06 gennaio 2013

Il Gran Maestro



 MARIO MONTI
Se un merito va riconosciuto a Mario Monti è di contribuire ad una maggiore chiarezza del dibattito; ha scelto il suo avversario, Silvio Berlusconi, il suo referente, Bersani, quest’ultimo con un Vendola più addomesticato; ha definito il perimetro entro cui si schiereranno e si formeranno le forze politiche a lui affini; ha tracciato gli orientamenti che ispirano il suo “Cambiare l’Italia, Riformare l’Europa: Agenda per l’impegno comune” di prossima pubblicazione. La conferenza stampa di fine anno tenutasi oggi, domenica 23 dicembre, è stata esemplare nella sua semplicità e incisività. Come al solito i commenti a caldo dei pontefici dell’informazione, a cominciare da Mentana, hanno piegato il senso delle sue dichiarazioni alla logica della quale è vittima la quasi totalità del giornalismo italiano: la riduzione al semplice scontro di fazioni partitiche nel palcoscenico politico e, quindi, l’implicito sostegno tattico allo schieramento di Casini e Montezemolo.
In realtà Monti ha detto molto di più e con un respiro che va al di là dell’attuale scadenza elettorale:
  • Non autorizza nessuno ad utilizzare indebitamente il suo nome; l’avvertimento a Casini e ad alcune componenti del PDL mi pare evidente.
  • La società civile è diffidente nei confronti dei politici professionisti compresi quelli che intendessero sostenere il suo programma
  • Piuttosto che tra destra e sinistra il discrimine della lotta politica dovrebbe essere l’Europa e il rinnovamento
  • Nei tre schieramenti classici e ormai antiquati ci sono cespugli europeisti, innovatori e liberali che andrebbero raccolti sulla base del nuovo discrimine
Il Professore, quindi, più che partecipare e tentare di vincere queste elezioni cerca di orientare il dibattito della campagna elettorale in modo che i partiti in qualche maniera rinuncino parzialmente alla demagogia necessaria a raccogliere voti e alleanze talmente eterogenei  da inficiare però la fluidità successiva dell’azione politica; Monti, infatti, ha già più volte dichiarato di non farsi troppe illusioni sulla frantumazione dei partiti prima delle elezioni. Dal PDL si aspetta poche defezioni importanti, meno del numero di dita delle mani. Paradossalmente, aggiungo io, potrebbe conseguire qualche successo più rilevante dal versante meno ostile, il PD. Sulla base del risultato elettorale, poi, si porrà il problema della coalizione, di chi sarà il Capo di Governo e di quale ruolo svolgerà Monti stesso da una parte e della destrutturazione degli attuali partiti dall’altra. L’altra preoccupazione è quella di circoscrivere il più possibile la campagna elettorale di Berlusconi il quale con i suoi argomenti, in caso di successo, rischia di innescare, contro le sue stesse intenzioni, una politicizzazione del processo di disgregazione dell’Unione Europea attraverso la crisi di una delle due correnti politiche europee, il Partito Popolare Europeo; da qui il senso della recente trappola perpetrata a Bruxelles dal PPE con l’incoronazione di Monti e il processo a Berlusconi.
Per tranciare in questo modo il dibattito politico, il Presidente dimissionario deve ricorrere a sua volta a delle forzature; deve  discriminare tra chi sostiene o ritiene compatibile il suo manifesto ed è in possesso, quindi, dell’attestazione di europeista ed innovatore; gli altri ne sono la semplice negazione. Non esiste pertanto altra dinamica positiva che l’attuale processo di Unione Europea; non esiste altro rinnovamento che il montismo.
Ma Monti, così come l’attuale Unione Europea, in realtà ha molto poco da offrire.
Prospettando una unione da costruire sulle macerie delle nazioni e degli stati nazionali, ignora del tutto i lunghi processi identitari  necessari a creare una comunità, uno stato rappresentativo e una nazione quale dovrebbe essere l’Europa nel caso riuscisse a realizzarsi e quali continuano ad essere gli attuali o almeno quelli che riescono a preservare la propria sovranità. L’Europa, agli occhi di Monti, sarebbe un popolo senza nazione, fatto di persone, consumatori e cittadini muniti di diritti e doveri formali. La sua costituzione sarebbe il frutto di una combinazione accorta dell’azione volontaria di élites e tecnocrati e di una rappresentazione dei cittadini di tipo parlamentare costruita attraverso un semplice atto di volontà di gruppi elitari. L’amalgama e lo sviluppo, invece, sarebbero garantiti dalla costruzione di un mercato continentale libero a sua volta integrato con quello americano e, in qualche momento di là da venire, mondiale.
Una impostazione che evita opportunamente ogni velleità di distinzione di interessi e di identità da quella dell’attuale potenza dominante americana e ogni possibilità di seria e trasparente trattativa tra gruppi e stati nazionali tesa a creare strutture organizzative, statuali, di impresa, culturali necessari per la formazione di blocchi sociali e popoli con una loro peculiarità.
Una visione simile, sia pure allo stato embrionale, apparteneva al De Gaulle degli anni ’60, quando propugnava un processo unitario fondato sugli stati nazionali e sull’integrazione verticale dei settori contestuale alla creazione del mercato europeo, piuttosto che sulla mera liberalizzazione dei mercati e sul continuo frazionamento delle imprese, sull’anomia culturale condita di retorica; la gestione di questi processi, però, comporta l’esistenza di gruppi nazionali forti, consapevoli degli interessi nazionali ma disposti a trattare con i vicini di casa e a delimitare l’azione rispetto alle altre potenze mondiali. Una condizione antitetica rispetto alla situazione europea scaturita dalla seconda guerra mondiale, proseguita nel bipolarismo, protrattasi ulteriormente, con qualche illusione fugace, con la caduta dell’URSS.
Quello che Monti ha da offrire è, più che una speranza, l’accettazione di una pesante regressione in alternativa ad una regressione ancora più marcata in caso di tradimento del suo verbo; l’occupazione tutt’al più  delle nicchie lasciate libere dalle forze dominanti. La recente vendita di Avio aereonautica alla General Electric, il taglio integrale per il secondo anno consecutivo dei finanziamenti sulla ricerca aerospaziale, i continui attacchi ad ENI e Finmeccanica, le scelte di politica estera e di difesa, la nuova enfasi riconosciuta alle scelte di Marchionne, esempi tra i tanti, lasciano intravedere quale sia la consistenza di queste nicchie e quali saranno le dinamiche di un libero mercato ridotto a campo di azione di lobby e gruppi organizzati nascosti dietro l’ideologia del consumatore e produttore individuale. Lascia intravedere, altresì, quali saranno le forze suscettibili di sostenere l’impulso “riformatore” di Mario Monti: i beneficiari di queste nicchie e i settori aggrappati alla possibilità di salvaguardare parte delle proprie prerogative parassitarie. Qualche accenno a questo arrembaggio l’abbiamo già visto nella gestione dei processi di liberalizzazione e nelle modalità di riorganizzazione della spesa pubblica avviati quest’anno. Sino ad ora Monti ha avuto buon gioco nell’accusare i partiti come zavorra antiriformatrice; il groppo ha invece un potere e una inerzia ben più rilevanti, radici ben presenti nel suo stesso governo tecnico “riformatore”.
Un dibattito simile ebbe luogo in Italia nell’immediato dopoguerra, ma in un contesto diverso. L’Italia di allora sviluppò rapidamente il settore tessile, ma con aspri scontri interni e una politica dirigista sostenuta dal piano Marshall riuscì a sviluppare anche una notevole industria meccanica e avviare uno sviluppo importante anche se complementare. Gli americani vincitori, allora, dovevano creare un blocco espansivo capace di alimentare la propria forza, offrire sbocchi alla propria capacità industriale e finanziaria, fronteggiare la minaccia sovietica, questo creò gli spazi necessari allo sviluppo e all’emergere di figure come Mattei. Oggi, al paese, viene richiesto un sacrificio di natura ben diversa e con più invitati alla condivisione delle spoglie, compresi alcuni paesi “amici” europei.
Il trasformismo e l’avventurismo di Berlusconi, a sua volta, rappresentano l’alter ego perfetto per giustificare e fornire motivi e forza a questa politica, per rinfocolare i timori sui quali basare i propri successi, così come avvenuto, in un contesto per ora ancora più drammatico, in Grecia.
È sempre più curiosa e intrigante, tra l’altro, l’affinità tra le tesi di Berlusconi, anche lui ormai ispirato dalle teorie espansiviste e di sovranità monetaria di Krugman e quelle antigermanocentriche  dei neoantimperialisti smemorati.
Non appena sarà pubblicato il manifesto di Monti, sulla falsa riga dei miei precedenti articoli di un anno fa sull’Unione Europea,  approfondirò tutti questi aspetti.

di Giuseppe Germinario 

05 gennaio 2013

2012, anno del Golpe morbido. E adesso impariamo a difenderci





     
Si chiude un anno di dittatura bancaria, un anno di debiti e di debito, un anno di politica concepita dalle banche come truffa sociale dei soliti politici truffatori.
Lo spread, come “il Mammone”, ha spaventato i bambini: la mannaia del gabelliere Equitaliano ha colpito indiscriminatamente come un killer seriale e lo Stato è stato trasformato in semplice esattore per nome e per conto dei poteri internazionali. Come il fanatismo ideologico liberista impone, lo Stato ha un solo compito: tassare tutto, tutti e dappertutto. E una sola funzione: garantire che quello che chiamano debito sia garantito al debitore. Il debitore resta occulto, il debito virtuale invece incombe su tutti noi come un incubo metafisico. Siamo all’epica del Dio debito e all’epopea del popolo debitore.

Nulla di quello che i politicanti avevano “promesso” al popolo bue è stato fatto e all’orizzonte nemmeno una speranza di reale cambiamento. Al massimo, in virtù di un ricordo lontano di dignità perduta, alcuni si agitano ormai semi coscienti che così non solo non si può andare avanti ma che è anche inutile andare avanti così. Saranno quelli che forse, nel 2013, porteranno un po’ di caos nel sistema. Che sia benvenuto questo caos.
Da quello che i media asserviti ci raccontano, dobbiamo pagare il 112% l’anno, rispetto al 100% che produciamo e quindi anche agli occhi di un bambino lo Stato è fallito e quindi la macelleria sociale in atto non solo è inutile ma soprattutto è sadica.

E' all’interno del fallimento che cresce la questione meridionale: il divario fra Nord e Sud cresce quando l’economia va bene, cresce quando l’economia va male, segno evidente che la questione meridionale non è una questione semplicemente economica ma un cancro endemico della stessa invasione coloniale.

Crolla l’utopia democratica che autorizza un vero e proprio golpe morbido che gli storici chiameranno Golpe Napolitano-Monti
Crolla la favoletta per i piccoli e buoni “cittadini italiani” del sistema maggioritario, della riduzione dei partiti, del bipolarismo, del bipartitismo.
Crolla il mito della democrazia come pace nel mondo, crolla grazie alle intercettazioni di Napolitano, all’ipocrisia dello Stato Italiano che si proclama anti mafia, mentre Taranto muore, Napoli è come sempre sfruttata per visibilità personale di alcuni a scapito dei napoletani, il Sud è sommerso dai veleni e trasformato in discarica del Nord, i meridionali continuano ad emigrare, vengono derubati della dignità e dei propri soldi attraverso le leggi italiane e per finire anche la chiesa accetta i “30 denari” e tradisce il popolo elogiando i banchieri.
 Da quello che avete letto, sarebbe più giusto dire che si chiude un “normale” anno dei quasi 152esimi di regime italiano più che dire che si è chiuso il 2012esimo anno dopo Cristo.
Ma pur nel “cielo cupo” qualcosa in quest’anno è cambiato: nulla che possa farci dire che possiamo ancora incidere sul sistema, ma sicuramente che l’identitarismo è la strada da percorrere.
Come abbiamo dimostrato per primi nella seconda repubblica al Sud si può lavorare per creare una rappresentanza politica propria ed indipendente attraverso l’opera degli stessi meridionali: peccato che molti hanno copiato la forma, ma non l’essenza fondamentale soprattutto di indipendenza dalla partitocrazia.
Abbiamo dimostrato compattezza ed identità, quando abbiamo reagito da popolo all’offesa della ” pizza veneta” svelando come fosse una copertura dei grandi e soliti interessi economici del nord, abbiamo ottenuto il licenziamento del giornalista “lombrosiano” della Rai piemontese, l’istituzione del Registro Tumorale poi scippatoci dal governo centrale, ma soprattutto abbiamo iniziato a difenderci da popolo e non a lamentarci da singoli schiavi.
Che l’anno si chiude con il crollo del 62% di vendita di panettoni nordici al sud è un bel segnale, che il Compra Sud Insorgente regala a tutti noi per capodanno.
Il 2013 si apre allo stesso modo in cui si chiude il 2012, un anno di spietato colonialismo finanziario. Che più sarà spietato più ci costringerà a imparare a difenderci. Ed è tutto in questa seconda parte il mio augurio insorgente a tutti voi.
Non negate la realtà, siate uomini, affrontatela: chi vi dice che risolverà i vostri problemi è li solo per crearli.

di Nando Dicè 

04 gennaio 2013


Bersani farà la guerra al contante. Opponiamoci

Dall’estate le banche svedesi hanno messo in atto la più determinata offensiva ai pagamenti in contanti. Coadiuvate dalla rete di banda larga più avanzata del mondo e sotto la regia della Banca Centrale, Riksbank, tre delle quattro maggiori banche del Paese, ossia 530 delle 780 filiali, non accettano banconote in pagamento né pagano in contanti. Ormai 200 su 300 uffici della Nordea Bank, e tre quarti degli sportelli della Swedbank, fanno solo transazioni elettroniche.

«Stiamo attivamente riducendo il contante nella società», vanta Peter Borsos, portavoce della Swedbank. I motivi proclamati dalla propaganda sono quelli che già conosciamo: non già che alle banche conviene prelevare una commissione da ogni transazione, questo no; i pagamenti elettronici sono più sicuri, riducono il pericolo di furti e rapine, e soprattutto – per toccare la corda «verde» della popolazione – «il trasporto del denaro su automezzi blindati produce centinaia di tonnellate di gas-serra; noi soli della Swedbank emettiamo 700 tonnellate di biossido di carbonio per questo, con un costo per la società di 11 miliardi l’anno». Orrore, orrore.
Come resistere al richiamo alla responsabilità ecologista? Ristoranti di sushi ad Uppsala sono passati di botto al «no contanti». Le chiese luterane (sempre all’avanguardia del politicamente corretto) hanno approntato all’entrata impianti per raccogliere offerte ed elemosine, i kollektomat.
Ma la cittadinanza, benché storicamente ligia, progressista e disciplinata, non sembra abboccare alle meravigliose promesse della «cashless society». L’anno scorso il valore delle transazioni in contanti è stato di 99 miliardi di krona, solo lievemente inferiore rispetto a un decennio prima. I piccoli negozi continuano ad accettare pagamenti in contanti tra un terzo e la metà dei casi. Un’indagine sulla soddisfazione dei clienti delle banche condotto dallo «Swedish Quality Index» ha mostrato che i clienti sono, appunto, poco soddisfatti di quelle banche che praticano il «niente contanti».
Il guaio è che il passaggio al «niente contanti» non è stato reso obbligatorio, e il più grande istituto bancario del Paese, Handelsbanken, s’è dissociato dall’iniziativa, «vediamo arrivare clienti da altre banche», dichiara Kai Jokitulppo, il capo dei servizi privati del grande gruppo bancario. «Finché i nostri clienti chiedono banconote, è nostro compito, come banca, fornirle». Le 461 filiali della Handelbanken trattano banconote, tranne una decina, e la banca si propone di continuare a farlo nel 2013».
La Svezia è all’avanguardia delle sperimentazioni sociali di marca «progressista»; negli anni ‘90 provò la legalizzazione degli stupefacenti, per poi tornare indietro quando l’esperimento rivelò un aumento disastroso del consumo tra i giovanissimi; il progressismo svedese non giunge fino all’accecamento ideologico. Per questo l’esperimento «no-cash» in corso è da seguire con attenzione. Perché certamente il prossimo governo Bersani-PD, con o senza Mario Monti, imporrà anche agli italiani fiere limitazioni all’uso del contante; più di quanto abbia già fatto Monti vietando i pagamenti oltre mille euro. Del resto, il «Contrasto all’uso del contante» è già scritto nella finanziaria di Monti, orwellianamente ridenominata «Decreto Salva Italia».
Giuseppe Mussari
  Giuseppe Mussari
La convergenza d’interessi fra le grandi banche, il professore e il Partito a questo fine sono patenti. Basti ricordare che il presidente dell’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, ha recentemente chiamato il contrasto al contante annunciato da Monti «una battaglia di civiltà». E chi è il presidente dell’ABI? Lo sapete: il compagno Giuseppe Mussari, già capo supremo del Monte dei Paschi di Siena. La banca dei compagni, che lui e loro hanno mandato in rovina utilizzandola come vaso della marmellata per le loro clientele, e che Mario Monti ha salvato in molti modi. Prima, esentando Montepaschi dal pagamento degli interessi che doveva sui Tremonti Bond, i 2 miliardi di euro che aveva ottenuto in prestito dallo Stato (e non ancora rimborsati), circa 200 milioni che grazie a Monti noi contribuenti non rivedremo più. (Tassati per arricchire i banchieri)
Non è bastato. In bancarotta, Montepaschi avrebbe dovuto rivolgersi al «mercato» per raccogliere 4 miliardi di fondi. Ma così facendo, le azioni in mano ai compagni del direttivo PD che possiedono la banca, si sarebbero diluiti, e il PD avrebbe perso il controllo assoluto della sua vacca da latte. Ma il «liberismo di mercato» ha incontrato un limite in questo caso. Il governo Monti ha versato a Montepaschi i 4 miliardi che gli servivano: come ha notato sarcastico Tremonti, è lintero gettito dellImu sulla prima casa. Invece di impiegarlo per i tanti pressanti bisogni del Paese, dalla riduzione del debito alle pensioni degli esodati (ridotti in quello stato dalla Fornero), il governo «tecnico» ha semplicemente girato l’introito fiscale della patrimoniale alla banca dei rossi. Che è un buco nero da cui nulla sarà più restituito.
Da qui si capisce che Bersani e il suo governo comunista, e i banchieri, abbiano il medesimo interesse all’abolizione del contante nelle transazioni, come ne hanno all’imposizione di una più feroce patrimoniale sui piccoli patrimoni visibili (immobili, conti bancari) per girarla ai grandi patrimoni finanziari dissestati.
A questa spoliazione del ceto medio il PD porterà tutto il know-how propagandistico-incitante che ha affinato nei decenni in cui si chiamava PCI e dipendeva dall’URSS. «Lotta all’evasione», «colpire le grandi fortune», tutto ciò che invelenisce l’invidia sociale (molla primaria dell’elettorato di sinistra) sono i motivi che notoriamente vengono agitati.
Quando la sinistra sarà al potere, preso possesso di tutti i mezzi televisivi di propaganda (pardon, «informazione») di Stato, la demonizzazione del contante – e di chi lo usa – diverrà assordante.
Non si potrà più ribattere che il contante come mezzo di evasione conta poco, e solo il piccolo «nero» dei meccanici e degli idraulici, ma che il governo lascia impunita la grande evasione fiscale fatta per i loro clienti privilegiati, o per se stesse, dalle banche; sarete bollati come complici dell’evasione, gente che «non ama la nostra Costituzione». Provate a dire che il ministro Passera è indagato per una evasione miliardaria fatta quando era capintesta di Intesa, e fatta a forza di transazioni elettroniche all’estero, ciò che dimostra che l’evasione riesce meglio senza contanti. (Passera indagato per frode fiscale)
Il titano bancario anglo-americano HSBC è stato trovato colpevole (ancorché non processato, «per non destabilizzare il sistema») di aver riciclato almeno 7 miliardi di dollari dal cartello dei narcos messicani: ossia ha trasformato vagonate di contanti sporchi in bit elettronici candidi e profumati. Delitto che un divieto dell’uso del contante non avrebbe certo ostacolato.
Persino la Bundesbank, ed è tutto dire, ha smentito i miti demonizzanti sull’uso del contante («insicuro, costoso, inquinante, pericoloso») in un recente seminario, riscoprendo l’acqua calda, cioè che «il pagamento in contanti è il più naturale» (e infatti in Germania l’80% degli acquisti avviene in contanti).(Cash symposium)
Ma tutte le obiezioni saranno inutili: il governo Bersani scatenerà la guerra al contante, indurirà la campagna già lanciata da Monti. Lo farà per molti motivi. Uno, perché questo è uno dei cavalli di battaglia ideologici delle sinistre, come le «nozze gay», e bisogna accontentare settori estremi, come la Gabanelli che hanno proposto di tassare l’uso del contante (perché già, occorre renderlo costoso come l’uso delle carte di credito: le banche lo chiedono).
Il secondo motivo attiene al fatto che il PD è il nucleo di grossi e concreti interessi, che «naturalmente» convergono con quelli dei banchieri. Chi crede Bersani «una brava» persona perché ha una faccia così e l’accento emiliano, tende a dimenticare che è il rappresentante e l’agente dei conglomerati d’affari detti Cooperative Rosse: polipi con tentacoli grossi e idrovori dappertutto, nella grande distribuzione come nella banche, nelle assicurazioni come nelle grandi opere e nei «servizi» sanitari. Tra parentesi, le COOP sono dei campioni di evasione fiscale: «legale», ovviamente, perché profittano di agevolazioni nate nel tempo in cui «cooperativa» voleva dire un gruppo di operai poveri e solidali, mica Unipol, Ipercoop e CMC. È interesse del PD sviare l’attenzione verso gli idraulici che fanno il nero.
Finché siamo in tempo, opponiamoci. Converrà ricordare i motivi profondi per cui il sistema bancario vuole ad ogni costo abolire il contante. Ovviamente, nei miliardi di pagamenti in contanti le banche non ci guadagnano nulla, e vogliono trovare il modo di annullare questo «scandalo», vogliono estrarre la loro commissione dal caffè e cornetto mattutino, incettare il loro tributo dalla corsa in taxi e dalle verdure che compriamo al fruttivendolo. Ma questo è solo il motivo più evidente. Molto più importante è il seguente:

Imponendo la
 «cashless society», le banche si liberano del loro incubo secolarela corsa agli sportelli. Le banche non hanno veramente in cassa i soldi che avete dato loro in deposito; li hanno impegnati dieci o venti volte il loro valore, in «investimenti» vari; lucrano gli interessi su questa moneta fittizia. Il gioco regge perché la gente non conosce questo fatto – la frode fondamentale del credito frazionale – e crede che i suoi depositi «siano al sicuro in banca». Ma basta che spaventata da qualche crack la massa dei risparmiatori si presenti agli sportelli a reclamare i suoi depositi, e scopre che essi non ci sono più. Che la banca non ha nemmeno l’obbligo di restituirli, essendone diventata per il codice civile, la proprietaria. Ma la corsa agli sportelli rivela la frode fondamentale e scuote la cosiddetta «fiducia» nel sistema, in modo permanente.
Nella cashless society, il problema è risolto. La banca può mancare di banconote in cassa, ma non è mai a corto di bit elettronici. Volete 10 mila euro? Oggi, chiamano il direttore, ti dicono che «è vietato», e se proprio insisti, ti dicono di passare «fra cinque giorni». Domani: pronti, i 10 mila euro sono già versati nel vostro borsellino virtuale, che può essere anche il vostro smartphone.
E qui si apre un altro grande business, in rapido sviluppo. Voi umani non siete capaci di vedere quei 10 mila euro in bit sul vostro smartphone. Ma li «vedono» le migliaia di sensori di cui presto saranno sparse le città, dai cartelloni pubblicitari alle entrate dei negozi: e faranno a gara per farveli spendere. Passate accanto a un ristorante? Un SMS vi trilla: «Amico entra! Oggi lasagne al pesto, cima genovese e tiramisù alla pera!». Un manifesto della Toyota vi «sente», scruta il vostro borsellino, e vi invita all’acquisto dell’ultima utilitaria a «9.990 euro TAEG Zero». Qualunque entità economica o poliziesca vi segue passo passo, conoscendo perfettamente la vostra identità, la vostra posizione geografica, la vostra possibilità economica e la capienza del vostro protafoglio in bit.

Non ci credete? È l’esperimento in corso a Tokio, dove esistono già 650 mila carte (Edy Cards, le chiamano) che possono essere lette da sensori a distanza, WiFi. Queste carte hanno una inquietante caratteristica: che non c’è bisogno di strisciarle in una macchinetta, né di digitare un pin o una password per effettuare il pagamento. Ciò ha un vantaggio: salite in metropolitana, e il prezzo del biglietto vi viene detratto dal vostro smartphone automaticamente dal sensore appena passate la bussola girevole. Ciò ha anche uno svantaggio enorme: un buon gruppo di hacker può svuotarvi il borsellino elettronico senza che voi ve ne accorgiate. Nasce il borsaiolo elettronico, con la mano più leggera che si possa immaginare. Ecco il punto da tener presente quando la banca vi dice che il contante è esposto a furti e rapine, quindi non è sicuro. Coi bit, la banca si libera da questo rischio, e lo accolla a voi. Come fa sempre, del resto.


Naturalmente al termine di questo «progresso» ci sono i chips RFID impiantati sottopelle, che fanno di voi un essere di cui chiunque lo voglia, e ne abbia i mezzi tecnici, saprà tutto di voi. Saremo alla società descritta dall’Apocalisse 13, in cui l’Anticristo o il suo portavoce «obbligò tutti,piccoli e grandiricchi e poveriliberi e gli schiavia farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchiocioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome». Numero che, come sapete, è 666.
Sarete perfettamente trasparenti al potere, bancario o statale che sia (sempre più i due poteri coincidono, essendo ex funzionari di Goldman Sachs a governare in Occidente). È ciò che pretendono, del resto, i virtuosi cittadini che militano soprattutto a sinistra, gli innocenti, i puri angeli che proclamano: «Mi intercettino pure, non ho niente da nascondereIO».

Questi innocenti creano il clima, in cui chi non vuole essere intercettato al telefono o nella e-mail, viene bollato come sospetto, e oggetto di indagini poliziesche o tributarie. Una società in cui non sarà più possibile difendere il principio: «Non è affar vostro sapere come spendo i miei soldi, una volta che li ho guadagnati onestamente», perché ciò sarà visto come potenzialmente delinquenziale. Dove, cioè, è sospetto l’esercizio della volontà individuale – altro nome della libertà. La tecnologia fornisce i mezzi a questa società della trasparenza assoluta, voluta dagli «innocenti» fra noi. Una società di dossier, dove si accumuleranno i dati imbarazzanti per voi: quel giorno in cui siete andati fuori porta con l’amante invece che con la moglie, quel giorno in cui vi siete fatti visitare da uno specialista di un genere di malattie che non volete divulgare, eccetera, eccetera. Il «magistrato» Ingroia e la procura di Palermo si volevano tenere care le intercettazioni telefoniche tra Napolitano e Manini; eppure dicevano che in queste non si configurava alcun reato: e allora perché tenerle, se non per ricattare?
Una società senza contanti è una società della sorveglianza totale e più intrusiva: via satellite, fibre ottiche, sensori e chips, sarete sempre allo scoperto. Nel romanzo 1984, il protagonista Winston poteva almeno sottrarsi allo sguardo del Grande Fratello dietro una nicchia del muro; qui, nessuna nicchia. Chi è tentato di dar ragione agli «innocenti» che esigono trasparenza assoluta, si prenda una vista del tipo di società che vogliono instaurare, guardando un film degli anni ‘70, l’utopia realizzata in distopia mortale: «La fuga di Logan». (La fuga di Logan)
Vedrà quegli «innocenti», che quando vengono avvertiti da Logan che la loro felicità governata da un supercomputer termina in realtà dentro una macelleria cannibalica gestita da un androide in delirio d’onnipotenza, non gli prestano credito, anzi in pratica nemmeno lo vedono. Ci ricorda già qualcosa...
E qui veniamo al motivo più fondamentale per cui personalmente, benché non abbia «nero» da proteggere, sento un pericolo estremo nella cashless society:che in essanessun oppositore politico può più esistere. Se disturbi il potere vigente, esso ti neutralizza in silenzio, senza spararti per la strada né arrestarti di notte; ti condanna senza processo e senza appello. Senza che nessuno lo sappia. Togliendoti i bit-denaro. Il monitor del Bancomat ti risponde: «Carta di credito non riconosciuta», e tu sei un paria. A poche ore dal prossimo pasto che non potrai consumare, alla fame che piega ogni velleità di resistenza. Nemmeno potrai più chiedere l’elemosina di un panino, o il prestito di un amico. Non avrai nemmeno i soldi elettronici per comprare un biglietto e saltare sul primo treno per la Svizzera, rifugio di perseguitati (se hai da mantenerti): Addio Lugano bellamai più ti rivedrò.
Ora capite meglio la strana convergenza di interessi ed intese per cui il governo Bersani, in accordo con il tecnico Monti, e il sistema bancario, vuole abolire il contante. Non è solo che «la sinistra fa sempre il gioco del grande capitale, a volte perfino senza saperlo» (Spengler). È che vuole sorvegliarti. Vuole controllare cosa fai, come eserciti la tua privata volontà (altresì detta libertà), che il Partito trova indebita e illegittima. La sorveglianza totale è la sua passione e la sua ossessione; è nel suo DNA fin dai tempi in cui i comunisti non fingevano di essere altro che comunisti sovietici. Loro devono sapere tutto di te, tu non saprai nulla di loro: banchieri o partitanti, è lo stesso.

La società della trasparenza globale è a senso unico. Senza contanti, il Partito – e la Banca, o la banca-partito – ti tiene in pugno. Te e me, tutti noi.
Se la prospettiva non vi piace, vi invito ad aderire all’iniziativa Contante Libero, una raccolta di firme in favore dell’uso e della circolazione del denaro contante, dunque per impedire alle banche e al governo di controllare la nostra vita e espropriare la nostra ricchezza, non solo materiale. Il manifesto dell’iniziativa si trova qui: Manifesto per il contante libero. Più in breve, 10 Punti per Il Contante Libero: 10 punti per il contante libero.

 di Maurizio Blondet

06 gennaio 2013

Il Gran Maestro



 MARIO MONTI
Se un merito va riconosciuto a Mario Monti è di contribuire ad una maggiore chiarezza del dibattito; ha scelto il suo avversario, Silvio Berlusconi, il suo referente, Bersani, quest’ultimo con un Vendola più addomesticato; ha definito il perimetro entro cui si schiereranno e si formeranno le forze politiche a lui affini; ha tracciato gli orientamenti che ispirano il suo “Cambiare l’Italia, Riformare l’Europa: Agenda per l’impegno comune” di prossima pubblicazione. La conferenza stampa di fine anno tenutasi oggi, domenica 23 dicembre, è stata esemplare nella sua semplicità e incisività. Come al solito i commenti a caldo dei pontefici dell’informazione, a cominciare da Mentana, hanno piegato il senso delle sue dichiarazioni alla logica della quale è vittima la quasi totalità del giornalismo italiano: la riduzione al semplice scontro di fazioni partitiche nel palcoscenico politico e, quindi, l’implicito sostegno tattico allo schieramento di Casini e Montezemolo.
In realtà Monti ha detto molto di più e con un respiro che va al di là dell’attuale scadenza elettorale:
  • Non autorizza nessuno ad utilizzare indebitamente il suo nome; l’avvertimento a Casini e ad alcune componenti del PDL mi pare evidente.
  • La società civile è diffidente nei confronti dei politici professionisti compresi quelli che intendessero sostenere il suo programma
  • Piuttosto che tra destra e sinistra il discrimine della lotta politica dovrebbe essere l’Europa e il rinnovamento
  • Nei tre schieramenti classici e ormai antiquati ci sono cespugli europeisti, innovatori e liberali che andrebbero raccolti sulla base del nuovo discrimine
Il Professore, quindi, più che partecipare e tentare di vincere queste elezioni cerca di orientare il dibattito della campagna elettorale in modo che i partiti in qualche maniera rinuncino parzialmente alla demagogia necessaria a raccogliere voti e alleanze talmente eterogenei  da inficiare però la fluidità successiva dell’azione politica; Monti, infatti, ha già più volte dichiarato di non farsi troppe illusioni sulla frantumazione dei partiti prima delle elezioni. Dal PDL si aspetta poche defezioni importanti, meno del numero di dita delle mani. Paradossalmente, aggiungo io, potrebbe conseguire qualche successo più rilevante dal versante meno ostile, il PD. Sulla base del risultato elettorale, poi, si porrà il problema della coalizione, di chi sarà il Capo di Governo e di quale ruolo svolgerà Monti stesso da una parte e della destrutturazione degli attuali partiti dall’altra. L’altra preoccupazione è quella di circoscrivere il più possibile la campagna elettorale di Berlusconi il quale con i suoi argomenti, in caso di successo, rischia di innescare, contro le sue stesse intenzioni, una politicizzazione del processo di disgregazione dell’Unione Europea attraverso la crisi di una delle due correnti politiche europee, il Partito Popolare Europeo; da qui il senso della recente trappola perpetrata a Bruxelles dal PPE con l’incoronazione di Monti e il processo a Berlusconi.
Per tranciare in questo modo il dibattito politico, il Presidente dimissionario deve ricorrere a sua volta a delle forzature; deve  discriminare tra chi sostiene o ritiene compatibile il suo manifesto ed è in possesso, quindi, dell’attestazione di europeista ed innovatore; gli altri ne sono la semplice negazione. Non esiste pertanto altra dinamica positiva che l’attuale processo di Unione Europea; non esiste altro rinnovamento che il montismo.
Ma Monti, così come l’attuale Unione Europea, in realtà ha molto poco da offrire.
Prospettando una unione da costruire sulle macerie delle nazioni e degli stati nazionali, ignora del tutto i lunghi processi identitari  necessari a creare una comunità, uno stato rappresentativo e una nazione quale dovrebbe essere l’Europa nel caso riuscisse a realizzarsi e quali continuano ad essere gli attuali o almeno quelli che riescono a preservare la propria sovranità. L’Europa, agli occhi di Monti, sarebbe un popolo senza nazione, fatto di persone, consumatori e cittadini muniti di diritti e doveri formali. La sua costituzione sarebbe il frutto di una combinazione accorta dell’azione volontaria di élites e tecnocrati e di una rappresentazione dei cittadini di tipo parlamentare costruita attraverso un semplice atto di volontà di gruppi elitari. L’amalgama e lo sviluppo, invece, sarebbero garantiti dalla costruzione di un mercato continentale libero a sua volta integrato con quello americano e, in qualche momento di là da venire, mondiale.
Una impostazione che evita opportunamente ogni velleità di distinzione di interessi e di identità da quella dell’attuale potenza dominante americana e ogni possibilità di seria e trasparente trattativa tra gruppi e stati nazionali tesa a creare strutture organizzative, statuali, di impresa, culturali necessari per la formazione di blocchi sociali e popoli con una loro peculiarità.
Una visione simile, sia pure allo stato embrionale, apparteneva al De Gaulle degli anni ’60, quando propugnava un processo unitario fondato sugli stati nazionali e sull’integrazione verticale dei settori contestuale alla creazione del mercato europeo, piuttosto che sulla mera liberalizzazione dei mercati e sul continuo frazionamento delle imprese, sull’anomia culturale condita di retorica; la gestione di questi processi, però, comporta l’esistenza di gruppi nazionali forti, consapevoli degli interessi nazionali ma disposti a trattare con i vicini di casa e a delimitare l’azione rispetto alle altre potenze mondiali. Una condizione antitetica rispetto alla situazione europea scaturita dalla seconda guerra mondiale, proseguita nel bipolarismo, protrattasi ulteriormente, con qualche illusione fugace, con la caduta dell’URSS.
Quello che Monti ha da offrire è, più che una speranza, l’accettazione di una pesante regressione in alternativa ad una regressione ancora più marcata in caso di tradimento del suo verbo; l’occupazione tutt’al più  delle nicchie lasciate libere dalle forze dominanti. La recente vendita di Avio aereonautica alla General Electric, il taglio integrale per il secondo anno consecutivo dei finanziamenti sulla ricerca aerospaziale, i continui attacchi ad ENI e Finmeccanica, le scelte di politica estera e di difesa, la nuova enfasi riconosciuta alle scelte di Marchionne, esempi tra i tanti, lasciano intravedere quale sia la consistenza di queste nicchie e quali saranno le dinamiche di un libero mercato ridotto a campo di azione di lobby e gruppi organizzati nascosti dietro l’ideologia del consumatore e produttore individuale. Lascia intravedere, altresì, quali saranno le forze suscettibili di sostenere l’impulso “riformatore” di Mario Monti: i beneficiari di queste nicchie e i settori aggrappati alla possibilità di salvaguardare parte delle proprie prerogative parassitarie. Qualche accenno a questo arrembaggio l’abbiamo già visto nella gestione dei processi di liberalizzazione e nelle modalità di riorganizzazione della spesa pubblica avviati quest’anno. Sino ad ora Monti ha avuto buon gioco nell’accusare i partiti come zavorra antiriformatrice; il groppo ha invece un potere e una inerzia ben più rilevanti, radici ben presenti nel suo stesso governo tecnico “riformatore”.
Un dibattito simile ebbe luogo in Italia nell’immediato dopoguerra, ma in un contesto diverso. L’Italia di allora sviluppò rapidamente il settore tessile, ma con aspri scontri interni e una politica dirigista sostenuta dal piano Marshall riuscì a sviluppare anche una notevole industria meccanica e avviare uno sviluppo importante anche se complementare. Gli americani vincitori, allora, dovevano creare un blocco espansivo capace di alimentare la propria forza, offrire sbocchi alla propria capacità industriale e finanziaria, fronteggiare la minaccia sovietica, questo creò gli spazi necessari allo sviluppo e all’emergere di figure come Mattei. Oggi, al paese, viene richiesto un sacrificio di natura ben diversa e con più invitati alla condivisione delle spoglie, compresi alcuni paesi “amici” europei.
Il trasformismo e l’avventurismo di Berlusconi, a sua volta, rappresentano l’alter ego perfetto per giustificare e fornire motivi e forza a questa politica, per rinfocolare i timori sui quali basare i propri successi, così come avvenuto, in un contesto per ora ancora più drammatico, in Grecia.
È sempre più curiosa e intrigante, tra l’altro, l’affinità tra le tesi di Berlusconi, anche lui ormai ispirato dalle teorie espansiviste e di sovranità monetaria di Krugman e quelle antigermanocentriche  dei neoantimperialisti smemorati.
Non appena sarà pubblicato il manifesto di Monti, sulla falsa riga dei miei precedenti articoli di un anno fa sull’Unione Europea,  approfondirò tutti questi aspetti.

di Giuseppe Germinario 

05 gennaio 2013

2012, anno del Golpe morbido. E adesso impariamo a difenderci





     
Si chiude un anno di dittatura bancaria, un anno di debiti e di debito, un anno di politica concepita dalle banche come truffa sociale dei soliti politici truffatori.
Lo spread, come “il Mammone”, ha spaventato i bambini: la mannaia del gabelliere Equitaliano ha colpito indiscriminatamente come un killer seriale e lo Stato è stato trasformato in semplice esattore per nome e per conto dei poteri internazionali. Come il fanatismo ideologico liberista impone, lo Stato ha un solo compito: tassare tutto, tutti e dappertutto. E una sola funzione: garantire che quello che chiamano debito sia garantito al debitore. Il debitore resta occulto, il debito virtuale invece incombe su tutti noi come un incubo metafisico. Siamo all’epica del Dio debito e all’epopea del popolo debitore.

Nulla di quello che i politicanti avevano “promesso” al popolo bue è stato fatto e all’orizzonte nemmeno una speranza di reale cambiamento. Al massimo, in virtù di un ricordo lontano di dignità perduta, alcuni si agitano ormai semi coscienti che così non solo non si può andare avanti ma che è anche inutile andare avanti così. Saranno quelli che forse, nel 2013, porteranno un po’ di caos nel sistema. Che sia benvenuto questo caos.
Da quello che i media asserviti ci raccontano, dobbiamo pagare il 112% l’anno, rispetto al 100% che produciamo e quindi anche agli occhi di un bambino lo Stato è fallito e quindi la macelleria sociale in atto non solo è inutile ma soprattutto è sadica.

E' all’interno del fallimento che cresce la questione meridionale: il divario fra Nord e Sud cresce quando l’economia va bene, cresce quando l’economia va male, segno evidente che la questione meridionale non è una questione semplicemente economica ma un cancro endemico della stessa invasione coloniale.

Crolla l’utopia democratica che autorizza un vero e proprio golpe morbido che gli storici chiameranno Golpe Napolitano-Monti
Crolla la favoletta per i piccoli e buoni “cittadini italiani” del sistema maggioritario, della riduzione dei partiti, del bipolarismo, del bipartitismo.
Crolla il mito della democrazia come pace nel mondo, crolla grazie alle intercettazioni di Napolitano, all’ipocrisia dello Stato Italiano che si proclama anti mafia, mentre Taranto muore, Napoli è come sempre sfruttata per visibilità personale di alcuni a scapito dei napoletani, il Sud è sommerso dai veleni e trasformato in discarica del Nord, i meridionali continuano ad emigrare, vengono derubati della dignità e dei propri soldi attraverso le leggi italiane e per finire anche la chiesa accetta i “30 denari” e tradisce il popolo elogiando i banchieri.
 Da quello che avete letto, sarebbe più giusto dire che si chiude un “normale” anno dei quasi 152esimi di regime italiano più che dire che si è chiuso il 2012esimo anno dopo Cristo.
Ma pur nel “cielo cupo” qualcosa in quest’anno è cambiato: nulla che possa farci dire che possiamo ancora incidere sul sistema, ma sicuramente che l’identitarismo è la strada da percorrere.
Come abbiamo dimostrato per primi nella seconda repubblica al Sud si può lavorare per creare una rappresentanza politica propria ed indipendente attraverso l’opera degli stessi meridionali: peccato che molti hanno copiato la forma, ma non l’essenza fondamentale soprattutto di indipendenza dalla partitocrazia.
Abbiamo dimostrato compattezza ed identità, quando abbiamo reagito da popolo all’offesa della ” pizza veneta” svelando come fosse una copertura dei grandi e soliti interessi economici del nord, abbiamo ottenuto il licenziamento del giornalista “lombrosiano” della Rai piemontese, l’istituzione del Registro Tumorale poi scippatoci dal governo centrale, ma soprattutto abbiamo iniziato a difenderci da popolo e non a lamentarci da singoli schiavi.
Che l’anno si chiude con il crollo del 62% di vendita di panettoni nordici al sud è un bel segnale, che il Compra Sud Insorgente regala a tutti noi per capodanno.
Il 2013 si apre allo stesso modo in cui si chiude il 2012, un anno di spietato colonialismo finanziario. Che più sarà spietato più ci costringerà a imparare a difenderci. Ed è tutto in questa seconda parte il mio augurio insorgente a tutti voi.
Non negate la realtà, siate uomini, affrontatela: chi vi dice che risolverà i vostri problemi è li solo per crearli.

di Nando Dicè 

04 gennaio 2013


Bersani farà la guerra al contante. Opponiamoci

Dall’estate le banche svedesi hanno messo in atto la più determinata offensiva ai pagamenti in contanti. Coadiuvate dalla rete di banda larga più avanzata del mondo e sotto la regia della Banca Centrale, Riksbank, tre delle quattro maggiori banche del Paese, ossia 530 delle 780 filiali, non accettano banconote in pagamento né pagano in contanti. Ormai 200 su 300 uffici della Nordea Bank, e tre quarti degli sportelli della Swedbank, fanno solo transazioni elettroniche.

«Stiamo attivamente riducendo il contante nella società», vanta Peter Borsos, portavoce della Swedbank. I motivi proclamati dalla propaganda sono quelli che già conosciamo: non già che alle banche conviene prelevare una commissione da ogni transazione, questo no; i pagamenti elettronici sono più sicuri, riducono il pericolo di furti e rapine, e soprattutto – per toccare la corda «verde» della popolazione – «il trasporto del denaro su automezzi blindati produce centinaia di tonnellate di gas-serra; noi soli della Swedbank emettiamo 700 tonnellate di biossido di carbonio per questo, con un costo per la società di 11 miliardi l’anno». Orrore, orrore.
Come resistere al richiamo alla responsabilità ecologista? Ristoranti di sushi ad Uppsala sono passati di botto al «no contanti». Le chiese luterane (sempre all’avanguardia del politicamente corretto) hanno approntato all’entrata impianti per raccogliere offerte ed elemosine, i kollektomat.
Ma la cittadinanza, benché storicamente ligia, progressista e disciplinata, non sembra abboccare alle meravigliose promesse della «cashless society». L’anno scorso il valore delle transazioni in contanti è stato di 99 miliardi di krona, solo lievemente inferiore rispetto a un decennio prima. I piccoli negozi continuano ad accettare pagamenti in contanti tra un terzo e la metà dei casi. Un’indagine sulla soddisfazione dei clienti delle banche condotto dallo «Swedish Quality Index» ha mostrato che i clienti sono, appunto, poco soddisfatti di quelle banche che praticano il «niente contanti».
Il guaio è che il passaggio al «niente contanti» non è stato reso obbligatorio, e il più grande istituto bancario del Paese, Handelsbanken, s’è dissociato dall’iniziativa, «vediamo arrivare clienti da altre banche», dichiara Kai Jokitulppo, il capo dei servizi privati del grande gruppo bancario. «Finché i nostri clienti chiedono banconote, è nostro compito, come banca, fornirle». Le 461 filiali della Handelbanken trattano banconote, tranne una decina, e la banca si propone di continuare a farlo nel 2013».
La Svezia è all’avanguardia delle sperimentazioni sociali di marca «progressista»; negli anni ‘90 provò la legalizzazione degli stupefacenti, per poi tornare indietro quando l’esperimento rivelò un aumento disastroso del consumo tra i giovanissimi; il progressismo svedese non giunge fino all’accecamento ideologico. Per questo l’esperimento «no-cash» in corso è da seguire con attenzione. Perché certamente il prossimo governo Bersani-PD, con o senza Mario Monti, imporrà anche agli italiani fiere limitazioni all’uso del contante; più di quanto abbia già fatto Monti vietando i pagamenti oltre mille euro. Del resto, il «Contrasto all’uso del contante» è già scritto nella finanziaria di Monti, orwellianamente ridenominata «Decreto Salva Italia».
Giuseppe Mussari
  Giuseppe Mussari
La convergenza d’interessi fra le grandi banche, il professore e il Partito a questo fine sono patenti. Basti ricordare che il presidente dell’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, ha recentemente chiamato il contrasto al contante annunciato da Monti «una battaglia di civiltà». E chi è il presidente dell’ABI? Lo sapete: il compagno Giuseppe Mussari, già capo supremo del Monte dei Paschi di Siena. La banca dei compagni, che lui e loro hanno mandato in rovina utilizzandola come vaso della marmellata per le loro clientele, e che Mario Monti ha salvato in molti modi. Prima, esentando Montepaschi dal pagamento degli interessi che doveva sui Tremonti Bond, i 2 miliardi di euro che aveva ottenuto in prestito dallo Stato (e non ancora rimborsati), circa 200 milioni che grazie a Monti noi contribuenti non rivedremo più. (Tassati per arricchire i banchieri)
Non è bastato. In bancarotta, Montepaschi avrebbe dovuto rivolgersi al «mercato» per raccogliere 4 miliardi di fondi. Ma così facendo, le azioni in mano ai compagni del direttivo PD che possiedono la banca, si sarebbero diluiti, e il PD avrebbe perso il controllo assoluto della sua vacca da latte. Ma il «liberismo di mercato» ha incontrato un limite in questo caso. Il governo Monti ha versato a Montepaschi i 4 miliardi che gli servivano: come ha notato sarcastico Tremonti, è lintero gettito dellImu sulla prima casa. Invece di impiegarlo per i tanti pressanti bisogni del Paese, dalla riduzione del debito alle pensioni degli esodati (ridotti in quello stato dalla Fornero), il governo «tecnico» ha semplicemente girato l’introito fiscale della patrimoniale alla banca dei rossi. Che è un buco nero da cui nulla sarà più restituito.
Da qui si capisce che Bersani e il suo governo comunista, e i banchieri, abbiano il medesimo interesse all’abolizione del contante nelle transazioni, come ne hanno all’imposizione di una più feroce patrimoniale sui piccoli patrimoni visibili (immobili, conti bancari) per girarla ai grandi patrimoni finanziari dissestati.
A questa spoliazione del ceto medio il PD porterà tutto il know-how propagandistico-incitante che ha affinato nei decenni in cui si chiamava PCI e dipendeva dall’URSS. «Lotta all’evasione», «colpire le grandi fortune», tutto ciò che invelenisce l’invidia sociale (molla primaria dell’elettorato di sinistra) sono i motivi che notoriamente vengono agitati.
Quando la sinistra sarà al potere, preso possesso di tutti i mezzi televisivi di propaganda (pardon, «informazione») di Stato, la demonizzazione del contante – e di chi lo usa – diverrà assordante.
Non si potrà più ribattere che il contante come mezzo di evasione conta poco, e solo il piccolo «nero» dei meccanici e degli idraulici, ma che il governo lascia impunita la grande evasione fiscale fatta per i loro clienti privilegiati, o per se stesse, dalle banche; sarete bollati come complici dell’evasione, gente che «non ama la nostra Costituzione». Provate a dire che il ministro Passera è indagato per una evasione miliardaria fatta quando era capintesta di Intesa, e fatta a forza di transazioni elettroniche all’estero, ciò che dimostra che l’evasione riesce meglio senza contanti. (Passera indagato per frode fiscale)
Il titano bancario anglo-americano HSBC è stato trovato colpevole (ancorché non processato, «per non destabilizzare il sistema») di aver riciclato almeno 7 miliardi di dollari dal cartello dei narcos messicani: ossia ha trasformato vagonate di contanti sporchi in bit elettronici candidi e profumati. Delitto che un divieto dell’uso del contante non avrebbe certo ostacolato.
Persino la Bundesbank, ed è tutto dire, ha smentito i miti demonizzanti sull’uso del contante («insicuro, costoso, inquinante, pericoloso») in un recente seminario, riscoprendo l’acqua calda, cioè che «il pagamento in contanti è il più naturale» (e infatti in Germania l’80% degli acquisti avviene in contanti).(Cash symposium)
Ma tutte le obiezioni saranno inutili: il governo Bersani scatenerà la guerra al contante, indurirà la campagna già lanciata da Monti. Lo farà per molti motivi. Uno, perché questo è uno dei cavalli di battaglia ideologici delle sinistre, come le «nozze gay», e bisogna accontentare settori estremi, come la Gabanelli che hanno proposto di tassare l’uso del contante (perché già, occorre renderlo costoso come l’uso delle carte di credito: le banche lo chiedono).
Il secondo motivo attiene al fatto che il PD è il nucleo di grossi e concreti interessi, che «naturalmente» convergono con quelli dei banchieri. Chi crede Bersani «una brava» persona perché ha una faccia così e l’accento emiliano, tende a dimenticare che è il rappresentante e l’agente dei conglomerati d’affari detti Cooperative Rosse: polipi con tentacoli grossi e idrovori dappertutto, nella grande distribuzione come nella banche, nelle assicurazioni come nelle grandi opere e nei «servizi» sanitari. Tra parentesi, le COOP sono dei campioni di evasione fiscale: «legale», ovviamente, perché profittano di agevolazioni nate nel tempo in cui «cooperativa» voleva dire un gruppo di operai poveri e solidali, mica Unipol, Ipercoop e CMC. È interesse del PD sviare l’attenzione verso gli idraulici che fanno il nero.
Finché siamo in tempo, opponiamoci. Converrà ricordare i motivi profondi per cui il sistema bancario vuole ad ogni costo abolire il contante. Ovviamente, nei miliardi di pagamenti in contanti le banche non ci guadagnano nulla, e vogliono trovare il modo di annullare questo «scandalo», vogliono estrarre la loro commissione dal caffè e cornetto mattutino, incettare il loro tributo dalla corsa in taxi e dalle verdure che compriamo al fruttivendolo. Ma questo è solo il motivo più evidente. Molto più importante è il seguente:

Imponendo la
 «cashless society», le banche si liberano del loro incubo secolarela corsa agli sportelli. Le banche non hanno veramente in cassa i soldi che avete dato loro in deposito; li hanno impegnati dieci o venti volte il loro valore, in «investimenti» vari; lucrano gli interessi su questa moneta fittizia. Il gioco regge perché la gente non conosce questo fatto – la frode fondamentale del credito frazionale – e crede che i suoi depositi «siano al sicuro in banca». Ma basta che spaventata da qualche crack la massa dei risparmiatori si presenti agli sportelli a reclamare i suoi depositi, e scopre che essi non ci sono più. Che la banca non ha nemmeno l’obbligo di restituirli, essendone diventata per il codice civile, la proprietaria. Ma la corsa agli sportelli rivela la frode fondamentale e scuote la cosiddetta «fiducia» nel sistema, in modo permanente.
Nella cashless society, il problema è risolto. La banca può mancare di banconote in cassa, ma non è mai a corto di bit elettronici. Volete 10 mila euro? Oggi, chiamano il direttore, ti dicono che «è vietato», e se proprio insisti, ti dicono di passare «fra cinque giorni». Domani: pronti, i 10 mila euro sono già versati nel vostro borsellino virtuale, che può essere anche il vostro smartphone.
E qui si apre un altro grande business, in rapido sviluppo. Voi umani non siete capaci di vedere quei 10 mila euro in bit sul vostro smartphone. Ma li «vedono» le migliaia di sensori di cui presto saranno sparse le città, dai cartelloni pubblicitari alle entrate dei negozi: e faranno a gara per farveli spendere. Passate accanto a un ristorante? Un SMS vi trilla: «Amico entra! Oggi lasagne al pesto, cima genovese e tiramisù alla pera!». Un manifesto della Toyota vi «sente», scruta il vostro borsellino, e vi invita all’acquisto dell’ultima utilitaria a «9.990 euro TAEG Zero». Qualunque entità economica o poliziesca vi segue passo passo, conoscendo perfettamente la vostra identità, la vostra posizione geografica, la vostra possibilità economica e la capienza del vostro protafoglio in bit.

Non ci credete? È l’esperimento in corso a Tokio, dove esistono già 650 mila carte (Edy Cards, le chiamano) che possono essere lette da sensori a distanza, WiFi. Queste carte hanno una inquietante caratteristica: che non c’è bisogno di strisciarle in una macchinetta, né di digitare un pin o una password per effettuare il pagamento. Ciò ha un vantaggio: salite in metropolitana, e il prezzo del biglietto vi viene detratto dal vostro smartphone automaticamente dal sensore appena passate la bussola girevole. Ciò ha anche uno svantaggio enorme: un buon gruppo di hacker può svuotarvi il borsellino elettronico senza che voi ve ne accorgiate. Nasce il borsaiolo elettronico, con la mano più leggera che si possa immaginare. Ecco il punto da tener presente quando la banca vi dice che il contante è esposto a furti e rapine, quindi non è sicuro. Coi bit, la banca si libera da questo rischio, e lo accolla a voi. Come fa sempre, del resto.


Naturalmente al termine di questo «progresso» ci sono i chips RFID impiantati sottopelle, che fanno di voi un essere di cui chiunque lo voglia, e ne abbia i mezzi tecnici, saprà tutto di voi. Saremo alla società descritta dall’Apocalisse 13, in cui l’Anticristo o il suo portavoce «obbligò tutti,piccoli e grandiricchi e poveriliberi e gli schiavia farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchiocioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome». Numero che, come sapete, è 666.
Sarete perfettamente trasparenti al potere, bancario o statale che sia (sempre più i due poteri coincidono, essendo ex funzionari di Goldman Sachs a governare in Occidente). È ciò che pretendono, del resto, i virtuosi cittadini che militano soprattutto a sinistra, gli innocenti, i puri angeli che proclamano: «Mi intercettino pure, non ho niente da nascondereIO».

Questi innocenti creano il clima, in cui chi non vuole essere intercettato al telefono o nella e-mail, viene bollato come sospetto, e oggetto di indagini poliziesche o tributarie. Una società in cui non sarà più possibile difendere il principio: «Non è affar vostro sapere come spendo i miei soldi, una volta che li ho guadagnati onestamente», perché ciò sarà visto come potenzialmente delinquenziale. Dove, cioè, è sospetto l’esercizio della volontà individuale – altro nome della libertà. La tecnologia fornisce i mezzi a questa società della trasparenza assoluta, voluta dagli «innocenti» fra noi. Una società di dossier, dove si accumuleranno i dati imbarazzanti per voi: quel giorno in cui siete andati fuori porta con l’amante invece che con la moglie, quel giorno in cui vi siete fatti visitare da uno specialista di un genere di malattie che non volete divulgare, eccetera, eccetera. Il «magistrato» Ingroia e la procura di Palermo si volevano tenere care le intercettazioni telefoniche tra Napolitano e Manini; eppure dicevano che in queste non si configurava alcun reato: e allora perché tenerle, se non per ricattare?
Una società senza contanti è una società della sorveglianza totale e più intrusiva: via satellite, fibre ottiche, sensori e chips, sarete sempre allo scoperto. Nel romanzo 1984, il protagonista Winston poteva almeno sottrarsi allo sguardo del Grande Fratello dietro una nicchia del muro; qui, nessuna nicchia. Chi è tentato di dar ragione agli «innocenti» che esigono trasparenza assoluta, si prenda una vista del tipo di società che vogliono instaurare, guardando un film degli anni ‘70, l’utopia realizzata in distopia mortale: «La fuga di Logan». (La fuga di Logan)
Vedrà quegli «innocenti», che quando vengono avvertiti da Logan che la loro felicità governata da un supercomputer termina in realtà dentro una macelleria cannibalica gestita da un androide in delirio d’onnipotenza, non gli prestano credito, anzi in pratica nemmeno lo vedono. Ci ricorda già qualcosa...
E qui veniamo al motivo più fondamentale per cui personalmente, benché non abbia «nero» da proteggere, sento un pericolo estremo nella cashless society:che in essanessun oppositore politico può più esistere. Se disturbi il potere vigente, esso ti neutralizza in silenzio, senza spararti per la strada né arrestarti di notte; ti condanna senza processo e senza appello. Senza che nessuno lo sappia. Togliendoti i bit-denaro. Il monitor del Bancomat ti risponde: «Carta di credito non riconosciuta», e tu sei un paria. A poche ore dal prossimo pasto che non potrai consumare, alla fame che piega ogni velleità di resistenza. Nemmeno potrai più chiedere l’elemosina di un panino, o il prestito di un amico. Non avrai nemmeno i soldi elettronici per comprare un biglietto e saltare sul primo treno per la Svizzera, rifugio di perseguitati (se hai da mantenerti): Addio Lugano bellamai più ti rivedrò.
Ora capite meglio la strana convergenza di interessi ed intese per cui il governo Bersani, in accordo con il tecnico Monti, e il sistema bancario, vuole abolire il contante. Non è solo che «la sinistra fa sempre il gioco del grande capitale, a volte perfino senza saperlo» (Spengler). È che vuole sorvegliarti. Vuole controllare cosa fai, come eserciti la tua privata volontà (altresì detta libertà), che il Partito trova indebita e illegittima. La sorveglianza totale è la sua passione e la sua ossessione; è nel suo DNA fin dai tempi in cui i comunisti non fingevano di essere altro che comunisti sovietici. Loro devono sapere tutto di te, tu non saprai nulla di loro: banchieri o partitanti, è lo stesso.

La società della trasparenza globale è a senso unico. Senza contanti, il Partito – e la Banca, o la banca-partito – ti tiene in pugno. Te e me, tutti noi.
Se la prospettiva non vi piace, vi invito ad aderire all’iniziativa Contante Libero, una raccolta di firme in favore dell’uso e della circolazione del denaro contante, dunque per impedire alle banche e al governo di controllare la nostra vita e espropriare la nostra ricchezza, non solo materiale. Il manifesto dell’iniziativa si trova qui: Manifesto per il contante libero. Più in breve, 10 Punti per Il Contante Libero: 10 punti per il contante libero.

 di Maurizio Blondet