26 luglio 2012
L'irresistibile inadeguatezza della politica
Credo che la maggior parte dei cittadini non abbia ancora capito. Per non parlare dei politici, dei sindacalisti, dei rappresentanti di associazioni e gruppi. A giudicare dalla spensieratezza con cui si va in vacanza, si segue il calcio mercato, si discetta di sistemi elettorali, ci si infervora sui matrimoni gay e sulle dimissioni della Minetti, si direbbe che siano davvero pochi gli italiani che si rendono conto di quanto è drammatico questo momento.
E allora proviamo a riassumere. Nessuno sa quanto è probabile che l’euro crolli, o che lo Stato italiano fallisca e ci trascini tutti nel baratro. Però questa eventualità, che era decisamente remota fino a qualche tempo fa, ora non è più trascurabile. Può succedere. Speriamo di no, ma può succedere. Questa settimana, o fra un mese, o fra un anno.
Non è inutile ricordare che cosa l’eventualità di un default si porterebbe dietro. Primo: una considerevole erosione dei propri risparmi, per chi ne ha; un crollo del valore degli immobili; l’impossibilità – in caso di necessità – di venderli a un prezzo decente.
Secondo: un taglio dell’importo delle pensioni, per chi non lavora più; difficoltà di conservare il posto di lavoro, per operai e impiegati; difficoltà di tenere aperte attività economiche, per imprenditori, commercianti, artigiani.
Terzo: riduzione della quantità e della qualità delle cure, per i malati; per tutti, problemi di approvvigionamento energetico, perché benzina, riscaldamento, luce elettrica scarseggerebbero e costerebbero di più.
Qui mi fermo, perché non è il caso di infierire. Ma il menù è questo. Le dosi possono variare, le portate – ovvero i guai – possono essere abbondanti o striminzite, ma questo è il genere di eventi che accompagnano un default.
Ebbene, di fronte a tutto questo – che fortunatamente non è né certo né probabile, e tuttavia sta diventando sempre più possibile – le forze politiche paiono avere completamente smarrito il senso della misura, delle proporzioni, o meglio ancora delle priorità. Ogni giorno ci riserva la sua piccola bega, fra partiti ed entro i partiti, e pochissimi paiono rendersi conto che ci siamo di nuovo pericolosamente avvicinati al baratro.
Da qualche giorno si riparla della possibilità di votare subito, ad ottobre, e non sappiamo ancora nulla. Non sappiamo se dovremo rivotare con le liste bloccate del “porcellum” oppure ci sarà una nuova legge elettorale. Non sappiamo se chi ha condanne definitive potrà essere eletto in Parlamento. Non sappiamo quali saranno le forze politiche in campo. Non sappiamo che alleanze faranno i partiti. Non sappiamo chi saranno i candidati premier. Ma soprattutto non abbiamo ancora ascoltato alcuna proposta precisa in materia di politica economica, salvo quella dei cosiddetti montiani, che propongono di andare avanti così, completando le riforme dell’agenda Monti.
Eppure, come elettori, avremmo diritto di sapere come le principali forze politiche del paese intendono evitare il default e, se possibile, riavviare un minimo di crescita economica. Ma attenzione, quando dico che avremmo il diritto di sapere, non mi riferisco ai soliti elenchi di impegni generici, velleitari, o privi di copertura finanziaria. Oggi meno che mai, come elettori, possiamo accontentarci del consueto minestrone elettorale: crescita, coesione sociale, equità, sgravi fiscali, lotta all’evasione fiscale, riduzione degli sprechi, federalismo, rilancio del mezzogiorno. I progetti delle forze politiche che si candidano a governare il paese dovrebbero essere dettagliati e finanziariamente sostenibili, e soprattutto chiari nel loro rapporto con quel che Monti ha fatto fin qui. Non sono fra quanti pensano che Monti abbia fatto il massimo possibile, e anzi ritengo che abbia commesso qualche notevole sbaglio. Ma mi spaventa di più la completa mancanza di analisi credibili da parte delle forze che lo criticano, o lo sostengono fra mille distinguo e prese di distanza. Né Bersani, né Alfano, né Grillo – leader delle tre principali forze in campo – sono stati finora capaci di offrire una alternativa convincente, ossia chiara ed articolata, alla linea del professore. Quel che si intuisce è soltanto che Grillo non esclude il ritorno alla lira, ad Alfano non sono piaciuti gli aumenti delle tasse, a Bersani non sono piaciute le riduzioni di spesa. Quanto al partito di Montezemolo, l’unica lista che potrebbe competere con le tre forze maggiori, non si sa neppure se sarà presente alle prossime elezioni.
Forse è anche per questo – perché capiamo che i suoi critici farebbe meno e peggio – che sempre più insistentemente si sente parlare di una lista Monti, o di una continuazione del montismo con altri mezzi. E forse è per lo stesso motivo che, talora, Monti si lascia andare ad atteggiamenti da salvatore della patria, da uomo di stato che – diversamente dai politici politicanti – non pensa alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni (vedi dichiarazioni di ieri nella sua visita in Russia).
Il dramma delle prossime elezioni, siano quest’autunno o siano questa primavera, è proprio questo. L’Italia avrebbe bisogno di un governo politico, dotato di visione, di coraggio e di legittimazione elettorale, che la portasse fuori dalla palude in cui si è cacciata. Ma il ceto politico vecchio e nuovo appare così debole, così incosciente, così inconcludente e cialtrone, che in molti cominciamo a pensare che, tutto sommato, un nuovo governo Monti sarebbe meglio che riconsegnarci a forze politiche che non saprebbero dove portarci. Con una piccola complicazione, però: che i governi li fa il parlamento, e tutto fa pensare che il nuovo parlamento non sarà molto migliore di quello che ci lasceremo alle spalle.
di Luca Ricolfi
25 luglio 2012
Rivolte e guerre da manuale
Di cosa può essere capace chi brama la guerra? L’immaginazione potrebbe sorprendersi di fronte all’inesistenza di limiti.
Ce l’hanno dimostrato in Libia, ce lo stanno facendo vedere in Siria, ci proveranno (e hanno già iniziato) con l’Iran.
Il terrorismo diventa salvaguardia dei diritti umani, eserciti più o meno mercenari sono spacciati per “la resistenza”, governi legittimamente eletti diventano feroci e sanguinari regimi, capi di stato (rispettati e riveriti) che amministrano da anni si trasformano nel giro di poche settimane in crudeli oppressori, scelte di politica interna (come l’approvvigionamento energetico) sono vendute come intollerabili minacce. Insomma, l’assurdità diventa ovvietà, gli oppressori si trasformano in liberatori e l’incredibile diventa realtà. Orwell si inchinerebbe ai guerrafondai moderni.
I geni del male contemporanei hanno avuto predecessori che hanno alimentato e strutturato forme di aggressione, occupazione e sterminio degne dei peggiori aguzzini o delle peggiori menti alberganti nei novelli dottori della morte. Queste canaglie bestemmiano definendosi ‘democratiche’ e coprono la loro malvagità con la cosiddetta ‘esportazione’ di ciò che non conoscono. Ci sono invece pratiche, tattiche e strategie ben note all’asse dei reali oppressori (da USraele ai loro ‘NATOriamente’ fedeli alleati europei), che datano addirittura all’inizio degli anni ’60. Cuba ha fatto scuola.
Scrive Jesse Ventura, ex governatore del Minnesota (già Navy Seal), nel libro 63 documents the US Government doesn’t want you to read (in Italia “Il libro che nessun governo ti farebbe mai leggere”, Newton Compton editori) che “alla fine dell’aprile 2001, poco più di quattro mesi prima dell’11 settembre, si è scoperto incredibilmente che l’esercito americano aveva pianificato un finto attacco terroristico contro i suoi stessi cittadini. (…) Si trattava dell’Operazione Northwoods contro Cuba, approvata nel 1962 da tutti gli Stati Maggiori Riuniti.” Nel libro si trova un memorandum per il segretario della Difesa e per il capo delle operazioni militari avente per oggetto la giustificazione per l’intervento militare degli Stati Uniti a Cuba. Vengono elencati i pretesti utili per poter giustificare l’intervento militare, attraverso la pianificazione e la concentrazione di una serie di “incidenti che andranno a combinarsi con altri eventi in apparenza non collegati, allo scopo di camuffare l’obiettivo ultimo e creare la necessaria impressione della pericolosità e irresponsabilità su larga scala” del nemico.
Nel memorandum, originariamente top secret, si legge nero su bianco che “il risultato voluto della realizzazione di questo piano sarà quello di mettere gli USA nell’apparente posizione di poter giustamente (…) diffondere l’idea nella comunità internazionale della minaccia portata da questo Paese (il nemico, NdA) alla pace dell’Occidente”. Dal 1962 a oggi, le istruzioni sono seguite alla perfezione. Nei documenti riportati da Ventura si legge che le menti del male auspicavano che “alla base di un intervento militare” ci fosse una provocazione e suggerivano come agire per metterla in atto: “Si potrebbe suscitare la reazione di quel governo con un piano segreto e fraudolento” e inoltre “andrebbero promosse azioni aggressive e ingannevoli per convincere” il nemico “di un’imminente invasione”.
Nell’appendice del memorandum c’è poi la lista di interventi utili per decidere un attacco credibile. Si va dalla diffusione di voci (disinformazione), all’azione di alleati nel paese nemico affinché si insceni un attacco; dal provocare disordini all’organizzare un attentato con relative cerimonie funebri. In particolare, ci sono due proposte che non lasciano spazio a dubbi o a complottismi di sorta (se non quelli degli ideatori): far esplodere una nave americana e dare la colpa al nemico che si vuole aggredire; far esplodere un proprio mezzo senza equipaggio umano in territorio nemico e attribuire la responsabilità al governo che si vuole combattere, avendo l’accuratezza di pubblicare la lista delle (inesistenti) vittime sui giornali statunitensi “in modo da sollevare un’utile ondata di sdegno nella nazione.” E, se non bastasse, il documento desecretato invita a “sviluppare una campagna terroristica.”
Correva l’anno 1962 quando questa strategia veniva elaborata e indicata come via maestra. Le guerre più recenti dimostrano l’efficacia delle operazioni ‘da manuale’ degli aggressori. Con alcune ‘migliorie’ come ad esempio l’intervento occulto attraverso quelli che vengono chiamati (e armati) ‘eserciti dei ribelli’ o ‘degli insorti’.
La realtà ci insegna che i killer professionisti agiscono in segreto, nascosti, vicini ma invisibili alla vittima. E non sono paghi finché non hanno portato a termine la missione. Norman Podhoretz, firmatario del Project for a New American Century (PNAC), nel numero di settembre del 2002 della sua rivista Commentary scrisse che i regimi “che meritano abbondantemente di essere rovesciati e sostituiti non si limitano ai tre membri identificati dell’Asse del Male (Iran, Iraq e Corea del Nord, NdA). L’asse dovrebbe essere esteso almeno alla Siria, al Libano e alla Libia, ma anche ad ‘amici’ dell’America quali la famiglia reale saudita e l’Egitto di Mubarak, insieme all’Autorità Palestinese sia diretta da Arafat che da uno dei suoi scagnozzi.” L’agenda è in atto; la missione è in corso.
E per chi vuole la guerra (e il preziosissimo bottino di guerra) non c’è nulla di impossibile o impraticabile. I media e i governi alleati sapranno costruire la matrice da metterci davanti agli occhi per nascondere la verità.
di Monia Benini
24 luglio 2012
A cosa serve il servizio segreto?
Oggi per scoprire segreti militari basta un satellite o anche un Drone delle dimensioni di una mosca.
Un servizio segreto serve a preparare e vincere una guerra, possibilmente senza combatterla, mediante il condizionamento della pubblica opinione.
Ciò può avvenire mediante aggressione mediatica diretta ( es la BBC inglese con l’Italia 1940-1945) o la penetrazione capillare di idee opportunamente teleguidate che trasformino in verità assoluta un interesse politico ben identificato dalla geopolitica.
” L’aggressore è amante della pace. egli vorrebbe conquistare le nostre case senza sparare un sol colpo” ( Clausewitz, cap V “della superiorità della Difesa strategica”. Cito a memoria e una virgola potrebbe essere fuori posto) . Parlava di Napoleone e quindi nessuno dei presenti si offenda.
In un mondo in cui si è disposti a credere a tutto, basta condizionare e rifornire con continuità i media e il piu è fatto.
Il più grande successo dell’intelligence inglese degli ultimi quattrocento anni è l’aver introdotto il concetto di “equilibrio europeo” nelle cancellerie di tutto il mondo.
Migliaia di diplomatici di tutta Europa hanno sempre dato per scontato che per avere la pace bisognasse assicurare l’equilibrio in Europa tra le varie potenze.
Ci sono voluti quattro secoli per tornare al prisco concetto di naturale Unità del continente europeo che era stato il perno della vita del mondo dall’era dell’imperatore Augusto alla caduta di Costantinopoli.
Non che non ci fossero guerre, ma miravano a mantenere o rifare l’impero o brigare una successione.
La comunicazione oggi – fortemente integrata con l’intelligence al punto da essere ormai indistinguibile – è riuscita a far percepire una serie di concetti completamente falsi che ci stanno spingendo verso la guerra come capretti verso il sacrificio.
Ad esempio, tutti ormai riteniamo che le sanzioni contro uno stato siano una alternativa alla guerra, mentre In realtà la preparano.
Tutte le guerre più recenti – vedasi Irak ,Libia, Siria, – sono state precedute da sanzioni economiche più o meno stringenti che hanno avuto la funzione di indebolire l’avversario, minarne la coesione interna mediante impoverimento di alcuni strati sociali, limitarne le potenzialità militari e magari indurli ad atti di aggressione , in maniera da far apparire aggressore l’aggredito.
Ora è la volta dell’Iran, attorno al quale è iniziato il balletto delle portaerei Enterprise, Stinton e un’altra di cui ora mi sfugge il nome. L’Iran è il terzo produttore al mondo di petrolio e il secondo di Gas naturale. Le sanzioni gli vengono applicate da circa trenta anni e con varie ragioni.
Le prime sanzioni moderne furono applicate all’Italia a seguito della guerra d’Etiopia. ( tralascio il caso napoleonico di “blocco continentale” per non allungare oltremisura).
L’esito non fu determinante per la relativa novità dello strumento, la forte coesione nazionale del momento ( anche il PCI propose di aderire al regime ) e le misure economiche adottate su suggerimento dell’ economista Giuseppe Palladino, sconosciuto ai più.
Maggior successo ebbe il blocco dei rifornimenti petroliferi al Giappone da parte degli Stati Uniti iniziato nel 1940 che indusse i nipponici ad attaccare nel 1941, prima di essere troppo indeboliti.
Le stesse sanzioni economiche imposte dalla Lega Araba contro Israele dal 1948 in poi hanno condotto a guerre ( due di autodifesa preventiva : 1956 contro l’Egitto e nel1982 contro il Libano mirante anche a forzare il blocco economico sull’anello più debole ; due di aggressione diretta 1967 e 1974 in cui gli arabi attaccarono.
Ad onta di tutte queste dimostrazioni che le Sanzioni precedono e non impediscono le guerre, la pubblica opinione mondiale è condizionata a pensare il contrario.
Un secondo condizionamento planetario consiste nella tecnica di definire ogni atto di resistenza
” crimini di guerra”.
È ancora vivo in tutti noi il ricordo dell’ondata di indignazione emotiva suscitata dalla notizia dei diecimila morti in un giorno per mano di Gheddafi, le foto del cimitero di Tripoli in costruzione spacciato per ” fosse comuni” ecc.
La notizia, precedette e giustificò l’intervento.
Nessun media rettificò le false informazioni. Oggi, con la variante siriana, i ” diecimila morti in un giorno” sono stati trasformati in uno stillicidio di trenta / quaranta morti al giorno, recitati da uno sconosciuto ” addetto stampa” di una ignota organizzazione con base a Londra , senza che nessuna conferma professionale convincente sia intervenuta.
Di certo, ci sono tre fatti: seicento ex “rivoluzionari” islamisti libici fanatici armati di tutto punto , trasferiti e pagati dagli USA, tramite i sauditi, stanno spargendo il terrore a macchia di leopardo sul territorio siriano, ritirandosi quando opportuno oltrefrontiera in Libano e in Turchia.
Auto imbottite di tritolo sono scoppiate a Damasco provocando massacri, ma indignazione, non paura, al punto che ” i ribelli” hanno negato ogni partecipazione e dato la colpa a Al Kaida che come si sa, ha le spalle larghe e non ha ufficio stampa.
Una intervista fatta da un giornalista inglese a Bashar el Assad che avevo personalmente messo su you tube e che poteva aiutare le persone a farsi una opinione indipendente , fu cancellata nel giro di un giorno , un anno e mezzo fa e sostituita dalla scritta ” cancellata”.
You tube è mio e lo gestisco io.
Se gli USA prenderanno il controllo dei giacimenti iraniani, otterrebbero di fatto il monopolio mondiale dell’energia e potrebbero in ogni momento giugulare Cina e Russia.
Ogni notizia su Siria e Iran , anche la più innocente – di innocente non c’è più nulla – leggetela alla luce della geografia e della storia. Due volte.
di Antonio de Martini
Iscriviti a:
Post (Atom)
26 luglio 2012
L'irresistibile inadeguatezza della politica
Credo che la maggior parte dei cittadini non abbia ancora capito. Per non parlare dei politici, dei sindacalisti, dei rappresentanti di associazioni e gruppi. A giudicare dalla spensieratezza con cui si va in vacanza, si segue il calcio mercato, si discetta di sistemi elettorali, ci si infervora sui matrimoni gay e sulle dimissioni della Minetti, si direbbe che siano davvero pochi gli italiani che si rendono conto di quanto è drammatico questo momento.
E allora proviamo a riassumere. Nessuno sa quanto è probabile che l’euro crolli, o che lo Stato italiano fallisca e ci trascini tutti nel baratro. Però questa eventualità, che era decisamente remota fino a qualche tempo fa, ora non è più trascurabile. Può succedere. Speriamo di no, ma può succedere. Questa settimana, o fra un mese, o fra un anno.
Non è inutile ricordare che cosa l’eventualità di un default si porterebbe dietro. Primo: una considerevole erosione dei propri risparmi, per chi ne ha; un crollo del valore degli immobili; l’impossibilità – in caso di necessità – di venderli a un prezzo decente.
Secondo: un taglio dell’importo delle pensioni, per chi non lavora più; difficoltà di conservare il posto di lavoro, per operai e impiegati; difficoltà di tenere aperte attività economiche, per imprenditori, commercianti, artigiani.
Terzo: riduzione della quantità e della qualità delle cure, per i malati; per tutti, problemi di approvvigionamento energetico, perché benzina, riscaldamento, luce elettrica scarseggerebbero e costerebbero di più.
Qui mi fermo, perché non è il caso di infierire. Ma il menù è questo. Le dosi possono variare, le portate – ovvero i guai – possono essere abbondanti o striminzite, ma questo è il genere di eventi che accompagnano un default.
Ebbene, di fronte a tutto questo – che fortunatamente non è né certo né probabile, e tuttavia sta diventando sempre più possibile – le forze politiche paiono avere completamente smarrito il senso della misura, delle proporzioni, o meglio ancora delle priorità. Ogni giorno ci riserva la sua piccola bega, fra partiti ed entro i partiti, e pochissimi paiono rendersi conto che ci siamo di nuovo pericolosamente avvicinati al baratro.
Da qualche giorno si riparla della possibilità di votare subito, ad ottobre, e non sappiamo ancora nulla. Non sappiamo se dovremo rivotare con le liste bloccate del “porcellum” oppure ci sarà una nuova legge elettorale. Non sappiamo se chi ha condanne definitive potrà essere eletto in Parlamento. Non sappiamo quali saranno le forze politiche in campo. Non sappiamo che alleanze faranno i partiti. Non sappiamo chi saranno i candidati premier. Ma soprattutto non abbiamo ancora ascoltato alcuna proposta precisa in materia di politica economica, salvo quella dei cosiddetti montiani, che propongono di andare avanti così, completando le riforme dell’agenda Monti.
Eppure, come elettori, avremmo diritto di sapere come le principali forze politiche del paese intendono evitare il default e, se possibile, riavviare un minimo di crescita economica. Ma attenzione, quando dico che avremmo il diritto di sapere, non mi riferisco ai soliti elenchi di impegni generici, velleitari, o privi di copertura finanziaria. Oggi meno che mai, come elettori, possiamo accontentarci del consueto minestrone elettorale: crescita, coesione sociale, equità, sgravi fiscali, lotta all’evasione fiscale, riduzione degli sprechi, federalismo, rilancio del mezzogiorno. I progetti delle forze politiche che si candidano a governare il paese dovrebbero essere dettagliati e finanziariamente sostenibili, e soprattutto chiari nel loro rapporto con quel che Monti ha fatto fin qui. Non sono fra quanti pensano che Monti abbia fatto il massimo possibile, e anzi ritengo che abbia commesso qualche notevole sbaglio. Ma mi spaventa di più la completa mancanza di analisi credibili da parte delle forze che lo criticano, o lo sostengono fra mille distinguo e prese di distanza. Né Bersani, né Alfano, né Grillo – leader delle tre principali forze in campo – sono stati finora capaci di offrire una alternativa convincente, ossia chiara ed articolata, alla linea del professore. Quel che si intuisce è soltanto che Grillo non esclude il ritorno alla lira, ad Alfano non sono piaciuti gli aumenti delle tasse, a Bersani non sono piaciute le riduzioni di spesa. Quanto al partito di Montezemolo, l’unica lista che potrebbe competere con le tre forze maggiori, non si sa neppure se sarà presente alle prossime elezioni.
Forse è anche per questo – perché capiamo che i suoi critici farebbe meno e peggio – che sempre più insistentemente si sente parlare di una lista Monti, o di una continuazione del montismo con altri mezzi. E forse è per lo stesso motivo che, talora, Monti si lascia andare ad atteggiamenti da salvatore della patria, da uomo di stato che – diversamente dai politici politicanti – non pensa alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni (vedi dichiarazioni di ieri nella sua visita in Russia).
Il dramma delle prossime elezioni, siano quest’autunno o siano questa primavera, è proprio questo. L’Italia avrebbe bisogno di un governo politico, dotato di visione, di coraggio e di legittimazione elettorale, che la portasse fuori dalla palude in cui si è cacciata. Ma il ceto politico vecchio e nuovo appare così debole, così incosciente, così inconcludente e cialtrone, che in molti cominciamo a pensare che, tutto sommato, un nuovo governo Monti sarebbe meglio che riconsegnarci a forze politiche che non saprebbero dove portarci. Con una piccola complicazione, però: che i governi li fa il parlamento, e tutto fa pensare che il nuovo parlamento non sarà molto migliore di quello che ci lasceremo alle spalle.
di Luca Ricolfi
25 luglio 2012
Rivolte e guerre da manuale
Di cosa può essere capace chi brama la guerra? L’immaginazione potrebbe sorprendersi di fronte all’inesistenza di limiti.
Ce l’hanno dimostrato in Libia, ce lo stanno facendo vedere in Siria, ci proveranno (e hanno già iniziato) con l’Iran.
Il terrorismo diventa salvaguardia dei diritti umani, eserciti più o meno mercenari sono spacciati per “la resistenza”, governi legittimamente eletti diventano feroci e sanguinari regimi, capi di stato (rispettati e riveriti) che amministrano da anni si trasformano nel giro di poche settimane in crudeli oppressori, scelte di politica interna (come l’approvvigionamento energetico) sono vendute come intollerabili minacce. Insomma, l’assurdità diventa ovvietà, gli oppressori si trasformano in liberatori e l’incredibile diventa realtà. Orwell si inchinerebbe ai guerrafondai moderni.
I geni del male contemporanei hanno avuto predecessori che hanno alimentato e strutturato forme di aggressione, occupazione e sterminio degne dei peggiori aguzzini o delle peggiori menti alberganti nei novelli dottori della morte. Queste canaglie bestemmiano definendosi ‘democratiche’ e coprono la loro malvagità con la cosiddetta ‘esportazione’ di ciò che non conoscono. Ci sono invece pratiche, tattiche e strategie ben note all’asse dei reali oppressori (da USraele ai loro ‘NATOriamente’ fedeli alleati europei), che datano addirittura all’inizio degli anni ’60. Cuba ha fatto scuola.
Scrive Jesse Ventura, ex governatore del Minnesota (già Navy Seal), nel libro 63 documents the US Government doesn’t want you to read (in Italia “Il libro che nessun governo ti farebbe mai leggere”, Newton Compton editori) che “alla fine dell’aprile 2001, poco più di quattro mesi prima dell’11 settembre, si è scoperto incredibilmente che l’esercito americano aveva pianificato un finto attacco terroristico contro i suoi stessi cittadini. (…) Si trattava dell’Operazione Northwoods contro Cuba, approvata nel 1962 da tutti gli Stati Maggiori Riuniti.” Nel libro si trova un memorandum per il segretario della Difesa e per il capo delle operazioni militari avente per oggetto la giustificazione per l’intervento militare degli Stati Uniti a Cuba. Vengono elencati i pretesti utili per poter giustificare l’intervento militare, attraverso la pianificazione e la concentrazione di una serie di “incidenti che andranno a combinarsi con altri eventi in apparenza non collegati, allo scopo di camuffare l’obiettivo ultimo e creare la necessaria impressione della pericolosità e irresponsabilità su larga scala” del nemico.
Nel memorandum, originariamente top secret, si legge nero su bianco che “il risultato voluto della realizzazione di questo piano sarà quello di mettere gli USA nell’apparente posizione di poter giustamente (…) diffondere l’idea nella comunità internazionale della minaccia portata da questo Paese (il nemico, NdA) alla pace dell’Occidente”. Dal 1962 a oggi, le istruzioni sono seguite alla perfezione. Nei documenti riportati da Ventura si legge che le menti del male auspicavano che “alla base di un intervento militare” ci fosse una provocazione e suggerivano come agire per metterla in atto: “Si potrebbe suscitare la reazione di quel governo con un piano segreto e fraudolento” e inoltre “andrebbero promosse azioni aggressive e ingannevoli per convincere” il nemico “di un’imminente invasione”.
Nell’appendice del memorandum c’è poi la lista di interventi utili per decidere un attacco credibile. Si va dalla diffusione di voci (disinformazione), all’azione di alleati nel paese nemico affinché si insceni un attacco; dal provocare disordini all’organizzare un attentato con relative cerimonie funebri. In particolare, ci sono due proposte che non lasciano spazio a dubbi o a complottismi di sorta (se non quelli degli ideatori): far esplodere una nave americana e dare la colpa al nemico che si vuole aggredire; far esplodere un proprio mezzo senza equipaggio umano in territorio nemico e attribuire la responsabilità al governo che si vuole combattere, avendo l’accuratezza di pubblicare la lista delle (inesistenti) vittime sui giornali statunitensi “in modo da sollevare un’utile ondata di sdegno nella nazione.” E, se non bastasse, il documento desecretato invita a “sviluppare una campagna terroristica.”
Correva l’anno 1962 quando questa strategia veniva elaborata e indicata come via maestra. Le guerre più recenti dimostrano l’efficacia delle operazioni ‘da manuale’ degli aggressori. Con alcune ‘migliorie’ come ad esempio l’intervento occulto attraverso quelli che vengono chiamati (e armati) ‘eserciti dei ribelli’ o ‘degli insorti’.
La realtà ci insegna che i killer professionisti agiscono in segreto, nascosti, vicini ma invisibili alla vittima. E non sono paghi finché non hanno portato a termine la missione. Norman Podhoretz, firmatario del Project for a New American Century (PNAC), nel numero di settembre del 2002 della sua rivista Commentary scrisse che i regimi “che meritano abbondantemente di essere rovesciati e sostituiti non si limitano ai tre membri identificati dell’Asse del Male (Iran, Iraq e Corea del Nord, NdA). L’asse dovrebbe essere esteso almeno alla Siria, al Libano e alla Libia, ma anche ad ‘amici’ dell’America quali la famiglia reale saudita e l’Egitto di Mubarak, insieme all’Autorità Palestinese sia diretta da Arafat che da uno dei suoi scagnozzi.” L’agenda è in atto; la missione è in corso.
E per chi vuole la guerra (e il preziosissimo bottino di guerra) non c’è nulla di impossibile o impraticabile. I media e i governi alleati sapranno costruire la matrice da metterci davanti agli occhi per nascondere la verità.
di Monia Benini
24 luglio 2012
A cosa serve il servizio segreto?
Oggi per scoprire segreti militari basta un satellite o anche un Drone delle dimensioni di una mosca.
Un servizio segreto serve a preparare e vincere una guerra, possibilmente senza combatterla, mediante il condizionamento della pubblica opinione.
Ciò può avvenire mediante aggressione mediatica diretta ( es la BBC inglese con l’Italia 1940-1945) o la penetrazione capillare di idee opportunamente teleguidate che trasformino in verità assoluta un interesse politico ben identificato dalla geopolitica.
” L’aggressore è amante della pace. egli vorrebbe conquistare le nostre case senza sparare un sol colpo” ( Clausewitz, cap V “della superiorità della Difesa strategica”. Cito a memoria e una virgola potrebbe essere fuori posto) . Parlava di Napoleone e quindi nessuno dei presenti si offenda.
In un mondo in cui si è disposti a credere a tutto, basta condizionare e rifornire con continuità i media e il piu è fatto.
Il più grande successo dell’intelligence inglese degli ultimi quattrocento anni è l’aver introdotto il concetto di “equilibrio europeo” nelle cancellerie di tutto il mondo.
Migliaia di diplomatici di tutta Europa hanno sempre dato per scontato che per avere la pace bisognasse assicurare l’equilibrio in Europa tra le varie potenze.
Ci sono voluti quattro secoli per tornare al prisco concetto di naturale Unità del continente europeo che era stato il perno della vita del mondo dall’era dell’imperatore Augusto alla caduta di Costantinopoli.
Non che non ci fossero guerre, ma miravano a mantenere o rifare l’impero o brigare una successione.
La comunicazione oggi – fortemente integrata con l’intelligence al punto da essere ormai indistinguibile – è riuscita a far percepire una serie di concetti completamente falsi che ci stanno spingendo verso la guerra come capretti verso il sacrificio.
Ad esempio, tutti ormai riteniamo che le sanzioni contro uno stato siano una alternativa alla guerra, mentre In realtà la preparano.
Tutte le guerre più recenti – vedasi Irak ,Libia, Siria, – sono state precedute da sanzioni economiche più o meno stringenti che hanno avuto la funzione di indebolire l’avversario, minarne la coesione interna mediante impoverimento di alcuni strati sociali, limitarne le potenzialità militari e magari indurli ad atti di aggressione , in maniera da far apparire aggressore l’aggredito.
Ora è la volta dell’Iran, attorno al quale è iniziato il balletto delle portaerei Enterprise, Stinton e un’altra di cui ora mi sfugge il nome. L’Iran è il terzo produttore al mondo di petrolio e il secondo di Gas naturale. Le sanzioni gli vengono applicate da circa trenta anni e con varie ragioni.
Le prime sanzioni moderne furono applicate all’Italia a seguito della guerra d’Etiopia. ( tralascio il caso napoleonico di “blocco continentale” per non allungare oltremisura).
L’esito non fu determinante per la relativa novità dello strumento, la forte coesione nazionale del momento ( anche il PCI propose di aderire al regime ) e le misure economiche adottate su suggerimento dell’ economista Giuseppe Palladino, sconosciuto ai più.
Maggior successo ebbe il blocco dei rifornimenti petroliferi al Giappone da parte degli Stati Uniti iniziato nel 1940 che indusse i nipponici ad attaccare nel 1941, prima di essere troppo indeboliti.
Le stesse sanzioni economiche imposte dalla Lega Araba contro Israele dal 1948 in poi hanno condotto a guerre ( due di autodifesa preventiva : 1956 contro l’Egitto e nel1982 contro il Libano mirante anche a forzare il blocco economico sull’anello più debole ; due di aggressione diretta 1967 e 1974 in cui gli arabi attaccarono.
Ad onta di tutte queste dimostrazioni che le Sanzioni precedono e non impediscono le guerre, la pubblica opinione mondiale è condizionata a pensare il contrario.
Un secondo condizionamento planetario consiste nella tecnica di definire ogni atto di resistenza
” crimini di guerra”.
È ancora vivo in tutti noi il ricordo dell’ondata di indignazione emotiva suscitata dalla notizia dei diecimila morti in un giorno per mano di Gheddafi, le foto del cimitero di Tripoli in costruzione spacciato per ” fosse comuni” ecc.
La notizia, precedette e giustificò l’intervento.
Nessun media rettificò le false informazioni. Oggi, con la variante siriana, i ” diecimila morti in un giorno” sono stati trasformati in uno stillicidio di trenta / quaranta morti al giorno, recitati da uno sconosciuto ” addetto stampa” di una ignota organizzazione con base a Londra , senza che nessuna conferma professionale convincente sia intervenuta.
Di certo, ci sono tre fatti: seicento ex “rivoluzionari” islamisti libici fanatici armati di tutto punto , trasferiti e pagati dagli USA, tramite i sauditi, stanno spargendo il terrore a macchia di leopardo sul territorio siriano, ritirandosi quando opportuno oltrefrontiera in Libano e in Turchia.
Auto imbottite di tritolo sono scoppiate a Damasco provocando massacri, ma indignazione, non paura, al punto che ” i ribelli” hanno negato ogni partecipazione e dato la colpa a Al Kaida che come si sa, ha le spalle larghe e non ha ufficio stampa.
Una intervista fatta da un giornalista inglese a Bashar el Assad che avevo personalmente messo su you tube e che poteva aiutare le persone a farsi una opinione indipendente , fu cancellata nel giro di un giorno , un anno e mezzo fa e sostituita dalla scritta ” cancellata”.
You tube è mio e lo gestisco io.
Se gli USA prenderanno il controllo dei giacimenti iraniani, otterrebbero di fatto il monopolio mondiale dell’energia e potrebbero in ogni momento giugulare Cina e Russia.
Ogni notizia su Siria e Iran , anche la più innocente – di innocente non c’è più nulla – leggetela alla luce della geografia e della storia. Due volte.
di Antonio de Martini
Iscriviti a:
Post (Atom)