21 luglio 2012
Aspetti del degrado occidentale: il gioco d’azzardo
Una cosa è innegabile. Dove arrivano “l’Occidente”e la “modernità”, arriva il degrado. Il degrado dell’essere umano. Tutto o quasi, esteriormente, può dare l’impressione di essere “nuovo”, “avanti” e “pulito” rispetto a chi è “rimasto vecchio, indietro e sporco”, secondo quella miope visione che ancora spopola tra le generazioni più ‘stagionate’ cresciute nel mito del “miracolo economico” e tra certi giovinastri ridotti a zucche vuote da un sistema sempre più vacuo dal punto di vista valoriale, educativo ed esistenziale. Ma si tratta della facciata, dell’apparenza, alla quale tiene così tanto chi si compiace di essere “moderno”. Ma il fuori è bello e il dentro è brutto, potrebbe recitare una pubblicità che presentasse sinteticamente cosa sia il “mondo moderno”.
Tuttavia il degrado, beninteso, una volta che s’insinua dentro l’uomo si rispecchia anche nel mondo esteriore, e già cominciamo a constatarne gravi e preoccupanti segnali, specialmente nelle grandi città. Ma quello che qui più mi preme è rilevare come la “modernità”, la “democrazia” compiuta, dopo aver abbagliato i più sprovveduti perché “indifesi” (e non vagamente “disinformati”) con i suoi abbaglianti specchietti, comporta un’inesorabile abdicazione dell’uomo da quella che dovrebbe essere la sua posizione “signorile” (rabbânî) nel contesto della Creazione.
I demoni preposti allo scopo di traviare l’essere umano in ogni modo e farlo così fallire ne studiano di tutti i colori. Intendiamoci: per ogni tipo umano, ciascun “carattere”, esiste un tranello, un’insidia, di grado commisurato al suo grado di “consapevolezza”, o meglio di “realizzazione”. Con la maggioranza degli uomini, l’Avversario gioca per così dire “sul velluto”, quindi gli basta davvero ben poco per sviarlo.
Uno di questi trucchi è il gioco d’azzardo.
Cominciamo col dire che questa pratica è stata sempre condannata dalle tradizioni regolari, e tra queste l’Islam. Il motivo è presto detto: essa implica un ‘calcolo’ sul futuro, che nessun essere umano può conoscere, e soprattutto genera denaro dal denaro, senza sforzo, il che la equipara all’usura, al prestito ad interesse, insomma, all’attività cosiddetta “legale” che caratterizza il moderno settore finanziario. E non è solo l’Islam a sostenere che tutto ciò è profondamente aberrante: a beneficio di chi si dichiara “cristiano” solo per darsi una “identità” o per dare addosso a qualcun altro, ricordiamo l’episodio evangelico di Gesù che esce letteralmente dai gangheri (ed è l’unica volta!) per cacciare i “mercanti dal Tempio”. “Mercanti” che in realtà erano dei “cambiavalute”, i quali, lucrando sui “cambi”, fornivano alla “povera gente” che disponeva solo della moneta locale, la divisa con cui dovevano essere versate le tasse all’Impero.
Ed era, sottolineiamolo, tutto “legale”… Il che non significa un bel niente, perché al di là della “legge” scritta per favorire qualche camarilla e tiranneggiare le vite degli uomini, esiste una “legge morale”, o meglio una legge divina che, provvidenzialmente, è stata resa nota agli uomini affinché poi non possano dire “non sapevamo” quando giungerà l’inevitabile flagello per il male e lo “scandalo” che è stato sparso.
Dopo questa necessaria premessa, veniamo al tema dell’articolo, il gioco d’azzardo.
A chiunque sarà capitato di osservare che, di pari passo con la proliferazione di filiali di banche e società finanziarie, stanno spuntando come funghi anche “sale da gioco” e “bische”, ovviamente dotate del crisma della “legalità”.
Il fenomeno negli ultimi mesi sta assumendo proporzioni preoccupanti. Vi sono bar che si trasformano d’un colpo, cambiando addirittura l’insegna, in sedi “in franchising” di qualche gestore di “slot machine”. Altrove, con maggiori ‘pretese’, aprono ampi e luccicanti ‘casinò da sfigati’, con decine di postazioni per “tentare la fortuna”. Questi ultimi sono situati preferibilmente nelle vicinanze di luoghi frequentati da masse ‘al pascolo’, ovvero i luoghi dello “shopping”. Ma mentre il casinò tradizionale aveva un che di artatamente “altolocato” (a partire dal mitico “rien ne va plus!”), e non a caso sorge al confine di Stato (Sanremo, Campione d’Italia…), coi clienti che vanno lì paludati da gran signori, queste ‘bische di quartiere’ sono alla portata di chiunque, col che l’occasione di andare a scialacquare il proprio denaro si presenta senza doversi recare chissà dove. Ripeto: stanno spuntando ovunque, segno che la perversa pratica si sta diffondendo a macchia d’olio.
I bar, poi, non hanno mai brillato per la qualità della loro clientela, ma adesso, trasformandosi in “sale da gioco”, finiscono per somigliare alle proverbiali “spelonche di ladri”. Vi è infatti da rilevare che questi luoghi sono dei punti di raccolta di individui poco raccomandabili, fannulloni, parassiti e sfruttatori delle proprie malcapitate famiglie. Gente in qualche caso anche pericolosa.
Questa piaga sociale non viene assolutamente tenuta in conto da uno “Stato” che anziché tutelare la salute e la probità delle famiglie, individua nell’apertura di sale da gioco e nell’istituzione di sempre nuovi concorsi a premi occasioni per “fare cassa”. La cosa triste è che si sono pure inventati un patetico bollino “gioca sicuro”, che chissà in quale modo dovrebbe impedire ad una persona di cadere nella “malattia del gioco”. Che vergogna!
Che si tratti di una vera e propria malattia non lo dico io, ma lo Stato stesso, che in alcune strutture sanitarie pubbliche apre centri specializzati nella cura di persone per le quali il gioco d’azzardo è diventata una patologia incontrollabile. Ma come al solito, in regime democratico, non si “osa” mai abbastanza, perlomeno in quegli ambiti che comunque devono andare così (perché dove vogliono “osano” eccome). Ricordo infatti distintamente il parere di un “esperto” in camice bianco che interpellato da un giornalista su cosa ne pensasse del gioco d’azzardo rispose che “bisogna comunque giocare con moderazione”. Che coraggio, proprio lui, che avrà senz’altro esperienza di famiglie mandate in rovina, economica e morale, da un malcostume incoraggiato dallo Stato stesso!
La pratica di scommettere, di fare delle “puntate”, di staccare un biglietto della lotteria, intendiamoci, è già presente da anni, con lo Stato che ci fa il suo bel gruzzolo senza mai riferire nel dettaglio che cosa fa con questa fortuna: ci ripaga, ai signori del denaro, gli “interessi sul debito”? Li spende nella farsesca “guerra al terrorismo” in Afghanistan? Li sperpera per rovinare la salute dei cittadini considerato che la continua irrorazione aerea di sostanze le più nocive avrà un costo esagerato? Non sono domande da poco.
Siamo così passati, dopo una prima fase in cui il tutto sembrava “innocuo”, da una serie di scommesse e lotterie, quali Lotto ed Enalotto, Totocalcio, Totip, Lotteria di Capodanno, di Agnano, di Viareggio ecc. ad una quantità di occasioni per buttare via quei tre soldi di cui gli italiani dispongono che davvero fa spavento. E, si badi bene, un primo evidente incremento di tutto ciò lo si ebbe dopo la falsa stagione moralizzatrice denominata “Mani Pulite”, quando assieme al primo saccheggio dello Stato italiano che adesso viene ripreso in grande stile, si assistette ad un’ondata mai vista prima di “delizie” provenienti dall’Angloamerica.
Qualcuno forse ricorderà le “sale bingo”, versione ammodernata della tombolata in famiglia, saltate fuori proprio nei primi anni Novanta. O i viaggetti di arzilli e scellerati vecchietti per i quali si organizzavano gite nella “nuova Slovenia” per buttare lì la loro pensione. O i “gratta e vinci”, successivamente resi più “sofisticati” differenziando l’offerta, fino a giungere alle follie della vacanza o del “vitalizio” in caso di vincita.
Che tristezza: Lorsignori, i professionisti delle “privatizzazioni”, a rimpinzarsi con le membra del fu “patrimonio pubblico” accumulato coi sacrifici di una nazione affinché fosse ben gestito, mentre la massa rincretinita ed illusa “gratta” nella speranza di “cambiare vita”. Tra l’altro, quest’anelito a “cambiare vita” diffuso nella gente più ignorante, oltre che indicare la non eccelsa esistenza che conduce, a livello “spirituale” ha delle ricadute devastanti poiché l’insoddisfazione è essenzialmente ingratitudine, e “rendere grazie” a Dio è l’atto che tutti, per sperare almeno di “salvarsi”, dovrebbero compiere quotidianamente per tutti i benefici e le bellezze di cui sono stati onorati; solo che non se ne accorgono, perché da una parte sono stati abituati a non accontentarsi mai, dall’altra vivono effettivamente una “vita senza senso”, la quale, però, al confronto di quella di un minatore cileno o di un contadino africano dal punto di vista materiale è infinitamente più agevole…
Con la diffusione di internet, inoltre, non vi è stato praticamente più limite alle scommesse cosiddette “sportive” (lo sport è ben altra cosa: lo si fa e non lo guarda!). Dai “punti” specializzati, che spesso sorgono alla confluenza di masse di abbrutiti – ma anche di “gente normale”, che così viene ‘adescata’ - quali le adiacenze delle stazioni ferroviarie, dove non è raro trovare abbandonate lì davanti mucchi di bottiglie di birra o altra bevanda inebriante (un vizio tira l’altro: il classico scommettitore incallito beve e fuma), si è passati al “gioca sicuro” on line; qui la fantasia diabolica s’è scatenata, al punto che giocano tutti, anche i ragazzini con la complicità di genitori dementi, e si punta su tutto, anche in corso d’opera, ovvero mentre stanno giocando la tal partita che il “malato” altrimenti detto “sportivo” (da poltrona) si starà godendo grazie alla sua amata “pay tv”.
Una delle cose che lascia stupefatti è che dalle scommesse sulle squadre italiane si è passati alle puntate su tutti i campionati possibili e immaginabili. Ma pensiamoci un attimo: qual è la storica “patria delle scommesse”? Ma l’Inghilterra, che diamine! E dove si è tenuta, nel 1992, in piena “tempesta monetaria” sulla Lira, l’ormai leggendaria riunione dei vari traditori della patria, ancora oggi tutti lì a farci la pelle? Sul panfilo Britannia, di proprietà della Regina d’Inghilterra!
Ergo: la sudditanza alla Perfida Albione - quella che ha schiavizzato mezzo mondo (si ricordi solo l’India, ridotta alla fame per due secoli!), che da sempre architetta guerre in casa altrui (accusando gli altri di averle volute), che rovina anche i propri “alleati”, che si tiene stretta la sua Sterlina ma controlla la BCE eccetera… -, questa sudditanza si esplica nella diffusione d’inveterate abitudini, diciamo così, del popolo britannico. Non sorprenderebbe quindi, se tra un po’ scoppiasse anche qua la mania delle corse dei levrieri, tanto è il grado di sudditanza alla City!
Intanto, ‘accontentiamoci’ della “Las Vegas europea”, la quale, a riprova che “crisi” e degrado indotto procedono in maniera integrata, sorgerà in Spagna, un'altra nazione dotata del marchio “pigs” massacrata dalla piovra finanziaria cosiddetta “internazionale”. Eurovegas – ci assicurano i suoi ideatori - darà un contributo decisivo all’abbattimento della disoccupazione, ma in cambio pretendono, a mo’ di ricatto verso una classe politica imbelle, senza idee e totalmente succube, “agevolazioni e flessibilità”! Il tutto mentre agli spagnoli si chiedono, per “sanare il debito” (della “moneta-debito”!), le solite “lacrime e sangue”…
Sull’identità, poi, dei grandi “magnati del gioco d’azzardo” a livello mondiale, è presto detta: meglio non fare troppi nomi per non essere tacciati di “antisemitismo” (l’ultima trincea di chi non ha più argomenti). Idem per il grande commercio di superalcolici, la pornografia e il relativo sfruttamento della prostituzione, compreso quello di giovanissime dell’est europeo, il cosiddetto “show business” che veicola contenuti satanisti e, dulcis in fundo, il traffico di organi.
Che non si possa fare nulla di “concreto” contro questo male sparso a piene mani sulla terra, lo prova una recente vicenda: le dimissioni del Colonnello della Guardia di Finanza Umberto Rapetto, il quale aveva inteso veder chiaro su questo immenso giro di soldi legato al gioco d’azzardo cosiddetto “legalizzato”.
Chi può, infatti, sconfessare in maniera così plateale un onesto “servitore dello Stato” nell’esercizio delle sue funzioni, se non un potere “occulto” contro il quale non è lecito “osare”?
Il punto è proprio questo. Se da un lato la nostra società viene sempre più sottoposta ad una “cura” che si traduce in un progressivo ed evidente degrado, ciò non può che essere il risultato del furto, ad opera di chi ci ha dapprima invaso e poi selezionato le marionette che danno l’impressione di “governarci”, delle nostre indipendenza, sovranità e libertà.
Una volta detto “addio” a queste fondamentali istanze, ed abituata quella che un tempo era stata una “nazione” a non pensarsi più che una massa di “consumatori” e di fruitori di “servizi”, una “massa desiderante”, il resto è solo una conseguenza.
Ovvero il degrado che avanza, nelle strade, nelle famiglie, nelle coscienze. Di cui un grave indizio, contro il quale un potere sano, rispettoso dell’Ordine divino che presto o tardi dovrà essere ristabilito, è senz’altro la diffusione delle scommesse e del gioco d’azzardo.
di Enrico Galoppini
20 luglio 2012
Latouche: abbiamo bisogno che questo sistema crolli
«Sappiamo già che l’attuale sistema crollerà tra il 2030 e il 2070. Il vero esercizio di fantascienza è prevedere che cosa succederà tra cinque anni». Serge Latouche non ha dubbi: faremo la fine dell’Impero Romano, o del Sacro Romano Impero di Carlo Magno che fu travolto dai Barbari. «Purtroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico». Ed è solo l’inizio, nel bluff chiamato Europa. «La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore». Quanto all’Italia, «l’unica soluzione è la bancarotta: da Monti in giù, tutti sanno che il debito non potrà essere ripagato». Sono alcune delle affermazioni che l’ideologo francese della Decrescita ha rilasciato a Giovanna Faggionato per “Lettera 43”. Il sistema, dice Latouche, non ha mantenuto nessuna promessa: «Dicevano che la concorrenza ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, e invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti».
Lei ha un’idea?
L’Europa nata nel Dopoguerra farà la fine del Sacro Romano Impero di Carlo Serge LatoucheMagno che cercò di restaurare un regno crollato, durò per 50 anni e fu travolto dai barbari.
Che cosa c’entra l’impero romano?
Crollò alla fine del V secolo, ma non morì: continuò a sopravvivere per centinaia di anni con Carlo Magno, l’impero d’Oriente e poi quello germanico. Un declino proseguito nel tempo, con disastri in successione. Come succederà a noi.
È la fine della globalizzazione?
Io la considero una crisi di civiltà, della civiltà occidentale. Solo che, visto che l’Occidente è mondializzato, si tratta di crisi globale. Ecologica, culturale e sociale insieme.
Più di un crollo finanziario…
Se vogliamo andare oltre è la crisi dell’Antropocene: l’era in cui l’uomo ha cominciato a modificare e perturbare l’ecosistema.
E il sogno degli Stati Uniti europei?
È un’illusione. Perché è solo un prodotto della globalizzazione: non hanno costruito un’Unione, ma un mercato liberista.
Che fine farà il Vecchio continente?
L’Europa è schiacciata tra due movimenti. Uno politico e centrifugo che si è sviluppato anche in Italia con la stessa Padania. E uno economico e centripeto, la globalizzazione.
Per ora l’economia batte la politica…
Sì, il movimento centripeto ha il sopravvento. Ma è anche quello che nel lungo periodo andrà a crollare. Non può funzionare senza il petrolio e il blocco delle risorse materiali. Alla fine, con tutta probabilità l’Europa si dividerà in macro regioni autonome.
Come ci arriveremo?
La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore.
Parla del conflitto sociale in Grecia e Spagna?
Ecco, purtroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico. È solo l’inizio del processo, ma vediamo già gli effetti del mix di austerità e crescita voluto dai leader europei.
È comunque meglio della sola austerità…
Crede che l’imperativo della crescita funzioni? Basta guardare alla Francia: questo governo socialista vuole allo stesso tempo la prosperità e l’austerità. Ma non riuscirà a ottenere la crescita. O, se avverrà, sarà per pochi. Mentre l’austerità è sicura per molti.
Perché?
Perché non hanno scelta.
In che senso?
Sono chiusi dentro questo paradigma del produttivismo, del Prodotto interno lordo (Pil). È per questo che la decrescita è una rivoluzione. Perché prima di tutto è un cambiamento di paradigma.
Facile dirlo. Ma lei che cosa farebbe se fosse il premier italiano?
L’Italia dovrebbe andare in bancarotta.
Che cosa intende?
Pensi al debito.
Secondo l’Fmi quello italiano è quasi al 140% del Pil.
Appunto: non sarà ripagato, lo sanno tutti. Ne è consapevole anche Mario Mario MontiMonti. Il problema, per l’attuale classe dirigente, non è ripagare il debito. Ma è fingere di poter continuare il gioco: cioè ottenere prestiti e rilanciare un’economia che è solo speculativa.
Quali sono le prime cinque misure che adotterebbe al posto di Monti?
Innanzitutto, cancellerei il debito. Parlo come teorico, so che ci sono cose che Monti non potrebbe fare comunque, neppure se fosse di sinistra o un decrescente. Ma sto parlando di bancarotta dello Stato.
La bancarotta è la soluzione?
È più che altro la condizione per trovare le soluzioni.
In che senso?
Non porta necessariamente alla soluzione, anzi in un primo momento le cose possono peggiorare. Ma non c’è altro modo, perché non esiste via d’uscita dentro la gabbia di ferro del sistema attuale. L’Italia non sarebbe la prima né l’ultima. Tutti quelli che l’hanno fatto si sono sentiti meglio, da Carlo V all’Argentina.
Ma l’Argentina non era dentro una moneta unica.
Questo significherebbe uscire dall’euro, ovviamente, dentro non si può fare niente. Per questo dico che parlo come teorico: nemmeno i greci hanno avuto il coraggio di abbandonare l’Unione.
Siamo al terzo punto allora: uscire dall’euro, cancellare il debito e poi?
Rilocalizzare l’attività. C’è tutto un sistema di piccole imprese, di saper fare diffuso, che è stato distrutto dalla concorrenza globale.
Sì, ma come si fa?
Devo usare una parola che in Italia fa sempre paura: serve una politica risolutamente protezionista.
Su questo, il dibattito è annoso…
Esiste un cattivo protezionismo, è vero. Ma c’è anche un cattivissimo libero scambio. Mentre esiste un buon protezionismo, ma non un buon libero scambio.
Perché no?
Perché la concorrenza leale sempre invocata non esiste. E non esisterà mai. Semplicemente perché tutti i Paesi sono diversi. Come si può competere con la Cina? È una barzelletta.
Parla come se facesse parte della Lega Nord.
Lo so, lo so. E anche come uno del Front National. Sa perché ha successo l’estrema destra?
Me lo dica lei…
Perché non tutto quel che dicono è stupido. C’è una parte insopportabile, ma se sono popolari – e lo saranno sempre di più – è perché hanno capito alcune cose, hanno ragione. È questo che fa paura.
Quindi qual è la ricetta della decrescita?
Il protezionismo ci permette di non essere competitivi per forza. Se lo siamo in alcuni settori, bene. Ma possiamo anche sviluppare produzioni non concorrenziali. Stimoliamo la concorrenza all’interno, ma con Paesi che hanno altri sistemi sociali, altre norme ambientali, altri livelli salariali, questo non è possibile. D’altra parte, è stata l’eccessiva specializzazione a renderci così fragili.
Siamo alla quarta misura, quindi.
La tragedia attuale, per me, è soprattutto la disoccupazione.
E come pensa di risolverla?
Lavorando meno, ma lavorando tutti.
Una formula già sentita…
Sì, ma ci dicevano anche che la concorrenza attuale ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, come ha dichiarato quello sciagurato di Nicolas Sarkozy. E invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti.
Ma è una questione di denaro?
No, si tratta di vivere. Dobbiamo ritrovare il tempo per dedicarci al resto, alla vita. Questa è un’utopia, ma l’utopia concreta della decrescita: superare il lavoro.
Sì, ma come?
Partendo dalla riconversione ecologica. Tornando a un’agricoltura contadina, senza pesticidi e concimi chimici. In questo modo, la produttività per l’uomo sarà più bassa, ma si creeranno milioni di posti di lavoro nel settore agricolo. E questa è la quinta misura.
Basta l’agricoltura?
Dobbiamo affrontare la fine degli idrocarburi, sviluppare le energie rinnovabili e riconvertire le attività parassitarie che danneggiano l’ambiente.
Per esempio?
Le fabbriche di automobili, che oggi sono in crisi.
Peugeot ha annunciato 8 mila licenziamenti…
Bisognava aspettarselo da anni. Si sa che l’industria dell’auto non ha futuro: Peugeotcon lo stesso know how potrebbero essere trasformati in stabilimenti che producono sistemi di cogenerazione.
Parla di una globale ristrutturazione del mercato del lavoro?
La quota di occupati in agricoltura potrebbe arrivare al 10%. Ci sono industrie nocive come l’automobile, il nucleare, la grande distribuzione che vanno ripensate. E c’è la necessità di una riconversione energetica. In Germania, con le energie rinnovabili hanno creato decine di migliaia di posti di lavoro.
Ma sono dati contestati…
Il dibattito è aperto: si dice che chiudere le centrali nucleari francesi cancellerà 30 mila posti di lavoro ma, allo stesso tempo, prima bisogna smantellare. E nessuno lo sa fare. Quanti posti di lavoro si potrebbero creare allora?
E la grande distribuzione?
Sicuramente ha effetti distruttivi per l’ambiente e alimenta un alto tasso di spreco alimentare, pari a circa il 40% della produzione.
E allora?
Cancellarla significa essere pronti a ripensare tutto il sistema della città e soprattutto delle periferie.
Come?
La gente ha bisogno di piccoli negozi. Di fare la spesa più spesso, con più tempo a disposizione. Quando si comincia a cambiare un anello, come in una catena cambia tutto.
E i trasporti?
Dobbiamo pensare che il 99% dell’umanità ha passato la propria vita senza allontanarsi più di 30 chilometri dal proprio luogo di nascita. Quelli che si sono spostati di più, cioè noi, sono solo l’1%. Anche questo è un fenomeno molto recente e la maggioranza delle persone non ne soffrirà, poi ci saranno sempre i grandi viaggiatori alla Marco Polo.
Ne è certo?
È stata la pubblicità a creare il turismo di massa. In ogni modo, con la fine del petrolio, non ci sarà il traffico aereo di oggi, i trasporti costeranno sempre di più, andranno meno veloce. Muoversi sarà sempre più difficile.
E a livello fiscale?
Bisognerebbe introdurre una tassazione diretta e progressiva. Che può arrivare anche al 100%, se i redditi superano un certo livello. E poi una tassazione sul sovraconsumo dei beni comuni. A partire dall’acqua.
Quindi meno lavoro e più agricoltura. Per ottenere cosa?
Un mondo di abbondanza frugale.
Cioè?
Una società capace di non creare bisogni inutili, ma di soddisfarli. E per soddisfarli, bisogna limitarli.
Le sembra possibile, quando gli operai cinesi si suicidano per un iPad?
In una società sana non esiste questa forma di patologia dell’insoddisfazione. BceCi può essere una forma di seduzione, ma non un’insoddisfazione permanente. Questo fenomeno è esacerbato dalla pubblicità.
Cioè?
Ci convince che siamo insoddisfatti di ciò che abbiamo, per farci desiderare ciò che non abbiamo.
Vorrebbe spazzare via il marketing?
Una delle prime misure della società della decrescita riguarda la pubblicità: non si tratta di cancellarla – perché non siamo terroristi – ma di tassarla fortemente, questo sì.
Con che motivazione?
È lo strumento di una gigantesca manipolazione, il veicolo della colonizzazione dell’immaginario.
E la finanza che rappresenta il 10% del Pil britannico?
Penso che questa crollerà da sola. Sarebbe già successo se questi sciagurati di governi non avessero salvato le banche.
Che cosa intende?
È colossale quello che è stato fatto per le banche negli Usa: secondo l’Ocse, 11.400 miliardi di dollari di fondi pubblici sono stati destinati agli istituti di credito.
Se facciamo crollare le banche si affossa il sistema…
Sì, meglio così. Abbiamo bisogno che il sistema crolli.
E i cittadini?
Dobbiamo pensare a come riorganizzare il funzionamento della società. Ma bisogna ricordarsi che questo sistema così come lo conosciamo è piuttosto recente.
Quanto?
Non ha più di 30-40 anni, prima era un sistema capitalista, ma non funzionava su queste basi finanziarie.
Che misure bisognerebbe adottare?
Il primo passo, prima di rimettere in discussione l’intero sistema bancario, è cancellare il mercato dei futures: pura speculazione. Un economista francese, Frédéric Lordon, ha anche proposto di chiudere le Borse. E non sarebbe un’idea stupida.
Che cosa succede alle società che ci lavorano? E ai dipendenti?
La situazione attuale è talmente tragica che possiamo affrontare con serenità anche un cambiamento difficile.
Nella società della decrescita circola denaro?
La moneta è un bene comune che favorisce lo scambio tra i cittadini. Ma se è Frédéric Lordonun bene comune non deve essere privatizzata. Le banche sono degli enti privati. E allora dico sempre che noi vogliamo riappropriarci della moneta.
Come?
Magari partendo dai sistemi di scambio locali che utilizzano monete regionali. Come ha funzionato per due o tre anni in Argentina, dopo il crollo del peso.
E chi governa il commercio?
Diciamo che sarà necessario trovare un coordinamento tra le varie autonomie.
Ma nel suo modello ogni regione fa da sé?
Ogni Paese deve trovare la sua strada. Una volta che siamo riusciti a uscire dal mondo del pensiero unico, dell’homo oeconomicus, a una sola dimensione, allora ritroviamo la diversità. Ogni cultura ha il suo modo di concepire e realizzare la felicità.
Esistono già esperienze in questa direzione?
In Sud America sono sulla strada giusta. In Ecuador e Bolivia, ispirandosi alla cultura india, hanno inserito nella Costituzione il principio del bien vivìr: del buon vivere. Ma, con la crisi, la decrescita ha avuto un successo incredibile anche in Giappone.
Come mai?
I giapponesi stanno riscoprendo i valori del buddismo zen che si basa sul principio di autolimitazione. E sono convinto che la stessa cosa potrebbe succedere in Cina nei prossimi anni, anche attraverso il confucianesimo.
La Cina però è anche la più grande fabbrica del mondo…
Lì la crisi è già arrivata. La situazione cinese è bifronte: 200 milioni di abitanti hanno un livello di vita quasi occidentale e altri 700 milioni sono stati proletarizzati. Cacciati dalla terra, si accumulano nelle periferie delle metropoli, dove c’è un tasso di suicidi altissimo.
Ma l’economia continua comunque a crescere.
Anche il ministro dell’Ambiente cinese ha riconosciuto che se si dovesse sottrarre dal Pil di Pechino la quota di distruzione dell’ambiente questo calerebbe del 12%.
Come immagina la transizione?
Può avvenire spontaneamente, dolcemente. Ma anche in un modo violento.
Lei sogna la democrazia diretta?
Se si deve prendere la parola sul serio, ha senso solo la democrazia diretta. Ma direi che su questo punto, recentemente, le mie idee sono cambiate.
Norberto BobbioIn che direzione?
Prima immaginavo un’organizzazione piramidale con alla base piccole democrazie locali e delegati al livello superiore.
E ora?
Oggi penso che la democrazia sia un’utopia che ha senso come direzione. Ma la cosa importante è che il potere, quale che sia, porti avanti una politica che corrisponde al bene comune, alla volontà popolare, anche se si tratta di una dittatura o di un dispotismo illuminato.
Si spieghi meglio.
Norberto Bobbio si chiedeva quale è la differenza tra un buono e un cattivo governo. Il primo lavora per il bene comune. Il secondo lo fa per se stesso. Questa è la vera differenza.
Va bene, ma come si ottiene un buon governo?
Con un contropotere forte. Un sistema è democratico – non è la democrazia, attenzione, ma è democratico – quando il popolo ha la possibilità di fare pressione sul governo, qualunque esso sia, in modo da far pesare le proprie esigenze e idee.
Ma non sta rinnegando la democrazia?
L’ideale sarebbe naturalmente l’autogoverno del popolo, ma questo è un sogno che forse non arriverà mai.
Non pensa alla presa del potere?
Gandhi l’aveva spiegato a proposito del suo Paese: «Al limite gli inglesi possono restare a governare, ma allora devono fare una politica che corrisponde alla volontà dell’India. Meglio avere degli inglesi piuttosto che degli indiani corrotti». Mi sembrano parole di saggezza.
Sa che Silvio Berlusconi vuole tornare in politica?
Ah, lo so, ma lui è pazzo.
di Giorgio Cattaneo
(Giovanna Faggionato, “Il debito non sarà ripagato, meglio partire da zero”, intervista a Serge Latouche pubblicata su “Lettera 43” il 17 luglio 2012).
19 luglio 2012
Le finanze invisibili
Una crisi con nome e cognome
I socialisti europei denunciano duramente “la finanza” che governa il mondo senza alcuna restrizione e che invece sarebbe opportuno regolamentare meglio. Inoltre, bisognerebbe sapere di cosa e di chi stiamo parlando; poiché l’immagine eterea dei “mercati” lascia nell’ombra i veri beneficiari della crisi e delle misure di austerità in corso.
Jean Peyrelevade, passato dalla banca pubblica alla finanza privata, e da François Mitterrand a M. François Bayrou, spiegava nel 2005: “Il capitalismo non è più identificabile. […]Con chi si rompe quando si rompe con il capitalismo? Quali istituzioni bisogna attaccare per mettere fine alla dittatura del mercato, fluido, globale e anonimo?”. L’ex-direttore aggiunto del gabinetto del primo ministro Pierre Maruroy concludeva: “Marx è impotente di fronte a un nemico non identificabile” (1).
Ci stupisce davvero che un rappresentante dell’alta finanza - presidente di Banca Leonardo France (famiglie Albert Frère, Agnelli e David-Weill) e amministratore del gruppo Bouygues - neghi l’esistenza di un’oligarchia? È più strano il fatto che i media dominanti diffondano quest’immagine disincarnata e depoliticizzata dei potenti della finanza. La copertura giornalistica della designazione di Mario Monti alla Presidenza del Consiglio Italiano potrebbe ben rappresentare, in questo senso, il perfetto esempio di un discorso-schermo che fa riferimento a “tecnocrati” ed “esperti” laddove si sta costituendo un governo di banchieri. Sui siti Web di alcuni quotidiani abbiamo persino letto che alcune “personalità della società civile” avevano appena preso il comando (2).
Anche se l’équipe di Monti annovera tra le sue fila professori universitari, la scientificità della sua politica era stata stabilita in anticipo dagli esperti. Ma, guardando più da vicino, scopriamo che la maggior parte dei ministri della squadra facciano parte dei vertici dei principali trust della penisola.
Corrado Passera, ministro dello Sviluppo Economico, è direttore esecutivo di Intesa Sanpaolo; Elsa Fornero, ministro del Lavoro e professoressa di economia all’Università di Torino, occupa la vicepresidenza di Intesa Sanpaolo; Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e rettore dell’Università di Torino, è amministratore di Unicredit Private Bank e di Telecom Italia -controllata da Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca- dopo essere passato per Pirelli; Piero Gnudi, ministro per il Turismo e per lo Sport, è amministratore di UniCredit Group; Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, professore di Scienza delle finanze all’Università Cattolica di Milano, è vicepresidente di Banca Popolare e amministratore di Pirelli. Quanto a Monti, è stato consulente di Coca Cola e di Goldman Sachs, e amministratore di Fiat e di Generali.
Non molto diversi
Se i dirigenti socialisti europei non hanno parole abbastanza dure per qualificare l’onnipotenza dei “mercati finanziari”, la riconversione degli ex referenti del social-liberismo avviene senza che i loro ex compagni esprimano la loro indignazione. L’ex-primo ministro dei Paesi Bassi, Wim Kok, ha preso parte ai vertici dei trust olandesi ING, Shell e KLM. Il suo omologo tedesco, l’ex-cancelliere Gerhard Schröder, si è anche lui riciclato nell’ambito privato come presidente dell’impresa Nord Stream AG (joint-venture Gazprom/E.ON/BASF/GDF Suez/Gasunie), dirigente del gruppo petrolifero TNK-BP e consigliere europeo di Rothschild Investment Bank. Questa traiettoria a prima vista sinuosa non ha, in realtà, nulla di singolare. Diversi ex membri del suo gabinetto, membri del Partito Socialdemocratico tedesco (SPD), si sono spogliati dei loro ruoli di funzionari pubblici per indossare i panni degli uomini d’affari: l’ex-ministro dell’Interno Otto Schilly è attualmente consulente del trust finanziario Investcorp (Bahrein), dove si è incontrato con il cancelliere conservatore austriaco Wolfgang Schüssel, il vicepresidente della Convenzione Europea Giuliano Amato e perfino Kofi Annan, ex segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). L’ex ministro dell’Economia e del Lavoro tedesco, Wolfgang Clement, è socio della firma RiverRock Capital e dirigente di Citigroup Germania. Il suo collega, Caio Koch-Weser, sottosegretario di Stato tedesco al ministero federale delle Finanze dal 1999 al 2005, è vicepresidente di Deutsche Bank. Infine, il ministro delle Finanze del primo governo di Angela Merkel, Peer Steinbrück, SPD, è amministratore di ThyssenKrupp. Per quanto riguarda i “degni eredi” (3) di Margaret Thatcher ed ex leaders del Partito Laburista, hanno giurato fedeltà all’alta finanza: l’ex ministro per gli Affari Esteri, David Miliband, è consulente alle imprese VantagePoint Capital Partners (Stati Uniti) e Indus Basin Holdings Ltd. (Pakistan); l’ex Commissario europeo al Commercio, lavora per la banca d’affari Lazard; lo stesso Anthony Blair, è contemporaneamente consulente della società svizzera Zurich Financial Services, amministratore del fondo di investimenti Landsdowne Partners e presidente del Comitato consultivo internazionale di JPMorgan Chase, insieme a Kofi Annan ed Henry Kissinger.
Ci dispiace infliggere al lettore questo elenco ma, d’altro canto, è nostro dovere farlo poiché i mezzi di comunicazione omettono costantemente di informare sugli interessi privati delle personalità pubbliche. Oltre la porosità tra due mondi che tendono a mostrarsi come distinti - se non addirittura contrapposti -, l’identificazione dei suoi doppiogiochisti è necessaria per la corretta comprensione del funzionamento dei mercati finanziari.
Infatti contrariamente a un’idea in voga, la finanza ha uno, anzi, diversi volti (4). Non quello del pensionato della Florida o del piccolo azionista europeo, dipinti dalla stampa condiscendente, quanto piuttosto quelli di un’oligarchia di proprietari e amministratori di ricchezze. Peyrelevade ricordava già nel 2005 che lo 0,2% della popolazione mondiale controllava la metà della capitalizzazione in borsa del pianeta (5). Questi portafogli sono amministrati da banche (Goldman Sachs, Santander, BNP Paribas, Société Générale, etc.), compagnie di assicurazione (AIG, AXA, Scor, etc.), fondi pensionistici o di investimento (Berhshire Hathaway, Blue Ridge Capital, Soros Fund Management, etc.); istituti che investono anche fondi propri.
Questa minoranza specula sul prezzo delle azioni, del debito sovrano o delle materie prime, grazie a una gamma quasi illimitata di prodotti derivati che rivelano l’inesauribile inventiva degli ingegneri finanziari. Lungi dal rappresentare il risultato “naturale” dell’evoluzione di economie mature, i “mercati” costituiscono la punta di diamante di un progetto che, come hanno avvertito gli economisti Gérard Duménil e Dominique Lévy, è stato “concepito per incrementare le entrate delle classi alte” (6). Un risultato innegabile: nel mondo ci sono attualmente 63.000 “centomilionari” (che posseggono, cioè, almeno cento milioni di dollari), che rappresentano una ricchezza combinata di circa 40.000 miliardi di dollari (ovvero una anno del PIL mondiale).
Gli irresponsabili diventati saggi
Siamo di fronte a una personificazione dei mercati che potrebbe risultare scomoda, tanto che a volte è più facile lottare contro i mulini a vento. “Nella battaglia che sta per cominciare, vi dirò qual è il mio vero avversario - esclamava l’allora candidato socialista alle presidenziali francesi, François Hollande, nel suo discorso di Bourget (Seine-Saint-Denis), il 22 gennaio scorso -. Non ha nome, né volto, né partito; non presenterà mai la sua candidatura, e dunque non sarà mai eletto. Questo avversario è il mondo della finanza”. Attaccare gli autentici attori dell’alta banca e della grande industria avrebbe anche potuto portarlo a fare i nomi dei dirigenti dei fondi di investimento che decidono, in piena coscienza, di sferrare attacchi speculativi sui debiti dei paesi del sud dell’Europa. O perfino a mettere in discussione il doppio ruolo di alcuni dei suoi consiglieri, senza dimenticare quello dei suoi (ex) colleghi socialisti europei che sono passati da una multinazionale all’altra.
Scegliendo come capo della sua campagna elettorale Pierre Moscovici, vicepresidente del Cercle de l’Industrie, una lobby che raggruppa i dirigenti dei principali gruppi industriali francesi, il candidato socialista stava dando un segnale ai “mercati finanziari”: l’alternanza socialista decisamente non rima più con la rottura rivoluzionaria. Non è forse stato Moscovici a dire di “non avere paura della politica del rigore”, affermando che, in caso di vittoria, i deficit pubblici sarebbero stati “ridotti a partire dal 2013 sotto il 3% (…), costi quel che costi, il che implicherebbe “prendere le misure necessarie”? (7).
Discorso imposto dalla comunicazione politica, la denuncia dei “mercati finanziari”, tanto virulenta quanto inoffensiva, resta finora lettera morta. Come Barack Obama, che concesse la grazia presidenziale ai responsabili statunitensi della crisi, i dirigenti del Vecchio Continente avrebbero perdonato in pochissimo tempo gli eccessi degli “avidi” speculatori che mettevano sotto accusa. Non restava dunque che recuperare il prestigio ingiustamente infangato dei degni rappresentanti dell’oligarchia. Come? Mettendoli a capo delle commissioni incaricate di elaborare nuove regole di condotta dei mercati, ma certo! Da Paul Volcker (JPMorgan Chase) a Mario Draghi (Goldman Sachs), passando per Jacques de Larosière (AIG, BNP Paribas), Lord Adair Turner (Standard Chartered Bank, Merrill Lynch Europe) o ancora il barone Alexandre Lamfalussy (CNP Assurances, Fortis), tutti i coordinatori incaricati di trovare risposte alla crisi finanziaria, mantenevano stretti legami con i più importanti operatori privati del settore. Gli “irresponsabili” del passato, come per grazia ricevuta, si erano appena metamorfizzati nei “saggi” dell’economia, spalleggiati dai mezzi di comunicazione e da intellettuali dominanti che, fino a poco tempo prima, non avevano parole abbastanza dure per denunciare la “presunzione” e la “cecità” dei banchieri.
Infine, non vi è più alcun dubbio che alcuni speculatori abbiano tratto vantaggio dalle crisi che si sono succedute negli ultimi anni. Tuttavia, l’opportunismo e il cinismo che sfoggiano i “depredatori” in questione non deve farci dimenticare che hanno potuto contare, per raggiungere i loro obiettivi, sull’appoggio delle più alte sfere dello Stato. John Paulson, dopo aver guadagnato più di 2 miliardi di dollari dalla crisi dei subprimes, della quale è stato il principale beneficiario, non ha forse ingaggiato l’ex patron della Federal Reserve, Alan Greenspan, allora consigliere di Pimco (Deutsche Bank), uno dei principali creditori dello Stato americano? E che dire dei principali amministratori internazionali di hedge funds: l’ex presidente del National Economic Council (sotto il governo di Obama) ed ex segretario del Tesoro di William Clinton, Lawrence Summers, è stato direttore esecutivo della firma D.E. Shaw (32 miliardi di dollari di attivi); il fondatore del gruppo Citadel Investment, Ken Griffith, originario di Chicago, ha finanziato la campagna elettorale dell’attuale presidente degli Stati Uniti; quanto a George Soros, ha ingaggiato i servizi del laburista Lord Malloch-Brown, ex direttore del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo …
La finanza, dunque, ha dei volti: è possibile vederli da molto tempo sulle passerelle del potere.
di Geoffrey Geuens
Geoffrey Geuens è Professore dell’Universidad de Liège. Autore de La Finance imaginaire. Anatomie du capitalisme: des “marchés financiers” à l’oligarchie, Aden, Bruselas, 2011.
Note:
1. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, Seuil/La République des Idées, París, 2005, pagg. 37 e 91.
2. Anne Le Nir, “En Italie, Mario Monti réunit un gouvernement d’experts”, www.la-croix.com, 16-11-11; Guillaume Delacroix, “Le gouvernement Monti prêt à prendre les rênes de l’Italie”, www.lesechos.fr, 16-11-11.
3. Keith Dixon, Un Digne héritier. Blair et le thatchérisme, Liber/Raisons d’Agir, París, 2000.
4. Léase “Où se cachent les pouvoirs”, Manière de voir, N° 122, aprile-maggio 2012 (in kioscos). 5. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, op. cit. 1% dei francesi possiede il 50% delle azioni.
6. Gérard Duménil y Dominique Lévy, The Crisis of Neoliberalism, Harvard University Press, Cambridge (MA), 2011.
7. “Pierre Moscovici: ‘Ne pas avoir peur de la rigueur’”, www.lexpress.fr, 8-11-11.
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21 luglio 2012
Aspetti del degrado occidentale: il gioco d’azzardo
Una cosa è innegabile. Dove arrivano “l’Occidente”e la “modernità”, arriva il degrado. Il degrado dell’essere umano. Tutto o quasi, esteriormente, può dare l’impressione di essere “nuovo”, “avanti” e “pulito” rispetto a chi è “rimasto vecchio, indietro e sporco”, secondo quella miope visione che ancora spopola tra le generazioni più ‘stagionate’ cresciute nel mito del “miracolo economico” e tra certi giovinastri ridotti a zucche vuote da un sistema sempre più vacuo dal punto di vista valoriale, educativo ed esistenziale. Ma si tratta della facciata, dell’apparenza, alla quale tiene così tanto chi si compiace di essere “moderno”. Ma il fuori è bello e il dentro è brutto, potrebbe recitare una pubblicità che presentasse sinteticamente cosa sia il “mondo moderno”.
Tuttavia il degrado, beninteso, una volta che s’insinua dentro l’uomo si rispecchia anche nel mondo esteriore, e già cominciamo a constatarne gravi e preoccupanti segnali, specialmente nelle grandi città. Ma quello che qui più mi preme è rilevare come la “modernità”, la “democrazia” compiuta, dopo aver abbagliato i più sprovveduti perché “indifesi” (e non vagamente “disinformati”) con i suoi abbaglianti specchietti, comporta un’inesorabile abdicazione dell’uomo da quella che dovrebbe essere la sua posizione “signorile” (rabbânî) nel contesto della Creazione.
I demoni preposti allo scopo di traviare l’essere umano in ogni modo e farlo così fallire ne studiano di tutti i colori. Intendiamoci: per ogni tipo umano, ciascun “carattere”, esiste un tranello, un’insidia, di grado commisurato al suo grado di “consapevolezza”, o meglio di “realizzazione”. Con la maggioranza degli uomini, l’Avversario gioca per così dire “sul velluto”, quindi gli basta davvero ben poco per sviarlo.
Uno di questi trucchi è il gioco d’azzardo.
Cominciamo col dire che questa pratica è stata sempre condannata dalle tradizioni regolari, e tra queste l’Islam. Il motivo è presto detto: essa implica un ‘calcolo’ sul futuro, che nessun essere umano può conoscere, e soprattutto genera denaro dal denaro, senza sforzo, il che la equipara all’usura, al prestito ad interesse, insomma, all’attività cosiddetta “legale” che caratterizza il moderno settore finanziario. E non è solo l’Islam a sostenere che tutto ciò è profondamente aberrante: a beneficio di chi si dichiara “cristiano” solo per darsi una “identità” o per dare addosso a qualcun altro, ricordiamo l’episodio evangelico di Gesù che esce letteralmente dai gangheri (ed è l’unica volta!) per cacciare i “mercanti dal Tempio”. “Mercanti” che in realtà erano dei “cambiavalute”, i quali, lucrando sui “cambi”, fornivano alla “povera gente” che disponeva solo della moneta locale, la divisa con cui dovevano essere versate le tasse all’Impero.
Ed era, sottolineiamolo, tutto “legale”… Il che non significa un bel niente, perché al di là della “legge” scritta per favorire qualche camarilla e tiranneggiare le vite degli uomini, esiste una “legge morale”, o meglio una legge divina che, provvidenzialmente, è stata resa nota agli uomini affinché poi non possano dire “non sapevamo” quando giungerà l’inevitabile flagello per il male e lo “scandalo” che è stato sparso.
Dopo questa necessaria premessa, veniamo al tema dell’articolo, il gioco d’azzardo.
A chiunque sarà capitato di osservare che, di pari passo con la proliferazione di filiali di banche e società finanziarie, stanno spuntando come funghi anche “sale da gioco” e “bische”, ovviamente dotate del crisma della “legalità”.
Il fenomeno negli ultimi mesi sta assumendo proporzioni preoccupanti. Vi sono bar che si trasformano d’un colpo, cambiando addirittura l’insegna, in sedi “in franchising” di qualche gestore di “slot machine”. Altrove, con maggiori ‘pretese’, aprono ampi e luccicanti ‘casinò da sfigati’, con decine di postazioni per “tentare la fortuna”. Questi ultimi sono situati preferibilmente nelle vicinanze di luoghi frequentati da masse ‘al pascolo’, ovvero i luoghi dello “shopping”. Ma mentre il casinò tradizionale aveva un che di artatamente “altolocato” (a partire dal mitico “rien ne va plus!”), e non a caso sorge al confine di Stato (Sanremo, Campione d’Italia…), coi clienti che vanno lì paludati da gran signori, queste ‘bische di quartiere’ sono alla portata di chiunque, col che l’occasione di andare a scialacquare il proprio denaro si presenta senza doversi recare chissà dove. Ripeto: stanno spuntando ovunque, segno che la perversa pratica si sta diffondendo a macchia d’olio.
I bar, poi, non hanno mai brillato per la qualità della loro clientela, ma adesso, trasformandosi in “sale da gioco”, finiscono per somigliare alle proverbiali “spelonche di ladri”. Vi è infatti da rilevare che questi luoghi sono dei punti di raccolta di individui poco raccomandabili, fannulloni, parassiti e sfruttatori delle proprie malcapitate famiglie. Gente in qualche caso anche pericolosa.
Questa piaga sociale non viene assolutamente tenuta in conto da uno “Stato” che anziché tutelare la salute e la probità delle famiglie, individua nell’apertura di sale da gioco e nell’istituzione di sempre nuovi concorsi a premi occasioni per “fare cassa”. La cosa triste è che si sono pure inventati un patetico bollino “gioca sicuro”, che chissà in quale modo dovrebbe impedire ad una persona di cadere nella “malattia del gioco”. Che vergogna!
Che si tratti di una vera e propria malattia non lo dico io, ma lo Stato stesso, che in alcune strutture sanitarie pubbliche apre centri specializzati nella cura di persone per le quali il gioco d’azzardo è diventata una patologia incontrollabile. Ma come al solito, in regime democratico, non si “osa” mai abbastanza, perlomeno in quegli ambiti che comunque devono andare così (perché dove vogliono “osano” eccome). Ricordo infatti distintamente il parere di un “esperto” in camice bianco che interpellato da un giornalista su cosa ne pensasse del gioco d’azzardo rispose che “bisogna comunque giocare con moderazione”. Che coraggio, proprio lui, che avrà senz’altro esperienza di famiglie mandate in rovina, economica e morale, da un malcostume incoraggiato dallo Stato stesso!
La pratica di scommettere, di fare delle “puntate”, di staccare un biglietto della lotteria, intendiamoci, è già presente da anni, con lo Stato che ci fa il suo bel gruzzolo senza mai riferire nel dettaglio che cosa fa con questa fortuna: ci ripaga, ai signori del denaro, gli “interessi sul debito”? Li spende nella farsesca “guerra al terrorismo” in Afghanistan? Li sperpera per rovinare la salute dei cittadini considerato che la continua irrorazione aerea di sostanze le più nocive avrà un costo esagerato? Non sono domande da poco.
Siamo così passati, dopo una prima fase in cui il tutto sembrava “innocuo”, da una serie di scommesse e lotterie, quali Lotto ed Enalotto, Totocalcio, Totip, Lotteria di Capodanno, di Agnano, di Viareggio ecc. ad una quantità di occasioni per buttare via quei tre soldi di cui gli italiani dispongono che davvero fa spavento. E, si badi bene, un primo evidente incremento di tutto ciò lo si ebbe dopo la falsa stagione moralizzatrice denominata “Mani Pulite”, quando assieme al primo saccheggio dello Stato italiano che adesso viene ripreso in grande stile, si assistette ad un’ondata mai vista prima di “delizie” provenienti dall’Angloamerica.
Qualcuno forse ricorderà le “sale bingo”, versione ammodernata della tombolata in famiglia, saltate fuori proprio nei primi anni Novanta. O i viaggetti di arzilli e scellerati vecchietti per i quali si organizzavano gite nella “nuova Slovenia” per buttare lì la loro pensione. O i “gratta e vinci”, successivamente resi più “sofisticati” differenziando l’offerta, fino a giungere alle follie della vacanza o del “vitalizio” in caso di vincita.
Che tristezza: Lorsignori, i professionisti delle “privatizzazioni”, a rimpinzarsi con le membra del fu “patrimonio pubblico” accumulato coi sacrifici di una nazione affinché fosse ben gestito, mentre la massa rincretinita ed illusa “gratta” nella speranza di “cambiare vita”. Tra l’altro, quest’anelito a “cambiare vita” diffuso nella gente più ignorante, oltre che indicare la non eccelsa esistenza che conduce, a livello “spirituale” ha delle ricadute devastanti poiché l’insoddisfazione è essenzialmente ingratitudine, e “rendere grazie” a Dio è l’atto che tutti, per sperare almeno di “salvarsi”, dovrebbero compiere quotidianamente per tutti i benefici e le bellezze di cui sono stati onorati; solo che non se ne accorgono, perché da una parte sono stati abituati a non accontentarsi mai, dall’altra vivono effettivamente una “vita senza senso”, la quale, però, al confronto di quella di un minatore cileno o di un contadino africano dal punto di vista materiale è infinitamente più agevole…
Con la diffusione di internet, inoltre, non vi è stato praticamente più limite alle scommesse cosiddette “sportive” (lo sport è ben altra cosa: lo si fa e non lo guarda!). Dai “punti” specializzati, che spesso sorgono alla confluenza di masse di abbrutiti – ma anche di “gente normale”, che così viene ‘adescata’ - quali le adiacenze delle stazioni ferroviarie, dove non è raro trovare abbandonate lì davanti mucchi di bottiglie di birra o altra bevanda inebriante (un vizio tira l’altro: il classico scommettitore incallito beve e fuma), si è passati al “gioca sicuro” on line; qui la fantasia diabolica s’è scatenata, al punto che giocano tutti, anche i ragazzini con la complicità di genitori dementi, e si punta su tutto, anche in corso d’opera, ovvero mentre stanno giocando la tal partita che il “malato” altrimenti detto “sportivo” (da poltrona) si starà godendo grazie alla sua amata “pay tv”.
Una delle cose che lascia stupefatti è che dalle scommesse sulle squadre italiane si è passati alle puntate su tutti i campionati possibili e immaginabili. Ma pensiamoci un attimo: qual è la storica “patria delle scommesse”? Ma l’Inghilterra, che diamine! E dove si è tenuta, nel 1992, in piena “tempesta monetaria” sulla Lira, l’ormai leggendaria riunione dei vari traditori della patria, ancora oggi tutti lì a farci la pelle? Sul panfilo Britannia, di proprietà della Regina d’Inghilterra!
Ergo: la sudditanza alla Perfida Albione - quella che ha schiavizzato mezzo mondo (si ricordi solo l’India, ridotta alla fame per due secoli!), che da sempre architetta guerre in casa altrui (accusando gli altri di averle volute), che rovina anche i propri “alleati”, che si tiene stretta la sua Sterlina ma controlla la BCE eccetera… -, questa sudditanza si esplica nella diffusione d’inveterate abitudini, diciamo così, del popolo britannico. Non sorprenderebbe quindi, se tra un po’ scoppiasse anche qua la mania delle corse dei levrieri, tanto è il grado di sudditanza alla City!
Intanto, ‘accontentiamoci’ della “Las Vegas europea”, la quale, a riprova che “crisi” e degrado indotto procedono in maniera integrata, sorgerà in Spagna, un'altra nazione dotata del marchio “pigs” massacrata dalla piovra finanziaria cosiddetta “internazionale”. Eurovegas – ci assicurano i suoi ideatori - darà un contributo decisivo all’abbattimento della disoccupazione, ma in cambio pretendono, a mo’ di ricatto verso una classe politica imbelle, senza idee e totalmente succube, “agevolazioni e flessibilità”! Il tutto mentre agli spagnoli si chiedono, per “sanare il debito” (della “moneta-debito”!), le solite “lacrime e sangue”…
Sull’identità, poi, dei grandi “magnati del gioco d’azzardo” a livello mondiale, è presto detta: meglio non fare troppi nomi per non essere tacciati di “antisemitismo” (l’ultima trincea di chi non ha più argomenti). Idem per il grande commercio di superalcolici, la pornografia e il relativo sfruttamento della prostituzione, compreso quello di giovanissime dell’est europeo, il cosiddetto “show business” che veicola contenuti satanisti e, dulcis in fundo, il traffico di organi.
Che non si possa fare nulla di “concreto” contro questo male sparso a piene mani sulla terra, lo prova una recente vicenda: le dimissioni del Colonnello della Guardia di Finanza Umberto Rapetto, il quale aveva inteso veder chiaro su questo immenso giro di soldi legato al gioco d’azzardo cosiddetto “legalizzato”.
Chi può, infatti, sconfessare in maniera così plateale un onesto “servitore dello Stato” nell’esercizio delle sue funzioni, se non un potere “occulto” contro il quale non è lecito “osare”?
Il punto è proprio questo. Se da un lato la nostra società viene sempre più sottoposta ad una “cura” che si traduce in un progressivo ed evidente degrado, ciò non può che essere il risultato del furto, ad opera di chi ci ha dapprima invaso e poi selezionato le marionette che danno l’impressione di “governarci”, delle nostre indipendenza, sovranità e libertà.
Una volta detto “addio” a queste fondamentali istanze, ed abituata quella che un tempo era stata una “nazione” a non pensarsi più che una massa di “consumatori” e di fruitori di “servizi”, una “massa desiderante”, il resto è solo una conseguenza.
Ovvero il degrado che avanza, nelle strade, nelle famiglie, nelle coscienze. Di cui un grave indizio, contro il quale un potere sano, rispettoso dell’Ordine divino che presto o tardi dovrà essere ristabilito, è senz’altro la diffusione delle scommesse e del gioco d’azzardo.
di Enrico Galoppini
20 luglio 2012
Latouche: abbiamo bisogno che questo sistema crolli
«Sappiamo già che l’attuale sistema crollerà tra il 2030 e il 2070. Il vero esercizio di fantascienza è prevedere che cosa succederà tra cinque anni». Serge Latouche non ha dubbi: faremo la fine dell’Impero Romano, o del Sacro Romano Impero di Carlo Magno che fu travolto dai Barbari. «Purtroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico». Ed è solo l’inizio, nel bluff chiamato Europa. «La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore». Quanto all’Italia, «l’unica soluzione è la bancarotta: da Monti in giù, tutti sanno che il debito non potrà essere ripagato». Sono alcune delle affermazioni che l’ideologo francese della Decrescita ha rilasciato a Giovanna Faggionato per “Lettera 43”. Il sistema, dice Latouche, non ha mantenuto nessuna promessa: «Dicevano che la concorrenza ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, e invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti».
Lei ha un’idea?
L’Europa nata nel Dopoguerra farà la fine del Sacro Romano Impero di Carlo Serge LatoucheMagno che cercò di restaurare un regno crollato, durò per 50 anni e fu travolto dai barbari.
Che cosa c’entra l’impero romano?
Crollò alla fine del V secolo, ma non morì: continuò a sopravvivere per centinaia di anni con Carlo Magno, l’impero d’Oriente e poi quello germanico. Un declino proseguito nel tempo, con disastri in successione. Come succederà a noi.
È la fine della globalizzazione?
Io la considero una crisi di civiltà, della civiltà occidentale. Solo che, visto che l’Occidente è mondializzato, si tratta di crisi globale. Ecologica, culturale e sociale insieme.
Più di un crollo finanziario…
Se vogliamo andare oltre è la crisi dell’Antropocene: l’era in cui l’uomo ha cominciato a modificare e perturbare l’ecosistema.
E il sogno degli Stati Uniti europei?
È un’illusione. Perché è solo un prodotto della globalizzazione: non hanno costruito un’Unione, ma un mercato liberista.
Che fine farà il Vecchio continente?
L’Europa è schiacciata tra due movimenti. Uno politico e centrifugo che si è sviluppato anche in Italia con la stessa Padania. E uno economico e centripeto, la globalizzazione.
Per ora l’economia batte la politica…
Sì, il movimento centripeto ha il sopravvento. Ma è anche quello che nel lungo periodo andrà a crollare. Non può funzionare senza il petrolio e il blocco delle risorse materiali. Alla fine, con tutta probabilità l’Europa si dividerà in macro regioni autonome.
Come ci arriveremo?
La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore.
Parla del conflitto sociale in Grecia e Spagna?
Ecco, purtroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico. È solo l’inizio del processo, ma vediamo già gli effetti del mix di austerità e crescita voluto dai leader europei.
È comunque meglio della sola austerità…
Crede che l’imperativo della crescita funzioni? Basta guardare alla Francia: questo governo socialista vuole allo stesso tempo la prosperità e l’austerità. Ma non riuscirà a ottenere la crescita. O, se avverrà, sarà per pochi. Mentre l’austerità è sicura per molti.
Perché?
Perché non hanno scelta.
In che senso?
Sono chiusi dentro questo paradigma del produttivismo, del Prodotto interno lordo (Pil). È per questo che la decrescita è una rivoluzione. Perché prima di tutto è un cambiamento di paradigma.
Facile dirlo. Ma lei che cosa farebbe se fosse il premier italiano?
L’Italia dovrebbe andare in bancarotta.
Che cosa intende?
Pensi al debito.
Secondo l’Fmi quello italiano è quasi al 140% del Pil.
Appunto: non sarà ripagato, lo sanno tutti. Ne è consapevole anche Mario Mario MontiMonti. Il problema, per l’attuale classe dirigente, non è ripagare il debito. Ma è fingere di poter continuare il gioco: cioè ottenere prestiti e rilanciare un’economia che è solo speculativa.
Quali sono le prime cinque misure che adotterebbe al posto di Monti?
Innanzitutto, cancellerei il debito. Parlo come teorico, so che ci sono cose che Monti non potrebbe fare comunque, neppure se fosse di sinistra o un decrescente. Ma sto parlando di bancarotta dello Stato.
La bancarotta è la soluzione?
È più che altro la condizione per trovare le soluzioni.
In che senso?
Non porta necessariamente alla soluzione, anzi in un primo momento le cose possono peggiorare. Ma non c’è altro modo, perché non esiste via d’uscita dentro la gabbia di ferro del sistema attuale. L’Italia non sarebbe la prima né l’ultima. Tutti quelli che l’hanno fatto si sono sentiti meglio, da Carlo V all’Argentina.
Ma l’Argentina non era dentro una moneta unica.
Questo significherebbe uscire dall’euro, ovviamente, dentro non si può fare niente. Per questo dico che parlo come teorico: nemmeno i greci hanno avuto il coraggio di abbandonare l’Unione.
Siamo al terzo punto allora: uscire dall’euro, cancellare il debito e poi?
Rilocalizzare l’attività. C’è tutto un sistema di piccole imprese, di saper fare diffuso, che è stato distrutto dalla concorrenza globale.
Sì, ma come si fa?
Devo usare una parola che in Italia fa sempre paura: serve una politica risolutamente protezionista.
Su questo, il dibattito è annoso…
Esiste un cattivo protezionismo, è vero. Ma c’è anche un cattivissimo libero scambio. Mentre esiste un buon protezionismo, ma non un buon libero scambio.
Perché no?
Perché la concorrenza leale sempre invocata non esiste. E non esisterà mai. Semplicemente perché tutti i Paesi sono diversi. Come si può competere con la Cina? È una barzelletta.
Parla come se facesse parte della Lega Nord.
Lo so, lo so. E anche come uno del Front National. Sa perché ha successo l’estrema destra?
Me lo dica lei…
Perché non tutto quel che dicono è stupido. C’è una parte insopportabile, ma se sono popolari – e lo saranno sempre di più – è perché hanno capito alcune cose, hanno ragione. È questo che fa paura.
Quindi qual è la ricetta della decrescita?
Il protezionismo ci permette di non essere competitivi per forza. Se lo siamo in alcuni settori, bene. Ma possiamo anche sviluppare produzioni non concorrenziali. Stimoliamo la concorrenza all’interno, ma con Paesi che hanno altri sistemi sociali, altre norme ambientali, altri livelli salariali, questo non è possibile. D’altra parte, è stata l’eccessiva specializzazione a renderci così fragili.
Siamo alla quarta misura, quindi.
La tragedia attuale, per me, è soprattutto la disoccupazione.
E come pensa di risolverla?
Lavorando meno, ma lavorando tutti.
Una formula già sentita…
Sì, ma ci dicevano anche che la concorrenza attuale ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, come ha dichiarato quello sciagurato di Nicolas Sarkozy. E invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti.
Ma è una questione di denaro?
No, si tratta di vivere. Dobbiamo ritrovare il tempo per dedicarci al resto, alla vita. Questa è un’utopia, ma l’utopia concreta della decrescita: superare il lavoro.
Sì, ma come?
Partendo dalla riconversione ecologica. Tornando a un’agricoltura contadina, senza pesticidi e concimi chimici. In questo modo, la produttività per l’uomo sarà più bassa, ma si creeranno milioni di posti di lavoro nel settore agricolo. E questa è la quinta misura.
Basta l’agricoltura?
Dobbiamo affrontare la fine degli idrocarburi, sviluppare le energie rinnovabili e riconvertire le attività parassitarie che danneggiano l’ambiente.
Per esempio?
Le fabbriche di automobili, che oggi sono in crisi.
Peugeot ha annunciato 8 mila licenziamenti…
Bisognava aspettarselo da anni. Si sa che l’industria dell’auto non ha futuro: Peugeotcon lo stesso know how potrebbero essere trasformati in stabilimenti che producono sistemi di cogenerazione.
Parla di una globale ristrutturazione del mercato del lavoro?
La quota di occupati in agricoltura potrebbe arrivare al 10%. Ci sono industrie nocive come l’automobile, il nucleare, la grande distribuzione che vanno ripensate. E c’è la necessità di una riconversione energetica. In Germania, con le energie rinnovabili hanno creato decine di migliaia di posti di lavoro.
Ma sono dati contestati…
Il dibattito è aperto: si dice che chiudere le centrali nucleari francesi cancellerà 30 mila posti di lavoro ma, allo stesso tempo, prima bisogna smantellare. E nessuno lo sa fare. Quanti posti di lavoro si potrebbero creare allora?
E la grande distribuzione?
Sicuramente ha effetti distruttivi per l’ambiente e alimenta un alto tasso di spreco alimentare, pari a circa il 40% della produzione.
E allora?
Cancellarla significa essere pronti a ripensare tutto il sistema della città e soprattutto delle periferie.
Come?
La gente ha bisogno di piccoli negozi. Di fare la spesa più spesso, con più tempo a disposizione. Quando si comincia a cambiare un anello, come in una catena cambia tutto.
E i trasporti?
Dobbiamo pensare che il 99% dell’umanità ha passato la propria vita senza allontanarsi più di 30 chilometri dal proprio luogo di nascita. Quelli che si sono spostati di più, cioè noi, sono solo l’1%. Anche questo è un fenomeno molto recente e la maggioranza delle persone non ne soffrirà, poi ci saranno sempre i grandi viaggiatori alla Marco Polo.
Ne è certo?
È stata la pubblicità a creare il turismo di massa. In ogni modo, con la fine del petrolio, non ci sarà il traffico aereo di oggi, i trasporti costeranno sempre di più, andranno meno veloce. Muoversi sarà sempre più difficile.
E a livello fiscale?
Bisognerebbe introdurre una tassazione diretta e progressiva. Che può arrivare anche al 100%, se i redditi superano un certo livello. E poi una tassazione sul sovraconsumo dei beni comuni. A partire dall’acqua.
Quindi meno lavoro e più agricoltura. Per ottenere cosa?
Un mondo di abbondanza frugale.
Cioè?
Una società capace di non creare bisogni inutili, ma di soddisfarli. E per soddisfarli, bisogna limitarli.
Le sembra possibile, quando gli operai cinesi si suicidano per un iPad?
In una società sana non esiste questa forma di patologia dell’insoddisfazione. BceCi può essere una forma di seduzione, ma non un’insoddisfazione permanente. Questo fenomeno è esacerbato dalla pubblicità.
Cioè?
Ci convince che siamo insoddisfatti di ciò che abbiamo, per farci desiderare ciò che non abbiamo.
Vorrebbe spazzare via il marketing?
Una delle prime misure della società della decrescita riguarda la pubblicità: non si tratta di cancellarla – perché non siamo terroristi – ma di tassarla fortemente, questo sì.
Con che motivazione?
È lo strumento di una gigantesca manipolazione, il veicolo della colonizzazione dell’immaginario.
E la finanza che rappresenta il 10% del Pil britannico?
Penso che questa crollerà da sola. Sarebbe già successo se questi sciagurati di governi non avessero salvato le banche.
Che cosa intende?
È colossale quello che è stato fatto per le banche negli Usa: secondo l’Ocse, 11.400 miliardi di dollari di fondi pubblici sono stati destinati agli istituti di credito.
Se facciamo crollare le banche si affossa il sistema…
Sì, meglio così. Abbiamo bisogno che il sistema crolli.
E i cittadini?
Dobbiamo pensare a come riorganizzare il funzionamento della società. Ma bisogna ricordarsi che questo sistema così come lo conosciamo è piuttosto recente.
Quanto?
Non ha più di 30-40 anni, prima era un sistema capitalista, ma non funzionava su queste basi finanziarie.
Che misure bisognerebbe adottare?
Il primo passo, prima di rimettere in discussione l’intero sistema bancario, è cancellare il mercato dei futures: pura speculazione. Un economista francese, Frédéric Lordon, ha anche proposto di chiudere le Borse. E non sarebbe un’idea stupida.
Che cosa succede alle società che ci lavorano? E ai dipendenti?
La situazione attuale è talmente tragica che possiamo affrontare con serenità anche un cambiamento difficile.
Nella società della decrescita circola denaro?
La moneta è un bene comune che favorisce lo scambio tra i cittadini. Ma se è Frédéric Lordonun bene comune non deve essere privatizzata. Le banche sono degli enti privati. E allora dico sempre che noi vogliamo riappropriarci della moneta.
Come?
Magari partendo dai sistemi di scambio locali che utilizzano monete regionali. Come ha funzionato per due o tre anni in Argentina, dopo il crollo del peso.
E chi governa il commercio?
Diciamo che sarà necessario trovare un coordinamento tra le varie autonomie.
Ma nel suo modello ogni regione fa da sé?
Ogni Paese deve trovare la sua strada. Una volta che siamo riusciti a uscire dal mondo del pensiero unico, dell’homo oeconomicus, a una sola dimensione, allora ritroviamo la diversità. Ogni cultura ha il suo modo di concepire e realizzare la felicità.
Esistono già esperienze in questa direzione?
In Sud America sono sulla strada giusta. In Ecuador e Bolivia, ispirandosi alla cultura india, hanno inserito nella Costituzione il principio del bien vivìr: del buon vivere. Ma, con la crisi, la decrescita ha avuto un successo incredibile anche in Giappone.
Come mai?
I giapponesi stanno riscoprendo i valori del buddismo zen che si basa sul principio di autolimitazione. E sono convinto che la stessa cosa potrebbe succedere in Cina nei prossimi anni, anche attraverso il confucianesimo.
La Cina però è anche la più grande fabbrica del mondo…
Lì la crisi è già arrivata. La situazione cinese è bifronte: 200 milioni di abitanti hanno un livello di vita quasi occidentale e altri 700 milioni sono stati proletarizzati. Cacciati dalla terra, si accumulano nelle periferie delle metropoli, dove c’è un tasso di suicidi altissimo.
Ma l’economia continua comunque a crescere.
Anche il ministro dell’Ambiente cinese ha riconosciuto che se si dovesse sottrarre dal Pil di Pechino la quota di distruzione dell’ambiente questo calerebbe del 12%.
Come immagina la transizione?
Può avvenire spontaneamente, dolcemente. Ma anche in un modo violento.
Lei sogna la democrazia diretta?
Se si deve prendere la parola sul serio, ha senso solo la democrazia diretta. Ma direi che su questo punto, recentemente, le mie idee sono cambiate.
Norberto BobbioIn che direzione?
Prima immaginavo un’organizzazione piramidale con alla base piccole democrazie locali e delegati al livello superiore.
E ora?
Oggi penso che la democrazia sia un’utopia che ha senso come direzione. Ma la cosa importante è che il potere, quale che sia, porti avanti una politica che corrisponde al bene comune, alla volontà popolare, anche se si tratta di una dittatura o di un dispotismo illuminato.
Si spieghi meglio.
Norberto Bobbio si chiedeva quale è la differenza tra un buono e un cattivo governo. Il primo lavora per il bene comune. Il secondo lo fa per se stesso. Questa è la vera differenza.
Va bene, ma come si ottiene un buon governo?
Con un contropotere forte. Un sistema è democratico – non è la democrazia, attenzione, ma è democratico – quando il popolo ha la possibilità di fare pressione sul governo, qualunque esso sia, in modo da far pesare le proprie esigenze e idee.
Ma non sta rinnegando la democrazia?
L’ideale sarebbe naturalmente l’autogoverno del popolo, ma questo è un sogno che forse non arriverà mai.
Non pensa alla presa del potere?
Gandhi l’aveva spiegato a proposito del suo Paese: «Al limite gli inglesi possono restare a governare, ma allora devono fare una politica che corrisponde alla volontà dell’India. Meglio avere degli inglesi piuttosto che degli indiani corrotti». Mi sembrano parole di saggezza.
Sa che Silvio Berlusconi vuole tornare in politica?
Ah, lo so, ma lui è pazzo.
di Giorgio Cattaneo
(Giovanna Faggionato, “Il debito non sarà ripagato, meglio partire da zero”, intervista a Serge Latouche pubblicata su “Lettera 43” il 17 luglio 2012).
19 luglio 2012
Le finanze invisibili
Una crisi con nome e cognome
I socialisti europei denunciano duramente “la finanza” che governa il mondo senza alcuna restrizione e che invece sarebbe opportuno regolamentare meglio. Inoltre, bisognerebbe sapere di cosa e di chi stiamo parlando; poiché l’immagine eterea dei “mercati” lascia nell’ombra i veri beneficiari della crisi e delle misure di austerità in corso.
Jean Peyrelevade, passato dalla banca pubblica alla finanza privata, e da François Mitterrand a M. François Bayrou, spiegava nel 2005: “Il capitalismo non è più identificabile. […]Con chi si rompe quando si rompe con il capitalismo? Quali istituzioni bisogna attaccare per mettere fine alla dittatura del mercato, fluido, globale e anonimo?”. L’ex-direttore aggiunto del gabinetto del primo ministro Pierre Maruroy concludeva: “Marx è impotente di fronte a un nemico non identificabile” (1).
Ci stupisce davvero che un rappresentante dell’alta finanza - presidente di Banca Leonardo France (famiglie Albert Frère, Agnelli e David-Weill) e amministratore del gruppo Bouygues - neghi l’esistenza di un’oligarchia? È più strano il fatto che i media dominanti diffondano quest’immagine disincarnata e depoliticizzata dei potenti della finanza. La copertura giornalistica della designazione di Mario Monti alla Presidenza del Consiglio Italiano potrebbe ben rappresentare, in questo senso, il perfetto esempio di un discorso-schermo che fa riferimento a “tecnocrati” ed “esperti” laddove si sta costituendo un governo di banchieri. Sui siti Web di alcuni quotidiani abbiamo persino letto che alcune “personalità della società civile” avevano appena preso il comando (2).
Anche se l’équipe di Monti annovera tra le sue fila professori universitari, la scientificità della sua politica era stata stabilita in anticipo dagli esperti. Ma, guardando più da vicino, scopriamo che la maggior parte dei ministri della squadra facciano parte dei vertici dei principali trust della penisola.
Corrado Passera, ministro dello Sviluppo Economico, è direttore esecutivo di Intesa Sanpaolo; Elsa Fornero, ministro del Lavoro e professoressa di economia all’Università di Torino, occupa la vicepresidenza di Intesa Sanpaolo; Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e rettore dell’Università di Torino, è amministratore di Unicredit Private Bank e di Telecom Italia -controllata da Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca- dopo essere passato per Pirelli; Piero Gnudi, ministro per il Turismo e per lo Sport, è amministratore di UniCredit Group; Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, professore di Scienza delle finanze all’Università Cattolica di Milano, è vicepresidente di Banca Popolare e amministratore di Pirelli. Quanto a Monti, è stato consulente di Coca Cola e di Goldman Sachs, e amministratore di Fiat e di Generali.
Non molto diversi
Se i dirigenti socialisti europei non hanno parole abbastanza dure per qualificare l’onnipotenza dei “mercati finanziari”, la riconversione degli ex referenti del social-liberismo avviene senza che i loro ex compagni esprimano la loro indignazione. L’ex-primo ministro dei Paesi Bassi, Wim Kok, ha preso parte ai vertici dei trust olandesi ING, Shell e KLM. Il suo omologo tedesco, l’ex-cancelliere Gerhard Schröder, si è anche lui riciclato nell’ambito privato come presidente dell’impresa Nord Stream AG (joint-venture Gazprom/E.ON/BASF/GDF Suez/Gasunie), dirigente del gruppo petrolifero TNK-BP e consigliere europeo di Rothschild Investment Bank. Questa traiettoria a prima vista sinuosa non ha, in realtà, nulla di singolare. Diversi ex membri del suo gabinetto, membri del Partito Socialdemocratico tedesco (SPD), si sono spogliati dei loro ruoli di funzionari pubblici per indossare i panni degli uomini d’affari: l’ex-ministro dell’Interno Otto Schilly è attualmente consulente del trust finanziario Investcorp (Bahrein), dove si è incontrato con il cancelliere conservatore austriaco Wolfgang Schüssel, il vicepresidente della Convenzione Europea Giuliano Amato e perfino Kofi Annan, ex segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). L’ex ministro dell’Economia e del Lavoro tedesco, Wolfgang Clement, è socio della firma RiverRock Capital e dirigente di Citigroup Germania. Il suo collega, Caio Koch-Weser, sottosegretario di Stato tedesco al ministero federale delle Finanze dal 1999 al 2005, è vicepresidente di Deutsche Bank. Infine, il ministro delle Finanze del primo governo di Angela Merkel, Peer Steinbrück, SPD, è amministratore di ThyssenKrupp. Per quanto riguarda i “degni eredi” (3) di Margaret Thatcher ed ex leaders del Partito Laburista, hanno giurato fedeltà all’alta finanza: l’ex ministro per gli Affari Esteri, David Miliband, è consulente alle imprese VantagePoint Capital Partners (Stati Uniti) e Indus Basin Holdings Ltd. (Pakistan); l’ex Commissario europeo al Commercio, lavora per la banca d’affari Lazard; lo stesso Anthony Blair, è contemporaneamente consulente della società svizzera Zurich Financial Services, amministratore del fondo di investimenti Landsdowne Partners e presidente del Comitato consultivo internazionale di JPMorgan Chase, insieme a Kofi Annan ed Henry Kissinger.
Ci dispiace infliggere al lettore questo elenco ma, d’altro canto, è nostro dovere farlo poiché i mezzi di comunicazione omettono costantemente di informare sugli interessi privati delle personalità pubbliche. Oltre la porosità tra due mondi che tendono a mostrarsi come distinti - se non addirittura contrapposti -, l’identificazione dei suoi doppiogiochisti è necessaria per la corretta comprensione del funzionamento dei mercati finanziari.
Infatti contrariamente a un’idea in voga, la finanza ha uno, anzi, diversi volti (4). Non quello del pensionato della Florida o del piccolo azionista europeo, dipinti dalla stampa condiscendente, quanto piuttosto quelli di un’oligarchia di proprietari e amministratori di ricchezze. Peyrelevade ricordava già nel 2005 che lo 0,2% della popolazione mondiale controllava la metà della capitalizzazione in borsa del pianeta (5). Questi portafogli sono amministrati da banche (Goldman Sachs, Santander, BNP Paribas, Société Générale, etc.), compagnie di assicurazione (AIG, AXA, Scor, etc.), fondi pensionistici o di investimento (Berhshire Hathaway, Blue Ridge Capital, Soros Fund Management, etc.); istituti che investono anche fondi propri.
Questa minoranza specula sul prezzo delle azioni, del debito sovrano o delle materie prime, grazie a una gamma quasi illimitata di prodotti derivati che rivelano l’inesauribile inventiva degli ingegneri finanziari. Lungi dal rappresentare il risultato “naturale” dell’evoluzione di economie mature, i “mercati” costituiscono la punta di diamante di un progetto che, come hanno avvertito gli economisti Gérard Duménil e Dominique Lévy, è stato “concepito per incrementare le entrate delle classi alte” (6). Un risultato innegabile: nel mondo ci sono attualmente 63.000 “centomilionari” (che posseggono, cioè, almeno cento milioni di dollari), che rappresentano una ricchezza combinata di circa 40.000 miliardi di dollari (ovvero una anno del PIL mondiale).
Gli irresponsabili diventati saggi
Siamo di fronte a una personificazione dei mercati che potrebbe risultare scomoda, tanto che a volte è più facile lottare contro i mulini a vento. “Nella battaglia che sta per cominciare, vi dirò qual è il mio vero avversario - esclamava l’allora candidato socialista alle presidenziali francesi, François Hollande, nel suo discorso di Bourget (Seine-Saint-Denis), il 22 gennaio scorso -. Non ha nome, né volto, né partito; non presenterà mai la sua candidatura, e dunque non sarà mai eletto. Questo avversario è il mondo della finanza”. Attaccare gli autentici attori dell’alta banca e della grande industria avrebbe anche potuto portarlo a fare i nomi dei dirigenti dei fondi di investimento che decidono, in piena coscienza, di sferrare attacchi speculativi sui debiti dei paesi del sud dell’Europa. O perfino a mettere in discussione il doppio ruolo di alcuni dei suoi consiglieri, senza dimenticare quello dei suoi (ex) colleghi socialisti europei che sono passati da una multinazionale all’altra.
Scegliendo come capo della sua campagna elettorale Pierre Moscovici, vicepresidente del Cercle de l’Industrie, una lobby che raggruppa i dirigenti dei principali gruppi industriali francesi, il candidato socialista stava dando un segnale ai “mercati finanziari”: l’alternanza socialista decisamente non rima più con la rottura rivoluzionaria. Non è forse stato Moscovici a dire di “non avere paura della politica del rigore”, affermando che, in caso di vittoria, i deficit pubblici sarebbero stati “ridotti a partire dal 2013 sotto il 3% (…), costi quel che costi, il che implicherebbe “prendere le misure necessarie”? (7).
Discorso imposto dalla comunicazione politica, la denuncia dei “mercati finanziari”, tanto virulenta quanto inoffensiva, resta finora lettera morta. Come Barack Obama, che concesse la grazia presidenziale ai responsabili statunitensi della crisi, i dirigenti del Vecchio Continente avrebbero perdonato in pochissimo tempo gli eccessi degli “avidi” speculatori che mettevano sotto accusa. Non restava dunque che recuperare il prestigio ingiustamente infangato dei degni rappresentanti dell’oligarchia. Come? Mettendoli a capo delle commissioni incaricate di elaborare nuove regole di condotta dei mercati, ma certo! Da Paul Volcker (JPMorgan Chase) a Mario Draghi (Goldman Sachs), passando per Jacques de Larosière (AIG, BNP Paribas), Lord Adair Turner (Standard Chartered Bank, Merrill Lynch Europe) o ancora il barone Alexandre Lamfalussy (CNP Assurances, Fortis), tutti i coordinatori incaricati di trovare risposte alla crisi finanziaria, mantenevano stretti legami con i più importanti operatori privati del settore. Gli “irresponsabili” del passato, come per grazia ricevuta, si erano appena metamorfizzati nei “saggi” dell’economia, spalleggiati dai mezzi di comunicazione e da intellettuali dominanti che, fino a poco tempo prima, non avevano parole abbastanza dure per denunciare la “presunzione” e la “cecità” dei banchieri.
Infine, non vi è più alcun dubbio che alcuni speculatori abbiano tratto vantaggio dalle crisi che si sono succedute negli ultimi anni. Tuttavia, l’opportunismo e il cinismo che sfoggiano i “depredatori” in questione non deve farci dimenticare che hanno potuto contare, per raggiungere i loro obiettivi, sull’appoggio delle più alte sfere dello Stato. John Paulson, dopo aver guadagnato più di 2 miliardi di dollari dalla crisi dei subprimes, della quale è stato il principale beneficiario, non ha forse ingaggiato l’ex patron della Federal Reserve, Alan Greenspan, allora consigliere di Pimco (Deutsche Bank), uno dei principali creditori dello Stato americano? E che dire dei principali amministratori internazionali di hedge funds: l’ex presidente del National Economic Council (sotto il governo di Obama) ed ex segretario del Tesoro di William Clinton, Lawrence Summers, è stato direttore esecutivo della firma D.E. Shaw (32 miliardi di dollari di attivi); il fondatore del gruppo Citadel Investment, Ken Griffith, originario di Chicago, ha finanziato la campagna elettorale dell’attuale presidente degli Stati Uniti; quanto a George Soros, ha ingaggiato i servizi del laburista Lord Malloch-Brown, ex direttore del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo …
La finanza, dunque, ha dei volti: è possibile vederli da molto tempo sulle passerelle del potere.
di Geoffrey Geuens
Geoffrey Geuens è Professore dell’Universidad de Liège. Autore de La Finance imaginaire. Anatomie du capitalisme: des “marchés financiers” à l’oligarchie, Aden, Bruselas, 2011.
Note:
1. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, Seuil/La République des Idées, París, 2005, pagg. 37 e 91.
2. Anne Le Nir, “En Italie, Mario Monti réunit un gouvernement d’experts”, www.la-croix.com, 16-11-11; Guillaume Delacroix, “Le gouvernement Monti prêt à prendre les rênes de l’Italie”, www.lesechos.fr, 16-11-11.
3. Keith Dixon, Un Digne héritier. Blair et le thatchérisme, Liber/Raisons d’Agir, París, 2000.
4. Léase “Où se cachent les pouvoirs”, Manière de voir, N° 122, aprile-maggio 2012 (in kioscos). 5. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, op. cit. 1% dei francesi possiede il 50% delle azioni.
6. Gérard Duménil y Dominique Lévy, The Crisis of Neoliberalism, Harvard University Press, Cambridge (MA), 2011.
7. “Pierre Moscovici: ‘Ne pas avoir peur de la rigueur’”, www.lexpress.fr, 8-11-11.
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