio, in quanto si teme che possa essere espropriato o congelato quello detenuto dai privati per investimenti personali. Come dice il titolo, iniziate a pregare. Pregate che i greci non siano così scellerati da segare le gambe della sedia in cui sono adesso seduti, pregate che i mercati azionari ai valori attuali stiano già scontando il worst case scenario, pregate che la Merkel rinsavisca nel sonno delle prossime notti, pregate che Draghi dimostri di essere a tutto il mondo veramente Super Mario, pregate che le banche italiane in caso di addio ellenico all'euro non siano commissariate, pregate che le autorità di controllo e vigilanza dei mercati impongano la chiusura delle negoziazioni per ragioni di sicurezza nazionale (come fecero gli USA con l'attacco del 9/11), pregate che il FMI presti a dismisura quello che serva per sostenere paesi deboli come Spagna e Italia, pregate che la Cina si faccia avanti per sorreggere le quotazioni dei titoli di stato europei, pregate che qualcuno non si inventi un prelievo straordinario sui depositi a vista per drenare risorse finanziarie da devolvere al sistema bancario europeo, infine pregate che la vostra vita non finisca come quella di J.J. Braddock come raccontata nella prima parte del film Cinderella Man. Si parla tanto della fine del mondo nel 2012 causa simbiosi con il calendario maya, non so se ci sarà a fine anno la fine del genere umano, di certo se il clima in Europa non muta velocemente rischiamo di vedere la fine dell'Europa e dell'Euro. Cerchiamo di essere pragmatici: nessuno auspica la fine della moneta unica, non conviene a nessuno e pochissimi avrebbero da guadagnarci in misura sostanziale. Questo è l'unico dato di fatto a cui ci possiamo aggrappare come fosse un maniglione antipanico. Tuttavia dobbiamo anche notare come nessuno si stia autorevolmente impegnando per uscire da questa situazione paradossale di limbo finanziario in cui siamo catapultati. Forse nessuno si impegna a cercare una soluzione definitiva, perchè purtroppo non esiste la exit strategy o la medicina amara da prendere. Ci sono solo dei calmanti come gli stability bond o del cortisone come la politica di austerity. Sarà proprio per questo che dobbiamo effettivamente pregare. di Eugenio Benetazzo

17 giugno 2012

Quelle oligarchie invisibili fantasmi della democrazia

Quando la locuzione “poteri forti” fu coniata, nei primi anni della Seconda Repubblica, si riferiva a Confindustria, a parti della magistratura, ai servizi segreti, alla massoneria, e anche ai potentati economici internazionali. Insomma, a istituzioni pubbliche e private molto diverse tra loro, e unite solo dal non avere natura rappresentativa, cioè dall’essere esterne, o a volte ostili, all’esercizio trasparente del potere, alla sua fonte originaria di legittimità (il popolo), e ai suoi canali d’espressione politica (i partiti) e istituzionale (il parlamento e il governo). Davanti a questi poteri (recentemente evocati da Mario Monti perché il suo governo avrebbe perso il loro appoggio), la democrazia rappresentativa è debole proprio in quanto potere pubblico, sfidato da forze che sono di volta in volta elitarie, segrete, nascoste, private, illegali. In quest’ottica, è il popolo a esercitare un potere fittizio, universale, artificiale, a cui si contrappongono poteri reali, opachi, ristretti, “naturali” perché fondati sull’antichissima base del privilegio. Poteri, inoltre, che non accettano il rischio dell’esercizio diretto, fosse anche nella forma dell’oligarchia; e che assumono la veste del potere indiretto, di un potere, cioè, che si cela, oppure che nega di essere potere, per non sottostare a regole comuni e per non rispondere della propria azione. All’origine della filosofia politica moderna il potere indiretto era quello esercitato sulle coscienze dalla Chiesa cattolica (non menzionata nell’elenco consueto dei poteri forti, benché lo sia, con ogni evidenza), a cui le élites laiche rispondevano con il potere dello Stato, con la costruzione della sovranità, col potere invincibile di tutti. Una questione seria, dunque, quella dei poteri forti. Una questione che un tempo si declinava da destra in termini di plutocrazia (per di più, “giudaica”) opposta alla sana forza collettiva delle nazioni, mentre da sinistra si istituiva l’antitesi fra la prassi popolare e il complotto – le “forze oscure della reazione in agguato”, secondo il lessico dei primi anni del dopoguerra; ma le leggende (non infondate) sulla Commissione Trilaterale o sul gruppo Bilderberg sono giunte fino agli anni Ottanta, insieme al mito dell’onnipotenza della Cia, del Kgb, o delle multinazionali. Una questione che è anche declinabile come la continuità, nelle diverse forme storiche, dell’eterno potere delle élites, o della legge del più forte, che la democrazia cerca di spezzare, istituendo una discontinuità: che consiste o in una strategia monistica, facendo nascere un nuovo potere dal popolo, un potere forte appunto perché non di una parte ma anzi perché di tutti, o con una sensibilità pluralistica, spingendo le classi dirigenti a competere apertamente per il consenso dei cittadini. O, anche, costruendo e organizzando poteri più forti dei poteri forti; contropoteri di lotta e di governo (come si diceva un tempo). Con poteri forti si intende quindi la rocciosa permanenza delle diverse forme del potere di sempre – parziali, egoiste, autointeressate – all’interno degli spazi istituzionali democratici; la loro occhiuta e lungimirante vigilanza perché nulla cambi veramente; la loro capacità di influenzare invisibilmente o indirettamente la politica visibile; di contrapporre la propria permanenza e la propria stabilità all’accidentalità, alla casualità e alla fugacità dei poteri costituiti. Si intende insomma l’impossibilità che la vita associata sia governata dalla ragione pubblica senza alcun elemento di segreto, o che sia indenne da corpose e incoercibili ragioni private – ad esempio, il “complesso militare-industriale” di cui parlava un presidente repubblicano come Eisenhower –. I poteri forti sono quindi un segno di una debolezza strutturale della politica democratica, di un limite oggettivo al suo potere, con cui è realistico accettare di dover fare i conti, senza sottomettervisi. Ma spesso sono anche un comodo alibi, un nome generico, buono a tutti gli usi, col quale una politica debole per sua colpa o imprevidenza soggettiva copre insuccessi e fallimenti di cui non si vuole assumere la responsabilità. Assi portanti della storia materiale del nostro tempo, convitati di pietra al banchetto della democrazia, in ogni caso i poteri forti oggi hanno una dislocazione extra-statale e extra-nazionale; sono le grandi case farmaceutiche padrone del biopotere globale, le agenzie di rating, la finanza internazionale (i “mercati”), le istituzioni economiche mondiali ed europee, i media di dimensione transcontinentale, le mafie pluritentacolari, le istituzioni che curano la Ricerca e Sviluppo per la Difesa delle grandi potenze, le multinazionali dei generi alimentari e dell’energia. A questi veri poteri forti si abbarbicano oggi i poteri forti di rango nazionale; che a volte – grande novità – esercitano direttamente il potere politico, in fasi d’emergenza o di estrema debolezza dei poteri istituzionali, come referenti e garanti di alcuni vitali interessi sia nazionali sia sovranazionali. E quando questi poteri locali trovano ostacoli alla propria azione, hanno la tentazione di presentarsi come abbandonate da quei poteri forti, che in realtà esse stesse incarnano e tutelano. La lotta contro i poteri forti – anche se in realtà sono soltanto categorie riottose, corporazioni egoiste – diviene così uno slogan e un alibi per gli stessi poteri forti. Che ciò dimostri ancora una volta la loro forza – la loro capacità di eludere la responsabilità politica – o piuttosto la loro debolezza e insufficienza, lo si capirà tra breve. Da subito si comprende invece che, benché forse impossibile da raggiungere pienamente, un decente obiettivo dell’azione politica dovrebbe essere che i poteri forti trovino un nuovo limite, e un orientamento, in un più forte potere di tutti. di Carlo Galli

20 giugno 2012

Giannuli: a casa Monti e il suo governo di tecnici cialtroni

Monti? No, grazie. L’economista Aldo Giannuli boccia senza appello il governo dei tecnocrati: «Rare volte, in politica, è stato possibile assistere ad un fallimento più pieno, palese e veloce di quello che sta accadendo al governo Monti». Doveva essere il governo dei tecnici puri, insensibili alle ragioni politiche e si è dimostrato «un governo di destra». Non solo in economia, anche in materie come la giustizia o i diritti civili. Doveva essere un governo dei “competenti”, la crema dell’intellighenzia manageriale, amministrativa, diplomatica, e «si sta dimostrando un governo di cialtroni incompetenti senza pari: pensate alla figuraccia della Fornero sugli esodati che, per di più, anziché prendere il primo aereo per il Tibet, dove ritirarsi in solitaria meditazione cercando di farsi dimenticare, si scaglia contro i dirigenti dell’Inps meditando di cacciarli perché hanno osato smentirla dati alla mano». Soprattutto: l’esecutivo Monti, imposto da Napolitano e sostenuto da Pd e Pdl, doveva essere il governo del risanamento dell’economia. Risultato: «Lo Aldo Giannulispread è risalito poco sotto i 500 punti, la fracassata di tasse ha messo a terra famiglie e aziende inasprendo la recessione e, come beffa finale, l’aumento di 1 punto dell’Iva ha causato un introito complessivo di tasse inferiore di tre punti all’anno prossimo. Verrebbe da dire a Monti: ma dove hai studiato economia?». Vero, non è tutta colpa sua, aggiunge Giannuli, «ma lui ci mette del suo per peggiorare le cose, facendo l’esatto opposto di quanto andrebbe fatto». Zero in condotta: «Come tecnico è solo una mezza cartuccia, ma come politico è una vera bestia». Insieme a Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda, l’Italia resta il principale bersaglio della speculazione finanziaria: questo «avrebbe dovuto indurre il governo italiano a cercare una linea comune con questi paesi per pesare rispetto all’Europa», dialogando con gli Stati «a prescindere dai governi», senza consentire alla Germania di parlare di “elemosine”, ma offrendo «contropartite politiche ed economiche precise». La Merkel? «Sappiamo che è una mediocrità collocata in un posto molto al di sopra delle sue capacità e della sua intelligenza, esattamente come accadeva a quel playboy da strapazzo di Sarkozy, ma qualche ragione ce l’ha pure lei, povera donna: fra poco più di sei mesi deve affrontare elezioni difficilissime», e i tedeschi non vogliono sentir parlare di aiuti agli europei del “Club Med”. «Dunque, prima ancora che alla Merkel – la cui limitata velocità di comprensione è nota – occorre parlare ai tedeschi», insiste Giannuli. Tedeschi, ai quali occorre spiegare che, sin qui, l’euro ha molto avvantaggiato le loro esportazioni: non si tratta di pietire “aiuti”, ma di impostare progetti e convenienze comuni, allargando l’area della manifattura tedesca verso produzioni complementari. E attenzione: il debito reale della Germania non è il celebrato 83% del Pil, ma il 105%: Berlino scoprirebbe di non essere lontana da Roma, se smettesse di “dimenticare” la Mario MontiCassa Depositi e Prestiti, «senza la quale anche noi saremmo sotto il 100%». E se anche l’euro dovesse saltare, continua Giannuli, sarebbe conveniente anche per la Germania mantenere una politica di cooperazione europea per non essere spazzata via dalla crisi della globalizzazione: «Se l’euro andasse a carte quarantotto, gli altri si spezzerebbero le ossa, ma anche i tedeschi non se la caverebbero mica con tre graffi: il conto sarebbe salatissimo anche per loro». La prima azione congiunta su cui puntare? «La messa in comune di parte del debito», con garanzie per tutti. Monti, aggiunge Giannuli, dovrebbe sapere che, quando va ad un summit europeo, «se si presenta con il cappello in mano facendo la figura dello straccione non è che disponga bene gli altri», specie se poi non fa che obbedire all’euro-diktat sul rigore, senza un’idea su come sostenere davvero l’economia. «Come si fa ad affidarsi ad uno come Monti che ha la vis comunicativa e la simpatia umana di un merluzzo surgelato?». Insomma, tempo scaduto: «Direi che ormai il fallimento dell’esperimento dei “tecnici” non potrebbe essere più completo e che è il momento di trarne le dovute conseguenze». Quali? Votare ad ottobre. «Mi direte: “Ma non è il momento, siamo in piena bufera finanziaria”. Verissimo – ammette Giannuli – ma cosa vi fa pensare che in marzo saremo in piena bonaccia?». Secondo l’economista, «qui rischiamo una campagna elettorale di otto mesi, con un governo di nessuna rappresentatività e credibilità, per poi andare comunque a votare (con il conseguente inevitabile vuoto di potere) in marzo, quando magari ci sarà una tempesta ancora peggiore. Non vi sembra il caso di darci un taglio?» di Giorgio Cattaneo

18 giugno 2012

Iniziate a pregare

Ancora pochi giorni di attesa per conoscere il verdetto degli ellenici, euro si o euro no, che per noi significherà euro salvezza o euro disastro. A quel punto infatti se la Grecia esigerà per pretesa politica di voler abbandonare la moneta unica, accollandosi tutti i rischi che questo comporterà per la propria economia, si produrrà un pericoloso precedente, a cui nel breve futuro altri paesi vorranno fare riferimento. La maggior parte degli italiani, complice forse i campionati di calcio europei e gli scandali del campionato italiano, non ha minimamente idea dei rischi che potrebbe vivere se le autorità sovranazionali (BCE, FMI ed Eurogruppo) non si inventeranno velocemente una exit strategy credibile. Perchè è di questo che il mondo si interroga: l'immobilismo politico europeo, quasi a voler aspettare di vedere il crash per poi intervenire all'ultimo minuto. Questo inizio settimana si è parlato di un Big Plan per salvare l'Europa: Draghi & Company ci stanno lavorando. Dovremmo essere ottimisti per una volta tanto, tuttavia siamo arrivati a questo punto perchè sino ad oggi di decisioni forti e autoritarie non se ne sono mai viste. Solo nella giornata di ieri ho ricevuto qualche centinaia di email di risparmiatori in preda ad una crisi di nervi dopo quanto è stato fatto trapelare sulle misure di possibile contenimento post elezioni greche: si va dal contigentamento dei conti correnti (come in Argentina nel 2001) sino al bando del trattato di Shenghen. Nonostante questo, ci sono ancora italiani che alle 18:30 corrono a casa per non perdersi l'Olanda che gioca con la Germania agli Europei. Mi viene da sorridere in questo momento perchè se la situazione sfuggisse di mano vedremo (forse) la finale di una competizione sportiva per l'assegnazione di un titolo europeo quando di Europa potrebbe veramente rimanere poca cosa (e questo nel giro di qualche settimana). Affannarsi adesso a cercare di aprire il conto in Svizzera o di investire sull'oro in pochi giorni non ha proprio senso: pensate che proprio il metallo giallo si sta muovendo in controtendenza con la percezione del rischio, in quanto si teme che possa essere espropriato o congelato quello detenuto dai privati per investimenti personali. Come dice il titolo, iniziate a pregare. Pregate che i greci non siano così scellerati da segare le gambe della sedia in cui sono adesso seduti, pregate che i mercati azionari ai valori attuali stiano già scontando il worst case scenario, pregate che la Merkel rinsavisca nel sonno delle prossime notti, pregate che Draghi dimostri di essere a tutto il mondo veramente Super Mario, pregate che le banche italiane in caso di addio ellenico all'euro non siano commissariate, pregate che le autorità di controllo e vigilanza dei mercati impongano la chiusura delle negoziazioni per ragioni di sicurezza nazionale (come fecero gli USA con l'attacco del 9/11), pregate che il FMI presti a dismisura quello che serva per sostenere paesi deboli come Spagna e Italia, pregate che la Cina si faccia avanti per sorreggere le quotazioni dei titoli di stato europei, pregate che qualcuno non si inventi un prelievo straordinario sui depositi a vista per drenare risorse finanziarie da devolvere al sistema bancario europeo, infine pregate che la vostra vita non finisca come quella di J.J. Braddock come raccontata nella prima parte del film Cinderella Man. Si parla tanto della fine del mondo nel 2012 causa simbiosi con il calendario maya, non so se ci sarà a fine anno la fine del genere umano, di certo se il clima in Europa non muta velocemente rischiamo di vedere la fine dell'Europa e dell'Euro. Cerchiamo di essere pragmatici: nessuno auspica la fine della moneta unica, non conviene a nessuno e pochissimi avrebbero da guadagnarci in misura sostanziale. Questo è l'unico dato di fatto a cui ci possiamo aggrappare come fosse un maniglione antipanico. Tuttavia dobbiamo anche notare come nessuno si stia autorevolmente impegnando per uscire da questa situazione paradossale di limbo finanziario in cui siamo catapultati. Forse nessuno si impegna a cercare una soluzione definitiva, perchè purtroppo non esiste la exit strategy o la medicina amara da prendere. Ci sono solo dei calmanti come gli stability bond o del cortisone come la politica di austerity. Sarà proprio per questo che dobbiamo effettivamente pregare. di Eugenio Benetazzo

17 giugno 2012

Quelle oligarchie invisibili fantasmi della democrazia

Quando la locuzione “poteri forti” fu coniata, nei primi anni della Seconda Repubblica, si riferiva a Confindustria, a parti della magistratura, ai servizi segreti, alla massoneria, e anche ai potentati economici internazionali. Insomma, a istituzioni pubbliche e private molto diverse tra loro, e unite solo dal non avere natura rappresentativa, cioè dall’essere esterne, o a volte ostili, all’esercizio trasparente del potere, alla sua fonte originaria di legittimità (il popolo), e ai suoi canali d’espressione politica (i partiti) e istituzionale (il parlamento e il governo). Davanti a questi poteri (recentemente evocati da Mario Monti perché il suo governo avrebbe perso il loro appoggio), la democrazia rappresentativa è debole proprio in quanto potere pubblico, sfidato da forze che sono di volta in volta elitarie, segrete, nascoste, private, illegali. In quest’ottica, è il popolo a esercitare un potere fittizio, universale, artificiale, a cui si contrappongono poteri reali, opachi, ristretti, “naturali” perché fondati sull’antichissima base del privilegio. Poteri, inoltre, che non accettano il rischio dell’esercizio diretto, fosse anche nella forma dell’oligarchia; e che assumono la veste del potere indiretto, di un potere, cioè, che si cela, oppure che nega di essere potere, per non sottostare a regole comuni e per non rispondere della propria azione. All’origine della filosofia politica moderna il potere indiretto era quello esercitato sulle coscienze dalla Chiesa cattolica (non menzionata nell’elenco consueto dei poteri forti, benché lo sia, con ogni evidenza), a cui le élites laiche rispondevano con il potere dello Stato, con la costruzione della sovranità, col potere invincibile di tutti. Una questione seria, dunque, quella dei poteri forti. Una questione che un tempo si declinava da destra in termini di plutocrazia (per di più, “giudaica”) opposta alla sana forza collettiva delle nazioni, mentre da sinistra si istituiva l’antitesi fra la prassi popolare e il complotto – le “forze oscure della reazione in agguato”, secondo il lessico dei primi anni del dopoguerra; ma le leggende (non infondate) sulla Commissione Trilaterale o sul gruppo Bilderberg sono giunte fino agli anni Ottanta, insieme al mito dell’onnipotenza della Cia, del Kgb, o delle multinazionali. Una questione che è anche declinabile come la continuità, nelle diverse forme storiche, dell’eterno potere delle élites, o della legge del più forte, che la democrazia cerca di spezzare, istituendo una discontinuità: che consiste o in una strategia monistica, facendo nascere un nuovo potere dal popolo, un potere forte appunto perché non di una parte ma anzi perché di tutti, o con una sensibilità pluralistica, spingendo le classi dirigenti a competere apertamente per il consenso dei cittadini. O, anche, costruendo e organizzando poteri più forti dei poteri forti; contropoteri di lotta e di governo (come si diceva un tempo). Con poteri forti si intende quindi la rocciosa permanenza delle diverse forme del potere di sempre – parziali, egoiste, autointeressate – all’interno degli spazi istituzionali democratici; la loro occhiuta e lungimirante vigilanza perché nulla cambi veramente; la loro capacità di influenzare invisibilmente o indirettamente la politica visibile; di contrapporre la propria permanenza e la propria stabilità all’accidentalità, alla casualità e alla fugacità dei poteri costituiti. Si intende insomma l’impossibilità che la vita associata sia governata dalla ragione pubblica senza alcun elemento di segreto, o che sia indenne da corpose e incoercibili ragioni private – ad esempio, il “complesso militare-industriale” di cui parlava un presidente repubblicano come Eisenhower –. I poteri forti sono quindi un segno di una debolezza strutturale della politica democratica, di un limite oggettivo al suo potere, con cui è realistico accettare di dover fare i conti, senza sottomettervisi. Ma spesso sono anche un comodo alibi, un nome generico, buono a tutti gli usi, col quale una politica debole per sua colpa o imprevidenza soggettiva copre insuccessi e fallimenti di cui non si vuole assumere la responsabilità. Assi portanti della storia materiale del nostro tempo, convitati di pietra al banchetto della democrazia, in ogni caso i poteri forti oggi hanno una dislocazione extra-statale e extra-nazionale; sono le grandi case farmaceutiche padrone del biopotere globale, le agenzie di rating, la finanza internazionale (i “mercati”), le istituzioni economiche mondiali ed europee, i media di dimensione transcontinentale, le mafie pluritentacolari, le istituzioni che curano la Ricerca e Sviluppo per la Difesa delle grandi potenze, le multinazionali dei generi alimentari e dell’energia. A questi veri poteri forti si abbarbicano oggi i poteri forti di rango nazionale; che a volte – grande novità – esercitano direttamente il potere politico, in fasi d’emergenza o di estrema debolezza dei poteri istituzionali, come referenti e garanti di alcuni vitali interessi sia nazionali sia sovranazionali. E quando questi poteri locali trovano ostacoli alla propria azione, hanno la tentazione di presentarsi come abbandonate da quei poteri forti, che in realtà esse stesse incarnano e tutelano. La lotta contro i poteri forti – anche se in realtà sono soltanto categorie riottose, corporazioni egoiste – diviene così uno slogan e un alibi per gli stessi poteri forti. Che ciò dimostri ancora una volta la loro forza – la loro capacità di eludere la responsabilità politica – o piuttosto la loro debolezza e insufficienza, lo si capirà tra breve. Da subito si comprende invece che, benché forse impossibile da raggiungere pienamente, un decente obiettivo dell’azione politica dovrebbe essere che i poteri forti trovino un nuovo limite, e un orientamento, in un più forte potere di tutti. di Carlo Galli